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Barry Lindon

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William Makepeace Thackeray

LE MEMORIE DI
BARRY LYNDON
SCRITTE DA LUI STESSO

Capitolo 1

LE MIE ORIGINI E LA MIA FAMIGLIA

SUBISCO L'INFLUSSO DI UNA TENERA PASSIONE


Dai tempi di Adamo in poi, si può dire che non vi sia mai stato nel mondo un guaio in cui non
fosse mescolata una donna. E da quando ha avuto origine la nostra famiglia (e deve essere
stato molto vicino ai tempi di Adamo - tanto antichi, nobili ed illustri sono i Barry, come ognun
sa) le donne hanno avuto una parte importante nei destini della nostra razza.

Immagino che non vi sia in tutta l'Europa alcun gentiluomo che non abbia inteso ricordare la
casata dei Barry di Barryogue, nel regno d'Irlanda, poiché nessun nome altrettanto famoso si
può trovare nel Gwillim o nel D'Hozier; e benché da uomo di mondo io abbia imparato a
disprezzare con tutta l'anima i vantati diritti a un'alta nobiltà di pretendenti che non hanno
una genealogia più illustre di quella del lacché che mi lucida gli stivali, e benché derida col
maggior dileggio le spacconate di molti dei miei concittadini, che discendono tutti dai re
d'Irlanda, e parlano di un pezzetto di terra (su cui potrebbe a mala pena vivere un porco)
come di un feudo; pure la verità mi costringe a dichiarare che la mia famiglia era la più nobile
dell'isola, e forse dell'universo mondo. E d'altra parte i nostri possedimenti, ora insignificanti,
a noi sottratti dalla guerra, dal tradimento, dal trascorrer del tempo, dalla bizzarria degli
antenati, dalla fedeltà all'antica fede ed all'antico monarca, una volta erano immensi, ed
abbracciavano molte contee, in un tempo in cui l'Irlanda era molto più ricca e prospera d'ora.

Avrei potuto anche porre la corona irlandese sul mio stemma gentilizio, ma troppi sono gli
sciocchi pretendenti a questa distinzione che già la portano e l'hanno resa comune.

Forse, chissà, se non ci fosse stata di mezzo una donna oggi la corona avrei potuto portarla
io. E' inutile che vi mostriate increduli. Io dico: "perché no?". Se vi fosse stato un condottiero
valoroso a guidare i miei concittadini invece di quei queruli buffoni che piegarono il ginocchio
dinanzi a re Riccardo Secondo, essi avrebbero potuto diventare uomini liberi: e se vi fosse
stato un capo risoluto per affrontare quel mascalzone assassino di Oliviero Cromwell,
avremmo potuto cacciare gli Inglesi una volta per sempre. Ma non vi era alcun Barry in
campo contro l'usurpatore; anzi, il mio antenato Simone de Barry si accordò col suddetto
monarca e sposò la figlia dell'allora re di Munster, i cui figli egli aveva ucciso in battaglia
senza pietà.

Ma al tempo di Oliviero era troppo tardi ormai per levare il grido di guerra contro il birraio
omicida, anche per un capo che portasse il nome di Barry.

Non eravamo più principi della terra; la nostra infelice razza aveva perduto i suoi
possedimenti un secolo prima, in conseguenza del più vergognoso tradimento. Conosco
bene il fatto, poiché mia madre me ne ha spesso raccontato la storia, e per di più ha
compilato un albero genealogico in ricamo di lana che ha appeso nel salone giallo di
Barryville, dove abitiamo.
Questo è il solo feudo che i Lyndon posseggano ora in Irlanda e fu un tempo proprietà dei
miei antenati. Roy Barry di Barryogue lo possedeva fin dal tempo di Elisabetta, insieme con
una metà di Munster. I Barry, in quel tempo, erano sempre in lotta con gli O'Mahony. Ora
accadde che un certo colonnello inglese passasse nel paese di Rory proprio nel giorno in cui
gli O'Mahony avevano fatto una scorreria nel nostro territorio, portando via un grosso bottino
di bestiame e di greggi.

Quel giovane inglese, che si chiamava Roger Lyndon, di Linden, o Lyndaine, venne ricevuto
in maniera molto cortese da Barry, ed avendo notato che egli era sul punto di fare una
spedizione punitiva nella terra degli O'Mahony, gli offrì il suo aiuto e quello delle sue lancie, e
si comportò così bene, a quanto pare, che gli O'Mahony furono pienamente battuti, tutti i beni
dei Barrys ricuperati, anzi raddoppiati, narra la vecchia cronaca, a spese dei beni e del
bestiame degli O'Mahony.

Siccome si era al principio dell'inverno, il giovane guerriero inglese venne invitato da Barry a
trattenersi nella sua casa di Barryogue, ed egli infatti rimase là per parecchi mesi ed i suoi
uomini si acquartierarono accanto a quelli di Barry, l'uno vicino all'altro, nelle casette
circostanti.

Essi si comportavano, secondo il loro costume, con l'insolenza più insopportabile verso gli
Irlandesi, così che avvenivano continuamente risse ed omicidi, ed il popolo deliberò di
distruggerli.

Il figlio di Barry, da cui io discendo, era avverso agli Inglesi quanto ogni altro uomo nel suo
feudo; e siccome gli Inglesi, quando venne loro comandato di andarsene, si rifiutarono di
obbedire, egli ed i suoi amici si consultarono insieme e decisero di distruggerli fino all'ultimo
uomo.

Ma vi era una donna a parte del complotto, e questa era la figlia di Barry. Costei era
innamorata dell'inglese Lyndon e gli rivelò tutto il segreto. E gli Inglesi impedirono il loro
giusto massacro piombando a tradimento sugli Irlandesi e fecero a pezzi il mio antenato
Phaudrig Barry e molte centinaia dei suoi uomini.

L'odioso macello ebbe luogo al crocevia di Barrycross presso Carrignadihioul.

Lyndon sposò la figlia di Roderick Barry e pretese il feudo che egli lasciò; e benché i
discendenti di Phaudrig fossero vivi, e si continuino nella mia persona (1) nella causa di
fronte ai tribunali inglesi, il feudo venne concesso all'inglese, come è sempre avvenuto in tutti
i processi in cui fossero interessati inglesi ed irlandesi.
Così, se non fosse stato per la debolezza di una donna, sarei fin dalla nascita entrato in
possesso di quei feudi che più tardi dovetti acquistare grazie al mio merito, come avrete
occasione di sentire. Ma andiamo avanti con la storia della mia famiglia.

Mio padre era molto noto nei circoli di questo regno ed in quelli di Irlanda col nome di
Roaring Harry Barry. Si era indirizzato, come molti altri figli cadetti di nobili famiglie, alla
carriera forense, ed aveva fatto il suo tirocinio nello studio di un celebre legale di Sackville
Street, in Dublino. Per il suo ingegno superiore e per il suo amore del sapere non vi è dubbio
che sarebbe divenuto una figura eminente nella sua professione, se le sue qualità sociali,
l'amore per i divertimenti sportivi e la straordinaria grazia del suo tratto, non lo avessero
indirizzato verso un tipo di attività molto superiore.

Sin da quando era segretario dell'avvocato, egli manteneva sette cavalli da corsa e andava a
caccia regolarmente con i cacciatori di Kildare e di Wicklow. Sul suo cavallo grigio,
Endimione, disputò poi quella famosa corsa contro il capitano Punter che è ancora ricordata
dagli amanti di quello sport. Per ricordare quella vittoria fece dipingere uno splendido quadro
che ora è appeso sopra la mensola del mio camino nella sala da pranzo di Castle Lyndon.
Un anno dopo ebbe l'onore di cavalcare lo stesso cavallo Endimione davanti al defunto re
Giorgio Secondo a Newmarket, ricevendone il premio e la benevola attenzione dell'augusto
sovrano.

Benché fosse soltanto il secondo figlio della nostra famiglia, il mio caro padre ereditò
naturalmente il feudo (ora ridotto soltanto alla miserabile rendita di 400 sterline l'anno),
perché suo fratello maggiore, lo zio Cornelius Barry (detto il Cavaliere Guercio per una ferita
che aveva ricevuto in Germania) rimase fedele alla vecchia religione in cui la nostra famiglia
era stata allevata, e non solo prestò servizio militare all'estero onorevolmente, ma combatté
persino contro la Sacra Maestà di Giorgio Secondo nella infelice sommossa della Scozia nel
'45.

Riparleremo più oltre del Cavaliere.

Devo essere grato della conversione di mio padre alla mia cara mamma, Miss Bell Brady,
figlia di Ulysses Brady di Castle Brady, contea di Kerry, Esquire e J. P. (2) Essa era, ai suoi
tempi, la più bella donna di Dublino, e veniva chiamata da tutti "l'Elegante". Vedendola in una
riunione mio padre si innamorò perdutamente di lei; ma ella non voleva sposare un papista o
il segretario di un avvocato: e così per amor suo, essendo ancora in vigore le vecchie buone
leggi, il mio caro padre prese il posto dello zio Cornelius ed entrò in possesso del feudo della
famiglia.
(3) Oltre all'amore per i begli occhi di mia madre, molte persone, e della migliore società,
contribuirono a questo felice mutamento; ed ho spesso udito mia madre raccontare ridendo
la storia dell'abiura di mio padre che venne pronunciata alla taverna con grande solennità,
alla presenza di Sir Dick Ringwood, di Lord Bagwig, del capitano Punter e di due o tre altri
giovani scapestrati della città. Tra uno scherzo e l'altro Harry vinse quella sera trecento
monete d'oro al faraone, e la mattina seguente compì le necessarie formalità per
estromettere il fratello. La sua conversione produsse un certo raffreddamento tra lui e lo zio
Cornelio, che in conseguenza si unì ai ribelli.

Sistemata la difficoltà della religione, Lord Bagwig prestò a mio padre il suo yacht, che allora
stava all'ancora a Pigeon House, e la bella Bell Brady venne indotta a fuggire con lui in
Inghilterra, benché i suoi genitori fossero contrari al matrimonio, ed i suoi spasimanti (glielo
ho inteso dire migliaia di volte) fossero i più numerosi ed i più ricchi di tutto il regno d'Irlanda.
Si sposarono al Savoy, e siccome mio nonno morì presto, Harry Barry, Esquire, poté entrare
in possesso dei beni paterni e sostenere con dignità il nostro illustre nome a Londra. Ferì in
duello il famoso Conte Tiercelin dietro Montague House, fu membro dello "White's" e
frequentatore di tutte le mescite di cioccolata, e mia madre, del pari, fece una vita brillante.

Alfine, dopo il giorno del suo grande trionfo di fronte alla Sua Sacra Maestà in Newmarket, la
fortuna di Harry stava ormai per essere fatta, perché il grazioso monarca aveva promesso di
pensare a lui.

Ma, purtroppo, egli venne chiamato da un altro Monarca, la cui volontà non consente ritardi
né rifiuti, vale a dire dalla Morte, che colse mio padre alle corse di Chester, lasciandomi
orfano e senza aiuto. Pace alle sue ceneri! Egli non fu senza colpa, e dissipò la parte
maggiore delle proprietà della nostra famiglia; ma era valente nel bere un bicchiere e nello
scuotere dadi e nel guidare il suo tiro a sei da uomo alla moda.

Non so se la sua graziosa Maestà fosse molto colpita dall'improvvisa scomparsa di mio
padre, benché mia madre mi abbia detto che egli abbia, in quell'occasione, sparso qualche
regale lacrima. Ma queste non ci aiutarono in nulla; e tutto ciò che fu trovato in casa sua
dalla moglie e dai creditori fu una borsa con novanta ghinee, che mia madre naturalmente
prese insieme con lo stemma di famiglia, il guardaroba di mio padre ed il suo. Dopo aver
caricato tutto su una grande carrozza si diresse ad Holyhead, da dove si imbarcò per
l'Irlanda. Il corpo di mio padre ci accompagnava sul carro funebre più bello e più ornato di
pennacchi che il denaro potesse comprare.

Infatti, benché moglie e marito avessero molto spesso litigato in vita, alla morte di mio padre
la vedova, dotata di nobile animo, dimenticò tutte le divergenze, e gli fece il più grande
funerale che fosse mai stato visto fino a quel giorno, ed eresse un monumento sopra le sue
ossa (monumento che io poi dovetti pagare) con un'iscrizione che lo dichiarava il più saggio,
il più puro ed il più affezionato del mariti.
Per compiere questi tristi doveri verso il suo defunto signore, la vedova spese quasi tutte le
ghinee che aveva, e ne avrebbe spese molte di più se avesse dovuto soddisfare un terzo
delle fatture che le vennero rimesse in occasione di quelle cerimonie. Ma la gente della
nostra vecchia casa di Barryogue, benché non amasse mio padre per il suo cambiamento di
religione, volle essere vicino a lui in quel momento e mancò poco non facesse a pezzi i
custodi del feretro inviati dal signor Plumer di Londra con le compiante spoglie.

Il monumento e la cappella in chiesa erano, però, purtroppo, tutto quanto rimaneva dei miei
vasti possedimenti; perché mio padre aveva venduto fino all'ultima porzione della proprietà
ad un certo Notley, un avvocato. Ricevemmo quindi soltanto un gelido benvenuto nella
nostra casa - che era diventato un luogo miserevole e squallido. (4) Lo splendore del
funerale non mancò di aumentare la reputazione di donna di spirito ed alla moda della
vedova Barry; e quando scrisse a suo fratello Michael Brady, quel degno gentiluomo
immediatamente traversò il paese a cavallo, per gettarsi nelle sue braccia, e per invitarla, in
nome di sua moglie, a Castle Brady.

Mick e Barry avevano litigato, come fanno tutti gli uomini, ed erano corse tra loro parole
molto vivaci durante il periodo in cui Barry faceva la corte a Miss Bell. Ma quando Mick era
venuto a Londra nel '46, si era imbattuto una volta per via con Barry, aveva abitato nella sua
bella casa di Clarges Street, aveva perduto con lui al gioco alcune monete d'oro, ed in sua
compagnia aveva rotto la testa ad un paio di poliziotti. Tutti questi ricordi avevano molto
ravvicinato mia madre e me a quel gentiluomo di buon cuore, che ci ricevette quindi entrambi
a braccia aperte.

Mia madre, agendo forse con saggezza, non volle far subito conoscere ai suoi amici quale
era la sua condizione. Arrivò, in conseguenza, su un'enorme berlina dorata che portava
scolpiti immensi stemmi e venne, quindi, considerata dalla cognata e dal resto della contea
per una persona di notevole ricchezza e di grande distinzione.

Per un certo tempo, come era giusto e conveniente, mia madre dettò legge a Castle Brady.
Dava ordini ai servitori in qua ed in là, ed insegnava loro ciò di cui avevano molto bisogno,
vale a dire un po' di distinzione londinese. E "il Redmond inglese", come io venivo chiamato,
era trattato come un piccolo lord, aveva per sé una cameriera ed un paggio, e l'onesto Mick
pagava loro lo stipendio - cosa che non aveva l'abitudine di fare neppure con i propri
domestici - facendo insomma tutto quanto era in suo potere per dare alla sorella un po' di
conforto in tanta afflizione. La mamma, in cambio, aveva deciso che quando i suoi affari si
fossero sistemati avrebbe dato al suo cortese fratello una buona rendita per il mantenimento
suo e di suo figlio; ed aveva promesso di far portare da Clarges Street i suoi bei mobili per
arredare le stanze alquanto malconce di Castle Brady.

Ma avvenne che quel mascalzone del nostro padron di casa fece sequestrare fino all'ultima
sedia ed all'ultima tavola che per diritto sarebbero dovute toccare alla vedova.
Il feudo di cui ero l'erede era nelle mani di rapaci creditori, ed i soli mezzi di sussistenza
rimasti alla vedova ed all'orfano consistevano nel reddito di un'ipoteca di 50 sterline sulla
proprietà di Lord Bagwig, che aveva contratto col defunto un debito di gioco. E così le liberali
intenzioni di mia madre verso suo fratello non poterono essere poste in atto.

Bisogna confessare, a gran disdoro della signora Brady di Castle Brady, che quando venne a
conoscenza della povertà della cognata, dimenticò tutto il rispetto che fino a quel momento
era stata solita tributarle, cacciò fuori della porta la mia cameriera ed il mio paggio, e disse
alla signora Barry che avrebbe potuto anche seguirli a suo comodo.

La moglie di Mick era di una famiglia di bassa estrazione, ed era d'animo gretto; dopo circa
un paio d'anni (durante i quali aveva risparmiato quasi tutta la sua piccola rendita) mia madre
soddisfece il desiderio della signora Brady: ma in pari tempo, mostrando un risentimento
giusto, benché prudentemente dissimulato, fece voto che non avrebbe mai più ripassato la
porta di Castle Brady, finché fosse viva la padrona di casa.

Sistemò il nuovo alloggio con grande economia e considerevole gusto, e mai, nonostante la
povertà, venne meno la dignità che le era dovuta e che tutto il vicinato le tributava. D'altra
parte, come si poteva rifiutare rispetto ad una gentildonna che aveva vissuto a Londra, aveva
frequentato la società più elegante ed era stata persino (come essa stessa dichiarava
solennemente) presentata a Corte?

Questa situazione le dava il diritto - che sembra essere largamente esercitato in Irlanda da
quei locali che lo posseggono - di guardare dall'alto in basso con disprezzo tutte le persone
che non hanno avuto occasione di lasciare l'isola nativa e di vivere per qualche tempo in
Inghilterra.

Così, quando la signora Brady usciva con un vestito nuovo, la cognata era solita dire:

- Povera creatura! come si può pensare che si intenda di moda?

E benché si compiacesse di essere chiamata "la bella vedova", e tale era infatti, la signora
Barry era ancora più soddisfatta quando la chiamavano la vedova Inglese.

La signora Brady, da parte sua, non mancava di argomenti per risponderle: era solita ripetere
che il defunto Barry era un fallito e un pezzente, e che tutto il mondo elegante che vedeva, lo
incontrava al tavolo di giuoco di Lord Bagwig, quel celebre fanfarone e pendaglio da forca.

Quanto a mia madre, la signora di Castle Brady faceva insinuazioni ancora più pungenti. Ma
perché dovremmo ora parlare di queste accuse o rivangare scandali segreti vecchi ormai di
cento anni?
Regnava Giorgio Secondo quando questi personaggi vivevano e litigavano; buoni o cattivi,
belli o brutti, ricchi o poveri, essi sono ora tutti eguali; ed i giornali della domenica ed i
tribunali non ci forniscono forse ogni settimana più freschi romanzi e pettegolezzi più
interessanti?

Ad ogni modo si può affermare che la mamma, dopo la morte di suo marito ed il suo ritiro in
campagna, visse in modo tale da sfidare ogni calunnia. Se mia madre era stata la ragazza
più allegra del paese, con metà dei giovanotti ai suoi piedi, prodiga ad ognuno di essi di
sorrisi e d'incoraggiamenti, da vedova adottò invece un contegno così dignitosamente
riservato da rasentare l'alterigia, e divenne rigida come una quacquera. Più di un uomo che
era stato colpito dal fascino della fanciulla, ripeté le sue offerte alla vedova; ma la signora
Barry rifiutò ogni proposta di matrimonio, dichiarando di voler vivere soltanto per suo figlio e
per la santa memoria del suo defunto marito.

- Santo davvero! - ripeteva di cattivo umore mia zia Brady.

- Harry Barry era il più gran peccatore che si sia mai visto; e tutti sanno che lui e Bell si
odiavano. Se lei non si vuol risposare dipende dal fatto che quella furbacchiona ha qualche
altra cosa in mente, ed aspetta soltanto che Lord Bagwig resti vedovo.

Ma se anche fosse stato vero, che c'era di male? Non era la vedova di un Barry degna di
sposare qualsiasi lord d'Inghilterra? E non si è sempre detto che sarebbe stata una donna a
restaurare le declinanti sorti della famiglia Barry? Se mia madre sperava di essere lei quella
donna, credo che fosse un'idea perfettamente giustificabile da parte sua, perché il lord (mio
padrino) aveva sempre per lei una grande attenzione; e del resto non ho mai saputo che il
desiderio della mamma di migliorare la mia posizione nel mondo avesse preso tanto
profonde radici nel suo animo, fino al matrimonio di Sua Signoria nel '57 con miss Goldmore,
la figlia del ricco nababbo indiano.

Nel frattempo abitavamo sempre a Barryville e, tenendo conto della scarsità della nostra
rendita, ci tenevamo su bene.

Della mezza dozzina di famiglie che formavano la congregazione di Brady's Town, non c'era
nessuno che avesse un'aria tanto rispettabile quanto la mamma, la quale, benché sempre
vestita a lutto in memoria del suo defunto marito, badava che i suoi abiti fossero fatti in modo
da dare alla sua bella persona il maggior risalto possibile. Ritengo che passasse almeno sei
ore di ogni giorno della settimana a tagliarli, guarnirli e modificarli perché fossero sempre alla
moda. Aveva la crinolina più ampia e il più elegante falpalà, ed una volta al mese, in una
busta con la intestazione di Lord Bagwig, veniva una lettera da Londra che conteneva i
resoconti più recenti della moda di laggiù. La sua carnagione era così brillante che non
aveva bisogno di rossetto, com'era di moda a quei tempi. No, ella diceva che lasciava
rossetto e bianchetto a Madame Brady (e da questo il lettore può immaginare quanto le due
donne si amassero), la cui carnagione giallastra nessuno smalto poteva modificare.
In una parola era una bellezza così indiscussa, che tutte le donne del paese la prendevano a
modello, ed i giovanotti, da dieci miglia all'intorno, venivano apposta a cavallo alla chiesa di
Castle Brady per poterle dare un'occhiata.

Ma se, come ogni altra donna che ho visto o di cui ho inteso parlare, era orgogliosa della sua
bellezza, per renderle giustizia è necessario dire che era ancora più orgogliosa di suo figlio:
mi ripeteva mille volte che ero il più bel ragazzo del mondo.

Questione di gusti. Un uomo di sessant'anni può ormai parlare senza troppa vanità del
tempo in cui ne aveva quattordici, e devo riconoscere che c'erano buoni motivi per
giustificare l'opinione di mia madre.

La maggiore soddisfazione di quella brava donna era che fossi ben vestito; la domenica ed i
giorni di festa andavo in giro con giacca di velluto e con la spada dall'elsa d'argento al fianco,
la giarrettiera d'oro al ginocchio, bella come quella di qualsiasi lord del paese. Mia madre mi
faceva i più splendidi panciotti, ed avevo molti merletti ai polsini, un nastro nuovo sui capelli,
e quando andavamo in chiesa la domenica, persino l'invidiosa signora Brady era costretta ad
ammettere che non vi era una coppia più elegante in tutto il regno.

Ma la signora di Castle Brady aveva motivo di sogghignare, poiché in queste occasioni un


certo Tim, che avevamo l'abitudine di chiamare il mio valletto, seguiva in chiesa me e mia
madre, portando un grosso libro di preghiere ed un bastone: era vestito con la livrea di uno
dei nostri paggi di Clarges Street, che non gli tornava a pennello, poiché Tim era un ragazzo
piccolo e con le gambe storte. Ma benché poveri eravamo sempre nobili, e non era il caso di
prenderci in giro per questi accessori dovuti al nostro rango. Così ci avanzavamo nella
navata centrale della chiesa fino al nostro inginocchiatoio con gran solennità e gravità, come
avrebbero potuto fare la moglie ed il figlio del Lord Luogotenente.

Là giunti, mia madre pronunciava le risposte e gli amen con una voce alta e dignitosa che
era una delizia a sentirla. Aveva anche una bella voce adatta per il canto, in cui si era
perfezionata a Londra sotto un maestro alla moda; ed esercitava questo suo talento in modo
tale che nella piccola congregazione non vi era quasi alcun'altra voce che osasse unirsi alla
sua nel canto dei salmi. In realtà mia madre aveva grandi doni in ogni campo, e ritengo che
fosse una delle persone più belle, educate e ricche di virtù di questo mondo. Molto spesso
me ne aveva parlato, ed i vicini che notavano la sua umiltà e la sua pietà, ne ricevevano una
tale impressione che avrei sfidato l'uomo più diffidente a non aver fiducia in lei.

Quando lasciammo Castle Brady andammo ad occupare una casa in Brady's Town che la
mamma battezzò Barryville. Confesso che era un appartamento molto piccolo, ma noi ne
tirammo tutto il profitto possibile. Ho ricordato già l'albero genealogico della famiglia che era
appeso nel salotto, che la mamma chiamava "il salone giallo", mentre la mia camera da letto
era chiamata "la camera rosa" e la stanza di mamma l'"appartamento arancione" (come
ricordo bene tutto!). Al momento del pranzo Tim suonava regolarmente una grande
campana, ed avevamo per bere una coppa d'argento per uno, e mia madre affermava, non a
torto, che avevo al mio posto una bottiglia di chiaretto degna di qualsiasi altro signore della
regione.

Infatti era così, sebbene, data la mia tenera età, non mi fosse permesso bere quel vino, che
così raggiunse nella caraffa una considerevole età.

Lo zio Brady, nonostante le dispute di famiglia, si accorse di questo fatto un giorno in cui
venne per sua disgrazia a Barryville all'ora di pranzo e gustò di quel nettare.

Bisognava vedere come sputava e le smorfie che fece! Ma quell'onesto gentiluomo non era
troppo schizzinoso in materia di vino, né della compagnia in cui lo beveva. Si sarebbe
ubriacato infatti con la stessa indifferenza col pastore o col prete cattolico; nei riguardi di
quest'ultimo, ciò suscitava l'indignazione di mia madre, la quale, essendo di famiglia
protestante fanatica, disprezzava con tutte le sue forze quelli dell'antica fede, e a mala pena
si sarebbe trattenuta in una stanza in cui fosse stato presente un retrogrado papista. Ma il
cavaliere non aveva tanti scrupoli; era infatti uno degli individui più simpatici, semplici e di
buon carattere che mai siano vissuti, e passava volentieri qualche ora con la solitaria vedova
quando era stanco di Madame Brady a casa. Gli piacevo, diceva, molto più di qualcuno dei
suoi figli, ed alla fine, dopo un paio d'anni, acconsentì a farmi rientrare al castello. Quanto a
mia madre, però, mantenne risolutamente il giuramento che aveva fatto nei riguardi della
cognata.

Proprio il giorno in cui tornai a Castle Brady si può dire, in certo senso, che cominciassero i
miei guai. Mio cugino, Master Mick, un grosso mostro di diciannove anni (mi odiava e, ve lo
posso garantire lo ricambiavo con tutto il cuore), mi insultò a pranzo rinfacciandomi la
povertà di mia madre, e fece ridere alle mie spalle tutte le ragazze della famiglia.

Così quando andammo alle stalle, dove Mick andava sempre a fumare la sua pipa di
tabacco dopo pranzo, gli dissi tutto quello che pensavo di lui, e ne seguì una lotta che durò
almeno dieci minuti durante i quali mi comportai da uomo e gli pestai l'occhio sinistro benché
in quel tempo avessi soltanto dodici anni.

Naturalmente egli mi batté, ma una sconfitta fa poca impressione a un ragazzo in quella


giovane età, come io avevo provato già molte volte nelle mie battaglie con i monellacci di
Brady's Town, nessuno dei quali, durante quel periodo della mia vita, era in grado di starmi a
pari.
Mio zio fu molto soddisfatto quando seppe della mia prodezza; mia cugina Nora portò carta e
aceto per curarmi il naso, e quella sera andai a casa con una pinta di chiaretto in corpo, non
poco orgoglioso lasciatemelo dire, di avere tenuto duro per tanto tempo contro Mick.

E benché continuasse a trattarmi male, e fosse solito pigliarmi a legnate ogni volta che gli
capitavo tra i piedi, ero molto contento di stare a Castle Brady e della compagnia che trovavo
laggiù, dei miei cugini, almeno di alcuni, e della gentilezza di mio zio, giacché diventavo
sempre più il suo favorito.

Egli mi comprò un puledro e mi insegnò a cavalcare. Mi portava con sé a cacciare le lepri e


gli uccelli e mi insegnò a tirare a volo.

E alla fine fui liberato anche dalla persecuzione di Mick, poiché suo fratello, Master Ulik,
ritornò dal Trinity College, e siccome odiava il fratello maggiore (cosa che avviene di solito
nelle famiglie del bel mondo) mi prese sotto la sua protezione. Da quel momento, poiché
Ulick era più grosso e più forte di Mick, io (il Redmond inglese come ero chiamato) venni
lasciato stare, salvo le volte in cui veniva ad Ulick la voglia di frustarmi, cosa che faceva ogni
volta che lo riteneva conveniente.

La mia educazione, del resto, non venne trascurata neppure nelle parti più superflue, e
poiché avevo una non comune disposizione naturale per molte cose, presto superai in
finezza la maggior parte delle persone che mi stavano intorno.

Avevo orecchio ed una bella voce, che mia madre coltivava con cura; mi insegnò anche a
ballare il minuetto con grazia e gravità, gettando così le fondamenta del mio futuro successo
nella vita.

Imparai anche i balli volgari, per quanto forse non dovrei confessarlo, nella stanza dei
domestici, dove, potete esserne sicuri, non mancava mai una cornamusa: ed io venivo
considerato senza rivali sia nella danza rustica che nella giga.

Per quanto riguarda la cultura libresca, ebbi sempre un gusto non comune per leggere
commedie e romanzi, che sono la parte fondamentale della educazione di un perfetto
gentiluomo, e mai lasciavo passare dal villaggio un venditore ambulante, senza comprare, se
avevo un penny, almeno un paio di ballate. Per quanto riguarda invece la stupida
grammatica, il greco, il latino e simili pedanterie, le ho sempre odiate fin dalla prima
giovinezza, e dichiarai subito francamente, che non le avrei imparate.
Questa mia intenzione la mostrai in maniera abbastanza decisa all'età di tredici anni, quando
capitò a mia madre un'eredità di 100 sterline da parte di mia zia Biddy Brady. Ella pensò di
impiegare questa somma per la mia educazione e mi mandò nella famosa accademia del
Dottor Tobias Tickler a Ballywhacket, o Backwhacket, come aveva l'abitudine di dire mio zio.
Ma sei settimane dopo essere stato consegnato a Sua Reverenza, tornai d'improvviso a
Castle Brady; feci quaranta miglia a piedi per fuggire da quel luogo odioso, e lasciai il dottore
in uno stato simile all'apoplessia.

Il fatto è che alle piastrelle, a ladri e guardie, ed al pugilato ero il primo della scuola, mentre
non riuscivo affatto ad eccellere nello studio dei classici; e dopo essere stato fustigato sette
volte, senza che questo facesse fare il minimo progresso al mio latino, mi rifiutai di
sottomettermi di nuovo, trovando la cosa perfettamente inutile, ad un'ottava applicazione
della frusta.

- Cercate qualche altro sistema, signore - dissi al maestro quando stava per scudisciarmi
un'altra volta; ma egli non volle, e allora per difendermi gli tirai in testa la lavagna e colpii il
bidello scozzese con un calamaio di piombo. A questo gesto tutti i ragazzi si misero a strillare
di gioia, mentre alcuni dei servi tentavano di fermarmi; ma tirando fuori il grosso coltello a
serramanico che mia cugina Nora mi aveva regalato, gridai che lo avrei piantato nel
panciotto del primo che avesse osato toccarmi, e vi garantisco che mi lasciarono passare.

Quella notte dormii a venti miglia da Ballywhacket, nella casa di un contadino, che mi diede
patate e latte, ed al quale più tardi regalai cento ghinee, quando tornai a visitare l'Irlanda nei
giorni della mia grandezza.

Come vorrei avere ora quel denaro! Ma a che scopo aver rimpianti ?

Mi è capitato di dormire su letti più duri di quello su cui dormii quella notte, ed ho avuto cibo
più scarso di quello che mi diede l'onesto Phil Murphy, la sera in cui scappai da scuola. Così
tutta la mia carriera scolastica era durata soltanto sei settimane. E dico questo per far
conoscere ai genitori il valore che ha lo studio.

Infatti ho incontrato nel mondo molti dotti topi di biblioteca, specialmente un illustre vecchio
dottore con gli occhi cisposi, di nome Johnson (5), che viveva in un cortile presso Fleet
Street, a Londra; ebbene, l'ho ridotto al silenzio come sto per dirvi, al caffè Button, ed in
questo e nella poesia, ed in quella che chiamo filosofia naturale, o scienza della vita, e
nell'equitazione, nella musica, nel salto nel fioretto, nella conoscenza dei cavalli o nelle
scommesse sui galli, nel modo di fare di un perfetto gentiluomo e di un uomo di mondo
posso dire che, per quanto mi riguarda, Redmond Barry ha di rado trovato un eguale.
- Signore - dissi al signor Johnson nell'occasione cui alludevo (era accompagnato da un
certo signor Boswell di Scozia, ed io ero stato presentato al circolo da un certo signor
Goldsmith, mio concittadino). - Signore - gli dissi, rispondendo ad un'altisonante citazione in
greco del grande maestro - voi credete di saperne molto più di me perché citate il vostro
Aristotele e il vostro Plutone, ma sapete dirmi quale cavallo vincerà ad Epsom Downs la
settimana prossima? Sapete correre per sei miglia senza ripigliar fiato? Sapete colpire con la
pistola dieci volte l'asso di picche senza sbagliarlo mai? Se è così, parlatemi pure del vostro
Aristotele e del vostro Plutone.

- Ma non sapete con chi state parlando? - gridò a questo punto il gentiluomo scozzese, il
signor Boswell.

- Tacete, signor Boswell - disse il vecchio maestro di scuola non ho il diritto di seccare col
mio greco questo galantuomo, ed egli mi ha risposto molto bene.

- Dottore - risposi io scherzando - conoscete una parola che faccia rima con Aristotele?

- Porto, se volete - osservò ridendo il signor Goldsmith. E ordinammo se rime in Aristotele (6)
prima di lasciare il caffè quella sera.

Quando poi raccontai la storia questo divenne uno scherzo consueto, ed allo White ed
all'Albero di Cocco, quei burloni erano soliti dire:

- Cameriere, porta una rima in Aristotele del capitano Barry.

Una volta, mentre stavo sorbendo un bicchierino nell'ultimo dei due posti indicati, il giovane
Dick Sheridan mi chiamò "un grande stagirita", scherzo che non fui in grado di
comprendere... Ma sto divagando dalla mia storia, e debbo in conseguenza tornare a casa,
alla cara vecchia Irlanda.

Avevo fatto conoscenza, fin da allora, con la gente più ragguardevole della regione, ed i miei
modi, come ho detto, erano tali da poter stare alla pari con tutti loro. Forse vi meraviglierete
che un ragazzo di campagna, quale io ero, educato tra piccoli proprietari irlandesi, ed i loro
dipendenti di stalla e di fattoria, potesse arrivare a possedere quel modo di fare così
elegante che senza discussione mi viene da tutti riconosciuto. Ma il fatto è che ebbi un
valente istruttore nella persona di un vecchio guardacaccia, che aveva fatto il servizio
militare col re di Francia a Fontenoy, e che mi insegnò il ballo e le belle maniere, nonché
un'infarinatura della lingua di quel paese, insieme con l'uso della spada, sia piccola che
grande. Molte e molte volte ho camminato, da ragazzo, per un lungo miglio al suo fianco,
mentre egli mi narrava le meravigliose storie del re di Francia, della brigata irlandese, del
maresciallo di Sassonia e dei ballerini dell'Opera.
Egli aveva anche conosciuto mio zio, il cavaliere Guercio, e sapeva mille raffinatezze, che mi
insegnava in segreto. Non ho mai conosciuto un uomo che potesse stargli a pari nel gioco
dei dadi, nel curare un cavallo, nel guidarlo e nel saperlo scegliere. Mi insegnava gli sport
virili, a cominciare dalla caccia dei nidi, così che considererò sempre Phil Purcell come il
miglior istitutore che abbia mai avuto. Il suo unico difetto era quello di bere, ma su questo ho
sempre chiuso un occhio; odiava anche mio cugino Mick come il veleno, ma anche su
questo punto mi era facile scusarlo.

Sotto la guida di Phil, all'età di quindici anni ero un uomo molto meglio educato dei miei
cugini, e credo che la Natura fosse stata anche più benigna verso la mia persona. Alcune
delle ragazze di Castle Brady, come presto vi racconterò, mi adoravano. Alle fiere ed alle
corse molte delle ragazze più carine presenti dicevano che mi avrebbero voluto avere come
cavaliere. Eppure, bisogna che lo confessi, non ero molto popolare.

In primo luogo tutti sapevano che ero povero in canna; e credo che forse un po' di colpa
l'avesse, in questo, la mia buona madre che mi aveva fatto troppo orgoglioso. Avevo
l'abitudine di vantare, coi miei compagni, la mia nascita e la magnificenza delle mie carrozze,
dei miei giardini, delle mie cantine, dei miei domestici, e questo davanti a gente che
conosceva perfettamente la mia effettiva situazione. Se c'erano dei ragazzi, che osavano
pigliarmi in giro, dovevo picchiarli, a rischio di morire; e più di una volta sono ritornato a casa
quasi ammazzato da qualcuno, o da parecchi, di loro; e quando mia madre mi domandava
cosa era capitato rispondevo che era stata una "questione di famiglia".

- Difendi il tuo nome anche col sangue, Reddy, ragazzo mio - mi diceva quella santa donna,
con le lacrime agli occhi, ed essa avrebbe fatto lo stesso, con la voce; ed anche, sì, con le
unghie e coi denti.

Così quando avevo quindici anni, non c'era più un ragazzo, si può dire, al di sotto dei
vent'anni in un raggio di mezza dozzina di miglia, che non avessi picchiato per una ragione o
per un'altra.

C'erano i due figli del vicario di Castle Brady (in realtà io non potevo associarmi con dei
ragazzacci pezzenti come loro, ed avemmo più di una battaglia per sapere chi si doveva
scansare dal muro quando ci incontravamo in Brady's Town), c'era Pat Lurgan, il figlio del
fabbro, che me le sonò quattro volte, prima che venissimo ad una battaglia campale, in cui
ebbi finalmente il sopravvento; e potrei ricordare una ventina di prodezze da me fatte, se
questi ricordi di pugilato non fossero argomenti troppo futili per parlarne davanti a
gentiluomini e dame bennate.
Ma c'è un altro argomento, mie gentili lettrici, di cui devo parlare, e che non è fuori posto. Vi
piace, infatti, udirne discorrere giorno e notte; poiché, giovani e vecchie, sognate e pensate
soltanto a questo. Belle o brutte (ed in fede mia, non ho mai visto altro che donne belle fino
ai cinquant'anni!) è il soggetto più vicino al cuore di tutte voi; e credo che avrete già
indovinato l'enigma senza troppa fatica. Amore! certo questa parola è formata apposta con le
più dolci e morbide vocali e consonanti della nostra lingua, e chi non desidera sentirne
parlare, almeno a mio parere non vale un fico secco.

La famiglia di mio zio era formata di dieci figli che, secondo l'abitudine delle famiglie molto
numerose, erano divisi in due campi avversi, in due partiti: l'uno stava dalla parte della
mamma, mentre l'altro fiancheggiava mio zio in tutte le numerose liti che sorgevano tra il
degno gentiluomo e la sua consorte. La fazione della signora Brady era capeggiata da Mick,
il maggiore, che mi odiava, e non amava neppure suo padre, che lo teneva lontano dalla
proprietà.

Invece Ulick, il secondo fratello, era una creatura di suo padre ed in conseguenza Mick
aveva una folle paura di lui. Non è necessario che ricordi i nomi di tutte le ragazze; se più
tardi ho avuto abbastanza guai con loro nella vita lo sa il Cielo; ed una di loro fu anzi la
causa di tutte le mie prime sventure: ella era (benché certo tutte le sue sorelle si rifiutassero
di riconoscerlo) la bellezza della famiglia, e si chiamava Miss Honoria Brady.

A quel tempo, diceva di avere diciannove anni; ma siccome sapevo leggere il frontespizio
della Bibbia di famiglia come qualsiasi altro (era uno dei tre libri che insieme con il tavoliere
del tric-trac costituivano la biblioteca di mio zio), sapevo che era nata nel '37, e che era stata
battezzata dal Dottor Swift, decano della chiesa di San Patrizio a Dublino (7); per
conseguenza aveva ventitré anni nel tempo in cui lei ed io stavamo tanto insieme.

Quando ripenso a lei ora, capisco che non deve mai essere stata veramente bella, perché la
sua corporatura era piuttosto tendente al grasso, e la sua bocca era molto larga; il viso era
lentigginoso come un uovo di pernice ed i capelli avevano il colore di una certa verdura che
si mangia insieme col manzo bollito, a voler usare il termine più benevolo. Più di una volta la
mia cara madre mi aveva fatto fare queste osservazioni a proposito della ragazza, ma allora
non ci credevo, anzi ero portato a considerare Honoria come un essere angelico, molto al di
sopra di tutti gli angeli del suo sesso.

D'altra parte sappiamo benissimo che una signora esperta nella danza o nel canto non può
raggiungere la perfezione senza un lungo studio, e che la canzone o il minuetto che essa
esegue con tanta facile grazia davanti al pubblico, non è stata da lei imparato senza molta
fatica e perseveranza in privato; lo stesso avviene con quelle care creature che sono esperte
nell'arte della civetteria.
Honoria, per esempio, stava sempre in allenamento, ed a questo scopo aveva preso me,
povero diavolo, come soggetto per il suo perfezionamento, così come faceva, del resto, con
l'ispettore del dazio quando veniva per il suo giro, col cameriere, o col povero curato o col
ragazzo del giovane farmacista di Brady s Town, che mi ricordo di avere picchiato una volta
proprio per questa ragione.

Se è ancora vivo, gliene faccio le mie scuse. Povero diavolo! Non era certo colpa sua se era
caduto vittima delle male arti di una delle più grandi civette del mondo, considerando
naturalmente la sua oscura vita e rustica educazione.

A voler dire la verità - ed ogni parola di questo racconto della mia vita è improntata alla più
sincera verità - la mia passione per Nora, od Honoria che sia, cominciò in un modo molto
volgare e poco romantico. Non le ho salvato la vita; anzi, una volta l'avevo quasi ammazzata,
come sentirete. Non l'avevo rimirata al chiaro di luna, sonando la chitarra, né l'avevo liberata
da una banda di briganti, come nel romanzo avviene ad Alfonso con la bella Lindamira; ma
una volta dopo pranzo, d'estate a Brady's Town, me ne andai in giardino a cogliere ribes, per
mangiarli come frutta, e ve lo giuro sul mio onore, pensavo soltanto ai ribes, quando mi
imbattei in Miss Nora ed in Mysie, una delle sue sorelle, con la quale in quel momento
andava d'accordo, ed erano entrambe occupate allo stesso divertimento.

- Come si dice ribes in latino, Redmond? - mi dice lei.

Mi stuzzicava sempre.

- Io so come si dice in latino oca! - rispondo io. (8) - E come si dice? - insiste Miss Mysie,
insolente come un pappagallo.

- Accidenti a te - rispondo io, perché non avevo mai abbastanza spirito; e così ci mettemmo a
lavorare sull'arbusto del ribes, ridendo e scherzando, felici quanto è possibile esserlo.

Mentre passavamo così piacevolmente il tempo, Nora fece in modo di graffiarsi il braccio,
che cominciò a sanguinare; allora si mise a piangere mostrando quel braccio rotondo e
bianco. Io lo fasciai e credo che mi permettesse di baciarle la mano; e benché fosse la mano
più grassa e mal fatta che si potesse vedere, considerai quel favore come il più incantevole
che mi fosse mai stato concesso, e tornai a casa in estasi.
Ero un ragazzo troppo ingenuo per nascondere i sentimenti che potevo provare, a quel
tempo; così che nessuna delle otto ragazze di Castle Brady poté fare a meno di accorgersi
presto della mia passione, e tutte scherzavano e si rallegravano con Nora per il suo
cavaliere.

I tormenti della gelosia che quella crudele civetta mi fece sopportare furono orribili. Qualche
volta mi trattava da bambino, qualche altra da uomo.

Mi piantava sempre in asso se capitava qualche estraneo in casa.

- Dopo tutto - mi diceva - tu, Redmond, hai soltanto quindici anni, e non hai una ghinea al
mondo.

Allora le giuravo che sarei divenuto il più grande eroe che si fosse mai conosciuto fuori
dell'Irlanda, e facevo la scommessa che prima di aver raggiunto i vent'anni avrei avuto
abbastanza denaro per comprare un feudo sei volte più grande di Castle Brady.

Naturalmente non ho mantenuto nessuna di queste sciocche promesse; ma non vi è dubbio


che esse ebbero molta influenza sui primi anni della mia vita, e mi indussero a fare quelle
grandi azioni per cui sono divenuto celebre, e che verranno ora ordinatamente narrate.

Voglio narrare però almeno un episodio, così che i lettori possano conoscere che razza di
tipo era Redmond Barry, e quale coraggio ed indomita passione avesse in corpo. Non so se
nessuno dei giovani all'acqua di rose del giorno d'oggi avrebbe osato fare la metà di ciò che
feci io di fronte al pericolo.

Occorre premettere che in quel tempo il Regno Unito era in stato di grande eccitazione per la
minaccia, che generalmente trovava credito, di una invasione francese. Si diceva che il
Pretendente fosse in grande auge a Versailles, che fosse stato meditato uno sbarco in
Irlanda, ed i nobili e la gente del popolo che era in grado di farlo in tutte le parti del regno
mostravano la loro fedeltà arruolando reggimenti di cavalieri e di fanti per resistere
all'invasione. Brady's Town mandò una compagnia ad unirsi al reggimento di Kilwangan, in
cui era capitano Master Mick, e ricevemmo una lettera di Master Ulick dal Trinity College,
che raccontava come anche l'Università avesse formato un reggimento, in cui egli aveva
l'onore di essere caporale.
Come li invidiavo entrambi! specialmente quell'odioso Mick, quando lo vedevo marciare alla
testa dei suoi uomini nella sua giubba scarlatta ricamata, con un nastro al cappello! Lui,
quella povera creatura priva di intelligenza, era capitano, ed io, niente! Io che sentivo di
avere tanto coraggio quanto il Duca di Cumberland in persona, e che sapevo, per di più, che
una giubba scarlatta mi sarebbe stata tanto bene!

Mia madre disse che ero troppo giovane per arruolarmi nel nuovo reggimento, ma il fatto era,
in realtà, che lei era troppo povera, ed il costo di una uniforme nuova avrebbe ingoiato
almeno la metà della sua rendita di un anno, mentre ella avrebbe voluto che suo figlio
facesse una figura degna della sua nascita, cavalcasse il migliore dei destrieri, fosse vestito
degli abiti migliori, e frequentasse le compagnie più eleganti.

Così dunque, mentre tutto il paese risuonava di rumori di guerra, i tre regni rimbombavano di
musiche militari, ed ogni uomo di merito si recava a rendere omaggio alla corte di Bellona, io,
perché povero, ero costretto a restarmene a casa, in giacchetta di fustagno, a sospirare in
segreto la gloria.

Mick intanto faceva la spola tra la casa e il reggimento, e portava con sé molti suoi
compagni. Le loro uniformi e le loro arie spavalde mi riempivano di cruccio, mentre le
immancabili attenzioni che Miss Nora tributava loro, mi facevano diventare quasi pazzo.
Nessuno però pensava ad attribuire la mia tristezza alla mia gelosia verso la fanciulla, ma
piuttosto alla mia delusione di non aver avuto il permesso di seguire la professione delle
armi.

Una volta gli ufficiali della guardia nazionale diedero un grande ballo a Kilwangan, a cui,
naturalmente vennero invitate tutte le signore di Castle Brady, che formavano il carico
completo (e passabilmente brutto) di un'intera carrozza. Siccome sapevo a quali torture la
mia passione per Nora mi avrebbe sottoposto a causa della sua perpetua civetteria con gli
ufficiali, dichiarai per un pezzo che non sarei andato al ballo con la comitiva. Ma ella aveva
un modo di conquistarmi, contro cui ogni mia resistenza era vana. Proclamò solennemente
che andare chiusa in carrozza le faceva sempre male.

- E come posso andare al ballo - mi disse - se tu non mi porti su Daisy dietro a te sulla sella?

Daisy era una buona cavalla puro sangue di mio zio, ed a tale proposta non potei
assolutamente dire di no; così andammo insieme a cavallo fino a Kilwangan, e mi sentivo
orgoglioso come un principe, poiché essa mi aveva promesso di ballare con me una
controdanza.

Ma quando il ballo fu finito, quella piccola e ingrata civettuola mi dichiarò di aver


completamente dimenticato il suo impegno; ed infatti aveva ballato tutto quel giro con un
inglese! Ho sopportato molti tormenti nella mia vita, ma nessuno pari a quello. Cercò di farsi
perdonare la sua trascuratezza, ma non potevo farlo.
Alcune delle ragazze più carine si offrirono di consolarmi, perché ero il miglior ballerino della
sala. Tentai ancora con lei, ma senza risultato.

Ero troppo sconvolto per continuare, e così restai solo, tutta la serata, in preda al più vivo
spasimo. Avrei voluto giocare, ma non avevo denaro, tranne la moneta d'oro che mia madre
mi faceva sempre portare nella borsa - senza spenderla - come deve fare un gentiluomo.
Non avevo voglia di bere, e in quel tempo non conoscevo ancora l'amaro conforto che si
prova con questo, ma pensavo di uccidermi, di uccidere Nora, ed anche più sicuramente di
fare altrettanto col capitano Quin!

Finalmente al mattino il ballo terminò. La maggior parte delle signore se ne andò nella
vecchia carrozza traballante e scricchiolante. Daisy venne portata fuori e Miss Nora prese
posto dietro di me cosa che le lasciai fare senza dire parola.

Ma non avevamo fatto nemmeno mezzo miglio fuori della città che ella cominciò a farmi
smorfie e complimenti per farmi passare il cattivo umore.

- Certo è una nottata fredda, caro Redmond, e ti prenderai un raffreddore senza fazzoletto al
collo.

A questa gentile osservazione fatta dalla sella posteriore, la sella anteriore non diede alcuna
risposta.

- Hai passato una piacevole serata con Miss Clancy, Redmond? Ho visto che siete stati
sempre insieme, per tutta la notte.

A questa frase la sella anteriore rispose soltanto con un grugnito tra i denti; e dando una
sferzata a Daisy.

- Oh, santo Cielo! Fai sobbalzar Daisy e mi fai andare in terra:

sei troppo distratto: e tu sai, Redmond, che sono tanto timida!

La sella posteriore aveva passato il braccio attorno alla vita della sella anteriore, e questo le
diede forse il brivido più piacevole del mondo.
- Non posso soffrire Miss Clancy, lo sai! - risponde la sella anteriore - ed ho ballato con lei
soltanto... soltanto perché...

perché la persona con cui volevo ballare è stata impegnata tutta la notte.

- Però c'erano le mie sorelle - rispondeva la sella posteriore ridendo ora per l'orgoglio della
sua conscia superiorità - ed in quanto a me, mio caro, non sono stata cinque minuti in sala
senza venir subito impegnata per un ballo.

- Ma eri proprio obbligata a ballare cinque volte col capitano Quin? - dissi io. Oh strano,
delizioso fascino della civetteria, credo che Miss Nora Brady, all'età di ventitré anni, sentisse
un fremito di piacere nel pensare di avere tanto potere su un povero ragazzo innocente di
quindici anni!

Naturalmente rispose che non le importava nulla del capitano Quin:

ma che egli certo ballava bene, e che era un bel pezzo d'uomo, e che stava molto bene nella
divisa del reggimento: e se egli le chiedeva di ballare, come poteva rifiutarlo?

- Ma hai rifiutato me, Nota.

- Oh! posso ballare con te tutti i giorni - rispose Miss Nora, scuotendo il capo; - e ballare col
proprio cugino ad un ballo pubblico, sembra che si faccia perché non si è trovato un
cavaliere. Per di più, - continuò Nora, e fu questa una crudele e dura ferita, che mostrava
quale potere ella aveva sopra di me e con quanta spietatezza ne usava - oltre a questo,
Redmond, il capitano Quin è un uomo, e tu soltanto un ragazzo!

- Se mai lo incontrerò ancora - gridai con una bestemmia vedrete chi è il migliore di noi due.
Lo sfiderò alla spada ed alla pistola, per capitano che sia. Un uomo davvero! Sfiderò ogni
uomo - tutti gli uomini! Non ho picchiato Mick Brady quando avevo soltanto undici anni? Non
ho battuto Tom Sullivan, quel gran bestione grosso come un toro, che ne ha diciannove? Oh,
Nora, è crudele da parte tua prendermi in giro così!

Ma Nora, quella volta, aveva voglia di ridere, e continuò i suoi sarcasmi.

Dichiarò che il capitano Quin era già noto come valoroso soldato, che era famoso come
uomo di mondo a Londra, e che poteva essere facile da parte di un Redmond parlare,
vantarsi e battere bidelli e ragazzi di contadini, ma sfidare un capitano inglese era una cosa
molto diversa.
Poi venne a parlare dell'invasione e di questioni militari in generale: del re Federico, che era
chiamato in quel tempo l'eroe protestante, di Monsieur Thurot e della sua flotta, di Monsieur
Conflans e della sua squadra di Minorca, di come era stata attaccata e di dove stava ora; ci
trovammo d'accordo sul fatto che doveva essere in America, e sperammo che i Francesi
potessero essere sonoramente battuti laggiù.

Mi misi un po' a sospirare, perché cominciavo a calmarmi, e dissi che avrei desiderato molto
diventare soldato. A questo punto Nora ricorse al suo infallibile:

- Ah, vorresti lasciarmi allora? Ma certo non sei abbastanza grande neppure per fare il
tamburino!

A queste parole risposi giurando che sarei diventato soldato, anzi generale.

Mentre chiacchieravamo in questa sciocca maniera arrivammo ad un punto che da allora in


poi venne conosciuto come Redmond's Leap Bridge (Ponte del Salto di Redmond). Era un
vecchio ponte, alto, sopra un torrente profondo e con le rive rocciose, e mentre la cavalla
Daisy col suo doppio carico stava traversando il ponte, Miss Nora, dando via alla sua
immaginazione, e ritornando di nuovo all'argomento militare (scommetto che stava pensando
di nuovo al capitano Quin), Miss Nora disse:

- Figuriamo ora, Redmond, che tu, da quell'eroe che sei, dovessi passare sul ponte, ed il
nemico fosse dall'altra parte.

- Sguainerei la spada e mi aprirei un varco.

- Come? Mentre io sto sulla sella di dietro? Mi faresti ammazzare, povera me.

(Era abitudine di quella signorina di ripetere ogni momento "povera me!").

- E' giusto. Ecco allora quello che farei. Salterei con Daisy giù nel fiume e la farei nuotare a
valle con tutti e due, fin dove i nemici non potessero seguirci.

- Un salto di venti piedi! Non oseresti fare una cosa simile con Daisy! Però, dal capitano di
cavalleria Black George ho inteso dire che George Quin...
Non finì mai la parola, perché reso pazzo dal continuo ripetersi di quell'odioso monosillabo,
le gridai "tienti stretta alla mia vita" e dando un colpo di sprone a Daisy, in un minuto mi
precipitai con Nora di sopra al parapetto nella profonda acqua sottostante. Non so bene
perché; se volevo che ci annegassimo io e Nora, o se volevo compiere un atto che persino il
capitano Quin dovesse ammirare, o se avevo immaginato che il nemico fosse davvero di
fronte a noi; non lo potrei dire ora; ma il fatto è che scavalcai il parapetto.

Il cavallo affondò fino alla testa, la ragazza gridava mentre cadeva nell'acqua e gridava
quando ne tornò fuori, ed io la deposi a terra, semisvenuta, sulla riva, dove fummo trovati
presto dalla gente di mia zia, che era tornata indietro udendo le grida.

Tornai a casa, dove mi ammalai di una febbre che mi tenne a letto per sei settimane; e
quando lasciai il mio giaciglio ero molto cresciuto di statura, ed ancor più violentemente era
aumentata la mia passione, che era più forte di quanto avessi mai prima provato.

All'inizio della mia malattia, Miss Nora era venuta abbastanza spesso al mio capezzale,
dimenticando, per amor mio la disputa tra mia madre e la sua famiglia, disputa che anche la
mia buona madre si compiacque di dimenticare nella maniera più cristiana.

E lasciate che ve lo dica, fu un non piccolo segno di bontà; da parte di una donna della sua
alterigia, e che di solito non perdonava mai nessuno, cessare, per amor mio, la sua ostilità
nei confronti della signorina Brady, e riceverla gentilmente.

Poiché io, da quel ragazzo matto che ero, desideravo e chiamavo soltanto Nora, accettavo le
medicine solo dalle sue mani, mentre trattavo sgarbatamente e con cattive maniere la mia
buona madre, che mi amava più di qualsiasi altra cosa al mondo, e rinunziava persino, per
farmi felice, alle sue abitudini preferite ed alle sue giuste incipienti gelosie.

Quando stetti bene, mi avvidi che le visite di Nora si erano fatte ogni giorno più rare.

- Perché non viene? - domandavo irritato una dozzina di volte al giorno.

Per rispondere a queste domande, la signora Barry era costretta ad inventarmi le migliori
scuse che poteva trovare: che Nora si era slogata una caviglia, o che avevano litigato, o
qualche altra risposta che potesse calmarmi. E molte volte ebbe la forza d'animo di
andarsene col cuore spezzato sola, in camera sua, e di tornare col sorriso sulle labbra,
perché non potessi intuire la sua mortificazione. D'altra parte io non facevo grandi sforzi per
accertarmene; e temo che, se anche l'avessi scoperto, non mi sarei molto commosso,
perché credo che il periodo dell'inizio della virilità sia anche quello del nostro più profondo
egoismo.

Sentiamo allora il desiderio di prendere il volo, di lasciare il nido fatto dai genitori, così che né
lacrime, né preghiere, né sentimenti di affetto possono controbilanciare il soverchiante
desiderio di indipendenza. Deve essere stata molto triste quella mia povera madre - il cielo
sia buono con lei! - in questo periodo della mia vita. Più tardi essa mi ha detto spesso che la
maggior pena del suo cuore era di vedere che tutte le cure e l'affetto di tanti anni venivano
da me dimenticati in un minuto per amore di una piccola civetta senza cuore che scherzava
con me, quando non aveva miglior corteggiatore. Il fatto è che, durante le ultime quattro
settimane della mia malattia, si era installato a Castle Brady niente meno che il capitano
Quin, che stava facendo all'amore con Miss Nora in debita forma.

Mia madre non osava rivelarmi questa notizia, e Nora, in quanto a lei, potete star sicuri che
avrebbe conservato il segreto; sicché fu soltanto per caso che lo scopersi.

Debbo dirvi come? Quella pettegola era stata un giorno a trovarmi, mentre cominciavo ad
alzarmi dal letto, convalescente; era tanto di buon umore, e così graziosa e gentile con me,
che il mio cuore sobbalzava di gioia e di felicità, così che rivolsi persino una parola gentile
alla mia povera madre insieme con un bacio.

Mi sentivo tanto bene che mangiai un pollo intero, e promisi a mio zio, che era venuto a
trovarmi, di essere pronto, quando sarebbe andato a cacciare le pernici, ad accompagnarlo
come ero solito.

Il giorno dopo era domenica, e per quel giorno avevo un progetto che ero ben deciso a
mettere in atto nonostante le ingiunzioni del dottore e di mia madre, secondo i quali non ero
in grado di lasciare la casa, perché l'aria fresca sarebbe stata per me la morte.

In conseguenza rimasi straordinariamente tranquillo, componendo una serie di versi, i primi


che avessi fatto in vita mia, e li riporto qui, parola per parola, come mi vennero in quei giorni,
in cui non sapevo fare di meglio. E benché non siano così forbiti ed eleganti come "Ardelia,
sollievo di un innamorato malato d'Amore" e "Quando il sole abbella i prati fioriti di
margherite" ed altre mie effusioni liriche che mi fecero raggiungere tanta fama negli anni
seguenti, mi sembrano ancora abbastanza buoni per un povero ragazzo di quindici anni:

LA ROSA DI FLORA (Inviata da un giovane gentiluomo di qualità a Miss Brady di Castle


Brady)
Sulla torre di Brady fiorisce un fiore Il più bel fiore che sia mai fiorito; A Castle Brady vive una
fanciulla (E quanto la ami nessuno lo sa) Nora si chiama e la dea Flora Le ha regalato una
rosa sbocciata.

"O lady Nora" dice la dea Flora "Ho un'aiuola ricca e fulgente; Nelle torri di Brady vi son sette
fiori Ma di tutte tu sei la fanciulla più bella.

Tutto il paese, tutta la florida Irlanda Non può produrre un tesoro che sia bello la metà!".

Quale guancia è più rossa? Certo la nutron le rose!

I suoi capelli sono d'oro fino ed il suo occhio brilla Tra le palpebre come una violetta Che
luccichi oscura tra gemme splendenti!

La tinta del giglio è certo men bianca Di quel che non sia il collo di Nora.

"Vieni, dolce Nora", dice la dea Flora "Mia creatura diletta, segui il mio consiglio:

Vi è un poeta, molto bene tu lo conosci, Che passa la vita in profondi sospiri Il giovane
Redmond Barry, lui devi sposare Se rima e fortuna vuoi fare tornare".

Quella domenica, non appena mia madre fu andata in chiesa, chiamai Phil il valletto, ed
insistei perché mi portasse il mio miglior vestito, con cui mi abbigliai, benché mi avvedessi
che durante la mia malattia ero tanto cresciuto che il vestito vecchio era divenuto ormai
troppo piccolo per me: quindi con la mia poesia in mano corsi verso Castle Brady, per la
smania di vedere la mia beltà. L'aria era così fresca e luminosa, e gli uccelli cantavano tanto
forte tra i verdi alberi, che mi sentivo a mio agio quanto non ero stato da molti mesi e correvo
lungo il viale (mio zio aveva fatto tagliare naturalmente tutti i rami degli alberi) vispo come un
giovane fauno. Il mio cuore cominciò a battere mentre salivo i gradini erbosi della terrazza ed
entravo nella sgangherata porta della sala. Il padrone e la padrona erano in chiesa, mi disse
Screw, il maggiordomo, dopo aver dato dietro di sé una rapida occhiata, vedendo il mio
aspetto trasformato e la mia figura magra e allampanata; anche sei delle signorine erano in
chiesa.

- E' andata anche Miss Nora? - chiesi.


- No, Miss Nora non c'è andata - rispose Screw, prendendo un'aria imbarazzata, ma tuttavia
piena di comprensione.

- E dov'è?

A questa domanda egli rispose, o piuttosto fece finta di rispondere, con l'abituale abilità
irlandese e mi lasciò credere che forse era andata a Kilwangan in sella dietro a suo fratello, o
che lei e sua sorella erano uscite a fare una passeggiata, o che era ammalata in camera
sua. E mentre cercavo di venire a capo di qualche cosa, Screw mi lasciò bruscamente.

Io mi precipitai nel cortile posteriore, dove sono le stalle di Castle Brady e qui trovai un
dragone che fischiettava Roast-Beef della Vecchia Inghilterra, mentre strigliava un cavallo
d'ordinanza.

- Di chi è questo cavallo, camerata? - gridai.

- Camerata sarai tu! - rispose l'inglese - il cavallo appartiene al mio capitano, e lui è un buon
camerata, non tu.

Non mi fermai per rompergli le ossa, come avrei fatto in qualsiasi altra occasione, perché un
terribile sospetto mi aveva attraversato la mente, e mi precipitai in giardino più presto che
potei.

Sapevo già quello che avrei visto laggiù. Vidi il capitano Quin e Nora che passeggiavano
insieme per il viale. Erano a braccetto, e quel mascalzone carezzava e premeva la mano che
stava comodamente sistemata sull'odioso panciotto dell'ufficiale. A qualche passo da loro
c'era il capitano Fagan del reggimento di Kilwangan, che faceva la corte a Mysie, la sorella di
Nora.

Non ho paura di nessuno, sia uomo o spettro; ma quando vidi quello spettacolo le ginocchia
mi cominciarono a tremare violentemente, e mi sentii tanto male che fui sul punto di cadere
svenuto sull'erba, vicino ad un albero, contro il quale mi ero appoggiato, e persi quasi la
coscienza per un minuto o due, poi raccolsi tutte le mie forze, mi diressi verso la coppia che
stava camminando, apersi la lama del piccolo coltello col manico d'argento che portavo
sempre nel fodero, ben deciso a trapassare il corpo dei due delinquenti e ad infilarli come
due piccioni.
Non dico quali sensazioni, oltre quella della rabbia, mi traversassero la mente, quanto amara
fosse la mia delusione e quanto follemente selvaggia la mia disperazione. Ebbi l'impressione
che tutto il mondo mi crollasse sotto i piedi. Non dubito che il mio lettore sarà stato qualche
volta preso in giro dalle donne, e così l'invito a ricordare le sensazioni che ha provato quando
il primo colpo gli è caduto addosso.

- No, Norelia - diceva il capitano, perché la moda del tempo voleva che gli innamorati si
chiamassero tra loro coi più romantici nomi tratti dai romanzi - giuro davanti a tutti gli dei che
non ho mai provato la dolce fiamma altro che per te e per quattro altre donne prima di te.

- Ah, voi uomini, voi uomini, Eugenio! - rispondeva lei (il vero nome di quel bestione era
John); - la vostra passione non è eguale alla nostra. Noi siamo come... come una pianta di
cui ho sentito parlare... noi portiamo un solo fiore e poi moriamo!

- Non hai mai provato simpatia per nessun altro? - chiese il capitano Quin.

- Mai, Eugenio mio, se non per te! Come puoi fare una tale domanda ad una pudica ninfa?

- Adorabile Norelia! - egli disse, portando la mano alle labbra.

Avevo un nastro color ciliegia, Nora me l'aveva dato un giorno togliendoselo dal seno, lo
portavo sempre con me. Lo trassi dal petto lo gettai in faccia al capitano Quin, e mi precipitai
su di lui con il pugnaletto sguainato, gridando:

- E' una bugiarda! E' una bugiarda, capitano Quin; snudate la spada, signore, e difendetevi,
se siete un uomo! - e gridando così mi precipitai su quel mostro e lo presi per il collo, mentre
Nora faceva echeggiare l'aria delle sue grida, al rumore delle quali l'altro capitano e Mysie si
precipitarono verso di noi.

Benché fossi cresciuto come la gramigna durante la malattia, ed avessi raggiunto quasi la
mia statura definitiva di sei piedi, ero soltanto un soldo di cacio in confronto all'enorme
capitano inglese, che aveva spalle e polpacci quali non può vantare neppure un facchino di
Bath. Quando gli saltai addosso, diventò prima tutto rosso, poi straordinariamente pallido, si
divincolò e afferrò la spada, allorché Nora, sopraffatta dal terrore, L'abbracciò gridando:

- Eugenio! Capitano Quin, per amor del Cielo, risparmia il bambino... è soltanto un lattante!

- Dovrebbe essere frustato, per la sua impudenza - disse il capitano - ma non abbiate paura,
Miss Brady, non lo toccherò; il vostro favorito è sacro per me.
Così dicendo si chinò, raccolse il fiocco di nastro che era caduto ai piedi di Nora, e
porgendoglielo, disse in tono sarcastico:

- Quando le fanciulle fanno ai giovanotti simili regali, è necessario che gli altri gentiluomini si
ritirino.

- Santo Cielo - gridò la fanciulla - è soltanto un ragazzo!

- Sono un uomo! - protestai - e ve lo proverò!

- Non ha più importanza per me del mio pappagallo o del mio cagnolino - proseguì lei. - Non
posso dare un pezzo di nastro a mio cugino?

- Siete perfettamente padrona di farlo, signorina - continuò il capitano; - dategli quante yarde
di nastro volete!

- Mostro! - esclamò la ragazza - tuo padre era un sarto, e stai sempre a pensare al negozio.
Ma avrò la mia vendetta. L'avrò.

Reddy, mi lascerai insultare così?

- Davvero, Miss Nora - dico io - voglio il suo sangue, quanto è vero che mi chiamo Redmond.

- Chiamerò un lacché a darti le sculacciate, ragazzino - disse il capitano riacquistando il


dominio di sé; - ma in quanto a voi, signorina, ho l'onore di augurarvi buon giorno.

Si tolse il cappello con ostentata cerimoniosità, fece un profondo inchino ed era sul punto di
andarsene, quando giunse mio cugino Mick, le cui orecchie erano state colpite dalle grida.

- Perdindirindina! Jack Quin, cosa diavolo succede? - dice Mick - Nora in lacrime, lo spettro
di Redmond con la spada sguainata e voi che fate un inchino?

- Vi dirò io quel che è successo - risponde l'inglese. - Ne ho abbastanza di Miss Nora, ecco,
e del vostro modo di fare irlandese. Non ci sono abituato, signore.

- Bene, bene, ma che c'è? - disse Mick con buona grazia, perché era debitore a Quin di una
bella somma - si può sempre sperare che adottiate i nostri usi, oppure che siamo noi ad
adottare quelli inglesi.
- Non è usanza inglese che le donne abbiano due innamorati, e così, Brady, vi sarò grato se
mi pagherete la somma che mi dovete, mentre declino ogni pretesa nei confronti di questa
signorina. Se le piacciono gli scolaretti, lasciate pure che se li prenda.

- Ohé, ohé, Quin, state scherzando - disse Mick.

- Non sono mai stato più serio - rispose l'altro.

- Per il cielo, allora, state in guardia! - urlò Mick. - Infame seduttore! ingannatore infernale!
Venite qui a circuire questo povero angelo sofferente, conquistate il suo cuore e poi la
lasciate - e credete che suo fratello non la difenda? Sguainate subito la spada, schiavo! Ch'io
vi strappi il cuore dal corpo!

- Questo è un vero assassinio! - disse Quin, balzando indietro siete due in una volta contro di
me. Fagan, mi lascerai ammazzare così?

- In fede mia - disse il capitano Fagan che sembrava divertirsi un mondo - dovete regolare da
voi la vostra contesa, capitano Quin; - e venendo verso di me bisbigliò:

- Aspettate il vostro turno, ragazzo mio.

- Poiché il signor Quin rinunzia alle sue pretese - dissi - io naturalmente non interferisco.

- Io sì, signore, io... - disse il signor Quin, scaldandosi sempre più.

- Allora, difendetevi da uomo, accidenti a voi - gridò di nuovo Mick. - Mysie, porta via questa
povera vittima; Redmond e Fagan, vedrete tra noi una bella partita.

- Ecco ora... io non... datemi tempo... sono imbarazzato... io...

non so che decisione prendere.

- Come il ciuco tra due mucchi di fieno - disse asciutto il signor Fagan - che non sa se
mangiare da una parte o dall'altra.
Capitolo 2

NEL QUALE DIMOSTRO DI ESSERE UNA PERSONA DI SPIRITO

Durante questa disputa mia cugina Nora fece la sola cosa che una signora può fare in tali
circostanze; svenne in debita forma. In quel momento io ero al colmo della mia inimicizia con
Nora, altrimenti mi sarei precipitato ad assisterla, ma il Capitano Fagan (che bel tipo che era
questo Capitano Fagan!) me lo impedì dicendo:

- Vi consiglio di lasciare la signorina a se stessa, Master Redmond, e state certo che tornerà
presto in sé.

E così infatti avvenne poco dopo; ciò mi mostrò che Fagan conosceva abbastanza il mondo,
poiché dopo di allora ho visto che molte donne tornavano in sé nella medesima maniera.
Neppure Quin si offerse di aiutarla, potete starne sicuri, anzi, approfittando del diversivo
causato dalle sue grida, quel bravaccio senza fede fuggì via.

- Chi di noi deve sfidare il capitano Quin? - dissi a Mick; perché era la prima volta che avevo
una questione d'onore e ne ero orgoglioso come di un abito di velluto con i merletti. - Tu od io
cugino Mick, dobbiamo aver l'onore di castigare questo insolente inglese.

E mentre dicevo queste parole gli tesi la mano, perché il mio cuore si era fatto più tenero
verso mio cugino a causa del trionfo del momento.

Ma egli respinse l'offerta di amicizia che gli facevo.

- Tu... tu! - mi disse, con l'ira più violenta - vatti a impiccare, ragazzaccio inframmettente;
metti sempre il becco nei fatti degli altri! Erano affari tuoi venire a fare scenate ed a litigare
qui, con un gentiluomo che ha millecinquecento sterline l'anno?
- Oh! - balbettò Nora, dalla panchina di pietra - morirò; so che morirò. Non mi muoverò più di
qui.

- Il capitano non se n'è ancora andato - bisbigliò Fagan. A queste parole Nora, dandogli
un'occhiata indignata, balzò in piedi e si diresse in tutta fretta verso casa.

- Ma insomma! - continuò Mick volgendosi a me - è forse affar tuo, impiccione farabutto,


occuparti degli affari di una ragazza di questa casa?

- Mascalzone sarai tu! - gridai io - chiamami un'altra volta in questo modo, Mick Brady, e ti
infilerò il mio pugnale fino all'osso. Ricordati, te ne ho date quando avevo soltanto undici
anni. Sono alla pari con te ora, e per Giove, provocami ancora e ti batterò come... come ha
sempre fatto il tuo fratello minore.

Fu un colpo ben aggiustato, e vidi Mick diventare paonazzo dalla rabbia.

- E' un bel modo di entrare nelle grazie della famiglia - disse Fagan, in tono conciliante.

- La ragazza è abbastanza grande per poter essere sua madre brontolò Mick.

- Grande o no - risposi io - ascolta questo, Mick Brady - (e pronunciai una violenta


bestemmia che non c'è bisogno di riferire qui) - l'uomo che sposerà Nora Brady dovrà prima
passare sul mio cadavere... lo vuoi capire?

- Peuh!, signor mio - disse Mick voltandosi- ... frustarti vuoi dire! Altro che calpestare il tuo
cadavere! Manderò Nick il guardacaccia a far questo! - e così dicendo se ne andò.

A questo punto il Capitano Fagan si avvicinò a me, e prendendomi gentilmente per mano
disse che ero un ragazzo coraggioso, e che gli piaceva il mio spirito.

- Ma quello che dice Brady è vero- continuò. - E' difficile dare consigli ad un ragazzo che sia
eccitato come voi; ma credetemi, conosco il mondo, e se vorrete seguire il mio parere, più
tardi non rimpiangerete di averlo seguito. Nora Brady non ha un soldo e neanche voi siete
ricco. Avete solo quindici anni, mentre lei ne ha ventiquattro. Fra dieci anni, quando sarete in
condizioni di sposarla, lei sarà vecchia; mio povero ragazzo, non vedete che è una
banderuola - benché questa sia una cosa dura da dire - e che non le importa nulla né di voi
né di Quin?
Ma chi è innamorato (o almeno crede di esserlo) ascolta mai i buoni consigli? Io non li ho
seguiti mai, e così dissi chiaramente al capitano Fagan che Nora poteva amarmi o no, come
voleva, ma che Quin avrebbe dovuto combattere con me prima di sposarla... Lo giuravo.

- In fede mia - disse Fagan - credo che siate un ragazzo in grado di mantenere la parola.

Mi guardò fisso per un secondo o due, poi andò via anche lui fischiettando un motivetto; e
vidi che si voltava a guardarmi mentre passava attraverso il vecchio cancello del giardino.
Quando se ne fu andato e rimasi solo, mi precipitai verso la panchina su cui Nora aveva fatto
finta di svenire ed aveva lasciato il fazzoletto. Lo raccolsi, nascosi in esso il volto, e scoppiai
in un diluvio di lacrime, come non si era mai visto piangere nessuno al mondo. Il nastro
lacerato che avevo gettato in viso a Quin stava sul viale, ed io rimasi lì, seduto per ore ed
ore, e credo di essere stato, in quel momento, l'uomo più disgraziato d'Irlanda. Ma come è
mutevole il mondo! Quando consideriamo quanto grandi ci sembrano i nostri dolori, e quanto
sono piccoli nella realtà; quante volte pensiamo di essere sul punto di morir di dolore e
quanto rapidamente dimentichiamo tutto, penso che dovremmo vergognarci di noi stessi e
della mutevolezza del nostro cuore. Perché, dopo tutto, in qual modo il tempo ci può portare
tanta consolazione? Forse, nel corso delle mie molteplici avventure non mi sono mai
imbattuto nella donna adatta per me; ed ho dimenticato, dopo poco, tutte le creature che
avevo adorato; ma credo che, se mi fossi imbattuto in quella giusta, l'avrei amata per
sempre.

Devo esser restato seduto alcune ore a lamentarmi sulla panca del giardino, perché quando
ero venuto a Castle Brady era mattina, e la campana del pranzo sonò come il solito alle tre
risvegliandomi dai miei sogni.

Subito raccolsi il fazzoletto, e presi il nastro un'altra volta.

Mentre passavo attraverso i locali della servitù, vidi la sella del capitano ancora appesa alla
porta della stalla e vidi quel bruto odioso del suo servo in giubba rossa che si dava da fare
con le sguattere e le donne della cucina.

- L'inglese è ancora qui, Master Redmond - mi disse una delle ragazze, una ragazza
sentimentale (dagli occhi neri, che faceva il servizio alle signorine). - E' in salotto, in
compagnia di un magnifico filetto di vitello, andate e non vi fate mettere sotto, Master
Redmond.

Entrai e presi il mio posto come al solito in fondo alla grande tavola, mentre il mio amico
maggiordomo mi portava rapidamente un coperto.
- Ciao, Reddy, ragazzo mio! - disse mio zio - in piedi e in buona salute?... Benissimo.

- Avrebbe fatto meglio a starsene a casa con sua madre brontolò mia zia.

- Non badare a lei - dice lo zio Brady;- L'oca fredda che ha mangiato a colazione le è rimasta
sullo stomaco. Prendi un bicchierino di liquore, moglie, alla salute di Redmond.

Era evidente che non sapeva cosa era successo; ma Mick, che era a pranzo anche lui, e
Ulick, e quasi tutte le ragazze, sembravano molto di cattivo umore, e il capitano era
stupefatto; Miss Nora, di nuovo al suo fianco, era pronta a piangere. Il Capitano Fagan era
seduto e sorrideva; io lo guardavo freddo come una pietra.

Durante il pranzo mi pareva di soffocare, ma ero deciso a fare buon viso a cattivo gioco, e
quando la tovaglia venne tolta riempii il bicchiere col vino rimasto, e brindammo al Re e alla
Chiesa come debbono fare i gentiluomini. Mio zio era di ottimo umore, e scherzava sempre,
specialmente con Nora e col capitano.

Diceva:

- Nora, dividi quest'osso di pollo col Capitano! Vedremo chi si sposa prima!

- John Quin, mio caro ragazzo, non è necessario un bicchiere pulito per il chiaretto, siamo a
corto di cristalleria a Castle Brady prendi il bicchiere di Nora, ed il vino non sarà più cattivo
per questo. - E così via.

Era al colmo dell'allegria... e non capivo perché. Che vi fosse stata una riconciliazione tra
l'infedele ragazza ed il suo innamorato, dopo che erano tornati a casa?

Seppi la verità molto presto. Al terzo brindisi vi era l'uso che le signore si ritirassero; ma mio
zio le fermò in tempo, nonostante le rimostranze di Nora, che diceva:

- Via, papà, lasciaci andare! - e disse:

- No, signore e signorine, abbiate la cortesia di aspettare; questo è un brindisi che si beve
troppo di rado nella mia famiglia e vi compiacerete di ascoltarlo con tutti gli onori. Ecco il
Capitano John Quin e signora; lunga vita a loro. John, bacia questa bricconcella; in fede mia,
tu hai acquistato un tesoro!

- E' già stato... - gridai io, balzando come spinto da una molla.
- Tieni la lingua a posto, sciocco... tieni la lingua a posto!

disse il grosso Ulick che stava vicino a me; ma non volli ascoltarlo.

- E' già stato preso a schiaffi questa mattina, il Capitano John Quin - gridai; - l'ho già
chiamato vigliacco il Capitano John Quin! Ecco come bevo alla sua salute: alla vostra salute,
Capitano John Quin!

E gli gettai in faccia un bicchiere di chiaretto. Non so che aspetto prendesse dopo il mio
gesto, perché un attimo dopo anch'io ero sotto la tavola, afferrato per i piedi da Ulick, che mi
diede un violento pugno in testa, mentre cadevo. Ebbi appena il tempo di sentire l'urlo
generale e la confusione che avveniva attorno a me, perché ero troppo occupato a
difendermi dai calci, botte ed insulti di cui Ulick mi stava gratificando.

- Sciocco! - gridava - gran cretino patentato... stupido ragazzaccio pezzente - (una botta ad
ogni parola) - tieni a posto la lingua!

Naturalmente non mi curavo di questi colpi di Ulick, perché era sempre stato mio amico, ed
aveva sempre avuto l'abitudine di malmenarmi da quando ero nato.

Quando riuscii a venir fuori di sotto la tavola tutte le signore se ne erano già andate, ed ebbi
la soddisfazione di vedere che il naso del capitano sanguinava come il mio: ma il suo aveva
un taglio proprio sopra il setto nasale, così che la sua bellezza era stata rovinata per sempre.
Ulick si riprese, si sedette tranquillamente, riempì una coppa e spinse la bottiglia verso di
me.

- Ecco, a te, giovane asino - mi disse; - ingoia questo; e non ci far più sentire i tuoi strilli.

- In nome del cielo, che significa questa storia? - dice mio zio.

- Questo ragazzo ha di nuovo la febbre?

- E' tutta colpa tua - rispose Mick con aria cupa - tua e di quelli che lo hanno portato qui.

- Piantala di far baccano, Mick - dice Ulick voltandosi verso di lui; - parla come si deve a mio
padre ed a me, e non far in modo che ti debba insegnare le buone maniere.
- E' colpa tua - ripeté Mick. - Che cosa ci sta a fare questo vagabondo qui? Se avessi potuto
fare a modo mio, l'avrei frustato e messo fuori dai piedi.

- Così bisognerebbe fare - disse il Capitano Quin.

- Fareste meglio a non provarci, Quin - disse Ulick, che era sempre stato il mio campione.
Poi, volgendosi a suo padre, continuò:

- Il fatto è, signore, che questo scimmiotto si è innamorato di Nora, e trovando lei ed il


capitano in dolci colloqui oggi in giardino, è stato sul punto di ammazzare Quin.

- Perdinci, sta diventando un giovanotto - disse mio zio molto di buon umore. - In fede mia,
Fagan, questo ragazzo è un Brady, dalla testa ai piedi.

- Vi dirò il fatto mio, allora, signor Brady - gridò Quin balzando in piedi; - sono stato
grossolanamente insultato in questa casa.

Non sono per nulla soddisfatto di come procedono le cose Sono un Inglese, io, un uomo
come si deve. E io... io...

- Se siete stato insultato e non soddisfatto, ricordatevi che siamo qua in due, Quin - disse
Ulick, in tono aspro. A queste parole il capitano ricominciò a lavarsi il naso nell'acqua, e non
disse più una parola.

- Signor Quin - dissi io, col tono di voce più dignitoso che riuscii ad assumere - potete avere
soddisfazione in qualsiasi momento vi piaccia rivolgendovi a Redmond Barry, Esquire, di
Barryville.

A questo discorso mio zio scoppiò a ridere, come faceva sempre su ogni cosa; ed a questa
risata si unì con mia mortificazione il Capitano Fagan. Mi volsi quindi rapidamente verso di lui
e gli feci comprendere che, per quanto riguardava mio cugino Ulick, che era stato il mio
miglior amico per tutta la vita, potevo sopportare questo ironico trattamento da parte sua;
ma, benché fossi un ragazzo, non avrei sopportato un simile trattamento più a lungo neppure
da lui; ed ogni altra persona che avesse osato trattarmi ugualmente avrebbe trovato in me un
uomo, a proprio rischio e pericolo.
- Il signor Quin - aggiunsi - conosce tale fatto molto bene; se è un uomo sa dove trovarmi.

Mio zio osservò che si stava facendo tardi e che mia madre sarebbe stata in pensiero per
me.

- Uno di voi farebbe meglio ad andare a casa con lui - disse, rivolgendosi ai suoi figli; -
altrimenti il ragazzo potrebbe fare qualche altra corbelleria.

Ma Ulick disse, facendo un cenno a suo padre:

- Andremo tutti e due ad accompagnare a casa Quin.

- Non ho paura dei matti - disse il Capitano, con un debole conato di sorriso; - il mio
dipendente è armato, ed anch'io.

- Conoscete molto bene l'uso delle armi, Quin - osservò Ulick e nessuno può mettere in
dubbio il vostro coraggio; ma Mick ed io vi accompagneremo a casa lo stesso.

- Dunque non tornerete a casa fino a domani mattina, ragazzi.

Kilwangan è a buone dieci miglia di qui.

- Dormiremo nella caserma di Quin; - rispose Ulick - abbiamo intenzione di fermarci per una
settimana laggiù.

- Grazie - dice Quin, a bassa voce; - molto gentile da parte vostra.

- Sareste troppo solo, sapete, senza di noi.


- Oh, sì, molto solo! - dice Quin.

- E tra un'altra settimana, ragazzo mio - continua Ulick (e qui sussurrò qualcosa all'orecchio
del Capitano, ed io che sorpresi le parole "matrimonio", "parroco", sentii ribollirmi
nuovamente in cuore la mia rabbia).

- Come volete - bofonchiò il Capitano; i cavalli furono rapidamente preparati, ed i tre


gentiluomini se ne andarono.

Fagan si fermò e, quando mio zio glielo ingiunse, uscì con me nel vecchio parco senz'alberi.
Disse che dopo la discussione che era avvenuta a pranzo, difficilmente avrei potuto rivedere
le signore quella sera, ed io fui assolutamente d'accordo con lui; e così uscimmo senza dir
loro addio.

- Avete fatto proprio un bel lavoro, Master Redmond - mi disse.

Come, voi, amico dei Brady, che sapete che vostro zio si trova in gravi imbarazzi finanziari,
cercate di mandare a monte un matrimonio che avrebbe portato alla famiglia una rendita di
millecinquecento sterline? Quin poi ha anche promesso di pagare le quattromila sterline di
debito che imbarazzano tanto vostro zio.

Quel pover'uomo si prende una ragazza senza un soldo.. una ragazza che non è più bella
del vostro giovenco. Bene, bene, non andate in collera. Diciamo pure che è bella - in fondo è
questione di gusti, - una ragazza che si è data da fare con tutti gli uomini di questo paese da
dieci anni a questa parte, senza riuscir mai a farsi sposare da nessuno. E voi, povero in
canna come lei, ragazzo di quindici anni - va bene, sedici, se insistete - un ragazzo che
dovrebbe essere affezionato allo zio come ad un padre...

- E lo sono davvero - risposi io.

- Questo è il modo con cui ricambiate la sua cortesia? Non vi ha raccolto in casa sua quando
eravate orfano, e non vi ha dato, senza farvi pagare affitto, la vostra bella casa di Barryville?
E ora nel momento in cui i suoi affari sembravano mettersi a posto, e gli si offriva la
possibilità di passare comodamente la sua vecchiaia, chi si mette di mezzo tra lui e
l'agiatezza? Proprio voi; l'uomo che tra tutti al mondo ha più obblighi verso di lui.
E' una cosa immorale, un agire da ingrato, contro natura. Da un ragazzo di spirito come voi
mi aspettavo un coraggio più vero.

- Non ho paura di nessuno al mondo - esclamai io (perché quest'ultima parte del discorso del
capitano mi aveva piuttosto scosso, e volevo naturalmente cambiare argomento, come
sempre succede quando quello dell'avversario è troppo forte); - ed io sono l'offeso, Capitano
Fagan. Nessuno mai, da quando è cominciato il mondo, è stato trattato così. Guardate...
guardate questo nastro. L'ho portato sul cuore per sei mesi. L'ho tenuto addosso per tutto il
tempo della febbre. Non lo aveva forse tolto Nora dal suo seno per darmelo? Non mi aveva
forse baciato quando me l'aveva dato, chiamandomi il suo caro Redmond?

- Si stava allenando - rispose il signor Fagan con una risatina.- Conosco le donne, signor
mio. Date loro tempo, e se nessun altro viene in casa si innamoreranno di uno
spazzacamino. C'era una signorina a Fermoy...

- All'inferno la signorina - gridai io (ma usai una parola ancora più cruda); - ricordate questo:
succeda quello che può succedere, giuro che mi batterò con l'uomo che aspira alla mano di
Nora Brady. Lo seguirò, se necessario, fino in chiesa, e lo sfiderò lì.

Avrò il suo sangue, o egli avrà il mio; e questo nastro ne sarà intinto Sì! E se lo ucciderò,
infilerò il nastro nel suo petto, ed allora ella potrà andare a riprendersi il suo dono!

Dissi questo perché in quel momento ero molto eccitato, e perché non per nulla avevo letto
romanzi e commedie romantiche.

- Va bene; - dice Fagan, dopo una pausa - se così deve essere sia.

Siete il giovane più sanguinario che abbia mai visto. Ma anche Quin è un tipo deciso.

- Vorreste portargli il mio cartello di sfida? - gli dissi, pieno di ardore.

- Sst! - disse Fagan. - Vostra madre può essere all'erta. Qui siamo molto vicini a Barryville.

- Attenzione! Nemmeno una parola a mia madre - risposi io ed andai verso casa gonfio di
orgoglio e di esultanza, perché mi sarei battuto con l'Inglese, che odiavo tanto.
Tim, il mio servo, era venuto da Barryville quando mia madre rientrava dalla chiesa, e la
brava signora era stata piuttosto allarmata per la mia assenza ed in ansia per il mio ritorno.
Ma Tim mi aveva visto andare a pranzo, all'invito della sentimentale cameriera, e dopo aver
avuto la sua parte delle buone cose che vi erano in cucina, sempre meglio fornita di quella di
casa nostra, era tornato indietro per informare la padrona e dirle dov'ero, e senza dubbio, le
aveva raccontato, a modo suo, tutti gli avvenimenti che erano successi a Castle Brady.
Nonostante tutte le mie precauzioni per conservare il segreto, quindi, ebbi il mezzo sospetto
che mia madre sapesse tutto dal modo con cui mi abbracciò, al mio arrivo, e ricevette il
nostro ospite, il Capitano Fagan. La povera donna era un po' in ansia, ed era rossa di
emozione ed ogni tanto guardava fisso in volto il Capitano, ma non disse una parola della
contesa, perché aveva uno spirito nobile, ed avrebbe preferito veder impiccare uno dei suoi
figli, piuttosto che sottrarlo al campo dell'onore.

Dove sono andati oggi questi nobili sentimenti? Sessanta anni fa un uomo era un uomo nella
vecchia Irlanda, e la spada che portava al fianco serviva a sistemare qualsiasi divergenza tra
gentiluomini, per il più lieve motivo Ma i buoni usi e costumi dei vecchi tempi stanno
svanendo Non si sente quasi più parlare, oggi, di bei duelli, e l'uso di quelle vili pistole, al
posto dell'onorevole e virile spada dei gentiluomini, ha introdotto una buona dose di
mascalzonaggine nella pratica del duello, cosa che non potrà mai essere abbastanza
deplorata.

Quando arrivai a casa, mi sentii pieno di ardore. Introdussi il Capitano Fagan a Barryville e lo
presentai a mia madre in modo maestoso e pieno di dignità; dissi che il capitano doveva aver
sete dopo la sua passeggiata ed ordinai a Tim di portargli immediatamente una bottiglia di
Bordeaux con il sigillo giallo, nonché dolci e bicchieri.

Tim guardò la sua padrona con grande imbarazzo, ed il fatto è che sei ore prima io stesso
avrei piuttosto immaginato di bruciare la casa, che di poter chiedere, senza permesso, una
bottiglia di vinello; ma ora sentivo di essere un uomo, e avevo il diritto di comandare. Anche
mia madre lo comprese, perché si volse a quell'individuo e gli disse asciutta:

- Non hai inteso, mascalzone, quello che dice il tuo padrone? Vai a prendere il vino, i dolci, i
bicchieri, subito.

Ma poi, perché potete esser sicuri che non dava a Tim le chiavi della nostra piccola cantina,
andò a prendere la bottiglia lei stessa; e Tim la portò in debita forma, su un vassoio
d'argento.

La mia cara madre versò il vino e bevve alla salute del capitano; ma osservai che la sua
mano tremava forte mentre compiva questo dovere di cortesia, e la bottiglia faceva clink,
clink contro il bicchiere.
Dopo aver appena assaggiato il suo bicchiere, disse che aveva mal di testa e che sarebbe
andata a letto, e così io chiesi la sua benedizione, come deve fare un figlio bene educato (i
moderni bellimbusti hanno dimenticato le cerimonie piene di rispetto che distinguevano i
gentiluomini del mio tempo) - e lasciò me ed il Capitano Fagan a discorrere dei nostri
importanti affari.

- Davvero - disse il Capitano - non vedo altra via di uscita che uno scontro. Il fatto è che si è
parlato molto della cosa a Castle Brady dopo la vostra aggressione contro Quin questa
mattina ed egli aveva fatto voto di tagliarvi a pezzi; ma le lacrime e le suppliche di Miss
Honoria lo hanno indotto, sebbene a malincuore, a recedere dal suo proposito. Ora però le
cose sono andate troppo in là. Nessun ufficiale, che porti le insegne di Sua Maestà, può
ricevere un bicchiere di vino sul muso - questo vostro chiaretto è molto buono, ad ogni modo,
e col vostro permesso suoneremo per averne un'altra bottiglia senza reagire all'insulto.
Dovete battervi; e Quin è un tipaccio robusto.

- Avrà occasione di darne la prova - dissi. - Non ho paura di lui.

- In fede mia - osservò il Capitano - credo davvero che non ne abbiate; non ho mai visto in
vita mia un ragazzo di tanto fegato.

- Guardate questa spada, signore - gli dico io, indicandone una con un'elegante impugnatura
d'argento, in un astuccio di zigrino bianco, appesa sopra la mensola del caminetto, sotto il
ritratto di mio padre Harry Barry. - Con quella spada, signore, mio padre passò da parte a
parte Mohawk O' Driscoll, a Dublino, nel 1740, con quella spada, signore, si batté con sir
Huddlestone Fuddlestone, baronetto dell'Hampshire, e gliela immerse nel collo.

Si batterono a cavallo, con spada e pistola, a Hounslow Heath, ed oso credere che ne
abbiate sentito parlare. E queste sono le pistole - (erano appese ai due lati del ritratto) - che
il valoroso Barry adoperò. Era assolutamente nel torto perché, sotto l'influsso dell'alcool,
aveva insultato Lady Fuddlestone nell'assemblea di Bretford. Ma da vero gentiluomo, rifiutò
di presentare le sue scuse, e Sir Huddlestone ricevette una palla nel cappello, prima che si
impegnasse con le spade. Sono il figlio di Harry Barry, signore, ed agirò come si conviene al
mio nome ed alla mia qualità.

- Dammi un bacio, caro ragazzo - disse Fagan con le lacrime agli occhi. - Sei proprio
secondo il mio cuore. Finché Jack Fagan vivrà troverai sempre in lui un amico ed un padrino.

Povero diavolo! Venne colpito da una palla sei mesi dopo, mentre portava ordini a Lord
George Sackville, nella battaglia di Minden, ed io persi così un buon amico.
Ma noi non sappiamo mai ciò che l'avvenire ci riserba, e così quella sera almeno la
passammo allegramente. Prendemmo una seconda bottiglia, poi una terza (potevo sentire la
mia povera mamma che andava giù ogni volta, ma non entrò più in salotto, e le mandò per
mezzo del maggiordomo, Tim). Alla fine ci dividemmo, ed egli si impegnò a sistemare la cosa
col padrino di Quin quella sera stessa; la mattina dopo mi avrebbe notificato il luogo in cui lo
scontro avrebbe dovuto aver luogo.

Ho spesso pensato, dopo di allora, quanto avrebbe potuto essere diverso il mio destino, se
non mi fossi innamorato di Nora in così giovane età, e se non avessi gettato il vino in faccia a
Quin, rendendo così inevitabile il duello. Se non fosse stato per questo, sarei potuto restare
in Irlanda (e Miss Quinlan era un'ereditiera che abitava ad appena venti miglia da noi, e
Peter Burgan di Kilwangan lasciò a sua figlia Judy 700 sterline l'anno, ed avrei potuto
sposare l'una o l'altra delle due, se avessi avuto la pazienza di aspettare qualche anno). Ma
il mio destino era di essere un vagabondo, e il mio diverbio con Quin mi lanciò sulla via dei
viaggi in giovanissima età; come avrete subito occasione di sentire.

In vita mia non dormii mai più profondamente, benché mi svegliassi un po' più presto del
solito; e potete star certi che il mio primo pensiero fu per il grande evento della giornata, per
il quale ero pienamente preparato.

C'erano penna ed inchiostro nella mia stanza - e non avevo forse scritto quei versi dedicati a
Nora soltanto il giorno prima, da quel povero sciocco innamorato che ero? Ora mi sedetti a
scrivere un paio di lettere: potevano essere le ultime, pensai, che scrivevo in vita mia. La
prima era per mia madre.

"Onorevole Signora", scrissi, "Questa lettera ti sarà data solo nel caso che io cada per mano
del Capitano Quin, che incontro oggi sul campo dell'onore, con spada e pistola. Se muoio,
muoio da buon Cristiano e da gentiluomo - e come potrebbe essere altrimenti, essendo stato
educato da una madre come te? Perdono a tutti i miei nemici - e chiedo la tua benedizione,
da figlio rispettoso.

Desidero che la mia cavalla, Nora, che mio zio mi ha dato, e che ho chiamato come la
persona più infedele del suo sesso, venga restituita a Castle Brady, e ti chiedo di dare il mio
coltello col manico d'argento a Phil Purcell, il guardacaccia. Presenta i miei ossequi a mio
zio, ad Ulick ed a tutte le ragazze di mia conoscenza. Resto il tuo obbediente figlio
REDMOND BARRY".

A Nora scrissi:
"Questa lettera sarà trovata sul mio petto, insieme col dono che tu mi hai dato. Sarà intinta
del mio sangue (salvo che non lo sia con quello del Capitano Quin, che odio, ma perdono), e
sarà un bell'ornamento per te il giorno del tuo matrimonio. Portalo, e pensa a quel povero
ragazzo a cui lo hai dato e che è morto (come sempre è pronto a morire) per amor tuo.
REDMOND".

Scritte queste lettere, e sigillate col grande sigillo d'argento di mio padre con le armi dei
Barry, andai a colazione, e mia madre mi stava aspettando, potete starne certi. Non
dicemmo una sola parola su ciò che stava per accadere, anzi parlammo di tutto tranne che di
questo: di chi c'era in chiesa il giorno prima, e della necessità che avevo di vestiti nuovi ora
che ero diventato tanto alto.

Disse che mi avrebbe fatto un vestito nuovo prima dell'inverno se.. se avesse potuto
permetterselo. Si fermò un momento su quel "se"... che Dio la benedica!

Sapevo ciò che aveva in mente. E poi venne a parlare del porco nero che bisognava
ammazzare, e del fatto che quella mattina aveva trovato macchiato il nido della gallina le cui
uova mi piacevano tanto, ed altre sciocchezze dello stesso genere. Alcune di quelle uova
erano state messe in tavola per la colazione e le mangiai di buon appetito, ma mentre mi
servivo il sale, lo versai ed allora mia madre balzò in piedi con un grido:

- Grazie a Dio - disse - è caduto verso di me.

Poi, avendo evidentemente il cuore troppo gonfio, lasciò la stanza. Ah! anche queste madri
sono peccatrici, ma vi sono altre donne simili a loro?

Quando fu uscita, andai a prendere la spada con cui mio padre aveva battuto il baronetto
dell'Hampshire. Lo credereste? - la coraggiosa donna aveva legato un nastro nuovo all'elsa,
perché in realtà aveva in sé il coraggio di una leonessa e di una Brady riunite. Poi staccai le
pistole, che erano sempre tenute lucide e ben oliate, misi le pietre focaie nuove nel cane, e
presi polvere e palle per esser pronto quando sarebbe venuto il capitano.

C'erano del chiaretto e del pollo freddo preparati per lui su un tavolino, ed anche una
cassetta di bottiglie di vecchia acquavite, con un paio di bicchierini su un vassoio d'argento,
sul quale era inciso lo stemma dei Brady.

Alle undici arrivò il Capitano Fagan a cavallo, seguito da un dragone pure a cavallo. Fece
onore alla colazione che la premura di mia madre gli aveva preparato, poi disse:

- Attenzione, Redmond, ragazzo mio. Questo è un affare bizzarro.


La ragazza vuole sposare Quin, te ne dò la mia parola; e puoi star sicuro che, come del resto
farà lei, la scorderai presto. Sei soltanto un ragazzo. Quin è disposto a considerarti tale.
Dublino è un bel posto, e se hai voglia di fare una bella cavalcata fin laggiù e di restare in
quella città per un mese, ecco venti ghinee a tua disposizione. Fai le scuse a Quin e ne sei
fuori!

- Un uomo d'onore, signor Fagan - gli risposi io - muore, ma non si scusa. Il Capitano si può
andare ad impiccare prima che io mi scusi.

- Allora non resta altro che battersi.

- La mia cavalla è sellata e pronta; - dico io - dov'è il terreno e chi è il secondo del Capitano?

- I vostri cugini sono usciti con lui - rispose il signor Fagan.

- Dirò al mio domestico di portar fuori la cavalla - dissi - non appena vi sarete riposato.

Tim venne mandato a prendere la cavalla, ed io me ne andai, senza prendere congedo da


mia madre. Le tendine della finestra della sua camera erano abbassate, e non si mossero
quando montammo a cavallo e trottammo lontano. Ma due ore dopo avreste dovuto vedere
come venne giù di corsa, e sentire il grido che diede, quando si strinse al cuore il figlio,
assolutamente incolume e senza nemmeno una graffiatura sul corpo!

Quello che era successo posso dirvelo ora. Quando arrivammo al luogo dello scontro c'erano
già Ulick, Mick ed il capitano Quin, tutto sfolgorante nella rossa divisa del suo reggimento: il
gigante più grosso che abbia mai comandato una compagnia di granatieri. Ridevano tutti
insieme tra loro a qualche scherzo: e debbo dire che pensai che tutte quelle risate erano
sconvenienti da parte dei miei cugini, che forse potevano trovarsi ad assistere alla morte di
un loro parente.

- Spero di guastare un po' questa allegria - dissi con gran collera al Capitano Fagan - e
confido di vedere questa mia spada in quel grosso corpo laggiù.

- Oh! combatterete alla pistola - rispose il signor Fagan.- Non siete in grado di affrontare
Quin alla spada.

- Sono in grado di affrontare chiunque alla spada! - dissi io.


- Oggi è impossibile che combattiate alla spada; il Capitano Quin è... è zoppo. Ha battuto il
ginocchio contro il cardine del cancello del parco la notte scorsa, mentre tornava a casa e
può appena muoverlo ora.

- Non è certo contro il cancello di Castle Brady - dico io: - è fuori dei gangheri da dieci anni.

Allora Fagan disse che doveva essere stato qualche altro cancello e ripeté quello che aveva
detto ai miei cugini ed allo stesso Quin, quando, smontati dai nostri cavalli, raggiungemmo
quei gentiluomini e li salutammo.

- Oh sì! zoppo marcio - disse Ulick, venendo a stringermi la mano, mentre il Capitano Quin si
toglieva il cappello e diventava tutto rosso. - Ed è una bella fortuna per te, Redmond,
ragazzo mio - continuò Ulick; - altrimenti eri un uomo morto; perché Quin è un vero diavolo,
non è vero, Fagan?

- Un vero turco - rispose Fagan, ed aggiunse: - Non ho ancora incontrato l'uomo che abbia
potuto tener testa al Capitano Quin.

- Basta con questa storia! - disse Ulick; - sono seccato davvero.

Digli che ti dispiace, Redmond; lo puoi dire facilmente.

- Se questo giovanotto se ne vuol andare a Dublino, come ho proposto - intervenne a questo


punto Quin.

- Non mi dispiace... non chiedo scusa... e andrò a Dublino subito dopo che... - dissi io
battendo il piede in terra.

- Non c'è niente da fare, allora - disse Ulick a Fagan con una risata. - Misurate il terreno,
Fagan... dodici passi, credo?

- Dieci, signore - disse Quin ad alta voce - e falli anche corti, hai capito, Capitano Fagan?

- Non fate il gradasso, Quin - disse Ulick in tono risentito:

ecco-le pistole. - E aggiunse, con una certa emozione, rivolto a me: - Dio ti benedica,
ragazzo mio, e quando dico tre, fuoco.
Il signor Fagan mi pose in mano la pistola - non una delle mie (che avrebbero servito, in caso
di bisogno, alla ripresa successiva), ma una di quelle di Ulick. - Tutto bene - mi disse.

Non aver paura Redmond. E sparagli al collo, mira sotto il colletto. Guarda come quello
sciocco lo tiene aperto.

Mick, che non aveva detto mai una parola, Ulick ed il Capitano si ritirarono da una parte, e
Ulick diede il segnale. Venne dato lentamente, ed ebbi tutto il tempo di prendere di mira il
mio uomo. Al "tre" tutte e due le nostre pistole spararono contemporaneamente. Udii qualche
cosa fischiare vicino a me, poi vidi il mio antagonista che dava un grido orribile, si girava
all'indietro e cadeva.

- E' a terra... è a terra... - gridarono i secondi, precipitandosi verso di lui. Ulick lo sollevò e
Mick gli sorresse la testa.

- E' colpito qui, al collo - disse Mick aprendogli il colletto della giacca; il sangue usciva
gorgogliando sotto il colletto, proprio nel punto in cui avevo mirato.

- E ora che farai? - mi disse Ulick. - E' colpito davvero? chiese, guardando Quin con un
sguardo ostile. Il disgraziato non rispose, ma quando Ulick gli tolse da dietro la schiena il
braccio che lo sosteneva, fece un altro rantolo, e ricadde all'indietro.

- Questo giovanotto ha cominciato bene - osservò Mick, guardandomi di traverso. - Faresti


meglio a filare, giovinotto, prima che arrivi la polizia. Avevano avuto notizia dell'affare prima
che lasciassimo Kilwangan.

- E' proprio morto? - dissi io.

- Stecchito - rispose Mick.

- Allora il mondo si è liberato di un gran vigliacco - disse il Capitano Fagan dando al grosso
corpo del caduto un calcio pieno di sdegno col suo piede.
- E' proprio finito, Reddy... non si muove più.

- Noi non siamo vigliacchi, Fagan - rispose Ulick in tono aspro; anche se lo era lui! Fate filar
via il ragazzo più presto che potete. Il vostro uomo andrà a prendere un carro, e porterà via il
corpo di questo disgraziato gentiluomo. E' stata una triste giornata per la nostra famiglia,
Redmond Barry; ci hai portato via 1.500 sterline l'anno.

- E' stata Nora che l'ha voluto, non io - risposi. E tolsi il nastro che mi aveva dato dal mio
panciotto, poi la lettera e li posi sul corpo del Capitano Quin.

- Ecco - dico - portatele questi nastri. Lei sa quello che vogliono dire; e questo è quanto le
resta di due innamorati che aveva e che ha rovinato.

Non sentivo orrore, né paura, giovane com'ero, vedendo il mio nemico prostrato davanti a
me, perché sapevo che lo avevo incontrato e battuto onorevolmente in campo, come
conveniva ad un uomo del mio nome e del mio sangue.

- Ed ora, in nome del cielo, fate andar via quel giovanotto.

Ulick disse che sarebbe venuto via con me, e galoppammo insieme senza mai tirar le briglie
finché arrivammo alla porta di casa di mia madre. Quando fummo là, Ulick disse a Tim di dar
da mangiare alla cavalla, perché avrei dovuto far ancora una lunga cavalcata quel giorno; e
dopo un minuto ero tra le braccia della mia povera mamma.

Non c'è bisogno che vi dica quanto fu grande il suo orgoglio e la sua soddisfazione quando
seppe, dalle labbra stesse di Ulick, il resoconto del modo con cui mi ero comportato nel
duello. Insisté, però, sul fatto che mi sarei dovuto andare a nascondere per qualche tempo; e
fu convenuto tra loro che avrei dovuto nascondere il nome di Barry, e prendere quello di
Redmond, andare a Dublino e lì aspettare finché la faccenda non si fosse sistemata. Questo
accordo non venne preso senza discussioni. Perché non avrei potuto essere al sicuro a
Barryville, diceva mia madre, come mio cugino ed Ulick a Castle Brady? Se sbirri ed agenti
non andavano mai da loro, perché le guardie sarebbero state autorizzate a venire da me?

Ma Ulick insisté sulla necessità della mia immediata partenza, ed in questo argomento,
debbo confessarlo, stavo dalla sua parte, tanto ero desideroso di vedere il mondo, ed anche
mia madre fu costretta a riconoscere che nella nostra casetta di Barryville, in mezzo al
villaggio e con la sola guardia di due servi, la fuga sarebbe stata impossibile. Così
quell'anima buona fu costretta ad accedere al punto di vista di mio cugino, che le promise
però che l'affare sarebbe stato sistemato presto, e che avrei potuto tornare da lei. Ah!
Quanto poco conoscevamo ciò che la sorte teneva in serbo per me!

La mia cara madre aveva qualche presentimento, credo, che la nostra separazione sarebbe
stata lunga, perché mi disse che tutta la notte aveva interrogato le carte per sapere quale
sarebbe stata la mia sorte nel duello, e che tutti i segni predicevano una separazione. Poi
trasse fuori una calza dal suo scrittoio e mi mise in una borsa venti ghinee (ne aveva in tutto
soltanto venticinque!), mi preparò una valigetta da collocare sul dorso della cavalla, in cui
erano i miei vestiti, la biancheria ed un necessario da viaggio d'argento che era stato di mio
padre. Mi permise anche di portare la spada e le pistole che avevo mostrato di saper usare
come un uomo. Ora era lei ad affrettare la mia partenza (per quanto sapessi che il suo cuore
era gonfio) ed appena una mezz'ora dopo il mio arrivo a casa ero di nuovo sulla strada e
tutto il mondo era spalancato davanti a me.

Non c'è bisogno che dica quanto piangessero Tim e la cuoca alla mia partenza, e forse
anch'io avevo qualche lacrimuccia agli occhi; ma nessun ragazzo di sedici anni è molto triste
quando gode della libertà per la prima volta e ha venti ghinee in tasca; ed io cavalcavo,
pensando, lo confesso, non tanto alla dolce madre che lasciavo sola ed alla casa dietro di
me, quanto al domani ed alle cose meravigliose che mi avrebbe portato.

Capitolo 3

NEL QUALE FACCIO UNA FALSA PARTENZA NEL BEL MONDO

Cavalcai quella notte fino a Carlow, dove mi fermai al miglior albergo, e quando il padrone
della locanda mi chiese qual era il mio nome, gli diedi quello di Mr Redmond, secondo le
istruzioni di mio cugino, e dissi che ero dei Redmond della contea di Waterford, e che mi
recavo al Trinity College di Dublino per completare la mia educazione. Vedendo il mio
bell'aspetto, la spada con l'elsa d'argento e la valigia ben fornita, il padrone si prese la libertà
di mandarmi una caraffa di chiaretto senza che l'avessi chiesta, ma poi, potete esserne
sicuri, me la fece pagare ben cara sul conto. Nessun gentiluomo, in quel buon tempo antico,
andava a letto senza prendere, prima di dormire, una buona dose di liquore; quel giorno del
mio primo ingresso nel mondo mi feci un punto d'onore di agire in tutto e per tutto come un
perfetto gentiluomo, e vi assicuro che recitai la mia parte alla perfezione.
L'eccitazione degli avvenimenti della mattina, la partenza da casa, lo scontro col Capitano
Quin sarebbero bastati a farmi girare la testa anche senza chiaretto, ma questo servì a darmi
il colpo di grazia. Non sognai la morte di Quin, come avrebbero fatto probabilmente molti
giovani di pastafrolla; e del resto non ho mai avuto nessuno di questi sciocchi rimorsi dopo
qualcuna delle mie partite d'onore, ed ho sempre ritenuto fin dalla prima volta, che se un
gentiluomo rischia la vita in un virile combattimento, è uno sciocco a vergognarsi di aver
vinto. Dormii a Carlow tanto sodo quanto si può dormire; la mattina bevvi un boccale di birra
leggera e presi un panino arrostito per colazione; e cambiai la prima delle mie monete d'oro
per pagare il conto senza dimenticare di dare laute mance a tutti i servi, come deve fare un
gentiluomo.

Cominciai così il primo giorno della mia vita nel mondo, e così ho continuato. Nessuno è mai
stato in strettezze peggiori delle mie, ed io ho conosciuto la miseria più nera e la più dura
povertà, ma nessuno può dire di me che, se avevo una ghinea, non fossi generoso e non la
spendessi con la prodigalità di un lord.

Non temevo il futuro: pensavo che un uomo delle mie qualità, talento e coraggio, si sarebbe
fatto strada ovunque. E poi avevo in tasca venti ghinee d'oro, somma che (in questo
sbagliavo) calcolavo sarebbe durata quattro mesi almeno; nel frattempo avrei potuto fare
qualche cosa per raggiungere la fortuna.

Così cavalcavo, cantando tra me e me, o chiacchierando con i passanti; tutte le ragazze
lungo la strada dicevano: - Guarda che bel giovanotto!

Quanto a Nora ed a Castle Brady, mi sembrava che tra ieri ed oggi fossero passati almeno
dieci anni. Feci voto che non sarei mai più tornato in quel lungo se non fossi diventato un
grand'uomo, e mantenni il voto, come si vedrà al momento opportuno.

A quei tempi c'era più vita e più movimento di ora sulle strade maestre; oggigiorno le
carrozze di posta portano da un capo all'altro del Regno in poche diecine di ore. La gente
come si deve viaggiava a cavallo o in carrozze di proprietà, e si perdevano tre giorni per un
viaggio che oggi richiede dieci ore; così non mancava mai la compagnia a chi viaggiasse
verso Dublino. Feci parte del viaggio da Carlow a Naas con un gentiluomo ben armato che
veniva da Kilkenny vestito di una giubba di fustagno verde ed oro, con una benda sull'occhio
e che cavalcava una magnifica giumenta. Mi fece le consuete domande: dove ero diretto e
se mia madre non aveva paura dei banditi per permettermi di viaggiare solo, giovane
com'ero. Ma io dissi tirandone una fuori della fondina, che avevo un paio di magnifiche
pistole, che avevano già fatto il loro servizio ed erano pronte a farlo di nuovo.

A questo punto, mentre ci veniva incontro un uomo butterato dal vaiolo, il mio compagno
diede di sprone alla sua cavalla baia e mi lasciò. Era un animale molto più robusto del mio, e
per di più io non volevo stancare il mio cavallo, perché volevo arrivare a Dublino quella sera
stessa, in buone condizioni.
Mentre mi avvicinavo a Kilcullen, vidi un crocchio di contadini riuniti intorno ad una carrozza
con un cavallo, ed il mio amico dall'abito verde, che galoppava mezzo miglio lontano su per
la collina. Un servo stava gridando, "Al ladro, al ladro!" con tutta la voce che aveva in corpo:
ma i contadini vicini ridevano del suo imbarazzo, e facevano ogni sorta di scherzi
sull'avventura che gli era capitata.

- Certo, avreste dovuto tenerlo lontano col vostro trombone!

diceva uno di quei tali.

- Oh, il vile! Farvi bastonare dal Capitano; e pensare che ha un occhio solo! - gridava un
altro.

- La prossima volta che la signora si metterà in viaggio, farà bene a lasciarvi a casa! - disse
un terzo.

- Cos'è tutto questo chiasso, giovanotti? - esclamai io, precipitandomi a cavallo in mezzo a
loro; ed avendo visto una signora, nella carrozza, molto pallida e spaventata, con qualche
frustata feci filar via quei mascalzoni dalle gambe rosse.

Cosa è accaduto, signora, che ha disturbato vostra signoria? le dissi, togliendomi il cappello,
e mettendo la mia giumenta di fianco al finestrino della carrozza.

La signora spiegò. Era la moglie del Capitano Fitzsimons, e andava a Dublino a raggiungere
suo marito. La sua carrozza era stata fermata da un bandito, e quel gran babbeo del suo
servo era caduto in ginocchio davanti a lui, benché fosse armato. E nonostante che ci
fossero trenta persone nel campo vicino a lavorare quando quel farabutto l'aveva aggredita,
nessuno si era mosso per aiutarla, ma invece avevano salutato il "Capitano" (così
chiamavano il bandito) augurandogli buona fortuna.

- Certo, è l'amico dei poveri - disse un tizio - e buona fortuna a lui!

- Erano affari nostri? - chiese un altro.


Ed un altro ancora disse, sogghignando, che quello era il famoso Capitan Freny, che dopo
aver corrotto la giuria, per farsi assolvere, due giorni prima, alle assise di Kilkenny, era
montato a cavallo alla porta della prigione, ed il giorno seguente aveva già svaligiato due
avvocati che aveva trovato sul suo cammino.

Dissi a quella manica di farabutti di tornare a lavorare o avrebbero assaggiato il mio


scudiscio, e cominciai, meglio che potevo, a confortare la signora Fitzsimons della sua
disgrazia.

- Aveva perduto molto?

- Tutto, la borsa che conteneva più di cento ghinee, i gioielli, la tabacchiera, gli orologi, ed un
paio di fibbie da scarpe di diamanti del Capitano.

La commiserai sinceramente per questa disgrazia e, sentendo dal suo accento che era
inglese, deplorai la differenza che esisteva tra i due paesi. Dissi che nel nostro paese (volevo
intendere l'Inghilterra) simili infamie erano sconosciute.

- Oh, anche voi siete inglese? - disse lei, con evidente tono di sorpresa.

A questa frase le risposi che ero orgoglioso di esserlo; e non ho mai conosciuto un vero
gentiluomo Tory di Irlanda che non volesse poter dire altrettanto.

Cavalcai così a fianco della carrozza della signora Fitzsimons per tutta la strada fino a Naas,
e siccome era stata derubata della sua borsa le chiesi il permesso di prestarle un paio di
monete d'oro per pagare le spese dell'albergo: somma ch'ella si compiacque benignamente
di accettare e nel medesimo tempo fu così gentile da invitarmi a condividere con lei il pranzo.

Alle domande della signora sulla mia nascita ed i miei parenti risposi che ero un giovane
gentiluomo con un grosso patrimonio (questo non era vero, ma chi ha l'abitudine di farsi più
piccolo di quello che è? La mia cara madre mi aveva insegnato presto questo tipo di
prudenza); e una buona famiglia nella contea di Waterford, che andavo a Dublino per i miei
studi e che mia madre mi passava cinquecento sterline l'anno. La signora Fitzsimons fu del
pari molto comunicativa. Era la figlia del generale Granby Somerset, del Worcestershire di
cui naturalmente io avevo sentito parlare (benché non ne avessi inteso parlare affatto, ero
troppo ben educato per dirlo); ed aveva fatto, doveva confessarlo, un matrimonio d'amore
con il Tenente Fitzgerald Fitzsimons. Ero mai stato a Donegal?
No? Che peccato! Il padre del Capitano possedeva centomila acri laggiù e Fitzsimonsburgh
Castle è il più bel castello dell'Irlanda.

Il Capitano Fitzsimons era il figlio maggiore, e benché avesse litigato con suo padre, doveva
ereditarne i vasti possedimenti.

Continuò a parlarmi dei balli di Dublino, dei banchetti al Castello delle corse di cavalli al
Phoenix, dei ridotti, dei veglioni, così che avevo sempre più voglia di prender parte a questi
divertimenti, ed ero preoccupato soltanto pensando che la mia delicata posizione rendeva
necessaria una certa riservatezza, e mi avrebbe impedito di essere presentato alla Corte, di
cui i Fitzsimons erano i più eleganti frequentatori. Come era diverso il loro vivace ambiente
dalle riunioni di Kilwangan frequentate dalle fantesche! Ad ogni sua frase ella nominava un
lord o qualche persona importante. Parlava evidentemente francese ed italiano, mentre io le
avevo confessato di sapere soltanto qualche parola della prima delle due lingue, e quanto al
suo accento inglese, forse non ero in grado di giudicarlo, perché, a voler dire la verità, era la
prima persona inglese vera che avessi mai incontrato.

Mi raccomandò, tuttavia, di essere molto cauto nella scelta delle compagnie che avrei
incontrato a Dublino, dove abbondavano avventurieri e farabutti di ogni paese; si può, quindi,
immaginare la mia gioia e la gratitudine che provai per lei, quando, man mano che la nostra
conversazione diventava più intima (eravamo arrivati alla fine del pranzo), mi offrì
gentilmente di sistemarmi a casa sua, dove il caro Fitzsimons, diceva, avrebbe accolto con
gioia il suo giovane e valoroso salvatore.

- Purtroppo, signora - dissi io - non sono riuscito a salvare niente.

Ciò era assolutamente vero, perché ero arrivato troppo tardi, dopo il furto per impedire al
bandito di toglierle il denaro e le perle.

- Del resto, signora, non era gran che - disse Sullivan, il servo sciocco che si era tanto
spaventato all'arrivo di Freny, e che ci stava servendo il pranzo. - Non vi ha restituito i tredici
pence di rame e l'orologio, dicendo che era di princisbecco?

Ma la signora rimproverò l'impudente valletto, e lo mandò subito fuori della stanza, e quando
se ne fu andato, mi disse:

- Quello sciocco non conosce il valore di un biglietto da cento sterline che era nel portafoglio
che Freny mi ha tolto.
Forse se fossi stato un po' più vecchio, e con un po' più di esperienza del mondo, avrei
cominciato a capire che la signora Fitzsimons non era la persona distinta che pretendeva di
essere; ma, date le circostanze, presi per buone tutte le sue storie, e quando il padrone portò
il conto del pranzo, lo pagai con l'aria di un lord. In realtà ella non fece neppure la mossa di
tirar fuori le due monete d'oro che le avevo prestato, dopo di che ci dirigemmo lentamente
verso Dublino, ove entrammo al cader della notte.

Lo strepito e lo splendore delle carrozze, le fiamme delle torce portate dai ragazzi, il numero
e la magnificenza delle case - mi riempirono della maggior meraviglia; tuttavia cercai di
dissimulare questo sentimento, secondo i consigli della mia cara madre, che mi aveva detto
essere segno di distinzione per un uomo non mostrar mai di meravigliarsi di niente, e non
ammettere mai che una casa, un equipaggio, o una compagnia che vede siano più splendide
o più alla moda di quella che normalmente vede o frequenta a casa sua.

Ci fermammo alla fine ad una casa di aspetto piuttosto meschino, ed entrammo in un


corridoio molto meno pulito di quello di Barryville, in cui si sentiva un odore penetrante di
zuppa e di punch. Un uomo grasso, col viso rosso acceso, senza parrucca, in una veste da
camera quasi a pezzi e col berretto da notte, uscì dalla stanza d'ingresso ed abbracciò sua
moglie (poiché quell'uomo era il Capitano Fitzsimons) con moltissima cordialità. Per di più
quando vide che un forestiero la accompagnava, tornò ad abbracciarla con maggior
entusiasmo di prima. Nel presentarmi, ella continuò a dire che ero il suo salvatore e mi fece
dei complimenti per il mio valore, come se avessi ucciso Freny, invece di arrivare quando il
ladrocinio era già compiuto.

Il Capitano disse che conosceva bene ed intimamente i Redmonds di Waterford,


dichiarazione che mi spaventò, perché non sapevo niente della famiglia a cui avevo
dichiarato di appartenere. Ma io gli chiusi la bocca domandandogli quali dei Redmonds
conosceva, perché non avevo mai sentito il suo nome nella nostra famiglia.

Disse che conosceva i Redmonds di Redmonds-Town.

- Oh! - dico io - i miei sono i Redmonds di Castle Redmond; - e così lo misi fuori pista. Andai
a vedere che il mio ronzino fosse ben sistemato nella stalla, col cavallo e la carrozza del
Capitano, poi tornai al mio ospite.

Benché vi fossero su un piatto incrinato gli avanzi di una cotoletta di montone con le cipolle,
proprio davanti a lui, il Capitano disse:

- Amor mio, avrei voluto essere informato del tuo arrivo, perché Bob Morlay ed io abbiamo
appena finito il più delizioso piatto di cacciagione che Sua Grazia il Lord Luogotenente ci
abbia mai inviato, con una bottiglia del miglior champagne della sua cantina. Conosci quel
vino, mia cara? Ma quel che è stato è stato, e non vale la pena di piangerci sopra; che ne
direste di una buona aragosta e di una bottiglia di chiaretto del migliore che ci sia in Irlanda?
Betty, porta via questa roba dalla tavola, e da' il benvenuto in casa nostra alla signora ed al
nostro giovane amico.

Non avendo spiccioli, il signor Fitzsimons mi chiese di prestargli una moneta da dieci pence
per comprare il piatto di aragosta; ma la signora gli porse una delle ghinee che gli avevo dato
e la diede alla ragazza dicendole di cambiarla e di procurarsi da cena.

Ella andò via subito e riportò di resto alla padrona soltanto pochi scellini, dicendo che ii
pesciaiolo aveva tenuto il resto a saldo di un vecchio conto.

- E tu sei stata tanto stupida, da dargli la moneta d'oro! strillò il signor Fitzsimons.

Ho dimenticato quante centinaia di ghinee disse di aver pagato a quell'individuo durante


l'anno.

Il pranzo fu accompagnato, se non da una grande eleganza di trattamento, almeno da una


quantità di aneddoti riguardanti le più notevoli personalità cittadine, con le quali, a dargli
retta, il Capitano viveva nella più cordiale intimità.

Per non restare indietro, gli parlai dei miei feudi e della mia proprietà come se fossi stato
ricco al pari di un duca.

Gli raccontai tutte le storie della nobiltà che avevo sentito da mia madre, e anche qualcuna
che, forse, mi ero inventata; ed avrei dovuto accorgermi che costui era un impostore per il
solo fatto che non rilevò gli errori e le inesattezze che gli dicevo.

Ma i giovani sono sempre troppo fiduciosi. Ci volle un po' di tempo prima che comprendessi
che non avevo fatto una conoscenza molto desiderabile incontrando il Capitano Fitzsimons e
sua moglie, e quindi andai a letto congratulandomi con me stesso per la buona fortuna che
avevo avuto imbattendomi, proprio al principio delle mie avventure, in una coppia tanto
distinta.
Anche l'aspetto della camera che mi fu assegnata avrebbe dovuto farmi immaginare che
l'erede di Fitzsimonsburgh Castle, contea di Donegal, non si era ancora riconciliato con i suoi
ricchi genitori, e se fossi stato un ragazzo inglese, probabilmente mi sarebbero sorti subito
dubbi e sfiducia. Ma forse, come il lettore sa, non siamo troppo schizzinosi in Irlanda in fatto
di pulizia come lo si è in quello schizzinoso paese; di conseguenza, il disordine della mia
camera da letto non mi colpì troppo. Non avevamo forse anche noi tutti i vetri rotti e sostituiti
da stracci a Castle Brady, la superba magione di mio zio?

Avevamo mai avuto laggiù una serratura alla porta? O se c'era la serratura, un paletto per
chiuderla? O un fermaglio che tenesse?

Così, nonostante che la mia camera da letto presentasse tutti questi inconvenienti, ed anche
qualcuno di più, benché la mia coperta da letto fosse stata evidentemente un abito di
broccato della signora Fitzsimons macchiato di grasso, ed il vetro della mia toeletta fosse
spezzato e non più grande di una moneta da mezza corona, ero talmente abituato a
condizioni simili nelle case irlandesi, che ritenni di trovarmi in quella di una persona distinta.
Non vi era serratura nemmeno ai cassetti, che quando si aprivano, apparivano pieni dei
vasetti di rossetto della mia ospite e delle sue scarpe, corsetti e stracci: così dovetti lasciare
la mia roba nella valigia, ma misi il mio necessario da viaggio d'argento sulla stracciata
tovaglia del cassettone dove brillava con grande splendore.

Quando Sullivan si fece vedere la mattina seguente, gli chiesi notizie della mia cavalla, ed
egli m'informò che stava bene. Gli chiesi, quindi, di portarmi l'acqua calda per la barba, con
tono di voce forte e pieno di dignità.

- Acqua calda per la barba! - dice lui, scoppiando a ridere (e debbo confessarlo, non senza
ragione). - Siete forse voi che dovete radervi? - continuò. - E forse quando vi porto l'acqua
dovrò portarvi anche la gatta di casa, che così avrete qualche cosa a cui levare il pelo?

Tirai una scarpa sulla testa di quel mascalzone per risposta alla sua impudenza, e poi andai
a raggiungere i miei amici in salotto per la colazione. Venni accolto con grande calore e con
la stessa tovaglia che era stata usata la sera prima: la riconobbi dalla traccia nera che vi
aveva lasciato il piatto dello stufato irlandese e da una macchia di birra cadutavi durante la
cena.

Il mio ospite mi salutò con grande cordialità; e la signora Fitzsimons disse che avevo un
aspetto che avrebbe fatto un'ottima figura al Phoenix. Del resto, modestia a parte, posso dire
che a Dublino vi erano molti ragazzi più brutti di me. Non avevo ancora il possente torace e
l'aspetto muscoloso che ho acquistato più tardi (in cambio, ohimé! delle gambe con la gotta e
delle dita con l'artrite; ma questo è naturale negli uomini), ma ero arrivato quasi alla mia
attuale altezza di sei piedi, e con i miei capelli a boccoli, un elegante jabot di merletto e di
polsini alla camicia, un gilet di seta rossa, ricamato d'oro, sembravo proprio il gentiluomo che
ero. Portavo una giacca marrone con bottoni piatti, che mi era diventata troppo stretta, e per
questo restammo d'accordo col Capitano Fitzsimons che avremmo fatto una visita al suo
sarto, per farmi fare una giacca più adatta alla mia corporatura.
- Non c'è bisogno che vi chieda se siete stato a vostro agio nel letto - mi disse. - Il giovane
Fred Pimpleton (il secondo figlio di Lord Pimpleton) ci ha dormito per i sette mesi durante i
quali mi ha fatto l'onore di stare con me, e se egli è stato soddisfatto, non so chi altri non lo
dovrebbe essere.

Dopo colazione uscimmo per vedere la città, e Fitzsimons mi presentò a molti dei suoi
conoscenti che incontrammo, come il suo giovane ed intimo amico, signor Redmond della
contea di Waterford; mi presentò anche al suo cappellaio ed al suo sarto come un giovane di
belle speranze e di grandi possibilità; e benché dicessi a quest'ultimo che non potevo pagare
a pronti contanti più di una giacca, che mi tornava a pennello, insisté per farmene diverse, ed
io non credetti di dover rifiutare. Anche il Capitano, che certo aveva bisogno di rinnovare il
suo guardaroba, disse al sarto di mandargli a casa un'elegante giubba militare, che aveva
scelto.

Poi tornammo a casa dalla signora Fitzsimons, che ci portò, con la sua carrozza, al Phoenix
Park, dove c'era una rivista, e dove numerosi giovani della migliore società le ronzavano
attorno; a tutti mi presentò come il suo salvatore del giorno prima. E invero i complimenti che
ella mi fece erano tanti e tali che prima di mezz'ora ero considerato da tutti come un giovane
gentiluomo di una delle migliori famiglie del paese, imparentato con la più alta nobiltà, cugino
del Capitano Fitzsimons ed erede di 10.000 sterline l'anno. Fitzsimons assicurò di aver
percorso a cavallo tutto il mio feudo palmo a palmo, ed in realtà, poiché voleva raccontare
simili storie sul mio conto, lo lasciavo fare, ed anzi ero non poco compiaciuto (giovane
com'ero) di avere tanta importanza e di passare per un grande personaggio.

Non avevo ancora capito di essere capitato nelle mani di una banda di impostori, che il
Capitano Fitzsimons era soltanto un avventuriero e sua moglie una donna di nessun credito,
ma questi sono i pericoli a cui i giovani sono sempre esposti, e per conseguenza i giovani
potranno da me imparare come guardarsi.

Mi affretto, pertanto, a terminare la descrizione di questo periodo della mia vita, in cui gli
incidenti furono dolorosi, e di non grande interesse, salvo che per la mia infelice persona,
avendo trovato certi compagni non certo del tipo più conveniente alla mia qualità.

Il fatto è che difficilmente un giovane può capitare in mani peggiori di quelle in cui ero caduto
io. Più tardi sono stato a Donegal, e non ho mai visto il famoso castello di Fitzsimonsburgh,
la cui esistenza è del resto ignorata anche dai più vecchi abitanti della contea; e neppure i
Granby Somersets sono più conosciuti nello Hampshire. La coppia nelle cui mani ero caduto
era di un tipo più comune allora che oggi, in cui le grandi guerre degli ultimi tempi hanno reso
molto difficile ai lacché ed agli scrocconi dei nobili fare i procacciatori di gradi militari, e quello
di scroccone, in realtà, era stato il mestiere originale del Capitano Fitzsimons. Se avessi
conosciuto la sua origine, naturalmente, avrei preferito morire che unirmi a lui; ma in quegli
ingenui giorni della gioventù, prendevo tutti i suoi racconti come verità, e mi immaginavo di
aver avuto una grande fortuna per essere stato introdotto, proprio all'inizio della mia vita, in
una famiglia simile.
Ohimè! siamo i giocattoli del destino. Quando penso da quali piccole circostanze hanno
avuto origine tutti i grandi avvenimenti della mia vita, posso appena credere di essere stato
qualche cosa di diverso da un fantoccio nelle mani del Fato, che mi ha giocato i tiri più
fantastici.

Il Capitano era stato il domestico di un gentiluomo, e sua moglie non era di rango più
elevato. La società che questa bella coppia frequentava era del tipo ordinario a cui anche
loro appartenevano, ed in cui gli amici sono sempre benvenuti se pagano una certa somma
per il pranzo.

Dopo pranzo potete essere sicuri che non mancavano le carte, e che la compagnia che
giocava non giocava soltanto per l'onore. A queste riunioni partecipavano persone di ogni
razza: giovani ufficiali dei reggimenti di guarnigione a Dublino, giovani impiegati del Castello,
speculatori sui cavalli, bevitori di vino, gente che eludeva la vigilanza delle guardie notturne
della città; tutto quell'insieme di persone equivoche che esisteva a quel tempo a Dublino in
maggior quantità di quella che ho riscontrato in qualsiasi altra città d'Europa. Non ho mai
visto giovanotti mettersi tanto in mostra, e con tanto pochi quattrini.

Non ho mai conosciuto dei giovani gentiluomini che avessero quello che potrei chiamare la
vocazione dell'ozio, e mentre un inglese con cinquanta sterline l'anno non può fare molto più
che morir di fame o ammazzarsi di fatica come uno schiavo in qualche professione, un
giovane bellimbusto irlandese con la stessa somma manteneva i suoi cavalli, beveva la sua
bottiglia e viveva ozioso e tranquillo come un lord. Un medico che non aveva mai avuto un
paziente si trovava fianco a fianco con un avvocato che non aveva mai avuto un cliente:
nessuno dei due possedeva una ghinea, ma sia l'uno che l'altro avevano un buon cavallo per
galoppare nel Parco e addosso l'abito migliore che si possa immaginare. Un giovane pastore
che andava avanti senza mezzi; molti giovani commercianti di vino che consumavano più
alcool di quanto ne avessero mai comprato o venduto, ed uomini di simile schiatta
formavano la società, in cui, per mia cattiva sorte, ero capitato. Che cosa poteva accadere,
se non qualche guaio, ad un uomo in simile compagnia? (e non ho parlato delle signore di
quella società, che erano, forse, anche peggio degli uomini). Così in un tempo breve, molto
breve, divenni la loro preda.

Quanto alle mie povere venti ghinee, in tre giorni vidi con terrore che erano ridotte ad otto: i
teatri e le taverne avevano aperto tali spaventosi vuoti nella mia borsa. Al gioco avevo
perduto, è vero, un paio di monete; ma vedendo che tutti quanti, nella mia comitiva
giocavano sulla parola e firmavano degli assegni, anche io, naturalmente, preferii quel
sistema al pagamento a pronta cassa, e quando perdevo pagavo sempre in quel modo.

Coi sarti, sellai ed altri impiegavo metodi non diversi, e la presentazione di Fitzsimons mi
fece molto comodo, perché i commercianti avevano creduto alla sua parola a proposito del
mio patrimonio (ho saputo poi che quel farabutto precedentemente aveva accalappiato molti
altri giovani più ricchi di me), e per un po' di tempo mi fornirono tutti gli oggetti che mi
compiacevo di ordinare. Alla fine, poiché il contante diventava sempre più scarso, fui
costretto a mettere in pegno qualcuno degli abiti che il sarto mi aveva fornito, perché non
volevo separarmi dalla mia cavalla, con cui tutti i giorni facevo una galoppata al Parco, e che
avevo cara, essendo un dono del mio rispettabile zio. Ottenni anche un po' di denaro
vendendo qualche piccolo gioiello che avevo acquistato da un gioielliere che mi aveva fatto
credito, e così fui in grado di salvare le apparenze ancora per un po' di tempo.

Più volte chiesi all'ufficio postale se c'erano lettere per il signor Redmond, ma non ne era
arrivata nessuna, e del resto ero quasi soddisfatto quando sentivo quella risposta "No"; infatti
non avevo molta voglia che mia madre venisse a conoscere la mia condotta nella
stravagante vita che conducevo a Dublino. Tuttavia non potevo andare avanti un pezzo; così
che, quando i miei denari furono definitivamente esauriti e feci una seconda visita al sarto
per chiedergli di farmi altri vestiti, e quel bel tipo brontolò, nicchiò ed alla fine ebbe
l'impudenza di chiedermi il pagamento di quelli che già mi aveva fornito, a queste parole,
dopo avergli detto che gli avrei tolto la mia fornitura, lo lasciai bruscamente.

Anche l'orefice (una birba di giudeo) rifiutò di consegnarmi una catena d'oro di cui avevo
voglia, ed in conseguenza sentii, per la prima volta, un certo imbarazzo. A rendere colma la
misura, uno dei giovani gentiluomini che frequentavano la pensione di Fitzsimons aveva
ricevuto da me, durante il gioco, una cambiale per diciotto sterline (che avevo perduto con lui
al picchetto), ed avendo un debito verso Mister Curbyn, lo stalliere, aveva passato il
documento nelle mani di quell'individuo. Immaginate dunque la mia rabbia e la mia
meraviglia, quando, andando a prendere la mia cavalla, vidi che egli si rifiutava nettamente
di farla uscire dalla stalla, se non avessi prima fatto fronte al mio impegno!

Invano gli offrii la scelta tra quattro cambiali che avevo in tasca, una di Fitzsimons per 20
sterline, una del Consigliere Mulligan e così via; il proprietario della rimessa, che era dello
Yorkshire, scosse la testa e rise alla vista di questi documenti, e disse:

- Master Redmond, mi sembrate un bravo giovanotto, di buona famiglia e di buone


condizioni: permettete, perciò, che vi dica all'orecchio che siete caduto in mani molto brutte...
è una vera banda di truffatori; ed un gentiluomo del vostro rango e della vostra qualità non
dovrebbe farsi vedere mai in simile compagnia.

Tornate a casa: fate la valigia, pagatemi quella bazzecola che mi dovete, montate sulla
vostra cavalla e tornate dai vostri genitori. E' la cosa migliore che possiate fare.

Davvero, in che bel nido di farabutti ero capitato! Sembrava che tutte le disgrazie mi
dovessero cadere addosso insieme, perché, mentre tornavo a casa e salivo in camera da
letto triste e sconsolato, trovai il Capitano e sua moglie davanti a me, la valigia aperta, la mia
roba buttata sul pavimento e le chiavi in mano di quell'odioso Fitzsimons.
- Chi dunque ho alloggiato in questa casa? - gridò mentre entravo nell'appartamento. - Chi
siete, Sirrah? (9) - Sirrah? Signore - risposi io, - sono un gentiluomo alla pari di tanti altri, qui
in Irlanda.

- Siete un imbroglione, giovanotto; un intrigante, un impostore!- urlò il Capitano.

- Ripetete ancora queste parole e ve le ricaccerò in gola risposi.

- Zitto, zitto! So tirar di scherma bene quanto voi, signor Redmond Barry. Ah, cambiate
colore, ora - il vostro segreto è conosciuto non è vero? Venite come una vipera nel seno
delle famiglie innocenti! Vi presentate come erede dei miei amici Redmonds di Castle
Redmond; vi presentate alla nobiltà ed ai borghesi di questa metropoli... - (la pronuncia del
Capitano era larga e le sue parole, preferibilmente, lunghe); - vi porto dai miei fornitori, che vi
fanno credito e cosa trovo? Che avete dato in pegno gli oggetti che avete preso nei loro
negozi.

- Ho dato loro le mie garanzie, signore - dissi con aria dignitosa.

- Sotto quale nome, disgraziato ragazzo, sotto quale nome? strillò la signora Fitzsimons; ed
allora, ad un tratto, ricordai che avevo firmato i documenti Barry Redmond, invece di
Redmond Barry, ma che altro potevo fare? Mia madre non aveva forse desiderato che non
prendessi altro nome che quello? Dopo avere rivolto contro di me una tirata violentissima, in
cui dichiarò di avere scoperto per combinazione il mio vero nome sulla mia biancheria, egli
parlò della sua fiducia e del suo affetto così mal riposti, e della vergogna con cui sarebbe
stato obbligato a parlare ai suoi eleganti amici ed a confessar loro che aveva ospitato un
impostore.

Raccolse poi la biancheria, i vestiti, gli articoli da toeletta d'argento, ed il resto della mia roba,
e dichiarò che sarebbe uscito per andare a chiamare una guardia e consegnarmi alla giusta
vendetta.

Durante la prima parte del suo discorso, il pensiero dell'imprudenza di cui mi ero reso
colpevole e dell'impiccio in cui mi ero cacciato, mi aveva tanto imbarazzato e tanto confuso,
che non seppi trovare neppure una parola per rispondere agli insulti di quel bel tipo, così che
ero rimasto muto davanti a lui, ma il senso del pericolo alla fine mi indusse all'azione.
- Sentite, Fitzsimons - dissi - vi dirò perché sono stato costretto ad alterare il mio nome, che
è Barry ed il nome migliore che vi sia in Irlanda. L'ho cambiato, signore, perché il giorno
prima di venire a Dublino ho ucciso un uomo in mortal tenzone...

un inglese, signore, Capitano al servizio di Sua Maestà. E se non mi farete passare, o mi


ostacolerete in qualsiasi maniera, il braccio che ha colpito lui è pronto a castigare anche voi;
e per il Cielo, signore, o voi od io non lasceremo vivi questa stanza!

Così dicendo, feci balenare la mia spada come una folgore, e dopo aver gridato: - Ah, ah! - e
battuto forte il piede, la distesi ad appena un pollice di distanza dal cuore di Fitzsimons, che
fece un salto indietro e diventò pallido come un morto, mentre sua moglie, con un grido, si
precipitava tra noi due.

- Carissimo Redmond - gridò - calmatevi! E tu Fitzsimons, non vorrai il sangue di questo


povero figlio! Fallo scappare... in nome del Cielo, fallo andar via.

- Può anche andare a farsi impiccare, per me - disse con voce cupa Fitzsimons - e farebbe
meglio a farlo in fretta, perché il gioielliere ed il sarto mi hanno già chiamato una volta e
saranno di nuovo qui tra poco. E' stato Moses, il prestatore su pegno, che lo ha denunciato:
anche io ho saputo da lui di tutti quegli imbrogli.

Dalla qual cosa dedussi che Fitzsimons era andato dall'ebreo per impegnare la giubba nuova
di merletto che si era procurata dal sarto il giorno in cui mi aveva fatto credito per la prima
volta.

Quale fu la fine della nostra conversazione? Dove trovare una casa per il discendente dei
Barrys? La mia casa paterna mi era chiusa per l'incidente del duello. Ero cacciato via da
Dublino per una persecuzione, provocata, debbo confessarlo, dalla mia imprudenza.

Non avevo tempo di aspettare per scegliere; nessun luogo di rifugio in cui fuggire.
Fitzsimons, dopo la sua lite con me, lasciò la stanza brontolando, ma non come un nemico;
sua moglie insisté perché ci stringessimo la mano, e promise di non molestarmi.

In realtà non dovevo niente a quell'individuo, anzi avevo in quel momento in tasca la sua
dichiarazione per un po' di denaro perso da lui al gioco. Quanto alla mia amica Fitzsimons,
essa si sedette sul letto, e ad un tratto scoppiò in un dirotto pianto. Aveva le sue colpe, ma il
cuore buono, e benché tutto il suo patrimonio al mondo consistesse soltanto in tre scellini e
quattro pence di rame, la povera diavola me le volle dare prima che la lasciassi per
andarmene... dove? Ma avevo già preso una decisione; in città vi era una ventina di gruppi di
reclutamento che andavano in cerca di uomini desiderosi di raggiungere le nostre valorose
truppe in America ed in Germania: sapevo dove trovarne uno, essendo amico di un sergente
che avevo conosciuto ad una rivista a Phoenix Park, in cui mi aveva mostrato come un
giovane modello per coloro che desideravano recarsi al campo, per la qual cosa gli avevo
offerto da bere.

Diedi uno dei miei scellini a Sullivan, il maggiordomo dei Fitzsimons e dopo essermi
precipitato in strada, mi affrettai a recarmi alla piccola birreria in cui aveva il suo quartier
generale il mio amico, e prima che fossero passati dieci minuti mi aveva arruolato al soldo di
Sua Maestà.

Gli dissi francamente che ero un giovane gentiluomo in imbarazzo che avevo ucciso un
ufficiale in duello e che ero ansioso di lasciare il paese.

Ma non c'era neanche bisogno che perdessi tempo a dare spiegazioni; Re Giorgio aveva
troppo bisogno di uomini per potersi informare da che parte venivano, ed un individuo della
mia statura disse il sergente, era sempre il benvenuto. E del resto, mi disse che non avrei
potuto scegliere un momento migliore. Un trasporto era alla fonda a Dunleary, ed aspettava il
vento; ed a bordo di quella nave su cui mi imbarcai quella sera, feci alcune sorprendenti
scoperte, che saranno narrate nel prossimo capitolo.

Capitolo 4

IN CUI BARRY HA UNA VISIONE NUOVA DELLA GLORIA MILITARE

Non ho mai provato altro piacere fuori di quello di una buona compagnia, e odio tutte le
descrizioni di una vita mediocre. In conseguenza il racconto relativo all'ambiente in cui ero
venuto a trovarmi allora deve essere breve, e il suo stesso ricordo mi è profondamente
sgradevole. Ah! il pensiero di quell'orribile buco nero in cui eravamo confinati noialtri soldati,
delle disgraziate creature di cui ero costretto a subire la compagnia, dei villani, dei
vagabondi, dei borsaiuoli che avevano cercato nel servizio militare un rifugio contro la
miseria o la legge (come, in sostanza, avevo fatto anch'io), è sufficiente a farmi vergognare
di me stesso anche ora, e mi sale il rossore sulle mie vecchie guance quando penso che
sono stato costretto a restare non poco tempo in simile compagnia! Mi sarei dato alla
disperazione, se non che, per fortuna, accaddero alcuni eventi che mi sollevarono lo spirito e
mi consolarono, in certo modo, delle mie sventure.

La prima delle consolazioni che provai fu una bella lite, avvenuta il giorno dopo il mio arrivo
sulla nave da trasporto, con un grosso individuo dai capelli rossi, un vero mostro, un
portatore di sedie della spiaggia di Bath ora arruolatosi per sfuggire ad una moglie litigiosa,
la quale per quanto egli fosse un pugilatore, era sempre stata per lui un avversario difficile.
Non appena questo individuo - mi ricordo che si chiamava Toole era sfuggito dalle mani della
lavandaia sua consorte, gli si erano risvegliati il coraggio e la ferocia naturale, ed era
divenuto il tiranno di tutti coloro che gli stavano attorno. Tutte le reclute, specialmente, erano
oggetto dei suoi insulti brutali e dei suoi cattivi trattamenti.

Io non avevo denari, come ho detto, e stavo seduto con aria molto sconsolata davanti a un
piatto di prosciutto rancido e di biscotto ammuffito, che ci era stato distribuito come rancio,
quando venne il mio turno di servirmi da bere, e mi venne messo davanti, come agli altri del
resto, una tazza di stagno sporca, che conteneva un po' più di mezza pinta di rum allungato
con acqua. Il recipiente era tanto sporco e unto che non potei fare a meno di rivolgermi
all'uomo che distribuiva il rancio e dirgli:

- Compagno, portami un bicchiere pulito.

A queste parole tutti quei mascalzoni che mi stavano attorno diedero in uno scoppio di risa, e
più forte di tutti, naturalmente, sghignazzava Toole.

- Portate a quel signore un tovagliolo per le mani, e servitegli una scodella di zuppa di
tartaruga - gridava quel mostro, che stava seduto, o meglio semisdraiato sulla panca di
fronte a me, e mentre diceva così, prese ad un tratto la mia tazza di grog e la vuotò, tra gli
applausi degli altri.

- Se vuoi farlo arrabbiare, sfottilo a proposito di sua moglie la lavandaia, che lo picchia -
bisbigliò a questo punto al mio orecchio un altro degno compare, un lampionaio in ritiro, che,
seccato del suo mestiere, aveva scelto la vita militare.

- E' un tovagliolo lavato da tua moglie, signor Toole? - dissi io.

- Mi hanno detto che spesso ti ha strofinato ben bene la faccia con quello!
- Sfottilo perché non ha voluto vederla ieri, quando è venuta a bordo - continuò il portatorcia.
E così continuai a scherzare con allusioni a base di saponata, beccate di gallina e ferri da
stiro, che fecero andare in collera quell'uomo e fecero nascere una bella lite tra noi. Ci
saremmo precipitati subito l'un contro l'altro, ma un paio di sogghignanti fucilieri di marina,
che stavano di guardia alla porta, per timore che ci pentissimo dell'affare che avevamo fatto
ed avessimo fantasia di fuggire, vennero avanti e si interposero tra di noi con le baionette
inastate. Il sergente discese la scala, avendo sentito la disputa, e finì col dichiarare
amabilmente che potevamo batterci a pugni, da uomini, se ci faceva piacere, e che il
frapponte sarebbe stato sgombrato a questo scopo.

Ma l'uso della boxe, come la chiamano gli Inglesi, non era ancora generale in Irlanda, e così
venne stabilito che ci saremmo battuti con un paio di randelli; e con una di queste rustiche
armi finii quel prepotente in quattro minuti, poiché gli diedi sulla sua stupida zucca un colpo
tale che lo lasciò senza vita sul ponte, senza ricevere in cambio nemmeno un'ammaccatura.

Questa vittoria sul gallo di quel vile pollaio mi fece avere il rispetto di quella compagnia di
mascalzoni di cui ormai anch'io facevo parte, e servì a risollevarmi lo spirito, che altrimenti
sarebbe stato assai abbattuto. La mia posizione poi divenne presto più sopportabile in
conseguenza dell'arrivo, a bordo della nostra nave, di un vecchio amico. Questi non era altri
che il mio padrino nel fatale duello che mi aveva lanciato tanto presto nel mondo, il Capitano
Fagan.

C'era un giovane nobiluomo che possedeva una compagnia del nostro reggimento (i fanti di
Gale), e che preferiva le delizie del Mall e dei circoli ai pericoli di una dura campagna. Egli
aveva dato in conseguenza a Fagan la possibilità di un cambio; l'altro, non avendo altro
patrimonio che la sua spada, era stato lieto di accettare. Il sergente ci stava facendo fare
l'esercizio sul ponte (i marinai e gli ufficiali del trasporto ci guardavano sogghignando)
quando approdò una barca con a bordo il nostro capitano, e benché sobbalzassi e diventassi
rosso quando egli riconobbe me - un discendente dei Barrys - in quella umiliante posizione,
vi posso assicurare che la comparsa del volto di Fagan mi fu molto gradita, perché ero sicuro
che avevo vicino a me un amico.

Prima ero tanto malinconico che avrei certamente disertato se ne avessi avuto i mezzi, e se
non vi fossero stati gli inevitabili fanti di marina a far la guardia per impedire ogni possibilità
di fuga.

Fagan con un'occhiata mostrò di avermi riconosciuto, ma non dette di questo fatto alcuna
dimostrazione pubblica; solo due giorni dopo, quando avevamo già detto addio alla vecchia
Irlanda e ci trovavamo in alto mare, mi chiamò nella sua cabina, e dopo avermi stretto la
mano con grande cordialità, mi diede notizie della mia famiglia, che molto desideravo.
- Ho avuto tue notizie a Dublino - mi disse. - Ed in fede mia hai cominciato presto, da degno
figlio di tuo padre. Ed io credo che non avresti potuto far meglio di quello che hai fatto. Ma
perché non hai scritto a casa alla tua povera madre? Ti ha mandato una mezza dozzina di
lettere a Dublino.

Gli dissi che avevo chiesto le lettere all'ufficio postale, ma non ve ne era nessuna per il
signor Redmond. Non mi piaceva di aggiungere che mi ero vergognato, dopo la prima
settimana, di scrivere a mia madre.

- Possiamo scriverle per mezzo del pilota - disse lui - che ci lascerà tra due ore; e puoi dirle
che sei salvo e che hai sposato la bruna Bess. (10) Sospirai quando l'udii parlare di
sposalizio, e allora disse con una risata:

- Mi accorgo che stai pensando ancora ad una certa signorina di Brady's Town.

- Sta bene Miss Brady? - risposi; ed in realtà potevo appena pronunciare queste parole,
perché effettivamente pensavo a lei, e per quanto l'avessi un po' dimenticata nelle follie di
Dublino, mi accorgevo che l'avversità faceva tornare a galla tutto il mio affetto.

- Ci sono soltanto sette Miss Brady, ora - rispose Fagan con voce solenne. - La povera
Nora...

- Mio Dio! Che ne è stato di lei?

Pensai che il dolore l'avesse uccisa.

- Se la prese tanto per la tua partenza, che fu costretta a consolarsi prendendo marito. Ora è
la signora John Quin.

- Signora John Quin? C'è dunque un altro John Quin? -chiesi io, sbalordito per la notizia.

- No, è lo stesso, ragazzo mio. E' guarito dalla sua ferita. La palla con cui lo hai colpito non
era tale da fargli male. Era fatta soltanto di stoppa. Credi proprio che i Bradys si volessero far
sfuggire una rendita di millecinquecento sterline l'anno?
E quindi Fagan mi disse che per mandarmi fuori dai piedi poiché il vile Capitano inglese non
avrebbe mai consentito al matrimonio per paura di me - avevano combinato il piano del finto
duello.

- Ma tu lo hai colpito in pieno, Redmond, e con una bella palla imbottita di stoppa, e quel
povero diavolo si è tanto spaventato che c'è voluta un'ora per farlo tornare in sé. Più tardi
abbiamo raccontato la storia a tua madre, che ci ha fatto una bella scenata, ha mandato una
decina di lettere a Dublino per richiamarti, ma credo che te le abbia indirizzate col tuo vero
nome, col quale tu non hai mai pensato a chiederle.

- Vile! - dissi (per quanto, lo confesso, fossi molto sollevato al pensiero di non averlo ucciso).
- Ed i Bradys di Castle Brady hanno consentito ad ammettere un codardo simile in una delle
più antiche ed onorevoli famiglie del mondo?

- Ha pagato tutta l'ipoteca di tuo zio - disse Fagan - ed ha dato a Nora una carrozza a sei
cavalli; è sul punto di vendere la sua compagnia, e il Tenente Ulick Brady della Milizia sta per
comprarla. Quel vigliacchissimo individuo è divenuto il pilastro della famiglia di tuo zio. Ed in
fede mia, come affare è stato veramente buono!

Poi, ridendo, mi disse che Mick ed Ulick non lo avevano mai perso di vista, allo scopo di non
farlo scappare in Inghilterra prima che il matrimonio fosse celebrato e la coppia felice
viaggiasse alla volta di Dublino.

- Hai bisogno di qualche soldo, ragazzo mio? - continuò il Capitano di buon umore. - Puoi
trovar credito presso di me, perché io ho avuto un paio di centinaia di sterline da Master Quin
per la parte che ho recitato, e fin che dureranno, non mancherai mai di niente. - E così mi
fece mettere a sedere e scrivere una lettera a mia madre, cosa che feci subito in termini
sinceri e pieni di pentimento; le dichiarai che avevo fatto molte sciocchezze, che non avevo
capito fino a quel momento il fatale errore che stavo commettendo quando mi ero imbarcato
per la Germania come volontario. La lettera era appena finita quando il pilota gridò che stava
per tornare a terra, e partì portando con sé, oltre ai miei, gli estremi addii agli amici della
vecchia Irlanda di parecchie persone ansiose e preoccupate.

Benché sia stato chiamato Capitano Barry per molti anni della mia vita, e sia stato
conosciuto con tale titolo dalle maggiori personalità d'Europa, debbo confessare che non ho
più diritto a tale qualifica della maggior parte dei gentiluomini che l'assumono, e che non ho
mai avuto diritto alle spalline, né ad alcun grado militare più elevato che quello dei galloni del
più modesto caporale. Venni nominato caporale da Fagan durante il nostro viaggio verso la
foce dell'Elba, ed il mio grado venne confermato sulla terra ferma. Mi era stato promesso il
grado di sottufficiale e forse anche quello di alfiere se mi fossi distinto, ma il destino non volle
che restassi a lungo soldato inglese, come si vedrà presto. Nel frattempo la nostra traversata
fu molto favorevole; le mie avventure erano state narrate da Fagan ai suoi colleghi ufficiali,
che mi trattavano con cortesia, mentre la vittoria sul grosso portatore di sedie mi aveva
procurato il rispetto dei miei camerati del frapponte. Incoraggiato e molto esortato da Fagan,
facevo il mio servizio con grande zelo; ma benché fossi gentile e mi mostrassi di buon
carattere con i miei compagni, non potei mai consentire a fare amicizia con simili volgari
individui, e del resto venivo di solito chiamato da loro my lord.

Credo che il soprannome l'avesse trovato il portatorce, un gaio farabutto che mi aveva dato
per primo questo titolo; ed io sentii che potevo meritare quella distinzione con lo stesso diritto
di un qualunque Pari del regno.

Ci vorrebbe uno storico o un filosofo assai più acuto di quanto lo sia io, per esporre le cause
della famosa Guerra dei Sette Anni in cui era impegnata l'Europa; del resto la sua origine mi
è sembrata sempre molto complicata, ed i libri scritti su tale argomento tanto difficili e oscuri,
che di rado ho capito qualche cosa di più alla fine di un capitolo che al principio, ed in
conseguenza farò grazia al lettore di ogni disquisizione mia personale sull'argomento.

Tutto quello che so è che il vecchio amore di Sua Maestà per i suoi domini dell'Hannover lo
aveva reso impopolare nel suo regno inglese e che il signor Pitt era alla testa del partito
contrario alla guerra in Germania. Ma ad un tratto, quando il signor Pitt fu diventato Ministro il
resto dell'Impero applaudì alla guerra molto più di quanto non l'avesse odiata prima. Le
vittorie di Dettingen e di Gefeld erano sulle bocche di tutti, e "l'eroe protestante", come
eravamo soliti chiamare il vecchio ateo Federico Secondo di Prussia, veniva da noi adorato
come un santo, pochissimo tempo dopo il giorno in cui eravamo stati sul punto di fargli la
guerra, alleati con l'Imperatrice regina. Ora però eravamo dalla parte di Federico:
l'Imperatrice, i Francesi, gli Svedesi ed i Russi erano contro di noi; e mi ricordo che quando
le notizie della battaglia di Lisse giunsero al nostro remoto quartiere d'Irlanda la
considerammo un trionfo per la causa del Protestantesimo, e facemmo fuochi e falò di gioia,
e ci fecero una predica in chiesa e celebrammo il compleanno del Re di Prussia. In tale
occasione mio zio si ubriacò; come faceva del resto in tutti i casi consimili.

La maggior parte dei poveri diavoli che si erano arruolati con me erano naturalmente Papisti
(l'esercito inglese era pieno di tal gente che usciva dal nostro inesauribile paese), e questi, in
realtà, combattevano le battaglie del Protestantesimo come Federico, che faceva sentire la
sua forza ai protestanti svedesi e ai protestanti sassoni, come ai Russi della Chiesa greca, e
alle truppe papiste dell'Imperatore e del Re di Francia. Fu contro queste ultime che vennero
impiegati gli ausiliari inglesi, e si sa che, qualunque sia la causa della lite, un Inglese ed un
Francese combattono sempre volentieri tra loro.

Sbarcammo dunque a Cuxhaven, e prima di aver passato un mese nell'Elettorato ero


trasformato in un robusto e valente soldato, ed avendo una naturale attitudine per gli esercizi
militari, ero presto diventato esperto negli esercizi quanto il più vecchio sergente del
reggimento. E' bello sognare guerre gloriose stando comodamente a casa propria in
poltrona, o anche farle da ufficiale, circondati da gentiluomini elegantemente vestiti, ed
incoraggiati da speranze di promozioni. Ma queste speranze non sorridono ai poveri diavoli
in lacere divise; la ruvida stoffa delle nostre giubbe rosse mi faceva vergognare quando
vedevo avvicinarsi un ufficiale; e la mia anima tremava tutta quando andando in giro sentivo
le loro voci mentre sedevano allegramente al tavolo della mensa; il mio orgoglio si rivoltava
quando ero obbligato ad impiastrarmi i capelli di farina e sego di candele, invece di usare la
pomata adatta ai gentiluomini. Sì, i miei gusti sono sempre stati elevati e alla moda, e
l'orribile compagnia in cui ero caduto mi ripugnava. Quali probabilità avevo di una
promozione?

Nessuno dei miei parenti aveva denari per comprarmi il grado, così che il mio spirito divenne
presto tanto abbattuto che desideravo una battaglia generale ed una palla che mi finisse,
mentre facevo voti che mi capitasse l'occasione di disertare.

Quando penso che io, discendente dei Re d'Irlanda, venni minacciato di fustigazione da un
mascalzoncello appena uscito dal Collegio di Eton... quando penso che costui mi offrì di
fargli da attendente, e che, né l'una né l'altra volta, l'ho ammazzato! La prima volta scoppiai
in lacrime (non mi vergogno di confessarlo) ed ebbi gravi tentazioni di suicidio, tanto grande
era stata la mia mortificazione.

Ma il mio bravo amico Fagan mi venne in aiuto anche in questa circostanza, con qualche
frase di consolazione, molto tempestiva.

- Mio povero ragazzo - disse - non devi prendere la cosa così sul tragico. La fustigazione è
soltanto una disgrazia relativa. Il giovane sottotenente Fakenham è stato fustigato anche lui
alla scuola di Eton appena un mese fa, e scommetterei che le sue cicatrici non si sono
ancora chiuse. In gamba, ragazzo mio; fai il tuo dovere, comportati da gentiluomo e non ti
potrà capitare niente di male.

Seppi più tardi che il mio difensore aveva richiamato il signor Fakenham molto severamente
al dovere per la sua minaccia, e gli aveva detto che in futuro avrebbe considerato un
contegno simile come un'offesa personale; in conseguenza, il giovane sottotenente fu, per
qualche tempo, più cortese. Quanto ai sergenti, avevo detto ad uno di loro che se mi avesse
colpito, gli avrei fatto la pelle, chiunque egli fosse e qualunque potesse essere la pena
derivante da questo fatto. E in fede mia, il mio discorso era sembrato così sincero che li
aveva convinti tutti e così, finché rimasi in servizio nell'esercito inglese, le spalle di Redmond
Barry non servirono mai da tamburo. Invero, ero in tali condizioni di collera e di disperazione
che ero ridotto quasi agli estremi, e mi sembrava di udir suonare la mia marcia funebre,
benché fossi sicuro di essere ancora vivo.

Quando fui promosso caporale, alcuni dei miei malanni diminuirono; andavo per speciale
concessione alla mensa dei sergenti, ed ero solito invitarli a bere. Ma perdevo al gioco con
quei farabutti, rimettendoci il denaro che il mio buon amico Fagan puntualmente mi forniva.

Il nostro reggimento, che era accantonato tra Stade e Luneburg, ricevette presto l'ordine di
marciare a sud verso il Reno, perché era giunta notizia che il nostro grande generale, il
Principe Ferdinando di Brunswick, era stato sconfitto... (no, non sconfitto, ma respinto nel
suo attacco contro i Francesi guidati dal Duca di Broglie a Bergen, presso Francoforte sul
Meno) ed era stato obbligato a ripiegare. Poiché gli Alleati si ritiravano, i Francesi venivano
avanti, e conducevano una vigorosa offensiva contro l'Elettorato del nostro grazioso
Monarca, nell'Hannover, minacciando di occuparlo, come avevano fatto prima, quando
D'Estrées aveva battuto l'eroe di Culloden, il valoroso Duca di Cumberland, e lo aveva
costretto a firmare la capitolazione di Closter Zeven. Un'avanzata nell'Hannover provocava
sempre una grande agitazione nel regal seno del Re d'Inghilterra. Altre truppe ci vennero
mandate come rinforzo, aiuti in denaro passarono attraverso le nostre schiere per
raggiungere il Re di Prussia nostro alleato, e benché, nonostante i rinforzi, l'esercito del
Principe Ferdinando fosse molto più debole di quello del nemico invasore, pure noi avevamo
il vantaggio di migliori rifornimenti e di uno dei più grandi Generali del mondo e, vorrei poter
aggiungere, del valore britannico (ma meno si parla di questo e meglio è).

Lord George Sackville non si coprì precisamente di allori a Minden; altrimenti avremmo
riportato là una delle più grandi vittorie dei tempi moderni.

Gettandosi tra i Francesi e l'interno dell'Elettorato, il Principe Ferdinando saggiamente prese


possesso della città libera di Brema, che divenne il suo magazzino e la sua piazza d'armi, ed
attorno ad essa raccolse tutte le sue truppe, preparandosi a combattere la famosa battaglia
di Minden.

Se queste memorie non avessero come elemento dominante la verità, e non volessi scrivere
una sola parola senza che la mia esperienza personale conferisse loro la massima garanzia,
potrei facilmente diventare il protagonista di qualche strana e popolare avventura e secondo
la moda dei romanzieri, introdurre i miei lettori presso i grandi personaggi di quel notevole
periodo storico. Queste persone (i romanzieri, voglio dire), se prendono come protagonista
un tamburino o uno spazzino, combinano le cose in modo da farlo stare in contatto con i più
grandi signori ed i più noti personaggi dell'impero; e scommetto che nessuno di loro, nel
descrivere la battaglia di Minden, farebbe a meno di mettere in primo piano il Principe
Ferdinando, e Lord George Sackville e Lord Granby.

Sarebbe stato facile per me raccontare che ero presente quando venne dato ordine a Lord
George di lanciare alla carica la cavalleria per completare la rotta dei Francesi, e quando egli
rifiutò di farlo, diminuendo in conseguenza la portata della grande vittoria. Ma il fatto è che
ero due miglia lontano dalla cavalleria quando ebbe luogo la fatale esitazione di Sua
Signoria, e nessuno di noi, soldati in linea, seppe quello che era successo, fino a che non
cominciammo a parlarne la sera dopo la battaglia attorno alle marmitte del rancio, prima di
riposare dalle fatiche di una giornata di battaglia duramente combattuta. Quel giorno non vidi
nessuno di grado più alto del mio colonnello, salvo un paio di ufficiali di ordinanza che
galoppavano nel fumo... nessuno dalla nostra parte, cioè. Un povero caporale (quale io
avevo allora la disgrazia di essere) non è generalmente invitato nella compagnia dei
comandanti e dei grandi; ma in compenso, vi assicuro, vidi molte buone compagnie di
Francesi, perché i reggimenti di Lorena ed il Royal Cravate ci caricarono tutto il giorno, ed in
quella sorta di "mélée" se ne danno e se ne prendono da tutte e due le parti.
Non mi piace vantarmi, ma non posso fare a meno di dire che feci una conoscenza molto
intima col Colonnello delle Cravates; perché gli ficcai nel corpo la baionetta, e feci fuori
anche un povero piccolo sottotenente, così giovane, morbido e piccolino, che credo che lo
avrebbe spacciato un colpo del codino della mia parrucca, invece del calcio del moschetto,
con cui lo abbattei.

Uccisi, oltre a questi, quattro altri ufficiali e soldati, e nella tasca del povero sottotenente
trovai una borsa con quattordici luigi d'oro, ed una scatola d'argento piena di "bonbons"; il
primo di questi regali mi fu molto gradito. Se la gente raccontasse la storia delle battaglie in
questa maniera tanto semplice, credo che la causa della verità non ne soffrirebbe per
questo. Tutto quello che so della battaglia di Minden (salvo quello che ho imparato dai libri) è
detto qui sopra. La scatola d'argento di "bonbons" del sottotenente e la sua borsa piena
d'oro, la faccia livida di quel povero diavolo mentre cadeva; le grida degli uomini della mia
compagnia mentre andavo a sparargli sotto un vivace fuoco; le loro grida e le loro
bestemmie quando venimmo corpo a corpo coi Francesi... sono in realtà ricordi non molto
degni, che è meglio sorvolare rapidamente. Quando il mio buon amico Fagan cadde colpito
da una fucilata, un suo collega Capitano suo grande amico si volse al tenente Rawson e
disse:

- Fagan è caduto; Rawson, ecco la tua compagnia.

Fu questo tutto l'epitaffio che toccò al mio buon protettore.

- Avrei voluto lasciarti cento ghinee, Redmond - furono le ultime parole che mi rivolse - ma ho
avuto una maledetta scalogna la notte scorsa al faraone.

Mi diede una breve stretta di mano e quindi, poiché era stato dato l'ordine di avanzare, lo
lasciai. Quando tornammo sulle nostre antiche posizioni, ciò che facemmo presto, giaceva
ancora là, ma era morto. Qualcuno dei nostri gli aveva già tolto le spalline, e senza dubbio gli
aveva anche rubato la borsa. Come divengono mascalzoni e farabutti gli uomini in guerra! E'
bello per i gentiluomini parlare dell'età della cavalleria; ma ricordate quei bruti morti di fame
che i cavalieri guidavano uomini allevati nella miseria completamente ignoranti, abituati ad
inorgoglirsi solo per fatti di sangue - uomini che non avevano altri divertimenti che
l'ubriachezza, le gozzoviglie ed il saccheggio.

Con questi ignobili strumenti i nostri grandi guerrieri ed i nostri grandi Re hanno fatto il loro
sanguinoso lavoro nel mondo; e mentre, per esempio, nel momento attuale stiamo
ammirando il "Grande Federico" (così lo chiamiamo), la sua filosofia, e il suo genio militare,
io che l'ho servito, e sono stato dietro le scene di cui quel grande spettacolo è composto,
posso guardarlo soltanto con orrore. Quanti addendi di crimini, di miseria, di schiavitù,
occorrono per formare quel totale che si chiama la gloria! Mi ricordo che un certo giorno,
circa tre settimane dopo la battaglia di Minden, alcuni di noi erano entrati in una fattoria dove
una vecchia e le sue figlie ci servirono tremando del vino. Ci ubriacammo con quel vino, e la
casa subito dopo, andò in fiamme; e immaginate il dolore di quel disgraziato che
sopraggiunse in tempo soltanto per cercare inutilmente la sua casa e la sua famiglia.

Capitolo 5

NEL QUALE BARRY CERCA DI TENERSI LONTANO IL PIU' POSSIBILE DALLA GLORIA
MILITARE.

Sono costretto a confessare che dopo la morte del mio protettore, il Capitano Fagan,
cominciai a comportarmi nel peggiore dei modi e mi procurai una pessima compagnia.

Essendo anch'egli un rude soldato di ventura, Fagan non era mai stato il favorito tra gli
ufficiali del reggimento, che disprezzavano gli Irlandesi, come qualche volta sanno fare gli
Inglesi, ed erano soliti prenderlo in giro per il suo accento largo e per le sue rustiche e
bizzarre maniere. Ero stato insolente con uno o due di loro, ed avevo evitato la punizione
soltanto per sua intercessione. Specialmente il suo successore, Rawson, non aveva simpatia
per me, e mise un altro al posto di sergente rimasto vacante nella compagnia dopo la
battaglia di Minden. Questo atto di ingiustizia mi rese il servizio militare sempre più
sgradevole, ed invece di cercare di conquistarmi la simpatia dei miei superiori e di vincere la
loro cattiva volontà con la mia buona condotta, pensavo soltanto al mezzo di rendermi la vita
più facile, e mi attaccavo a tutti i divertimenti ed alle distrazioni che potevo. In un paese
straniero, col nemico davanti a noi, e la popolazione sottoposta continuamente a vessazioni
e a tributi ora da una parte ed ora dall'altra, erano permesse alle truppe innumerevoli
irregolarità che non sarebbero state consentite in tempi più pacifici. Scesi a poco a poco a
mescolarmi con i sergenti, e a condividere i loro divertimenti. Bere e giocare erano, mi
dispiace dirlo, i nostri passatempi favoriti, ed io mi gettai su quella strada con tanta foga che,
nonostante fossi un ragazzo di appena diciassette anni, li superai tutti nelle più rischiose
ribalderie; eppure posso assicurarvi che erano molto progrediti in ogni branca della scienza
della perversità.

Sarei certamente caduto nelle mani del prevosto maresciallo se fossi rimasto più a lungo
nell'esercito, ma accadde un incidente che mi fece allontanare dal servizio militare in una
maniera piuttosto originale.
L'anno in cui morì Giorgio Secondo, il nostro reggimento ebbe l'onore di partecipare alla
battaglia di Warburg, dove il marchese di Granby ed i suoi cavalleggeri risollevarono il
discredito in cui era caduta la cavalleria dopo la cattiva prova di Lord George Sackville a
Minden, e dove il Principe Ferdinando disfece completamente i Francesi.

Durante l'azione il mio tenente, Fakenham di Fakenham, il gentiluomo che, dobbiamo


ricordarcene, mi aveva minacciato di fustigazione, venne colpito da una palla di moschetto
nel fianco.

Non aveva dimostrato di mancare di coraggio né in questa, né in qualsiasi altra occasione in


cui era stato chiamato ad agire contro i Francesi, ma questa era la sua prima ferita, ed il
giovane gentiluomo ne fu veramente spaventato. Offrì cinque ghinee per essere portato in
città, cosa che era molto difficile fare, ma io ed un altro lo avvolgemmo dentro un mantello e
lo trasportammo in un posto di aspetto decente, in cui potemmo metterlo a letto, e dove un
giovane chirurgo, che non desiderava di meglio che allontanarsi dal fuoco dei moschetti,
andò subito a curare la sua ferita.

Per entrare in quella casa fummo costretti, sono obbligato a confessarlo, a sparare nella
serratura con le nostre armi. Questa violenta intimazione fece scendere alla porta un
abitante della casa, una donna giovane e graziosa con gli occhi neri, che abitava lì col
vecchio padre mezzo cieco, un "Jagd-meister" in ritiro del Duca di Cassell. Quando i
Francesi erano in città, la casa del Meinherr aveva sofferto come quelle dei suoi vicini e
dapprima quella gente non sembrò molto soddisfatta di accoglierci come suoi ospiti.

Ma il nostro modo di bussare alla porta ebbe l'effetto di ottenere una pronta risposta, e il
signor Fakenham, togliendo un paio di ghinee da una borsa molto piena, convinse facilmente
gli abitanti che avevano a che fare con persone di riguardo.

Dopo aver lasciato il dottore tutto lieto di fermarsi col suo paziente, che mi aveva pagato la
ricompensa stabilita, stavo tornando al mio reggimento, coll'altro mio compagno, non senza
aver rivolto nel mio gergo tedesco alcuni meritati complimenti alla bellezza dagli occhi neri di
Warburg; pensavo con non poca invidia, come sarebbe stato comodo essere alloggiato lì,
quando il soldato che era con me tagliò corto alle mie fantasticherie, affacciando l'idea che
avrei dovuto dividere con lui le cinque ghinee che il tenente mi aveva dato.

- Questa è la tua parte - gli dissi, dando al compare una moneta- ed è anche troppo, perché
sono stato io il capo della spedizione.
Ma lui, con un'orribile bestemmia, dichiarò che dovevamo fare a metà; e quando gli dissi di
andare in un posto che non nomino, quel tipo alzò il moschetto, e con il fondo del calcio mi
tirò una botta che mi lasciò privo di sensi sul terreno. Quando mi svegliai dal mio
stordimento, mi accorsi che perdevo sangue da una larga ferita alla testa, ed ebbi appena il
tempo di ritornare alla casa in cui avevo lasciato il tenente, che caddi di nuovo svenuto
davanti alla porta.

Qui devo essere stato scoperto dal chirurgo mentre usciva; perché quando mi risvegliai una
seconda volta, mi trovai nella stanza terrena della casa, sorretto dalla ragazza con gli occhi
neri, mentre il chirurgo mi stava facendo un abbondante salasso al braccio. Nella stanza
c'era un altro letto, in cui era stato deposto il tenente, e che era normalmente occupato da
Gretel, la serva, mentre Lischen, così si chiamava la mia bella, aveva fino a quel momento
dormito sul letto in cui giaceva l'ufficiale ferito.

- Chi state mettendo in quel letto? - chiese l'ufficiale in tono languido, in tedesco; perché la
palla gli era stata estratta dal fianco con molto dolore e perdita di sangue.

Gli risposero che era il caporale che lo aveva portato lì.

- Un caporale? - esclamò lui in inglese. - Buttatelo fuori!

Potete essere certi che mi sentii molto lusingato da queste parole. Ma eravamo troppo deboli
per farci dei complimenti o dei dispetti l'uno con l'altro, ed io venni messo a letto con cura, e
mentre venivo spogliato ebbi modo di accertarmi che le mie tasche erano già state perquisite
dal soldato inglese, dopo che mi aveva dato quella botta in testa. Comunque ero in un buon
alloggio:

subito la signorina che mi ospitava mi portò una bibita rinfrescante, e mentre la prendevo
non potei fare a meno di premere la dolce mano che me la porgeva; ed in verità questo
segno della mia gratitudine non mi sembrò le fosse sgradito.

La nostra intimità non diminuì coll'aumentare della conoscenza.

Trovai che Lischen era la più tenera delle infermiere. Quando qualche leccornia veniva
portata al tenente ferito, ne veniva sempre mandata una parte al letto opposto al suo, ciò che
seccava non poco quell'avaro individuo.

La sua malattia fu lunga: il secondo giorno gli venne la febbre, e per molte notti ebbe il
delirio. Mi ricordo anche che quando un ufficiale superiore venne ad ispezionare i nostri
quartieri, con l'intenzione probabilmente di farsi assegnare l'alloggio lì, le grida e le parole
insensate del paziente fuori di sé lo colpirono tanto, che si ritirò alquanto spaventato.

Io stavo seduto molto a mio agio nella stanza più bassa dell'appartamento, perché la mia
ferita era quasi guarita, e soltanto quando l'ufficiale mi chiese, con voce rude, perché non ero
al mio reggimento cominciai a riflettere quanto era comoda per me quella sistemazione, e
che stavo molto meglio qui che a strisciare sotto un'odiosa tenda, con un gruppo di soldati
brilli, o in giro a fare la ronda di notte, o ad alzarmi molto prima del levar del sole per
l'istruzione.

Il delirio del signor Fakenham mi diede un'idea; e decisi, da quel momento in poi, di diventare
matto. Avevo conosciuto da ragazzo a Brady's Town un povero diavolo che si chiamava "Bill
il Vagabondo" e da ragazzo spesso avevo imitato per divertimento i suoi sciocchi movimenti,
così che ora potei di nuovo metterli in pratica. Quella sera feci un tentativo con Lischen, e la
salutai con un grido ed una smorfia tali che la spaventarono tanto da farle quasi perdere i
sensi; e quando venne qualcuno ero in preda al delirio. Il colpo alla testa mi aveva
evidentemente scombussolato il cervello, ed il dottore fu pronto ad attestare questo fatto.
Una sera gli sussurrai all'orecchio che ero Giulio Cesare, e lo consideravo la mia amata
sposa, la Regina Cleopatra, così che mi riuscì di convincerlo della mia follia, anche perché
se Sua Maestà la regina fosse stata come il mio Esculapio, avrebbe dovuto avere una barba
color carota, cosa che è piuttosto rara in Egitto.

Un movimento da parte dei Francesi provocò una rapida ritirata delle nostre truppe. La città
venne sgombrata, salvo che da pochi Prussiani, i cui chirurghi dovevano assistere i feriti
rimasti sul luogo; e noi quando fossimo guariti avremmo dovuto tornare ai nostri reggimenti.
Decisi che non avrei mai più raggiunto il mio.

La mia intenzione era di dirigermi in Olanda, che era quasi il solo paese che fosse rimasto
neutrale in Europa a quei tempi, e di lì trovare un passaggio per una qualsiasi località
dell'Inghilterra, e tornare a casa alla vecchia cara Brady's Town.

Se il signor Fakenham è ancora vivo devo fargli le mie scuse per il mio modo di agire. Ma lui
era molto ricco, e mi aveva trattato molto male.

Cercai di metter paura al suo servo, che veniva ad assisterlo dopo l'affare di Warburg, e da
allora in poi mi fu qualche volta permesso di assistere il paziente, che mi trattava sempre con
disprezzo, ma il mio scopo era di poter stare con lui da solo, e sopportavo la sua brutalità
con la massima cortesia e dolcezza, mentre pensavo al modo di riavere la sua fiducia. E del
resto non ero la sola persona della casa verso cui il degno gentiluomo fosse scortese. Dava
ordini per diritto e per traverso alla bella Lischen, le faceva una corte importuna, diceva male
delle minestre che gli serviva, si arrabbiava per le sue "omelettes" e brontolava per il denaro
che doveva darle per il suo mantenimento; così che la nostra ospite lo detestava almeno
quanto, ritengo senza vanità, aveva simpatia per me.

Del resto, a voler dire la verità, avevo fatto molto all'amore con lei durante la mia
permanenza sotto il suo tetto, e del resto questo è sempre stato il mio modo di agire con le
donne, di qualsiasi età e grado di bellezza. Per un uomo che si vuol far strada nel mondo,
quelle care creature possono sempre essere utili, in un modo o nell'altro. Se respingono la
vostra passione non importa; ad ogni modo non si offendono della vostra dichiarazione e vi
guardano soltanto con occhi più gentili, a causa della vostra disgrazia. Per quanto riguarda
Lischen le avevo narrato una storia talmente patetica della mia vita (una storia molto più
romantica di quella che ho narrato qui, poiché con lei non mi ero limitato alla pura verità,
come invece sono stato costretto a fare in queste pagine) che avevo interamente conquistato
il cuore della povera ragazza, e per di più avevo fatto, sotto la sua guida, notevoli progressi
nella lingua tedesca. Non mi considerate crudele e senza cuore, signore mie: il cuore di
Lischen era come molte città di quel circondario in cui abitava, ed era stato preso d'assalto
ed occupato molte volte prima che venissi io all'assalto. Ora inalberava i colori francesi, ora il
grigio e giallo sassone, ora il nero e bianco prussiano, a seconda dei casi. Una donna che
affida il suo cuore ad un giovanotto in uniforme deve prepararsi a cambiare amanti con
grande rapidità, altrimenti la sua vita sarebbe molto triste.

Il chirurgo tedesco che ci visitava dopo la partenza degli Inglesi non si preoccupò di venirci a
trovare a casa più di un paio di volte durante la mia convalescenza, ed io ebbi cura, per un
mio certo motivo, di riceverlo quasi all'oscuro, nonostante il disturbo che ciò arrecava al
signor Fakenham, che giaceva lì; ma dissi che la luce mi dava una terribile noia agli occhi
dopo il colpo che avevo avuto sulla testa; e così, quando venne il dottore, mi copersi la testa
di un panno, e gli dissi che ero una mummia egiziana, o qualche altra sciocchezza del
genere, allo scopo di restare in carattere.

- Cos'è questa sciocchezza che vai dicendo della mummia egiziana, ragazzaccio? - mi
chiese il signor Fakenham, di cattivo umore.

- Oh, lo saprete presto, signore - gli risposi io.

La seconda volta che aspettavo che venisse il dottore, invece di riceverlo nella stanza buia,
avvolto di fazzoletti ebbi cura di farmi trovare nella stanza terrena, e stavo giocando a carte
con Lischen quando entrò il chirurgo. Mi ero impadronito di una giacca da camera del
tenente, e di qualche altro oggetto del suo guardaroba, che mi stava molto bene, e mi
lusingo di dirlo, non faceva sfigurare il mio aspetto di gentiluomo.

- Buon giorno, caporale - disse il dottore, piuttosto burbero, rispondendo al mio sorridente
saluto.
- Caporale? Tenente, prego - risposi, dando un'occhiata di intesa a Lischen, che non avevo
ancora messo a parte dell'intrigo.

- Come tenente? - chiese il chirurgo. - Credevo che il tenente fosse...

- Parola mia, mi fate un bell'onore; - gridai ridendo - mi avete confuso col caporale matto del
primo piano. Quel bel tipo ha preteso una volta o due anche di essere un ufficiale, ma la mia
gentile ospite qui potrà ben dirvi cosa è.

- Ieri diceva di essere il Principe Ferdinando - precisò Lischen; - il giorno in cui siete venuto
diceva di essere una mummia egiziana.

- Davvero - disse il dottore - me ne ricordo, ma, ah, ah, ah, sapete, tenente, che nei miei
appunti avevo fatto uno sbaglio tra voi due?

- Non parlate della sua malattia a quello di su; è calmo ora.

Lischen ed io ridemmo di questo errore come della cosa più buffa del mondo; e quando il
chirurgo salì di sopra per esaminare il paziente, gli raccomandai di non parlargli
dell'argomento della sua malattia, perché era molto eccitabile.

Il lettore avrà capito dalla conversazione sopra riportata quale era in realtà il mio piano. Ero
deciso a fuggire ed a fuggire con la personalità del Tenente Fakenham: intendevo portargli
via la fisionomia, quale che fosse, e farne uso per far fronte alle mie imperiose necessità.

Era truffa e furto, se volete, perché gli presi tutto il denaro ed i vestiti, non mi curo di
nasconderlo, ma sapevo che non avrei potuto compiere la fuga senza la sua borsa ed il suo
nome. Di qui cominciò il mio disegno di prendere possesso dell'una e dell'altro.

Mentre il tenente giaceva ancora a letto al piano superiore, non avevo affatto esitato a
mettermi la sua uniforme, specialmente dopo aver avuto cura di informarmi dal dottore se
era rimasto in città nessuno dei nostri uomini che potesse riconoscermi. Ma non vi era
nessuno di cui avessi inteso parlare; e così, pian piano, facevo le mie passeggiatine con
Madame Lischen, vestito dell'uniforme del tenente, facevo ricerca di un cavallo che volevo
acquistare, e mi ero andato a presentare al comandante della piazza come il Tenente
Fakenham, del reggimento dei fanti del Galles, convalescente, ed ero stato invitato a pranzo
dagli ufficiali del reggimento prussiano, alla pessima mensa che avevano.

Come avrebbe tempestato Fakenham e come si sarebbe arrabbiato, se avesse saputo l'uso
che facevo del suo nome!

Ogni qual volta quel degno gentiluomo mi faceva qualche domanda sul conto dei suoi vestiti,
ciò che avveniva sempre con grandi bestemmie e minacce di farmi fustigare al reggimento
per la mia disattenzione, io, con l'aria più rispettosa possibile, lo informavo che erano stati
messi da parte, in perfetto ordine, al piano di sotto, e in realtà li avevo bene impacchettati ed
erano pronti per il giorno in cui avevo deciso di partire. Le carte ed il denaro, però, egli li
teneva sotto il cuscino, e, siccome avevo comprato un cavallo, era necessario che lo
pagassi.

Ordinai, quindi, che mi fosse portato l'animale ad una data ora, e che avrei allora pagato il
venditore; (passerò sopra ai miei addii alla mia gentile ospite, che furono davvero pieni di
lacrime); poi, con tutto il mio pensiero teso alla grande azione che stavo per compiere, salii al
piano di sopra, nella stanza di Fakenham, vestito nella grande uniforme del reggimento, e col
suo berretto calcato sull'occhio sinistro.

- Grande farabutto! - gridò lui, alternando alle parole violente bestemmie - cane ribelle!
perché ti sei vestito nella grande uniforme del mio reggimento? Quanto è vero che mi chiamo
Fakenham, quando torneremo al reggimento ti farò uscire l'anima dal corpo.

- Mi sono promosso, signor tenente - dissi con un sogghigno. - E sono venuto a prender
congedo da voi.

Poi mi diressi verso il suo letto e dichiarai:

- Voglio che mi diate le vostre carte e la borsa.

Dette queste parole misi la mano sotto il cuscino; a questo punto Fakenham cacciò uno
strillo che avrebbe potuto richiamare tutta la guarnigione sulle mie tracce.

- Basta, signore! - dissi io. - Basta col chiasso, o siete un uomo morto!

Presi un fazzoletto e glielo legai stretto sulla bocca, in modo quasi da soffocarlo, poi,
spingendo avanti le maniche della camicia, le annodai insieme e lo lasciai così, dopo aver
preso le carte e la borsa, e vi posso assicurare che gli augurai gentilmente il buon giorno.
- E' il caporale matto - dissi alla gente che si era riunita al piano di sotto attirata dal rumore
che veniva dalla camera del malato, e così, dopo aver preso congedo dal vecchio "Jagd-
meister cieco, ed aver dato un addio, non vi so dire quanto tenero a sua figlia, montai
sull'animale che avevo appena acquistato, e mentre me ne andavo, le sentinelle mi
presentarono le armi alle porte della città. Sentivo di essere nell'ambiente che mi si addiceva
ed ero ben deciso a non decadere mai più dal mio rango di gentiluomo.

Presi dapprima la via di Brema, dove era il nostro esercito, e dichiarai di portare rapporti e
lettere del comandante prussiano di Warburg al Quartier generale; ma non appena fui fuori
della vista delle sentinelle avanzate, voltai la briglia e mi diressi al galoppo nel territorio
dell'Assia Cassel, che per fortuna non è molto lontano da Warburg, e vi posso assicurare che
fui ben lieto di vedere sulla barriera del confine le strisce blu e rosse che mi indicavano che
ero fuori del territorio occupato dai nostri connazionali. Mi diressi ad Hof, e poi il giorno dopo
a Cassel, dicendo che ero latore di dispacci per il Principe Enrico, poi al Basso Reno e mi
fermai al miglior albergo del luogo, dove pranzavano anche gli ufficiali della guarnigione.
Quei signori mi offrirono i vini migliori di cui la ditta disponeva, perché io ero deciso a
conservare l'aspetto del gentiluomo inglese, e parlavo loro dei miei feudi d'Inghilterra con
tanta facondia che quasi quasi credevo anch'io alle storielle che inventavo.

Mi fu chiesto persino di prender parte ad una riunione a Wilhelmshöhe, il palazzo


dell'Elettore, e ballai un minuetto con l'amabile figlia del maresciallo Hof, e persi qualche
moneta con Sua Eccellenza il Primo Cacciatore di Sua Altezza.

Alla nostra tavola in albergo vi era un ufficiale prussiano che mi trattava con grande cortesia
e mi faceva mille domande sull'Inghilterra; ed io rispondevo meglio che potevo. Ma questo
meglio, sono costretto a dirlo, era piuttosto mediocre. Non sapevo niente dell'Inghilterra,
della Corte e delle famiglie nobili di laggiù, ma spinto dalla vanagloria della gioventù e dalle
tendenze che avevo in quei tempi (ma di cui sono da lungo tempo corretto) di vantarmi e di
parlare in modo non sempre aderente alla verità, inventai mille storie che gli narrai. Gli
descrissi il Re ed i Ministri, dissi che l'ambasciatore britannico a Berlino era mio zio, e
promisi al mio amico una lettera di raccomandazione per lui. Quando l'ufficiale mi chiese il
nome di mio zio, non ero in grado di dirgli il nome vero, e così gli dissi che si chiamava O'
Grady, nome che poteva andar bene come qualsiasi altro e del resto quelli di Killballyowen,
contea di Cork, sono, per quello che ho sentito dire, una famiglia nobile quanto le migliori del
mondo.

Quanto alle storie sul mio reggimento, naturalmente, non mi mancavano. Avrei voluto che
anche le altre storie fossero state altrettanto autentiche.

La mattina lasciai Cassel; il mio amico prussiano venne da me con un volto molto sorridente,
e disse che era anche lui diretto a Düsseldorf, dove avevo detto che mi portava la mia
strada; così viaggiammo insieme fianco a fianco. Il paese era desolato in modo da non
potersi descrivere.

Il principe, nei cui domini eravamo, era noto per essere il più spietato venditore di uomini
della Germania. Aveva venduto sempre ad ogni incanto, e durante i primi cinque anni della
guerra (che fu poi chiamata Guerra dei Sette Anni) aveva talmente esaurito i maschi del suo
principato che i campi restavano incolti.

Persino i ragazzi di dodici anni erano mandati alla guerra, ed ho visto mandrie di quei
disgraziati che marciavano avanti, guidati da pochi graduati, sotto il comando di un sergente
hannoveriano dalla giubba rossa, o con un sottufficiale prussiano che li accompagnava. Con
alcuni di questi il mio compagno scambiò dei segni di saluto.

- Offende il mio sentimento - disse - essere obbligato a trattare con quei mascalzoni; ma le
dure necessità della guerra richiedono continuamente uomini, e quindi rendono necessari
questi reclutatori che voi vedete far mercato di carne umana. Il nostro governo dà
venticinque dollari per ogni uomo che gli portano. Per uomini robusti... per uomini come voi -
aggiunse ridendo - arriverebbero persino a cento. Al tempo del vecchio Re, Federico
Guglielmo, per voi ne avrebbero pagati anche mille, quando egli aveva il suo reggimento di
giganti, che il nostro attuale monarca ha sciolto.

- Ne conoscevo uno - dissi - che ha servito con voi: eravamo soliti chiamarlo Morgan
Prussia.

- Davvero? e chi era questo Morgan Prussia?

- Ecco, un robusto granatiere dei nostri, che nell'Hannover era stato rapito non so come dai
vostri reclutatori.

- Delinquenti! - disse il mio amico; - e avevano osato prendere un Inglese?

- In realtà era un Irlandese, e troppo furbo per loro, come sentirete. Morgan dunque, venne
preso e arruolato nella guardia dei giganti, ed era il più alto di tutti i giganti che erano laggiù.
Molti di quei mostri si lamentavano, per abitudine, della loro vita, delle fustigazioni, e dei loro
lunghi servizi, e della scarsezza della paga, ma Morgan non si lamentava mai. "E' molto
meglio", diceva, "ingrassare qui a Berlino che morir di fame a Tipperary".

- Dov'è Tipperary? - chiese il mio compagno.


- E' proprio quello che chiesero gli amici di Morgan. E' un bel distretto in Irlanda, la cui
capitale è la magnifica città di Clonmel: una città, lasciate che ve lo dica, signore, inferiore
soltanto a Dublino ed a Londra, e molto più splendida di qualsiasi altra sul Continente.

Ecco, Morgan disse che il luogo della sua nascita era vicino a quella città, e la sola cosa che
lo rendeva infelice, nella sua attuale condizione, era il pensiero che i suoi fratelli morivano di
fame a casa mentre avrebbero potuto stare molto meglio al servizio di Sua Maestà.

- "In fede mia" dice Morgan al sergente a cui dava questa notizia, "mio fratello Bin sarebbe
un bel sergente delle guardie, davvero!".

- "Bin è alto come te?" gli domandò il sergente.

- "Alto come me? davvero! Pensate signore, che sono il più basso della mia famiglia. Siamo
in sei, Bin è il più alto di tutti. Oh!

di gran lunga il più alto. Sette piedi dalle piante al capo, quanto è vero che mi chiamo
Morgan!".

- "Possiamo mandare a cercare questi tuoi fratelli?".

- "Voi no. Da quando io sono stato ingannato da uno di questi signori col bastone, essi hanno
una mortale antipatia contro tutti i sergenti", rispose Morgan: "ma è un vero peccato che non
vogliano venire. Che spettacolo sarebbe Bin sotto il berretto da granatiere!".

- Non parlò mai più, in nessun momento, dei suoi fratelli, ma soltanto sospirava come se
lamentasse il loro duro destino. Però la storia venne raccontata dal sergente agli ufficiali, e
dagli ufficiali al Re in persona; e Sua Maestà venne preso da tanta curiosità, che acconsentì
subito a che Morgan fosse lasciato andare a casa perché potesse tornare con i suoi sei
giganteschi fratelli.

- Ed erano proprio così grandi come Morgan aveva dato ad intendere? - chiese il mio
compagno.
Non potei fare a meno di ridere della sua ingenuità.

- Credete proprio - gridai - che Morgan sia tornato indietro? No, no, una volta libero era
troppo intelligente per fare questo.

Comprò una bella fattoria a Tipperary col denaro che gli era stato dato per arruolare i suoi
fratelli, e credo che pochi uomini della guardia ne abbiano mai tratto tanto profitto.

Il capitano prussiano rise molto di questa storia, disse che gli Inglesi erano la gente più
intelligente del mondo, ed alla mia messa a punto, riconobbe che gli Irlandesi lo erano anche
di più.

Continuammo a cavalcare molto soddisfatti l'uno dell'altro, perché egli aveva mille storie di
guerra da raccontarmi sull'astuzia e sul valore di Federico, e sulle mille fughe e vittorie e
sconfitte (queste appena meno gloriose delle vittorie), attraverso le quali il Re era passato.
Ora che ero diventato un gentiluomo potevo ascoltare con ammirazione questi racconti,
eppure il sentimento di cui ho parlato alla fine dello scorso capitolo era ancora vivo nella mia
mente, appena tre settimane prima, quando ricordavo che il generale conquistava la gloria,
ed il povero soldato soltanto insulti e bastonate.

- A proposito, a chi portate quei dispacci? - chiese l'ufficiale.

Era un'altra domanda pericolosa, a cui decisi di rispondere a casaccio:

- Al generale Rolls.

Avevo visto il generale un anno prima, e mi era rimasto in mente il suo nome. Il mio amico
sembrò molto soddisfatto di questa risposta, e continuammo la nostra cavalcata fino al cader
della notte, quando, essendo stanchi i nostri cavalli, decidemmo di fare una sosta.

- Qui c'è un buonissimo albergo - disse il capitano, mentre ci dirigevamo verso un luogo che
a me sembrò straordinariamente isolato.

- Può essere un albergo molto buono per la Germania - risposi ma non sarebbe nemmeno
passabile nella vecchia Irlanda. Corbach è soltanto ad una lega di qua; andiamo a Corbach.
- Volete vedere la più amabile donna d'Europa? - disse l'ufficiale. - Ah, vecchio libertino, vedo
che questo vi fa impressione.

A voler dire il vero una proposta simile era sempre benvenuta, e non mi vergogno di
confessarlo.

- Queste persone sono proprietari terrieri - continuò il capitano - ed anche albergatori.

Il luogo, infatti, somigliava più ad una fattoria che ad un albergo. Entrammo, attraverso un
grande cancello, in un cortile circondato da un muro rotondo, ad un'estremità del quale era
un edificio in rovina dai colori cupi. Nel cortile vi erano un paio di furgoni, coperti, ed i loro
cavalli erano sistemati sotto una tettoia là vicino; per il cortile gironzolavano alcuni uomini, ed
un paio di sergenti, in uniforme prussiana, che portarono entrambi la mano al berretto
vedendo il mio amico capitano. Questa formalità consueta non mi colpì affatto come cosa
straordinaria, ma l'aspetto dell'albergo aveva qualche cosa di eccezionalmente freddo e
repulsivo, così che notai che gli uomini chiudevano i grandi cancelli da cui eravamo entrati.
Pattuglie di cavalieri francesi, disse il capitano, erano in giro per il paese, e non si
prendevano mai troppe precauzioni contro quei delinquenti.

Andammo a pranzo, dopo che due sergenti si presero cura dei nostri cavalli, il Capitano
diede anche ordine che uno di loro portasse la mia valigia nella camera da letto. Promisi a
quel degno individuo un bicchiere di "schnapps" per ricompensarlo della sua fatica.

Ordinammo un piatto di uova fritte e prosciutto ad una vecchia schifosa che venne a servirci,
al posto dell'amabile creatura che mi aspettavo di vedere, ed il capitano disse, ridendo:

- Davvero, il nostro pranzo è frugale, ma un soldato ha molte volte di peggio.

Dopo essersi tolto il cappello, il cinturone ed i guanti, con grande cerimoniosità, si sedette
per mangiare.

Non volli restargli indietro in cortesia, e misi la mia spada al sicuro sul vecchio cassettone
dove aveva poggiato la sua.
La ripugnante vecchia sopra ricordata ci portò una caraffa di vino che sapeva molto d'aceto,
e questo, oltre alla sua bruttezza, mi fece diventare di cattivo umore.

- Dov'è la bellezza che mi avete promesso? - dissi, non appena la vecchia strega aveva
lasciato la stanza.

- Beh! - rispose lui ridendo e guardandomi fisso - è stato uno scherzo. Ero stanco e non
volevo andare più avanti. Non vi è qui nessuna donna più bella di quella. Se ella non vuole
cedere alle vostre voglie, amico mio, dovrete aspettare un po'...

Questo fatto aumentò il mio malumore.

- Sulla mia parola, signore - dissi in tono asciutto - credo che abbiate agito molto male!

- Ho agito come ho creduto opportuno! - rispose il Capitano.

- Signore - replicai - sono un ufficiale britannico.

- Questa è una menzogna - gridò l'altro - sei un disertore! Sei un impostore. L'ho capito bene
in queste ultime tre ore. L'avevo sospettato ieri. I miei uomini hanno saputo che un uomo è
fuggito da Warburg, ed io ho pensato che quell'uomo fossi tu. Le tue menzogne e le tue
sciocchezze me l'hanno confermato. Hai la pretesa di portare dispacci ad un generale che è
morto da dieci mesi. Hai uno zio che è ambasciatore e di cui non sai neppure il nome. Ti vuoi
unire a noi e arruolarti, o vuoi essere riconsegnato ai tuoi?

- Né l'una né l'altra! - risposi io balzando su di lui come una tigre. Ma, agile com'era, si era
già messo prontamente in guardia.

Trasse dalla tasca due pistole, ne sparò una e disse, stando all'altro capo della tavola dove si
era messo per ripararsi:

- Fai un passo avanti, e ti mando questa pallottola nel cervello!

Un minuto dopo la porta si spalancò, ed entrarono due sergenti, armati di moschetto e


baionetta, per dar man forte al loro compagno.
Il gioco era fatto. Lasciai cadere un coltello di cui mi ero armato perché la vecchia strega,
portando il vino, aveva tolto dal cassettone la mia spada.

- Mi arruolo volontario - dissi.

- Ora ti comporti da bravo ragazzo. Che nome devo mettere sull'elenco?

- Scrivete Redmond Barry di Ballybarry - risposi in tono altero - discendente dai Re d'Irlanda.

- Sono stato una volta con la Brigata irlandese di Roche - disse il reclutatore sogghignando -
ed ho tentato inutilmente di scoprire qualcuno, tra i pochi tuoi compatrioti che erano nella
brigata, che non discendesse dai Re di Irlanda!

- Signore - disse - Re o no, sono un gentiluomo, come avete potuto vedere.

- Oh, ne troverete molti nel nostro corpo - rispose il Capitano sempre sogghignando. -
Dammi le tue carte, signor Gentiluomo, e fammi vedere chi sei davvero.

Siccome il mio portafoglio conteneva dei biglietti di banca come pure le carte del signor
Fakenham, non volevo dargli la mia roba, sospettando, e ben a ragione, che fosse soltanto
un pretesto da parte del capitano per prenderla e tenersela.

- Vi deve importare molto poco - risposi - quello che risulta dalle mie carte private: mi sono
arruolato col nome di Redmond Barry.

- Dammele subito! - gridò il Capitano, alzando il bastone.

- Non ve le darò - risposi io.

- Cane! ti ribelli? - gridò lui, e nel medesimo tempo mi diede un colpo in pieno viso col
bastone, che ebbe il risultato da lui previsto di provocare una lotta. Io mi gettai in avanti per
strappargli il bastone, ma i due sergenti si gettarono addosso a me e fui gettato per terra,
dove rimasi senza sensi, avendo battuto il punto in cui avevo avuto la precedente ferita.
Sanguinavo abbondantemente quando rinvenni; la mia giacca ricamata mi era stata
strappata di dosso, la borsa e le carte erano sparite, e le mani mi erano state legate dietro la
schiena.

Il grande ed illustre Federico aveva decine di questi cacciatori di schiavi attorno alle frontiere
del suo regno, che subornavano i soldati e rapivano i contadini e non esitavano di fronte ad
alcun delitto per fornire i suoi brillanti reggimenti di carne da cannone. E non posso fare a
meno di raccontare qui, non senza soddisfazione, il destino che alla fine si abbatté su quel
crudele mascalzone che, violando tutte le leggi dell'amicizia e della camerateria, era riuscito
a mettermi in trappola.

Quell'individuo era una persona di ottima famiglia, e di ben nota intelligenza e coraggio, ma
che aveva una viva tendenza per il gioco e la prodigalità, e trovava il suo mestiere di
ingaggiatore di reclute molto più conveniente che la sua paga di secondo capitano di linea.
Anche il sovrano, probabilmente, trovava i suoi servizi più utili in questa specialità. Si
chiamava il Signor de Galgenstein, ed era uno dei più abili fra coloro che praticavano questo
infame commercio. Parlava tutte le lingue e conosceva tutti i paesi, ed in conseguenza non
aveva avuto alcuna difficoltà a smascherare un ingenuo giovanotto vanesio come me.

Verso il 1765, però, giunse alla fine che si era meritata. Viveva in quel tempo a Kehl, di fronte
a Strasburgo, ed aveva l'abitudine di fare una passeggiata fino al ponte, e di attaccare
discorso con gli avamposti francesi; aveva l'abitudine di promettere ad essi "mari e monti",
come dicono i Francesi, se fossero andati a prestar servizio in Prussia. Un giorno c'era sul
ponte un superbo granatiere francese; Galgenstein gli si accostò, e gli promise almeno il
comando di una compagnia se si fosse arruolato sotto Federico.

- Chiedetelo al mio compagno laggiù - disse il granatiere. - Non posso far niente senza di lui.
Siamo nati e cresciuti insieme, siamo della stessa compagnia, dormiamo nella stessa
stanza, ed andiamo sempre in coppia. Se vorrà andare e diventare anche lui capitano, verrò
anch'io.

- Fai venire il tuo compagno a Kehl - disse Galgenstein tutto contento. - Ti offrirò il migliore
dei pranzi, e ti prometto che vi farò contenti tutti e due.

- Non sarebbe meglio che gli parlaste sul ponte? - disse il granatiere. - Non oso lasciare il
mio posto, ma voi dovete soltanto passare ed esporgli la cosa.
Galgenstein, dopo avere un po' parlamentato, oltrepassò la sentinella; ma ad un tratto lo
prese il panico e tornò sui suoi passi. Ma il granatiere puntò la baionetta al petto del
Prussiano e lo costrinse a fermarsi; era suo prigioniero.

Il Prussiano però, vedendo il pericolo, fece un salto sopra il ponte e si gettò nel Reno; dove
però lo seguì l'intrepida sentinella, dopo aver buttato il moschetto.

Il Francese era il migliore nuotatore dei due; afferrò il reclutatore e lo portò a Strasburgo,
dall'altra parte del fiume, e lo consegnò ai suoi superiori.

- Meriteresti di essere fucilato - disse il generale al granatiere - per abbandono del posto e
delle armi; ma meriti una ricompensa per il tuo atto di coraggio e di audacia. Il Re preferisce
compensarti. - E l'uomo ricevette denari e promozione.

Per quanto riguarda Galgenstein, egli declinò la sua qualità di nobile e di capitano al servizio
della Prussia, e vennero fatte indagini a Berlino per sapere se le sue dichiarazioni erano
vere.

Ma Federico, benché facesse largo uso di uomini di questo tipo (ufficiali che seducevano i
sudditi dei suoi alleati), non poteva riconoscere ufficialmente questa sua vergogna.

Da Berlino giunsero lettere di risposta per dire che nel regno esisteva quella famiglia, ma che
la persona che dichiarava di appartenervi era un impostore, perché tutti gli ufficiali che
portavano quel nome erano al loro reggimento o al loro posto. Fu la sentenza di morte di
Galgenstein, che venne impiccato come spia a Strasburgo.

Mettetelo nel carro con gli altri - disse, non appena ebbi ripreso i sensi.

Capitolo 6
IL FURGONE DEGLI ARRUOLATORI

EPISODI DI VITA MILITARE

Il furgone coperto verso cui mi era stato dato l'ordine di dirigermi era fermo, come ho detto,
nel cortile della fattoria, ed aveva vicino un altro sgangherato veicolo della stessa specie.

L'uno e l'altro erano colmi di una moltitudine di uomini, che il crudele ingaggiatore che mi
aveva catturato aveva arruolato sotto le bandiere del glorioso Federico. Potei vedere, alla
luce delle lanterne delle sentinelle, mentre mi gettavano sulla paglia, una dozzina di figure
nere gettate insieme l'una sull'altra in quella orribile prigione mobile, dove ero confinato. Un
grido ed una bestemmia del vicino che mi stava di fronte mi fecero capire che era ferito
anche più gravemente di me, e durante tutta quella orribile notte i gemiti ed i singhiozzi dei
poveri diavoli tenuti nell'identica prigionia facevano un doloroso ed ininterrotto coro che mi
impedì di cercare nel sonno sollievo dai miei mali. A mezzanotte (per quello che ne posso
giudicare) vennero attaccati i cavalli ai furgoni, e le scricchiolanti e traballanti macchine si
misero in moto. Un paio di soldati, armati fino ai denti, erano seduti a cassetta del carro e le
loro facce cupe apparivano ogni tanto insieme alle loro lanterne, attraverso la cortina di tela,
quando volevano contare il numero dei prigionieri. Quei bruti erano mezzo ubriachi e
cantavano canzoni di amore e di guerra come: "O Gretchen, mein Taubchen, mein
Herzenstrompet, mein Kanon, mein Heerpauk und meine Musket", "Prinz Eugen der edle
Ritte" e simili. Le loro grida selvagge ed i loro jödlels stonavano penosamente con i gemiti di
noialtri poveri prigionieri nei furgoni. Molte volte di poi ho sentito cantare questi motivi in
marcia, o nelle camerate delle caserme o attorno ai fuochi, di notte, prima di addormentarmi.

Nonostante tutto, però, non ero tanto infelice come ero stato al mio primo arruolamento in
Irlanda. Almeno pensavo, se sono degradato a semplice soldato, non vi sarà nessuno di mia
conoscenza a testimone della mia vergogna: e questo è sempre stato un punto a cui ho dato
molta importanza. Non vi sarebbe stato nessuno a dire: "Ecco il giovane Redmond Barry, il
discendente dei Barrys, l'elegante giovanotto di Dublino, che si allaccia il cinturone e si trova
sotto la naia".

Se non fosse stato per questo rispetto umano, per cui è necessario che ogni persona come
si deve tratti con gli altri in condizione di parità, io, per parte mia, sarei stato sempre
contento, anche nella posizione più umile.

Ora in quel momento, a tutti gli effetti, eravamo tanto lontani dal mondo quanto nelle
solitudini della Siberia o nell'isola di Robinson Crusoe. E tra me e me ragionavo così:
"Ora sei stato preso, ed è perfettamente inutile lamentarsi.

Sfrutta meglio che puoi la tua situazione, e prendine tutti i vantaggi che ne puoi ritrarre. Vi
sono mille occasioni di saccheggio ecc. che si offrono ad un soldato in tempo di guerra, da
cui si può ricavare piacere e profitto: usane e sta' tranquillo. Oltre a ciò sei intelligente, bello
e valoroso in maniera straordinaria; e chi sa che non possa ottenere qualche promozione nel
tuo nuovo servizio?".

In questa filosofica maniera consideravo le mie disgrazie ed ero deciso a non farmi
sopraffare da esse, e sopportavo le ferite e la testa rotta con perfetta grandezza d'animo.
Quest'ultimo però era un male per resistere al quale ci voleva una non scarsa forza di
resistenza, perché i sobbalzi del furgone erano terribili, ed ogni scossa mi provocava una
tale palpitazione al cervello che credevo mi stesse per uscire dal cranio.

Quando spuntò il giorno, vidi che l'uomo che mi stava accanto, un individuo magro e coi
capelli gialli, vestito di nero, aveva un cuscino di paglia sotto la testa.

- Sei ferito, compagno? - gli chiesi.

- Grazie al Signore - mi rispose - sono stato colpito nel corpo e nello spirito e ammaccato in
molte membra, però non sono ferito. E tu, povero giovane?

- Sono ferito alla testa - dissi - e voglio il tuo cuscino:

dammelo. Ho un coltello a serramanico in tasca.

Mentre dicevo queste parole gli rivolsi un'occhiata terribile volendo dire che a meno che non
cedesse alla mia intimazione, gli avrei fatto sentire il sapore del mio acciaio; volevo, infatti,
fargli capire: "stai in guardia, "à la guerre c'est à la guerre", e non sono fatto di pastafrolla".

- Te lo avrei dato senza bisogno di minacce, amico - disse l'uomo dai capelli gialli, in tono
dolce e mi porse il sacchetto di paglia.

Si piegò all'indietro nel carro, il più comodamente che poteva, e cominciò a ripetere "Ein'
feste Burg ist unser Gott", dal che conclusi che ero capitato in compagnia di un parroco.
I sobbalzi del furgone, gli incidenti del viaggio, le varie esclamazioni e movimenti dei
passeggeri mostravano che razza di compagnia composita eravamo. Ogni tanto un abitante
del paese scoppiava in lacrime, si sentiva una voce dire in francese: "Oh mon Dieu, mon
Dieu!", mentre un altro paio di persone della stessa nazionalità proferivano bestemmie e
chiacchieravano senza tregua, ed una certa allusione agli occhi propri ed a quelli degli altri
proveniente da un tipaccio robusto in un angolo all'estremità del carro, mi fece capire che nel
nostro gruppo vi era certamente anche un inglese.

Ma presto mi vennero risparmiate la noia e la fatica del viaggio.

Nonostante il cuscino del pastore, urtai violentemente col capo che mi batteva
dolorosamente, contro una fiancata del furgone e cominciai a sanguinare di nuovo; mi
sentivo come se avessi la testa vuota. Mi ricordo solo di aver preso un sorso d'acqua qua e
là; di essermi fermato una volta in una città fortificata, dove un ufficiale ci aveva contati; tutto
il resto del viaggio lo passai in uno stato di stordimento e di sonnolenza, e quando mi
risvegliai, mi trovai a giacere in un letto di ospedale, con una suora in cuffia bianca che mi
guardava.

- Essi sono in tristi tenebre spirituali - disse una voce dal letto accanto al mio, quando la
suora ebbe finito le sue cortesi occupazioni, - sono nella notte dell'errore; eppure vi è la luce
della fede in quelle povere creature.

Era il mio compagno del furgone degli arruolatori; la sua faccia larga spuntava sotto il bianco
berretto da notte, nel letto vicino.

- Come, anche tu qui, Herri Pastor? - dissi.

- Soltanto aspirante pastore - rispose il berretto da notte bianco. - Ma, sia lodato il Cielo!
finalmente sei tornato in te.

Hai passato delle brutte giornate. Hai parlato in inglese (lingua che conosco bene)
dell'Irlanda e di una signorina, e di Mick, e di un'altra signorina, e di una casa in fiamme, e
dei Granatieri britannici, su cui hai cantato parte di una ballata, e di una quantità di altre
cose, riguardanti senza dubbio la tua storia personale.

- E' una storia molto strana - dissi - e forse non c'è uomo al mondo, della mia condizione, le
cui disgrazie possano essere paragonate alle mie.
Non nascondo che sono disposto a vantarmi della mia nascita e delle mie parentele; perché
ho sempre trovato che se un uomo non cerca di farsi una buona stampa da solo, non gliela
faranno di certo gli amici.

- Va bene - rispose il mio compagno di ospedale - non ho alcun dubbio che la tua sia una
storia strana e sarò lieto di sentirla prima o poi: ma per il momento non ti è permesso di
parlare molto, perché hai avuto la febbre per un bel pezzo, ed il tuo esaurimento è grande.

- Dove siamo? - gli chiesi.

L'aspirante parroco mi informò che eravamo nel vescovato e nella città di Fulda, attualmente
occupata dalle truppe del Principe Enrico. Vi era stata una scaramuccia con una pattuglia di
Francesi vicino alla città, ed una schioppettata era entrata nel furgone, ed il povero aspirante
era rimasto ferito.

Poiché il lettore conosce già la mia storia, non mi prenderò la pena di ripeterla, né di
raccontare quelle fantasiose aggiunte che elargii al mio compagno di sventura. Ma confesso
di avergli detto che la nostra era la più grande famiglia d'Irlanda, che avevamo il più bel
palazzo, che eravamo enormemente ricchi, imparentati a tutta l'alta nobiltà, che
discendevamo dagli antichi Re ecc. E con mia sorpresa, mi accorsi che il mio interlocutore
conosceva molte più cose di me sull'Irlanda.

Quando, per esempio, parlai della mia discendenza:

- Da quale stirpe di Re? - mi chiese.

- Oh - risposi io, che non ho mai avuto una memoria molto precisa per le date - dai Re più
antichi di tutti.

- Come! Potete ricostruire il vostro albero genealogico fino ai figli di Jafet?

- Certo che lo posso! - risposi io - ed anche più su!... fino a Nabucodonosor se volete!

- Capisco - disse il brav'uomo sorridendo - che voi considerate queste vecchie leggende con
incredulità. Questi Partolani e Nemediani, di cui i vostri scrittori fanno menzione volentieri,
non possono certamente essere considerati appartenenti alla storia vera e propria. Né credo
che i racconti che li concernono abbiano maggior fondamento delle leggende relative a
Giuseppe di Arimatea ed al Re Bruto, che prevalse due secoli dopo nell'isola sorella.

E a questo punto cominciò un discorso sui Fenici, gli Sciti ed i Goti, i Tuath di Danans, Tacito
ed il Re Mac Neil; e queste furono, a voler dire la verità, le prime notizie che ebbi sul conto di
questi personaggi. Quanto all'inglese, lo parlava bene come me, ed era padrone, così mi
disse, di altre sette lingue, perché, avendo citato il solo verso latino che sapevo, quello del
poeta Omero che dice: "As in praesenti perfectum fumat in avi" cominciò a parlarmi nella
lingua dei Romani, ed in conseguenza fui costretto a dirgli che noi in Irlanda la
pronunciavamo in modo diverso, e così terminammo la conversazione.

La storia di quel mio bravo amico era molto curiosa, ed è necessario raccontarla per
mostrare di quale composito materiale le nostre leve fossero formate:

"Sono", mi disse "sassone di nascita, e mio padre era pastore nel villaggio di Pfannkuchen,
dove appresi i primi rudimenti del sapere. A sedici anni (ora ne ho ventitré), conoscevo sulla
punta delle dita le lingue greca e latina, col francese, l'inglese, l'arabo e l'ebraico, ed essendo
venuto in possesso di un legato di cento risdalleri, somma di gran lunga sufficiente a pagare i
miei corsi universitari, andai alla famosa Accademia di Gottingen, dove dedicai quattro anni
allo studio delle scienze esatte e della teologia. Imparai per di più quelle raffinatezze di vita
mondana che sono necessarie; presi un maestro di danza al prezzo di un groschen a
lezione, seguii un corso di scherma da un esperto francese e corsi di alta equitazione da un
celebre maestro nell'arte del cavalcare.

"Penso che un uomo deve conoscere tutto, per quel che è in suo potere: che dovrebbe
completare il suo ciclo di esperienze; ed una scienza essendo necessaria quanto un'altra, è
necessario che, secondo le sue possibilità, si impratichisca di tutte. Confesso di essermi
trovato disadatto a molti rami di cultura umanistica (in quanto distinta da quella spirituale,
benché non sia del parere che questa distinzione sia sempre corretta). Provai a ballare sulla
corda con un artista boemo che era venuto alla nostra accademia, ma in questo esperimento
fallii essendomi rotto in malo modo il naso in una caduta che feci. Provai anche a guidare un
tiro a quattro, che uno studente inglese, Herr Graf Lord von Martingale, aveva portato
all'Università. Ma anche in questo esperimento fallii e dinanzi alla porta opposta al Berliner
Gate, rovesciai la carrozza con dentro l'amica di Sua Signoria, Fraulein Miss Kitty Coddlins.
Stavo dando lezioni di lingua tedesca al giovane lord quando accadde questo incidente, e lui
in conseguenza mi licenziò.

"I miei mezzi non mi permettevano di continuare più questo curriculum (mi perdonerete il
gioco di parole), altrimenti, senza dubbio, sarei presto stato in grado di occupare un posto in
qualsiasi ippodromo del mondo e di reggere le redini (come era solito dire quel lord di
elevata nascita), alla perfezione.

"All'università discussi una tesi sulla quadratura del circolo, che credo vi avrebbe interessato;
e sostenni una disputa in arabo contro il professor Stumpff, in cui si disse che io avevo avuto
la meglio. Conoscevo naturalmente le lingue dell'Europa meridionale, e per una persona che
abbia buone basi di sanscrito, le lingue del nord non presentano alcuna difficoltà. Se vi siete
mai cimentato col russo avrete visto anche voi che si tratta di un giuoco da ragazzi, ed è
sempre stato per me motivo di rimpianto di non aver potuto acquistare una più profonda
conoscenza del cinese (per poterlo parlare), e per risolvere il problema avevo deciso di
passare in Inghilterra e di imbarcarmi su una delle navi della Compagnia inglese che vanno a
Canton.

"Non sono, per mio carattere, un risparmiatore, così che il mio piccolo patrimonio di cento
risdalleri, che avrebbe servito a mantenere per una ventina d'anni una persona prudente,
bastò appena per cinque anni di studio. Dopo di che i miei studi furono interrotti, i miei allievi
se ne andarono, e fui costretto a dedicare la maggior parte del mio tempo a risuolare le
scarpe, per risparmiare denaro e poter poi riprendere, in futuro, i miei corsi accademici.
Durante questo periodo fui preso d'affetto - (qui l'aspirante parroco sospirò un poco), per una
persona che, benché non fosse bella ed avesse l'età di quaranta anni, mi ispirava una
profonda simpatia; ed un mese dopo, il mio buon amico e protettore, il vice-rettore
dell'Università Dottor Nasenbrumm, mi informò che il Pfarrer (11) di Rumpelwitz era morto e
mi chiese se avessi voglia di recitare un sermone di prova.

"Poiché questo modo di guadagnarmi la vita avrebbe accelerato la mia unione con Amalia,
acconsentii di gran cuore e preparai il discorso.

"Se volete ve lo posso recitare... No? - Ecco, vi darò soltanto il riassunto della esposizione in
generale. Per continuare però il racconto della mia vita, che è ora molto vicina alla
conclusione, o come dovrei dire più correttamente, che è quasi giunta all'attuale periodo, vi
dirò che predicai quel sermone a Rumpelwitz, e credo di avere messo a punto in maniera
abbastanza soddisfacente la questione babilonese. Predicai di fronte all'Herr Baron ed alla
sua nobile famiglia, e ad alcuni distinti funzionari che abitavano il suo castello.

"Il Dott. Moser di Halle fece il suo discorso dopo il mio, la sera, ma per quanto la sua
esercitazione fosse dotta, e facesse uso di un passo di Ignazio, che dimostrò essere
un'evidente interpolazione, non credo che il suo sermone abbia avuto tanto successo quanto
ne aveva avuto il mio, né che i Rumpelwitzesi lo gradissero altrettanto.

"Dopo il sermone tutti noi candidati parroci ci dirigemmo insieme dalla chiesa a Rumpelwitz e
pranzammo allegramente al Cervo azzurro".

"Mentre eravamo così occupati, entrò un cameriere e mi disse che una persona lì fuori
voleva parlare ad uno dei reverendi... 'a quello alto'. Questa frase poteva riferirsi soltanto a
me, poiché la mia testa superava le spalle di tutti gli altri reverendi signori presenti.
"Uscii fuori per vedere chi era la persona che desiderava parlare con me, e trovai un uomo
che non ebbi difficoltà a riconoscere come appartenente alla religione ebraica.

- Signore - mi disse l'ebreo - ho sentito da un amico, che era oggi nella vostra chiesa, i punti
principali dell'ammirevole discorso che avete là pronunciato. Mi ha colpito profondamente,
molto profondamente. Vi sono però ancora un paio di punti su cui sono in dubbio e se Vostro
Onore volesse avere la condiscendenza di illuminarmi su quelli, credo... credo che Salomon
Hirsch si farebbe convertire dalla vostra eloquenza.

- Quali sono questi punti, mio buon amico? - gli chiesi, e gli esposi i ventiquattro capi del mio
sermone, chiedendogli su quale di essi vertevano i suoi dubbi." "Avevamo camminato su e
giù davanti all'albergo mentre aveva luogo la nostra conversazione, ma siccome le finestre
erano aperte, ed i miei compagni avevano già sentito il discorso la mattina, mi chiesero, con
una certa insistenza, di non ripeterlo proprio in quel punto. Io, quindi, mi allontanai col mio
discepolo e, a sua richiesta, cominciai da capo il sermone; perché la mia memoria è
abbastanza buona e sono in grado di ripetere qualsiasi libro che abbia letto tre volte.

"Ripetei allora sotto gli alberi, nella calma luce della luna, quel discorso che avevo
pronunciato sotto il bruciante sole di mezzogiorno.

"Il mio israelita mi interrompeva soltanto con esclamazioni che indicavano sorpresa,
assenso, meraviglia, ammirazione e convinzione crescenti.

- Prodigioso! - diceva - Wunderschön! - osservava alla conclusione di qualche passo


eloquente. In una parola, esaurì tutte le interiezioni laudative che esistono nella nostra
lingua; e quale uomo si rifiuta di accettare i complimenti? Credo che avevamo camminato
per due miglia quando giunsi al terzo capo, ed il mio compagno mi pregò di entrare in casa
sua, alla quale noi eravamo ora vicini, e di prendere un bicchiere di birra; altra cosa alla
quale non sono mai contrario.

"Quella casa, amico mio, era l'albergo in cui anche tu, se giudico giusto, sei stato preso. Non
appena entrai in quel luogo tre arruolatori mi si gettarono addosso, mi dissero che ero un
disertore e che ero loro prigioniero e mi imposero di consegnar loro le mie carte ed il mio
denaro; ciò che io feci pur dichiarando solennemente il mio carattere sacro. I miei beni
consistevano nel manoscritto del mio sermone, in una lettera di raccomandazione del Pro
Rettore Nasenbrumm, che attestava la mia identità, ed in tre groschen e quattro pfennings di
rame. Stavo già nel carro da venti ore quando anche tu sei arrivato in quella casa.
"L'ufficiale francese che ti sta di fronte, e che ha strillato quando gli hai pestato il piede,
perché era ferito, venne portato poco prima del tuo arrivo. Era stato preso con le spalline e
l'uniforme ed aveva dichiarato il suo grado e qualità; ma era solo (credo che avesse qualche
intrigo amoroso con una signora prussiana e che per questo fosse appunto andato a girellare
senza scorta, e siccome alle persone nelle cui mani era caduto una recluta era più utile di un
prigioniero, fu costretto a condividere il nostro destino).

"Non è il primo delle molte decine che sono state catturate così.

"Uno dei cuochi di M. de Soubise, tre attori di una compagnia che stava al campo francese,
molti disertori delle truppe inglesi (uomini che sono fuggiti perché è stato loro detto che al
servizio della Prussia non si usava la fustigazione), e tre Olandesi sono stati pure presi. "E
tu", dissi io, "che eri sul punto di cominciare una vita come si deve, che hai tanta cultura, non
sei indignato per quest'oltraggio?".

"Sono sassone", rispose il candidato, "e non credo che serva a nulla indignarsi. Il nostro
governo è stato schiacciato in questi cinque anni sotto il tallone di Federico, e potrei forse
sperare maggior pietà dal Gran Mogol? Del resto, a voler dire la verità, non sono scontento
della mia sorte. Ho vissuto per tanti anni con un soldo di pane che la razione del soldato mi
sembra un lusso.

Non m'importa di ricevere più o meno colpi di bastone; tutti questi mali sono passeggeri, e di
conseguenza sopportabili. Non ucciderò mai, con l'aiuto di Dio, nessuno in combattimento,
ma sono ansioso di sperimentare su me stesso gli effetti della passione della guerra, che ha
avuto un'influenza così grande sulla razza umana.

"Per una ragione analoga ero deciso a sposare Amalia, perché un uomo non è un completo
'Mensch' se non è padre di famiglia; essere tale è una condizione della sua esistenza e
quindi un dovere della sua educazione.

"Ma Amalia può aspettare; è al riparo dal bisogno, in realtà, essendo cuoca della Frau
Prorectorinn Nasenbrumm, la sposa del mio degno patrono.

"Ho con me un paio di libri che nessuno ha pensato a portarmi via, ed un altro nel mio cuore
che è il più bello di tutti.
"Se il cielo vorrà che finisca la mia esistenza qui, prima che possa proseguire i miei studi,
che motivo ho di lamentarmi? Prego Dio di non sbagliarmi, ma credo di non aver fatto male a
nessuno e di non aver commesso alcun peccato mortale.

"Se ne ho, so dove guardare per trovare perdono, e se muoio come ho detto, senza sapere
tutto quello che avrei desiderato imparare non mi troverò in condizione di imparare tutto? E
cosa può desiderare di più un'anima umana?

"Scusa se ho fatto uso troppe volte della parola io nel mio discorso", concluse l'aspirante
pastore, "ma quando si parla di se stessi, questa è la maniera più breve e più semplice di
parlare".

In questo forse, benché io odi l'egocentrismo, ritengo che il mio amico avesse ragione.
Benché avesse dichiarato di essere un individuo con poco spirito, con nessun'altra
ambizione tranne quella di conoscere il contenuto di pochi libri ammuffiti, credo che
quell'uomo avesse in sé molti elementi buoni, specialmente la fermezza con cui sopportava
le sue disgrazie. Molti di grandissimo coraggio sono spesso senza difesa contro di esse, ed
è noto che si danno alla disperazione per un pranzo riuscito male, o si abbattono per una
giacca strappata ai gomiti. La mia massima è di sopportare tutto, di contentarsi dell'acqua se
non si può avere il Borgogna, e se non c'è il velluto, appagarsi della lana più ordinaria. Ma il
Borgogna ed il velluto sono migliori, "bien entendu", ed è sciocco quell'uomo che non prende
il meglio quando la lotta è aperta.

Tuttavia i capi del sermone che il mio amico teologo aveva l'intenzione di infliggermi non
vennero mai recitati, poiché, subito dopo la nostra uscita dall'ospedale, egli venne spedito ad
un reggimento accantonato il più lontano possibile dalla sua terra nativa, in Pomerania,
mentre io venni destinato al reggimento di Bulow che aveva il suo quartier generale a
Berlino.

I reggimenti prussiani cambiano di rado le loro guarnigioni, come fanno i nostri, perché la
paura delle diserzioni è tanto grande, che è necessario conoscere personalmente tutti gli
individui in servizio, ed in tempo di pace gli uomini vivono e muoiono nella stessa città.

Questo non aumenta, come si può facilmente immaginare, i divertimenti della vita del
soldato. (Dico queste cose per paura che qualche giovane gentiluomo, come me, sia preso
dalla fantasia della vita militare, ritenendo che la vita del semplice soldato sia sopportabile e
spero che queste parole rappresentino l'esatta descrizione delle sofferenze morali di noialtri
poveri diavoli nei ranghi).

Non appena fummo guariti, venimmo allontanati dalle suore e dall'ospedale e inviati alla
città-prigione di Fulda, dove fummo trattati come schiavi e criminali, con gli artiglieri con le
micce accese alle porte dei cortili e dei grandi dormitori scuri dove giacevano centinaia di
noi, finché non erano spediti alle varie destinazioni.

Si vide presto, all'istruzione, quali erano tra noi i vecchi soldati, e quali le reclute, e per i
primi, mentre stavamo in prigione, vi fu un po' più di tolleranza, benché se possibile, la
sorveglianza fosse ancora maggiore su quei disgraziati dall'anima infranta che erano stati
costretti o indotti ad arruolarsi nel servizio militare. Per descrivere i tipi riuniti qui ci vorrebbe
la matita di M. Gilray. Vi erano uomini di tutte le nazioni e condizioni. Gli Inglesi facevano il
pugilato e si comportavano da padroni, i Francesi giocavano a carte, ballavano e tiravano di
scherma, i pesanti Tedeschi fumavano la pipa e bevevano birra, se riuscivano a
procurarsela. Quelli che avevano qualche cosa da rischiare giocavano, ed in questi giochi io
fui abbastanza fortunato, perché, pur non avendo un soldo quando ero entrato al deposito
(ero stato derubato fino all'ultimo soldo della mia proprietà da quei mascalzoni di reclutatori),
vinsi quasi un dollaro alla prima partita a carte con uno dei Francesi, che non aveva pensato
a chiedermi se avrei potuto pagare in caso di sconfitta. Questo è almeno il vantaggio di
avere un aspetto da gentiluomo: tale aspetto, infatti, mi ha salvato molte volte, procurandomi
credito quando la mia fortuna era al suo livello più basso.

Fra i Francesi vi era uno splendido uomo e valoroso soldato, il cui vero nome nessuno seppe
mai, ma la cui ultima storia fece non poca sensazione quando fu conosciuta nell'esercito
prussiano.

Se bellezza e coraggio sono indizi di nobiltà (benché abbia visto molti brutti come cani e
grandissimi vigliacchi nel mondo della "noblesse"), questo francese doveva aver appartenuto
ad una delle più grandi famiglie di Francia, tanto splendido e nobile era il suo modo di fare, e
tanto superba la sua persona. Era alto un po' meno di me, biondo, mentre io sono bruno, e
se possibile, anche più largo di spalle. Era il solo uomo che abbia incontrato che potesse
battermi al fioretto, con cui mi colpì quattro volte contro tre.

Alla sciabola però avrei potuto farlo a pezzi, e sapevo saltare meglio in lungo e portar pesi
maggiori di lui. Ma questo però è egocentrismo Questo francese, con cui mi legai in intima
amicizia - perché, in realtà, eravamo i due beniamini del deposito, e nessuno dei due aveva
sentimenti di bassa gelosia veniva chiamato, in mancanza di un nome migliore, Le Blondin, a
causa della sua carnagione. Non era un disertore, ma era venuto dal Basso Reno e dai
Vescovati, così almeno credo; la fortuna gli era stata contraria al gioco, e altri mezzi di
esistenza gli erano stati negati. Credo che al suo paese lo aspettasse la Bastiglia, se gli
fosse venuta la fantasia di tornarvi.

Aveva una passione inconsulta per il gioco e per l'alcool, e così avevamo l'uno per l'altro una
grande simpatia; ma quando era eccitato dall'uno o dall'altro faceva paura.
Io, per parte mia, posso sopportare senza batter ciglio sia la sfortuna nel giuoco che il vino;
per conseguenza avevo su di lui un notevole vantaggio nelle nostre partite, e gli vincevo
denaro a sufficienza per poter sostenere la mia posizione.

Aveva fuori della caserma una moglie (che, lo dico in confidenza era la causa delle sue
disgrazie e della separazione dalla sua famiglia) ed essa aveva l'abitudine di venirlo a
trovare due o tre volte la settimana, e non veniva mai a mani vuote; era una donnina piccola,
con gli occhi lucenti, le cui occhiate avevano fatto girar la testa a tutti.

Quell'uomo era inquadrato in un reggimento che era accantonato a Neiss, in Slesia, che è
soltanto a breve distanza dalla frontiera austriaca. Conservava sempre il suo prestigio per il
suo carattere e la sua intelligenza, ed era il capo della repubblica segreta del reggimento,
che esiste sempre a fianco della regolare gerarchia militare. Era un soldato ammirevole,
come ho detto, ma prepotente, dissoluto ed ubriacone. Un uomo di questo tipo, salvo che
non abbia cura di adulare e lusingare gli ufficiali, cosa che io facevo sempre, è certo di
incontrare la loro antipatia.

Il nostro capitano, infatti, era il peggior nemico di Le Blondin, e le sue punizioni erano
frequenti e severe.

Sua moglie e le donne del reggimento (questo avveniva dopo la pace) avevano l'abitudine di
fare un piccolo commercio di contrabbando attraverso lo frontiera austriaca, e sul loro traffico
si chiudeva un occhio sia dall'una che dall'altra parte.

Obbedendo agli ordini di suo marito questa donna da ognuna delle sue escursioni portava
indietro una piccola quantità di polvere e palle, roba che non viene distribuita ai soldati
prussiani e che doveva essere conservata in un luogo segreto fino al momento del bisogno.
Ma dovevamo averne bisogno, ed anche presto.

Le Blondin aveva organizzato una grande e straordinaria congiura.

Non sapevamo fin dove arrivasse, né quante centinaia o migliaia di persone comprendesse.

Tra noi soldati però si raccontavano strane storie intorno a questo complotto, perché la voce
si spargeva di guarnigione in guarnigione, nonostante tutti gli sforzi del Governo per farla
tacere... davvero, fatela tacere! Sono stato anch'io uno del popolo, ho visto la ribellione
irlandese e conosco bene la massoneria dei poveri.
Era divenuto lui in persona il capo del complotto. Non teneva però né documenti scritti, né
lettere. Nessuno dei cospiratori comunicava con gli altri se non per tramite del Francese, ma
lui personalmente dava i suoi ordini a tutti. Aveva stabilito che la ribellione generale della
guarnigione avvenisse alle dodici precise di un giorno determinato; i posti di guardia della
città dovevano essere occupati, le sentinelle fatte a pezzi e.. chi sa il resto?

Alcuni dei nostri dicevano che la cospirazione aveva ramificazioni in tutta la Slesia, e che Le
Blondin sarebbe stato fatto generale al servizio dell'Austria.

Alle dodici, di fronte al posto di guardia della Bohmer-Thor di Neiss, una trentina di uomini
oziavano senza essersi neppure completamente vestiti, e il Francese stava vicino alla
sentinella del posto di guardia ed affilava un'accetta col manico di legno su di una pietra.
Quando batterono le dodici si alzò, spaccò la testa della sentinella con un colpo d'ascia, ed i
trenta uomini si precipitarono nel corpo di guardia, si impadronirono delle armi che c'erano e
si diressero tutti insieme verso la porta. La sentinella cercò di abbassare la sbarra, ma il
Francese si precipitò su di essa, e con un altro colpo di ascia le tagliò la mano con cui
teneva la catena. Vedendo un gruppo di uomini che uscivano armati, gli uomini di guardia
che stavano fuori della porta si precipitarono in mezzo alla strada per impedire loro il
passaggio, ma i trenta uomini del Francese spararono una raffica e li caricarono alla
baionetta; alcuni caddero, altri fuggirono ed i trenta passarono.

La frontiera è soltanto ad una lega da Neiss, ed essi vi si diressero rapidamente.

Ma in città era stato dato l'allarme, e ciò che compromise tutto fu il fatto che l'orologio su cui
si era regolato il Francese andava un quarto d'ora avanti sugli orologi della città. Venne
battuta l'adunata generale, le truppe furono chiamate alle armi, e così gli uomini che
avrebbero dovuto attaccare gli altri posti di guardia furono obbligati a rientrare nei ranghi, ed
il loro progetto fallì. Questo fatto però rese del pari impossibile la scoperta dei cospiratori,
perché nessuno poteva tradire il suo compagno, senza, naturalmente, dichiararsi anch'egli
colpevole.

La cavalleria venne lanciata all'inseguimento del Francese e dei trenta fuggiaschi, che, nel
frattempo, avevano fatto molto cammino verso la frontiera boema.

Quando i cavalli li raggiunsero, si voltarono, li accolsero con una scarica e con la baionetta, e
li respinsero. Gli Austriaci erano fuori delle barriere e guardavano il conflitto con grande
interesse. Le donne, che erano anch'esse in attesa, portarono altre munizioni a questi
intrepidi disertori, ed essi resisterono ai dragoni e li respinsero parecchie volte. Ma in questi
epici ed inutili combattimenti si era perduto molto tempo, così che arrivò alla fine un
battaglione e circondò quei trenta valorosi; allora il destino di quei poveri diavoli fu deciso.
Combatterono con la furia della disperazione; nessuno di loro domandò la resa. Quando le
munizioni furono finite, combatterono all'arma bianca, e furono tutti colpiti di palla o di
baionetta nel punto in cui stavano. Il Francese fu l'ultimo ad essere colpito. Ricevette una
palla nel fianco, e cadde, ed in queste condizioni venne sopraffatto dopo che aveva ucciso
l'ufficiale che si era fatto avanti per primo per arrestarlo.

Lui ed i pochissimi tra i suoi compagni che erano sopravvissuti vennero riportati a Neiss, ed
egli, come capo ed istigatore dell'ammutinamento, venne portato di fronte ad un consiglio di
guerra.

Rifiutò di rispondere a tutte le domande che gli furono fatte sul suo vero nome e la sua
famiglia.

- Cosa importa sapere chi sono? - disse. - Mi avete preso e mi fucilerete. Il mio nome non mi
salverebbe, anche se fosse un nome illustre.

Nello stesso modo rifiutò di fare qualsiasi rivelazione sul complotto.

- E' tutta opera mia: - disse - ognuno di quelli che avevo ingaggiato conosceva soltanto me,
ed ignorava tutti gli altri suoi compagni. Il segreto è solo mio, e morirà con me.

Quando gli ufficiali gli chiesero quale era la ragione che lo aveva indotto ad organizzare un
delitto così orrendo, rispose:

- Sono state la vostra infernale brutalità e tirannia; siete tutti macellai, delinquenti, tigri e
dovete soltanto alla vigliaccheria dei vostri uomini di non essere già stati assassinati da un
pezzo.

A questo punto il suo capitano esplose nelle più furiose imprecazioni contro il ferito, e
precipitatosi su di lui, gli diede un forte colpo col pugno. Ma Le Blondin, nonostante che
fosse ferito, si impadronì della baionetta di uno dei soldati che lo sostenevano, e la immerse
nel petto dell'ufficiale.

- Mascalzone, carogna - esclamò - avrò avuto almeno la consolazione di mandarti all'inferno


prima di morire.
Venne fucilato quello stesso giorno. Dichiarò di voler scrivere al Re, se gli ufficiali
acconsentivano a rimettere la sua lettera, sigillata nelle mani del mastro di posta; ma essi
ebbero senza dubbio paura che egli raccontasse qualche cosa che li mettesse in colpa, e
rifiutarono di dargli il permesso. Ma nel successivo rapporto Federico li trattò, si disse, con
grande severità, e li rimproverò per non avere esaudito la richiesta del Francese.

Però, siccome era interesse del Re mettere a tacere la cosa, come ho detto prima, non se ne
parlò più... Non se ne parlò più, ma centomila soldati dell'esercito lo sapevano, e più di uno
di noi brindò alla memoria del Francese, come a quella di un martire della causa del soldato.
Vi sarà senza dubbio qualche lettore che si scandalizzerà di tutto questo, dicendo che
incoraggio l'insubordinazione e faccio l'apologia dell'assassinio.

Se questi lettori avessero fatto servizio come soldati semplici dal 1760 al 1765, non si
sentirebbero autorizzati a fare alcuna obiezione. Quell'uomo uccise due sentinelle per
riconquistare la libertà, ma quante centinaia di migliaia di suoi sudditi e di Austriaci fece
uccidere il Re Federico perché gli era preso il capriccio della Slesia? Era stata la maledetta
tirannia del suo sistema ad affilare l'ascia che aveva accoppato le sentinelle di Neiss: e così
gli ufficiali d'allora in poi stettero in guardia e ci pensarono un po' di più prima di far sentire a
quei poveri diavoli il loro bastone.

Potrei raccontare molte storie sull'esercito, ma essendo stato io stesso soldato, tutte le mie
simpatie sono per la truppa, e senza dubbio si direbbe che i miei discorsi hanno tendenze
immorali, e farò, quindi, meglio ad essere breve. Pensate alla mia sorpresa mentre ero al
deposito, quando un giorno sento risuonare al mio orecchio una voce ben nota e sento un
gentiluomo magro, che veniva portato dentro da un paio di soldati, e che aveva ricevuto
alcune staffilate sulle spalle da uno di loro, dire in buon inglese:

- Tu, farabutto infernale mi vendicherò di tutto questo. Scriverò al mio ambasciatore, quanto
è vero che mi chiamo Fakenham di Fakenham.

A queste parole scoppiai a ridere: era il mio vecchio amico, nella mia vecchia giubba da
caporale. Lischen aveva giurato ostinatamente che lui era davvero e per certo un soldato, ed
il povero diavolo era stato portato via, ed era stato trasformato in un soldato come noi. Ma io
non sono maligno di carattere, e dopo aver fatto ridere tutta la camerata con la storia del
modo in cui avevo ingannato quel povero diavolo, gli diedi un consiglio che gli fece ottenere
la libertà.

- Andate dall'ufficiale di ispezione - gli dissi; - una volta che vi abbiano arruolato nell'esercito
prussiano è finita per voi, e non vi libererete mai più. Andate subito dal comandante del
deposito, promettetegli cento... cinquecento ghinee per essere messo in libertà; ditegli che il
capitano arruolatore ha le vostre carte ed il vostro portafoglio (e questo è vero); sopra tutto
dimostrategli che avete il mezzo di pagare il denaro che gli avete promesso, e vi garantisco
che sarete libero.
Fece come gli avevo consigliato, e quando ci mettemmo in marcia il signor Fakenham trovò il
mezzo di farsi ricoverare in ospedale, e mentre era all'ospedale la questione fu sistemata nel
modo che avevo raccomandato. Tuttavia era stato sul punto di perdere la libertà per la sua
tirchieria nel mercanteggiare, e non dimostrò mai la minima gratitudine verso di me, suo
benefattore.

Non voglio fare alcun romantico racconto della Guerra dei Sette Anni. Alla fine della guerra,
l'esercito prussiano, tanto rinomato per il suo disciplinato valore, aveva come ufficiali e
sottufficiali dei nativi della Prussia, è vero, ma era composto per la maggior parte da uomini
arruolati o rapiti, come me, da quasi tutte le nazioni d'Europa. Il numero dei disertori, dall'una
e dall'altra parte, era enorme. Soltanto nel mio reggimento (quello di Bulow) prima della
guerra vi erano non meno di 600 Francesi, e mentre marciavano fuori di Berlino per la
campagna, uno di quegli individui aveva un vecchio piffero, su cui suonava una canzone
francese, ed i suoi compagni ballavano, piuttosto che camminare, dietro di lui, cantando
"Nous allons en France". Due anni dopo, quando ritornarono a Berlino, erano rimasti soltanto
sei uomini di quelli che erano partiti in origine; gli altri avevano disertato o erano morti in
combattimento. La vita che conduceva il soldato semplice era spaventosa, per qualsiasi
persona che non avesse coraggio e resistenza di ferro.

Ogni tre uomini vi era un caporale, che marciava dietro di loro ed usava senza pietà il
bastone, così che si era soliti dire che in combattimento vi fosse una prima riga di soldati ed
una seconda riga di caporali e di sergenti che li mandavano avanti. Molti uomini si davano a
spaventosi atti di disperazione dopo queste incessanti persecuzioni e torture, ed in molti
reggimenti dell'esercito si era diffusa una consuetudine orribile, che per qualche tempo
procurò al governo gravi preoccupazioni. Era lo strano ed orribile rito della "uccisione dei
bambini". Gli uomini avevano l'abitudine di dire che la vita era insopportabile, ma che il
suicidio era un delitto. Per evitarlo, e farla finita con l'insopportabile tristezza della loro
condizione, il piano migliore era di uccidere un bambino piccolo, che era innocente, e quindi
sicuro di andare in cielo, e così si consideravano liberi della colpa dell'omicidio.

Il Re stesso, - l'eroe saggio e filosofo, il principe che aveva sempre la liberalità sulle labbra e
affettava orrore per la pena di morte - si spaventò di questa tremenda protesta contro la sua
mostruosa tirannia da parte dei disgraziati che aveva rapito. Ma il solo mezzo che trovò per
rimediare a questo male fu di proibire severamente che questi criminali fossero assistiti da
un ecclesiastico di qualsiasi confessione e di negar loro ogni conforto religioso.

I castighi erano incessanti. Ogni ufficiale aveva facoltà di infliggerli, ed in pace erano anche
più crudeli che in guerra.

Infatti quando venne la pace il Re compì l'epurazione di tutti gli ufficiali che non erano nobili,
quali che fossero stati i loro servizi. Chiamava un capitano di fronte alla sua compagnia e
diceva:
- Non è nobile, mandatelo via.

Avevamo paura di lui, però, e stavamo di fronte a lui come bestie selvagge di fronte al
domatore. Ho visto gli uomini più valorosi dell'esercito piangere come bambini sotto i colpi
della verga; ho visto un sottotenentino di quindici anni chiamare fuori delle righe un uomo di
cinquanta, un uomo che era stato in cento battaglie, che rimase lì, presentando le armi,
piangendo ed urlando come un bambino, mentre quel mascalzoncello lo colpiva sulle braccia
e sulle gambe con la verga.

In un giorno di combattimento quell'uomo avrebbe osato qualsiasi cosa. Allora poteva anche
avere i bottoni storti e nessuno se ne incaricava; ma quando lo avevano fatto lottare come
una bestia selvaggia, lo frustavano per insubordinazione. Quasi tutti fra noi urlavano a
perdifiato, e quasi nessuno poteva sopportare la punizione. L'ufficiale francese di cui vi ho
parlato e che era stato preso con me, era nella mia compagnia e venne fustigato come un
cane. Lo incontrai a Versailles venti anni dopo, e diventò pallido come se si sentisse male
quando gli parlai di quei tempi lontani.

- Per l'amor di Dio - disse - non mi parlare di quel periodo; anche ora qualche volta mi sveglio
tremando e piangendo.

Per quel che mi riguarda, dopo un breve periodo in cui, debbo confessarlo, gustai anch'io il
bastone come i miei compagni, dopo che ebbi avuto occasione di mostrarmi soldato valoroso
ed abile, scelsi il sistema che avevo già adottato nell'esercito inglese per impedire altre
umiliazioni di carattere personale. Mi legai una pallottola intorno al collo, e non mi diedi la
pena di nasconderla, e dichiarai che sarebbe stata per l'uomo o per l'ufficiale che mi avesse
fatto punire. E vi era nel mio aspetto qualche cosa che lo fece credere ai miei superiori;
perché la pallottola mi era già servita per uccidere un colonnello austriaco, e l'avrei elargita
ad un prussiano senza alcun rimorso.

Che cosa m'importava delle loro liti, o se l'aquila sotto cui marciavo aveva una testa sola, o
due? Tutto quello che dissi fu:

- Nessuno troverà che manco al mio dovere; ma nessuno mai deve alzare la mano su di me.

E mi attenni a questo concetto finché rimasi in servizio.

Non ho intenzione di fare la storia delle battaglie della Prussia, più di quanto ne abbia avuta
di fare quelle sostenute al servizio dell'Inghilterra. Feci il mio dovere in queste come in
quelle, e nel frattempo i miei baffi erano cresciuti in modo da raggiungere una lunghezza
decente, così che io, a vent'anni, se non ero il più valoroso, il più intelligente ed il più bel
soldato dell'esercito prussiano, ero, debbo confessarlo, il più briccone. Mi ero abituato alle
condizioni dell'animale da combattimento: il giorno della battaglia ero selvaggio e felice; fuori
del campo mi prendevo tutte le soddisfazioni che potevo, e non ero troppo schizzinoso sul
modo di procurarmele. La verità però è che tra noi vi era un tono sociale un po' più elevato
che tra quegli stupidi idioti dell'esercito inglese, ed il nostro servizio era, di solito, tanto rigido
che ci lasciava poco tempo per fare baldoria.

Io che sono molto bruno e di carnagione scura venivo chiamato dai miei compagni "l'Inglese
Nero" o "Schwarzer Englander", o anche il Diavolo Inglese. Se c'era da fare qualche servizio,
ero certo che toccava a me. Ottenevo frequenti gratifiche in denaro, ma nessuna
promozione, ed il giorno dopo a quello in cui avevo ucciso il colonnello austriaco (un enorme
ufficiale degli Ulani che avevo attaccato da solo e a piedi) il Generale Bulow, comandante del
mio reggimento, mi diede due Federici d'oro davanti alla truppa schierata, e mi disse:

- Ora ti dò questa ricompensa; ma temo che ti farai impiccare un giorno o l'altro.

Spesi quel denaro, e quello che avevo trovato sul corpo del colonnello, fino all'ultimo
groschen, quella sera stessa, con alcuni allegri compagni, e fino a quando la guerra finì non
fui mai senza almeno un dollaro nella borsa.

Capitolo 7

BARRY CONDUCE VITA DI GUARNIGIONE, E VI TROVA MOLTI AMICI

Dopo la guerra il nostro reggimento fu accantonato nella capitale, la meno noiosa, forse, di
tutte le città della Prussia; il che non significa che fosse allegra. Il nostro servizio, sempre
duro, ci lasciava ogni giorno poche ore libere in cui potevamo prendere qualche svago, se
avevamo i mezzi per pagarcelo. Molti dei nostri andavano a lavorare in mestieri manuali, ma
a me non capitò nessuna occasione del genere, e per di più il mio onore me lo avrebbe
impedito, perché, essendo un gentiluomo, non avrei potuto sporcarmi le mani con
un'occupazione servile. Ma la nostra paga era appena sufficiente a impedirci di morir di
fame, e siccome ho sempre avuto molta voglia di divertirmi, e la situazione in cui ci
trovavamo ora, nel cuore della capitale, ci impediva di ricorrere all'espediente di levar tributi,
solito in tempo di guerra, fui costretto ad adottare il solo mezzo che mi fosse rimasto per
provvedere alle mie spese. In una parola divenni l'"Ordonnanz" o meglio il gentiluomo
militare di fiducia del mio capitano.

Avevo respinto quest'offerta quattro anni prima, quando mi era stata fatta mentre ero al
servizio dell'Inghilterra, ma in un paese straniero è tutt'altro affare; e poi, a dire la verità, dopo
cinque anni di servizio militare, l'orgoglio di un uomo si sottomette a mortificazioni che gli
riuscirebbero intollerabili in libertà.

Il capitano era un giovanotto che si era distinto durante la guerra, altrimenti non sarebbe
stato promosso a quel grado tanto presto. Era, per di più, nipote ed erede del Ministro della
Polizia, il signor de Potzdorff, parentela che senza dubbio aveva favorito la promozione di
quel giovane gentiluomo.

Il Capitano de Potzdorff era un ufficiale abbastanza severo nelle riviste ed in caserma, ma


era persona molto suscettibile all'adulazione.

Me lo cattivai anzitutto per il modo con cui gli annodavo i capelli a coda (ed in realtà era il
meglio vestito di tutto il reggimento) ed in seguito ottenni la sua fiducia con mille piccole
astuzie e complimenti, che, da gentiluomo par mio, sapevo sempre come impiegare. Era un
buontempone, e si dava alla bella vita assai più apertamente di molti di coloro che stavano
nella monotona corte del Re; era generoso, non badava alla borsa, ed aveva un grande
affetto per il vino del Reno; tutte qualità che sinceramente condividevo, e dalle quali,
naturalmente, traevo profitto.

Non era molto amato al reggimento, perché si riteneva che avesse relazioni troppo intime
con lo zio, Ministro della Polizia, a cui, si diceva, riferiva tutte le notizie del corpo.

Ben presto entrai nelle grazie dell'ufficiale, e venni a conoscenza della maggior parte dei suoi
affari. Così mi vennero risparmiate molte istruzioni e parate, di cui altrimenti nessuno mi
avrebbe alleggerito, ed ottenni un gran numero di guadagni occasionali, che mi permisero di
fare buona figura e di comparire con un certo "éclat" in una certa, sebbene, debbo
confessarlo, molto umile, società di Berlino. Ero sempre uno speciale favorito delle signore
ed il mio modo di fare con loro era tanto cortese, che non si capacitavano come avessi
ottenuto al reggimento lo spaventoso soprannome di Diavolo Nero.

- Non è tanto nero come lo si dipinge - dicevo ridendo, e la maggior parte delle signore erano
d'accordo nel riconoscere che il soldato era bene educato almeno quanto il capitano; e come
avrebbe potuto essere altrimenti, tenendo conto della mia educazione e della mia nascita?
Quando fui entrato a sufficienza nelle sue grazie, gli chiesi il permesso di scrivere una lettera
in Irlanda alla mia povera madre:

non le avevo dato mie notizie da molti anni. Infatti le lettere dei soldati stranieri non venivano
mai accettate dalla posta, per timore di richiami e di seccature da parte dei loro parenti
all'estero. Il capitano mi promise di trovare il modo di spedire la lettera, e siccome sapevo
che l'avrebbe aperta, ebbi cura di dargliela non sigillata, mostrando così la mia fiducia in lui.
Ma la lettera, come potete immaginare, era scritta in modo che nessun danno poteva venire
a colui che l'aveva scritta nel caso che fosse stata intercettata. Chiedevo perdono alla mia
onorevole madre per esser fuggito di casa, dicevo che sapevo bene che le stravaganze e la
follia di cui avevo dato prova nel paese natio rendevano impossibile il mio ritorno colà, ma
ella però doveva esser lieta di sapere che stavo bene e che ero felice al servizio del più
grande monarca del mondo, e che la vita del soldato era molto piacevole. Aggiunsi che
avevo trovato un benevolo protettore e patrono, e che speravo che un giorno o l'altro egli
avrebbe fatto qualche cosa per me (benché sapessi bene che non era in condizione di far
niente). La pregavo di ricordarmi a tutte le ragazze di Castle Brady, e le nominai tutte, da
Biddy a Becky, e mi firmai, come in verità ero, il suo affezionato figlio, Redmond Barry della
compagnia del Capitano Potzdorff, del reggimento di fanteria Bulowitsch, di guarnigione a
Berlino.

Le raccontai anche una storiella divertente, del Re che aveva fatto rotolare a calci il
cancelliere e tre giudici giù per le scale, come lo avevo visto fare un giorno in cui ero di
guardia a Postdam, e le dissi che speravo che presto ci fosse un'altra guerra, durante la
quale avrei potuto essere promosso ufficiale.

Dalla mia lettera avreste potuto credere che fossi l'individuo più felice del mondo, e non ero
affatto dispiacente d'ingannare, su questo punto, la mia buona genitrice.

Ero sicuro che la mia lettera sarebbe stata letta, ed infatti il Capitano Potzdorff cominciò a
farmi domande, qualche giorno dopo, sulla mia famiglia, ed io, tutto considerato, gli raccontai
le cose con sufficiente esattezza. Ero il cadetto di una buona famiglia, ma mia madre era
quasi rovinata ed aveva appena abbastanza da mantenere le mie otto sorelle che avevo
nominato nella lettera. Ero stato a studiare legge a Dublino, dove mi ero ingolfato nei debiti e
nelle cattive compagnie, avevo ucciso un uomo in duello e sarei stato impiccato o fatto
mettere in prigione dai suoi potenti amici se fossi ritornato. Mi ero arruolato nell'esercito
inglese, finché mi si era presentata un'occasione di fuggire a cui non avevo saputo resistere.
A questo punto gli raccontai la storia del signor Fakenham di Fakenham in modo tale che il
mio padrone venne preso da un convulso di risa, e mi disse poi che aveva ripetuto questa
storia a Madame de Kameke, la sera alla riunione, e tutti erano desiderosi di poter dare
un'occhiata al giovane "Engländer".

- C'era anche l'ambasciatore inglese? - chiesi in tono molto allarmato, e aggiunsi:

- Per amor del Cielo, signore, non gli dite il mio nome, potrebbe chiedere l'estradizione; e
non ho nessuna voglia di essere impiccato proprio nel mio caro paese natio.
Potzdorff, ridendo, disse che avrebbe avuto cura che restassi dove ero, ed a questo punto gli
giurai eterna gratitudine.

Qualche giorno dopo, con viso piuttosto serio, mi disse:

- Redmond, ho parlato di te al nostro colonnello ed ho espresso la mia meraviglia che un


individuo del tuo coraggio e della tua capacità non abbia avuto promozioni durante la guerra;
ma il comandante mi ha detto che ti aveva messo gli occhi addosso, che sei un soldato
valoroso, e che è evidente che vieni da un buon ceppo, che nessuno, nel reggimento, per
quello che lo riguarda, ha fatto meno mancanze verso di lui, ma che nessuno ha meritato la
promozione meno di te. Sei pigro, vizioso e senza principi; hai fatto del male a quasi tutti i
tuoi compagni, e nonostante la tua intelligenza ed il tuo valore, era sicuro che non avresti
combinato nulla di buono.

- Signore - dissi, molto meravigliato che alcun uomo mortale si fosse fatto una tale opinione
di me, - spero che il generale Bulow si sia sbagliato a proposito del mio carattere. Sono
capitato in cattiva compagnia è vero, ma ho fatto soltanto quello che hanno fatto gli altri
soldati, e soprattutto, non ho mai avuto, prima d'ora, un buon amico ed un protettore, a cui
far vedere che meritavo una sorte migliore. Il generale può dire che sono uno scampaforca,
e può lasciarmi andare all'inferno, ma state sicuro di questo; andrò all'inferno, servendo voi.

Vidi che questo discorso faceva piacere al mio protettore, e siccome ero molto discreto e gli
ero utile in mille servizi delicati, si legò presto a me con un sincero attaccamento. Un giorno,
o piuttosto una notte, mentre era in "tête-à-tête" con la signora di Tabaks Räthinn von Dose,
per esempio, io..., ma non vale la pena di parlare di cose che oggi non interessano più
nessuno.

Quattro mesi dopo la lettera mandata a mia madre, ricevetti, in una busta diretta al capitano,
la risposta che fece nascere nella mia mente un vivo desiderio della casa ed una malinconia
che non saprei descrivere. Non avevo rivisto da cinque anni la calligrafia della cara donna.
Tutti i vecchi giorni, ed il tramonto sui vecchi verdi campi d'Irlanda, ed il suo amore, e mio zio,
e Phil Purcell, e tutto quello che avevo fatto e pensato mi tornarono in mente, mentre
leggevo quella lettera, e quando rimasi solo mi misi a piangere su quel foglio, come non
avevo più fatto dal giorno in cui Nora mi aveva canzonato, come sapete. Ebbi cura di non
mostrare i miei sentimenti al reggimento e al mio capitano, ma quella notte in cui dovevo
andare a prendere il té alla Garden- house fuori della Brandenburg Gate, con Fräulein
Lottchen (la dama di compagnia della Tabaks Räthinn), non ebbi coraggio di andarci, ma la
pregai di volermi tenere per scusato, e me ne andai a letto presto in caserma, da cui ora
andavo dentro e fuori quando volevo, e passai tutta la notte a piangere ed a pensare alla
cara Irlanda.
Il giorno seguente il mio spirito tornò a sollevarsi. Riscossi un vaglia da dieci ghinee che mia
madre mi aveva mandato nella lettera e diedi un fantastico trattenimento ad alcune persone
di mia conoscenza. La lettera di quella cara creatura era tutta inzuppata di lacrime, piena di
cancellature e scritta nel modo più incoerente. Diceva di essere contenta di sapere che ero
agli ordini di un Principe protestante, benché temesse che egli non fosse proprio sulla retta
via, quella retta via che, diceva, essa aveva avuto la fortuna benedetta di trovare col
reverendo Joshua Jowls, sotto la guida del quale si trovava ora. Disse che questo reverendo
era una navicella preziosa, eletta, un dolce unguento ed una preziosa scatola di spigonardo;
ed usava un gran numero di frasi che non potevo capire; ma in mezzo a tutto questo gergo
incomprensibile mi era chiara una cosa, che la cara creatura amava ancora suo figlio e
pensava a lui e pregava giorno e notte per il suo selvaggio Redmond.

Non è successo molte volte ad un povero diavolo, durante la solitaria guardia notturna, o nel
dolore, nella malattia, nella prigionia, di pensare che proprio in quel minuto, molto
probabilmente, sua madre sta pregando per lui? Io spesso ho avuto questi pensieri, e non ve
ne sono di più consolanti, ed è quasi un bene che non vengano quando si è in compagnia;
perché come diventerebbe allora una comitiva di ragazzi allegri?... muta come il corteo che
segue un funerale, vi garantisco. Quella sera bevvi alla salute di mia madre con una grande
coppa di vino, e vissi come un signore finché non mi finirono i soldi. Si era proprio spremuta
per mandarmeli, come mi disse poi, e il signor Jowls era molto seccato con lei per questo
fatto.

Benché spendessi rapidamente il denaro di quella cara creatura, non mi ci volle molto per
guadagnarne di più; infatti avevo cento maniere di procacciarmelo da quando ero diventato il
favorito universale del capitano e dei suoi amici. Ora era Madame von Dose che mi dava un
Federico d'oro per averle portato un mazzo di fiori o una lettera del capitano; ora, invece, era
il vecchio Consigliere Privato che mi offriva una bottiglia di vino del Reno, e mi faceva
scivolare in mano un dollaro o due, allo scopo di farsi dare qualche informazione sulla
"liaison" tra il mio capitano e sua moglie.

Ma benché non fossi tanto sciocco da non prendere il suo denaro, potete esser certi che non
ero tanto privo di onore da tradire il mio benefattore, così che il Consigliere riuscì a sapere
molto poco da me.

Quando il Capitano e la signora ruppero i loro rapporti, ed egli cominciò a fare la corte alla
ricca figlia del Ministro d'Olanda, non so quante mai lettere e ghinee la sfortunata Tabaks
Räthinn mi consegnò, perché le riportassi l'amante. Ma questi ritorni sono rari, in amore, ed il
Capitano si contentava di fare grandi risate sui suoi sospiri stantii e sui suoi tentativi di
ritorno. Nella casa di Mynheer van Guldensack mi ero reso così simpatico per dritto e per
traverso che ero diventato quasi un intimo; e venni a conoscenza di un paio di segreti di
Stato, cosa di cui il mio capitano fu molto sorpreso e compiaciuto.

Egli riferiva, infatti, queste bagatelle a suo zio, Ministro della Polizia, che senza dubbio ne
traeva vantaggio, e così cominciai ad essere ricevuto in maniera molto confidenziale dalla
famiglia Potzdorff, ed ero diventato un soldato soltanto di nome, perché mi era stato
permesso di vestirmi in abiti borghesi (che erano, ve lo posso assicurare, molto eleganti) e di
divertirmi in mille modi, cosa che quei poveri diavoli dei miei camerati mi invidiavano.

I sergenti poi erano cortesi con me come se fossi un ufficiale:

sarebbe stato strano pensare che i loro galloni dessero loro il diritto di offendere una persona
che era il braccio destro del nipote del Ministro! Vi era nella mia compagnia un giovane che
si chiamava Kurz che, a dispetto del suo nome, era alto almeno sei piedi ed al quale avevo
salvato la vita durante la guerra in diverse occasioni. Questo ragazzo, dopo che gli ebbi
raccontato una delle mie avventure, non fece altro, niente meno, che darmi della spia e del
confidente e mi impose di non dargli più del tu come si usa tra i giovani quando sono intimi.
Non potevo far altro che sfidarlo, ma non avevo con lui alcun rancore. Lo disarmai in un
batter d'occhio, e mentre gli facevo volare la spada sopra la testa gli dissi:

- Kurz, hai mai conosciuto nessuno che sia colpevole di un'azione meschina e che si
comporti come faccio ora io?

Questo episodio ridusse al silenzio anche gli altri mormoratori; e dopo di allora nessuno mi
prese più in giro.

Nessuno può immaginare che per una persona della mia qualità fosse divertente aspettare
nelle anticamere ed ascoltare la conversazione di lacché e di facchini. Ma ciò non era più
umiliante che stare nella camerata in caserma, cosa che, non c'è bisogno di dirlo, mi faceva
male al cuore.

Le mie proteste di simpatia per l'esercito erano dirette soltanto a gettare polvere negli occhi
del mio padrone. Sospiravo il momento in cui avrei potuto farla finita con questa schiavitù.

Sapevo di essere nato per fare una grande figura nel mondo. Se fossi stato uno della
guarnigione di Neiss avrei cercato la strada verso la libertà nello stesso modo tenuto dal
valoroso Francese, ma qui ci voleva soltanto l'astuzia per mettermi in grado di raggiungere il
mio scopo; e non ero quindi giustificato se ne facevo uso? Il mio piano era questo: dovevo
rendermi tanto necessario al signor de Potzdorff, che egli mi avrebbe ottenuto la libertà.

Una volta libero, in grazia della mia elegante persona e della mia buona famiglia, avrei fatto
ciò che avevano fatto prima di me diecimila gentiluomini irlandesi; avrei sposato una signora
con un buon patrimonio ed una buona posizione.

La prova che ero, se non disinteressato, almeno spinto da una nobile ambizione, è questa. Vi
era a Berlino la vedova di un grasso droghiere, con seicento talleri di rendita, ed un buon giro
di affari, che cominciò a dirmi che avrebbe pagato il mio congedo se l'avessi sposata; ma le
dissi francamente che non ero nato per fare il droghiere, e così rifiutai nella maniera più
assoluta la via verso la libertà che essa mi offriva.

Ed ero grato ai miei padroni; più grato di quanto essi non fossero con me. Il Capitano aveva
debiti, e molti impegni con gli ebrei, a cui aveva dato delle cambiali pagabili alla morte dello
zio. Il vecchio Harry von Potzdorff, vedendo la fiducia che suo nipote aveva in me, mi offrì un
compenso per sapere come stessero davvero gli affari del giovanotto.

Ma cosa feci io? Informai del fatto il signor George von Potzdorff, e compilammo, d'accordo,
una lista di piccoli debiti, tanto modesta che in realtà calmò lo zio, invece di farlo arrabbiare,
così che egli li pagò, lieto di cavarsela così a buon mercato.

Ebbi un bel contraccambio di questa fedeltà. Una mattina il vecchio era chiuso nel suo
gabinetto col nipote (aveva l'abitudine di venire a prendere notizie piccanti su ciò che
facevano i giovani ufficiali del reggimento; se questo o quello giocava; chi aveva intrighi
amorosi e con chi; chi era stato al ridotto in una certa notte, chi aveva debiti e chi no, perché
il Re voleva sapere gli affari di tutti gli ufficiali dell'esercito). Io ero stato mandato con una
lettera dal Marquis d'Argens, che poi sposò Mademoiselle Cochois, l'attrice, ed avendo
incontrato il marchese dopo pochi passi di strada, gli avevo dato il mio messaggio ed ero
tornato all'alloggio del Capitano. Lui ed il suo degno zio avevano fatto oggetto della loro
conversazione la mia indegna persona.

- E' nobile - sentii che diceva il Capitano.

- Bah! - rispondeva lo zio, che avrei voluto strangolare per la sua impertinenza - tutti questi
pezzenti irlandesi quando si arruolano raccontano la stessa storia.

- E' stato rapito da Galgenstein - riprese l'altro.

- Un disertore rapito - disse M. Potzdorff - "la belle affaire!" - Però ho promesso a quel
ragazzo di interessarmi per il suo congedo; e sono sicuro che potrà essere utile.

- Hai chiesto il suo congedo - rispose il più vecchio, ridendo.


"Bon Dieu!" Sei un modello di onestà! Non arriverai mai al mio posto, George, se non sei un
po' più furbo di quanto non lo sei stato ora. Serviti di quel giovane fin che ti fa piacere. Ha
buone maniere ed un contegno franco. Può dire bugie con una faccia tosta che non ho mai
oltrepassata nemmeno io, e combatte, mi dici, con la miseria. Quel mascalzone non manca
di buone qualità. Ma è vanesio, spendaccione, e "bavard". Finché tieni sospeso su di lui il
reggimento "in terrorem", puoi farne quello che vuoi. Ma se lo lasci andare, è tipo da farti lo
sgambetto. Limitati a fargli delle promesse; promettigli di farlo generale, se vuoi. Che diavolo
te ne importa? Vi sono abbastanza spie in questa città anche senza di lui.

Era dunque in questo modo che venivano considerati i servizi che avevo reso al signor de
Potzdorff da quell'ingrato individuo?

Uscii dalla stanza con lo spirito molto turbato, pensando che un altro dei miei più cari sogni
era così svanito, e che la speranza di uscire dall'esercito, essendo utile al Capitano, era
assolutamente vana. Per qualche tempo la mia disperazione fu tale che pensai di sposare la
vedova, ma ai soldati non era permesso di contrarre matrimonio senza il permesso diretto
del Re, ed era molto dubbio che Sua Maestà avrebbe consentito ad un giovane di ventidue
anni, l'uomo più bello del suo esercito, di accoppiarsi con una vedova sessantenne, dalla
faccia foruncolosa, che aveva ormai superato l'età in cui il suo matrimonio poteva
moltiplicare i sudditi di Sua Maestà.

Questa speranza di libertà era dunque vana; né potevo sperare di acquistare il mio riscatto a
meno che qualche anima caritatevole non mi prestasse una buona somma di denaro.
Nonostante che, come ho detto, ne avessi una buona quantità, ho sempre avuto, per tutta la
vita, una tendenza irresistibile a spendere, ed è tanta la mia generosità nel disporre del
denaro che ho sempre avuto debiti da quando sono nato.

Il mio Capitano, quello scaltro mascalzone!, mi diede una versione molto differente della sua
conversazione con lo zio, nonostante che io sapessi bene quale era quella vera. Mi disse
ridendo:

- Redmond, ho parlato al Ministro a proposito dei tuoi servizi (12) e la tua fortuna è fatta. Ti
faremo uscire dall'esercito, ti daremo un incarico nell'ufficio di polizia e ti daremo la funzione
di ispettore del buon costume, e in conclusione, ti faremo muovere in un ambiente migliore di
quello in cui la sorte ti ha messo da qualche tempo.

Benché non credessi nemmeno una parola di questo discorso, mostrai di esserne molto
commosso, e naturalmente giurai eterna gratitudine al Capitano per la sua cortesia verso il
povero esule irlandese.

- Il tuo servizio presso il Ministro d'Olanda mi ha molto soddisfatto. Vi è un'altra circostanza in


cui ti puoi rendere utile per noi; e se hai successo, avrai la tua ricompensa, stanne sicuro.
- Qual è questo servizio, signore? - dissi io. - Farò qualunque cosa per un padrone tanto
cortese.

- E' venuto da poco a Berlino - disse il Capitano - un gentiluomo al servizio dell'Imperatrice-


regina, che si fa chiamare "Chevalier" de Balibari, e porta il nastro rosso e la stella
dell'Ordine dello Sperone del Papa. Parla indifferentemente italiano e francese; ma abbiamo
motivo di credere che questo signor de Balibari sia nativo del tuo paese, in Irlanda. Non hai
mai sentito un nome come Balibari in Irlanda?

- Balibari! Balyb...

Un lampo improvviso mi traversò la mente.

- No, signore - dissi. - Non ho mai inteso questo nome.

- Devi entrare al suo servizio. Naturalmente non devi sapere una parola di inglese; e se il
cavaliere ti fa delle domande sul tuo accento straniero, digli che sei ungherese. Il servo che è
venuto con lui sarà mandato via oggi, e la persona a cui si è rivolto per avere un fedele
domestico ti raccomanderà. Sei ungherese, ed hai prestato servizio nella Guerra dei Sette
Anni. Hai lasciato l'esercito a causa della debolezza dei tuoi lombi. Hai fatto servizio per due
anni con Monsieur de Quellemberg; ora lui è con l'esercito in Slesia, ma il tuo certificato è
firmato da lui. Poi sei stato con il Dottor Mopsius, che darà tutte le informazioni se ce ne sarà
bisogno. Anche il padrone dello Star Hotel dirà che sei un bravo ragazzo; per quanto poco
possa servire la sua attestazione. Quanto al resto della tua storia, puoi sistemartela come ti
pare, e farla romantica o piccante come ti detta la fantasia. Cerca però di ottenere la fiducia
del cavaliere provocando la sua compassione. Gioca molto e vince. Conosci bene le carte?

- Soltanto un poco... come tutti i soldati.

- Credevo che fossi molto esperto. Devi osservare se il cavaliere bara: se bara lo abbiamo in
pugno. Vede continuamente gli inviati di Inghilterra e d'Austria, e giovanotti di tutti i Ministeri
pranzano spesso a casa sua. Stai attento a quello che dicono, se qualcuno di loro, e
soprattutto se "Monsieur" giuoca sulla parola; se una volta potrai leggere le sue lettere
private, fallo, naturalmente; però per quelle che vanno per posta non c'è bisogno che ci perdi
tempo; le guardiamo noi. Ma non lo lasciar scrivere mai un biglietto senza cercar di sapere a
chi va, e per mezzo di quale tramite o messaggero. Dorme con le chiavi della cassetta dei
suoi dispacci attaccata al collo con un nastro. Venti Federici per te, se riesci ad avere
l'impronta della chiave. Naturalmente andrai da lui in borghese. Datti una bella spazzolata
alla cipria dei capelli e tienili legati semplicemente con un nastro. I baffi, naturalmente, li devi
radere.
Dopo avermi dato queste istruzioni ed una piccolissima regalia, il Capitano se ne andò.
Quando tornai a salutarlo, si divertì molto al cambiamento del mio aspetto. Mi ero rasato i
baffi, non senza un certo dispiacere (perché erano neri come l'ambra ed arricciati con
eleganza); mi ero tolto dai capelli l'odioso grasso e farina che avevo sempre detestato; avevo
indossato una giacca francese grigia molto seria, calzoncini di satin nero, un panciotto
marrone di felpa ed un cappello senza coccarda. Sembravo remissivo ed umile come deve
essere un domestico in cerca d'impiego, e credo che i compagni stessi del mio reggimento,
che stava ora passando la rivista a Postdam, non mi avrebbero riconosciuto. Così conciato
andai allo Star Hotel, dove alloggiava lo straniero, ed il cuore mi batteva per l'ansia e qualche
cosa mi diceva che questo "Chevalier" de Balibari, non era altri che Barry de Ballybarry, il
fratello maggiore di mio padre, che era stato privato del suo feudo in conseguenza della sua
ostinazione nell'aderire alla superstizione romana.

Prima di andare a presentarmi, andai nelle "remises" a dare un'occhiata alla sua carrozza.
Aveva lo stemma dei Barry? Sì, c'era: fiocco rosso in campo d'argento con quattro conchiglie
agli angoli, l'antico stemma della mia casa. Era dipinto in uno stemma grande quanto il mio
cappello, su una carrozza elegante, abbondantemente dorata, sormontato da una coroncina
e sostenuto da otto o nove cupidi, cornucopie e cestini di fiori, secondo la bizzarra moda
araldica di quei tempi. Doveva essere proprio lui.

Mi sentivo quasi venir meno mentre salivo le scale. Dovevo presentarmi davanti a mio zio,
nell'aspetto di servo!

- Tu sei il giovanotto che M. de Seebach ha raccomandato?

Feci un inchino e gli porsi la lettera di quel gentiluomo, che il mio Capitano aveva avuto cura
di fornirmi. Mentre la guardava, ebbi tutto il tempo di esaminarlo. Mio zio era un uomo sulla
sessantina, indossava una vistosa giacca e brache di velluto color albicocca, ed un panciotto
di satin bianco, ricamato in oro come la giacca. Attraverso il petto gli passava il nastro di
porpora dell'ordine dello Sperone; e la stella dell'ordine, una stella enorme, gli brillava al
petto. Aveva anelli a tutte le dita, un paio di orologi nei taschini, un ricco diamante "solitaire"
nel nastro nero che gli circondava il collo e che finiva al sacchetto della parrucca; i suoi
manichini e le sue gale erano ornati con un profluvio di merletti ricchissimi. Aveva calze di
seta rosee arrotolate sopra il ginocchio, e legate con giarrettiere d'oro, ed enormi fermagli di
diamanti alle sue scarpe col tacco rosso. Una spada montata in oro in una guaina di pelle di
pesce bianca, ed un cappello con ricchi merletti ed ornato di penne bianche stavano sul
tavolo accanto a lui, e completavano il costume di questo splendido gentiluomo.

Come altezza era presso a poco uguale a me, vale a dire, sei piedi e mezzo ed un pollice; i
suoi lineamenti erano molti simili ai miei, ed era estremamente "distingué".

Tuttavia portava uno degli occhi coperto da una benda nera, ed in faccia si metteva un po' di
vernice bianca e rossa, cosa che a quei tempi non era un ornamento insolito. Un paio di baffi
gli ricadevano sul labbro, nascondendo una bocca che più tardi mi accorsi avere una
espressione piuttosto sgradevole. Quando poi si tolse la barba potetti osservare che i denti
superiori sporgevano troppo; ed il suo volto mostrava sempre un sorriso fisso, spettrale, che
non era affatto gradevole.

Fu molto imprudente da parte mia, ma quando vidi lo splendore del suo aspetto e la nobiltà
del suo modo di fare, sentii che mi era impossibile mantenere davanti a lui il mio
travestimento, e quando mi disse:

- Ah, sei ungherese, vedo! - non potei resistere più a lungo e dissi:

- Signore, sono irlandese, e mi chiamo Redmond Barry di Balybarry.

Mentre parlavo scoppiai in lacrime: non saprei dire perché; ma non avevo visto nessuno
della mia famiglia e della mia stirpe da sei anni, ed il mio cuore desiderava di trovarne
qualcuno.

Capitolo 8

BARRY DA' L'ADDIO ALLA CARRIERA MILITARE

Voi che non siete mai stati fuori del vostro paese non potete sapere cosa sia il sentire in
prigionia la voce di un amico, e vi sono molti che non potranno comprendere la causa dello
scoppio di tutti i miei sentimenti che, come ho confessato, ebbe luogo alla vista di mio zio.
Nemmeno per un minuto egli pensò a mettere in dubbio la verità di quanto dicevo.

- Madre di Dio! - gridò - è il figlio di mio fratello Harry.

E credo che anche il suo cuore fosse commosso come il mio avendo trovato così,
all'improvviso, uno dei suoi parenti; perché anche lui era un esule dalla patria, ed una voce
amica, uno sguardo lo riportava con la memoria nel suo vecchio paese, ed agli antichi giorni
della sua infanzia.
- Darei cinque anni di vita per rivederli - disse, dopo avermi accarezzato con molto calore.

- Cosa? - gli chiesi io.

Come? - rispose - i campi verdi ed il fiume, e la vecchia torre rotonda ed il cimitero di


Ballybarry. E' stata una vergogna da parte di tuo padre disfarsi di quella terra, caro
Redmond, che ha portato per tanto tempo il suo nome.

Poi cominciò a farmi domande circa la mia storia, e gliene diedi un resoconto abbastanza
lungo, e durante questa il degno gentiluomo rise molte volte e disse che ero un Barry dalla
testa ai piedi. A metà della mia storia egli mi interruppe, per farmi mettere accanto a lui e
confrontare la nostra altezza, e da queste misurazioni vidi che la nostra statura era quasi la
stessa, ma che mio zio aveva un ginocchio rigido che lo faceva camminare in maniera
caratteristica.

Durante il corso della mia narrazione si profuse in un centinaio di esclamazioni di pietà, di


cortesia, di simpatia. Esclamava:

"Benedetti i Santi!" e "Madre del Cielo!" e "Benedetta Maria! " continuamente, e per
conseguenza conclusi giustamente che era ancora devotamente attaccato all'antica fede
cattolica della nostra famiglia.

Con qualche difficoltà cominciai a spiegargli l'ultima parte della mia storia, vale a dire, che mi
ero messo al suo servizio per tener d'occhio le sue azioni, sulle quali dovevo dare
informazioni ad un certo ufficio.

Quando gli dissi, con molte esitazioni, questo fatto, scoppiò a ridere e sembrò divertirsi
straordinariamente di questo scherzo.

- Mascalzoni! - disse. - Credono di pescarmi, non è vero? Ma in realtà, Redmond, la mia sola
congiura è un banco di faraone. Ma il Re è tanto sospettoso che vede una spia in ogni
persona che viene nella sua miserabile capitale, qui in mezzo a questo deserto di sabbia. Ah,
ragazzo mio, ti farò vedere Parigi e Vienna!

Gli dissi che non vi era nulla che desiderassi di più che di vedere qualche altra città, tranne
Berlino, e che sarei stato felice di liberarmi di questo odioso servizio militare. Ed infatti
ritenevo, basandomi sulla sua splendida apparenza, dai soprammobili che stavano nella
stanza, dalla carrozza dorata nella "remise", che mio zio fosse un uomo di grande ricchezza,
e che avrebbe potuto comprare una dozzina, anzi un intero reggimento di sostituti, allo scopo
di riscattare la mia libertà.

Ma mi ingannavo nei miei calcoli sul conto suo, come la sua storia, che egli mi raccontò
rapidamente, mi fece vedere.

- Sono stato in giro per il mondo - mi disse - dal 1742, quando mio fratello, tuo padre, possa
il Cielo perdonarlo, mi portò via sotto il naso il feudo di famiglia, diventando eretico allo scopo
di sposare quella borbottona di tua madre.

- Ma ormai quello che è stato, è stato. E' probabile, del resto, che avrei dissipato anch'io
quella piccola proprietà, come fece lui al posto mio, e che avrei cominciato soltanto un anno
o due dopo la vita che ho condotto dopo aver lasciato l'Irlanda. Ragazzo mio, sono stato al
servizio di tutti e, sia detto tra noi, ho debiti in tutte le capitali di Europa.

- Ho fatto un paio di campagne con i Panduri sotto l'austriaco Trenck. Sono stato Capitano
della Guardia di Sua Santità il Papa.

Ho fatto la campagna di Scozia col Principe di Galles, un tipaccio, mio caro, che si occupava
più della sua amante e della sua bottiglia di acquavite che della corona dei tre Regni. Ho
servito in Spagna ed in Piemonte, ma sono stato una pietra che ruzzola, mio buon amico. Il
gioco... il gioco è stato la mia rovina! Questo e le belle donne - (qui fece una smorfia che,
debbo confessarlo, lo rese tutt'altro che bello; ed oltre a questo le sue guance tinte di
rossetto erano tutte striate per le lacrime che aveva versato quando mi aveva ricevuto).

- Le donne mi hanno reso sciocco, mio caro Redmond. Sono una creatura dolce di cuore, ed
in questo momento, a sessantadue anni, non ho maggior dominio di me stesso di quando
Peggy O'Dwyer mi prese in giro a sedici anni.

- In fede mia - dico io ridendo - credo che questa sia una malattia di famiglia! - E gli
raccontai, con suo grande divertimento, la mia romantica passione per la mia cugina Nora
Brady; dopo di che riprese il suo racconto.

- Le carte sono ora il mio solo mezzo di vita. Qualche volta ho fortuna ed allora investo il
denaro in queste bagatelle che vedi.
E ricchezza, vedi, Redmond; ed il solo modo in cui riesco a trattenere qualche cosa presso di
me. Quando, invece, la fortuna mi si mette contro, ebbene, mio caro, i miei diamanti vanno al
monte di pietà, e mi metto addosso fondi di bicchiere. L'amico Mosè, l'orefice, mi farà una
visita proprio oggi, perché la fortuna mi è stata contraria tutta la settimana passata, e devo
far denaro per il banco di stasera. Conosci le carte?

Risposi che sapevo giocare come fanno i soldati, ma non avevo una grande abilità.

- Devi impratichirti questa mattina, ragazzo mio - disse - e ti insegnerò un paio di cosette che
vale la pena di sapere.

Naturalmente fui lieto di avere questa occasione di acquistare un po' di cultura, e mi dichiarai
felice di ricevere le istruzioni di mio zio. Ma il racconto che il cavaliere aveva fatto della sua
vita mi aveva colpito in modo piuttosto sgradevole.

Tutto quello che possedeva, aveva detto, lo portava indosso. La carrozza con la bella
doratura faceva anch'essa parte dei suoi mezzi di lavoro. Aveva una specie di incarico da
parte della Corte austriaca; doveva scoprire se una certa quantità di ducati falsi, di cui erano
state seguite le tracce fino a Berlino, provenivano dal tesoro del Re. Ma lo scopo vero di
Monsieur de Ballybarry era il gioco.

Vi era un giovane "attaché" dell'ambasciata inglese, Lord Deuceace, che più tardi divenne
Visconte e Conte di Crabs nella nobiltà inglese, che giocava forte. Avendo udito notizie della
passione di questo giovane nobiluomo inglese, mio zio, che era allora a Praga, si era deciso
a visitare Berlino per sfidarlo. Vi è una specie di cavalleria tra i cavalieri del dado: la fama di
grandi giocatori si sparge per tutta l'Europa. Ho saputo che il cavaliere Casanova, per
esempio, ha fatto un viaggio di seicento miglia, da Parigi a Torino, allo scopo di incontrare il
signor Charles Fox, che era allora soltanto l'elegante figlio di mylord Holland, e divenne più
tardi il più grande degli oratori e degli statisti europei.

Stabilimmo che io avrei continuato a fare la parte del valletto ed in presenza di estranei avrei
mostrato di non conoscere una parola di inglese; che avrei dato un'occhiata agli "onori" che
erano in mano dei giocatori mentre servivo lo champagne ed il punch. Avendo un colpo
d'occhio molto acuto ed una grande attitudine naturale fui presto in grado di dare a mio zio
un valido aiuto contro i suoi avversari al tavolo verde.

Qualche persona scrupolosa può affettare indignazione di fronte alla franchezza di queste
confessioni, ma il cielo abbia pietà di lei!
Credete che una persona che ha perso o vinto centomila sterline al gioco non vorrà
approfittare dei vantaggi di cui gode il suo vicino? Sono tutti gli stessi. Ma sono soltanto gli
sciocchi stupidi che barano, che ricorrono ai volgari espedienti dei dadi contraffatti e delle
carte segnate.

Uomini come questi finiranno certo male un giorno o l'altro e non sono degni di giocare in
compagnia di gentiluomini come si deve.

Il mio consiglio alle persone che vedono tale gente volgare ricorrere a queste astuzie è,
naturalmente, di contraccambiarle finché giocano insieme, ma mai... mai più avere niente a
che fare con loro. Bisogna giocare forte e con onore. Naturalmente, non abbattersi quando si
perde, e soprattutto non inorgoglirsi quando si vince come fanno le persone meschine. E del
resto, con tutta l'abilità ed i vantaggi possibili vincere è sempre una cosa problematica; ho
visto dei perfetti ignoranti, che non conoscevano le carte più dell'ebraico, pelarvi cinquecento
sterline in pochi giri di carte.

Ho visto un gentiluomo e il suo compare giocare contro un altro col suo compare. Non si è
mai sicuri in questi casi: e quando si considera il tempo ed il lavoro perduti, l'ingegnosità,
l'ansia, il dispendio di denaro necessario, la molteplicità di grossi debiti a cui si va incontro,
perché si possono trovare dei mascalzoni privi di onore intorno ad un tavolo di gioco, come
in qualsiasi altro luogo del mondo sostengo, per quello che mi riguarda, che la professione di
giocatore è cattiva, e del resto di rado ho trovato qualcuno che, alla fine, ne abbia tratto
profitto.

Ma ora scrivo con l'esperienza di un uomo di mondo. Nel tempo di cui parlo ero un ragazzo,
affascinato dall'idea della ricchezza, che rispettava, certo anche troppo, la maggiore età dello
zio e la sua superiore posizione nella vita.

Non vi è bisogno qui di raccontare in tutti i particolari i piccoli accordi che avevamo preso tra
noi; i giocatori del giorno d'oggi non hanno bisogno di essere eruditi. Ma la semplicità era il
nostro segreto.

Tutto quello che ottiene successo è semplice. Se, per esempio, toglievo la polvere da una
sedia col mio tovagliolo, era per mostrare che l'avversario era forte a quadri; se gli davo una
leggera spinta aveva asso e re; se dicevo: "Punch o vino, signore?" voleva dire che aveva
cuori, se invece dicevo: "Vino o punch?" significava fiori. Se mi soffiavo il naso era per
indicare che c'era un altro compare impiegato dall'avversario, ed allora vi assicuro che
avevano luogo dei veri prodigi di abilità.
Lord Deuceace, benché fosse tanto giovane, aveva grande abilità ed intelligenza in ogni
genere di giochi di carte, e soltanto quando mi accorsi che Frank Punter, che veniva con lui,
sbadigliava tre volte quando il cavaliere aveva l'asso di briscola, compresi che eravamo
degni l'uno dell'altro, come era in realtà.

La mia simulata stupidità era perfetta; ed ero solito far ridere di tale contegno il signor de
Potzdorff, quando andavo a fargli i miei piccoli rapporti alla Garden-house, fuori della città,
dove mi dava appuntamento.

Questi rapporti, naturalmente, venivano concordati tra me e mio zio in precedenza. Avevo
istruzioni (e questa è sempre la cosa migliore) di dirgli tanto di verità quanto il mio racconto
poteva sopportarne.

Quando, per esempio, mi domandava:

- Che cosa fa il cavaliere la mattina?

- Va in chiesa regolarmente (era molto religioso), e dopo aver udito la messa torna a casa
per la colazione. Poi va a prendere una boccata d'aria nella sua carrozza fino all'ora di
pranzo, che viene servito a mezzogiorno. Dopo pranzo scrive le sue lettere, se ha qualche
lettera da scrivere, ma c'è poco da ricavare su questa strada. Le sue lettere sono dirette
all'inviato d'Austria, con cui è in corrispondenza, ma che non lo riconosce ufficialmente.

Essendo scritte in inglese, naturalmente, guardo sopra le sue spalle. Generalmente scrive
per chiedere denaro. Dice che ne ha bisogno per corrompere i segretari del Tesoro, allo
scopo di trovare da dove provengono i ducati falsificati, ma in realtà ne ha bisogno per
giocare la sera, quando fa la sua partita con Calsabigi, l'appaltatore del lotto, con gli
"attachés di Russia", con due dell'ambasciata inglese, Lord Deuceace e Punter, che giocano
"un jeu d'enfer", e qualche altro.

- La stessa compagnia si riunisce ogni sera a cena: di rado vi è qualche signora; quelle che
vengono sono principalmente signore francesi, appartenenti al "corps de ballet". Vince
spesso, ma non sempre. Lord Deuceace è un giocatore molto abile. Qualche volta viene il
cavalier Elliot, ministro inglese, ed in questo caso i segretari non giocano. Monsieur de
Balibari va anche a pranzo dai diplomatici, ma "en petit comité", non nei giorni di grande
ricevimento. Calsabigi, credo, è il suo compare al gioco. Ha vinto fino a poco tempo fa, ma la
settimana passata ha dato in pegno il suo "solitaire" per quattrocento ducati.

- Lui e gli "attachés" inglesi parlano spesso insieme nella loro lingua?
- Sì, lui e l'inviato hanno parlato ieri per più di un'ora e mezzo sulla nuova "danseuse" e sui
disordini d'America; principalmente però della nuova "danseuse".

Si sarà visto che le mie informazioni erano molto minuziose ed accurate, anche se non molto
importanti. Ma così com'erano, venivano riferite alle orecchie del famoso eroe e guerriero, il
Filosofo di "Sans Souci"; e così non vi era straniero che entrasse nella capitale, le cui azioni
non fossero del pari spiate e riferite a Federico il Grande.

Finché il gioco si limitò ai giovani addetti alle varie ambasciate, Sua Maestà non si curò di
impedirlo, anzi incoraggiava il gioco in tutte le missioni diplomatiche, sapendo bene che un
uomo in imbarazzi finanziari può essere fatto parlare molto facilmente, e che un rotolo di
Federici dato a tempo procura spesso un segreto che ne vale molte migliaia. In questo modo
ottenne qualche documento dall'ambasciata francese, e non ho alcun dubbio che Lord
Deuceace gli avrebbe fornito informazioni al medesimo prezzo, se il suo capo non avesse
conosciuto molto bene il carattere di quel giovanotto e non avesse fatto fare il lavoro della
missione (come sempre avviene in consimili casi) ad un giudizioso "roturier", mentre i brillanti
giovani sangue blu del suo seguito portavano a spasso i loro ricami dorati ai balli, o
strofinavano i loro manichini di Mechlin sui tavoli verdi del faraone. Ho visto, da allora in poi,
ventine di simili giovani rampolli, ho visto loro ed i loro principali, e "mon Dieu!", come sono
stupidi! Quanto sono sciocchi, frivoli, teste vuote, bellimbusti! Se c'è al mondo una
menzogna, questa è la diplomazia.

E come si può supporre che se la "carriera" fosse così difficile come vorrebbero farci credere
le loro solenni buste rosse e gli uomini coperti di decorazioni, si sceglierebbero
invariabilmente, per essa, quei ragazzini dalla faccia rosea appena usciti dalla scuola, con
nessun'altra qualità che il titolo della mamma, ed abili, nella migliore delle ipotesi, soltanto a
giudicare una carrozza un nuovo ballo o una scarpa ben lucida?

Quando però si seppe, da parte degli ufficiali della guarnigione, che vi era in città una tavola
di faraone, essi fecero di tutto per essere ammessi al gioco, e nonostante i miei consigli in
contrario, mio zio non si oppose a permettere l'ingresso a quei gentiluomini, ed un paio di
volte ripulì loro la borsa di una buona somma di denaro. Invano gli dissi che avrei dovuto
riferire la notizia al mio Capitano, perché i miei compagni non avrebbero fatto a meno di
parlare, ed egli sarebbe venuto a conoscenza del pasticcio anche senza le mie informazioni.

- Diglielo - disse mio zio.

- Ti manderanno via - risposi - ed allora che sarà di me?

- Stai pure tranquillo - disse l'altro con un sorriso - non ti lascerò indietro, stanne sicuro. Vai a
dare un'ultima occhiata alla tua caserma e stai tranquillo; dai un addio ai tuoi amici di Berlino.
Quei poveri diavoli chi sa come piangeranno quando sapranno che sei fuori del paese; e stai
certo che, come è vero che mi chiamo Barry, verrai fuori di qui.
- Ma come, zio? - dissi.

- Ricordati il signor Fakenham di Fakenham - rispose con intenzione. - Questo avrebbe


dovuto farti capire come. Vai a prendere una delle mie parrucche. Apri la scatola dei dispacci,
dove stanno i grandi segreti della cancelleria austriaca; tirati giù il cappello sulla fronte;
sbattiti questa benda sull'occhio ed appiccicati questi baffi, e ora guardati allo specchio!

- Il Cavalier de Balibari! - dissi io, scoppiando a ridere, e cominciai a camminare per la


stanza alla sua maniera, come se avessi un ginocchio rigido.

Il giorno seguente, quando andai a fare il mio rapporto al signor de Potzdorff, gli riferii dei
giovani ufficiali prussiani che erano stati lì a giocare negli ultimi tempi, ed egli rispose, come
mi ero aspettato, che il Re aveva deciso di mandare il cavaliere fuori del paese.

- E' un sordido avaraccio: - risposi io - ho avuto da lui soltanto tre Federici in due mesi, e
spero che vi ricorderete la vostra promessa di farmi fare carriera.

- Bene, tre Federici sono anche troppi per le notizie che hai pescato - disse il Capitano,
sogghignando.

- Non è colpa mia se non c'è stato di più - risposi. - Quando deve andarsene, signore?

- Dopo domani. Mi hai detto che va in carrozza dopo colazione e prima di pranzo. Quando
uscirà fuori della carrozza, due "gendarmes" monteranno a cassetta, ed il cocchiere riceverà
l'ordine di partire.

- E il suo bagaglio, signore? - dissi.

- Oh! gli sarà spedito dopo con comodo. Ho una voglia matta di dare un'occhiata a quella
scatola rossa che contiene le sue carte, ed a mezzogiorno, dopo la rivista, sarò all'albergo.
Non dirai una parola a nessuno a proposito di questo affare, ed aspetterai nelle stanze del
cavaliere fino al mio arrivo. Dobbiamo forzare quella scatola. Sei un cane da caccia stupido,
altrimenti avresti preso la chiave da un pezzo!

Pregai il Capitano di conservarmi la sua benevolenza, e così presi congedo da lui. La notte
seguente misi un paio di pistole sotto il sedile della carrozza; ma credo che le avventure del
giorno seguente siano degne dell'onore di un capitolo a parte.
Capitolo 9

FACCIO LA MIA COMPARSA NEL MONDO IN MANIERA CONFACENTE AL MIO NOME E


AL MIO LIGNAGGIO

La fortuna sorrise alla partenza di Monsieur de Balibari, e gli permise di vincere una bella
somma al suo banco di faraone.

Alle dieci della mattina seguente la carrozza del cavalier Balibari si fermò come al solito alla
porta del suo albergo, ed il cavaliere, che stava alla finestra, vedendo arrivare la vettura,
discese le scale nella sua consueta maniera dignitosa.

- Dov'è quel mascalzone del mio Ambrose? - disse, dandosi un'occhiata attorno, e non
trovando il servitore che gli apriva lo sportello.

- Abbasserò io gli scalini per Vostro Onore - disse un gendarme che stava in piedi vicino alla
carrozza, e non appena il cavaliere fu entrato, la guardia saltò su accanto a lui, mentre
un'altra saliva a cassetta vicino al cocchiere, che fece partire il veicolo.

- Buon Dio! - disse il cavaliere. - Che storia è questa?

- Siamo diretti alla frontiera - disse il gendarme, toccandosi il cappello.

- E' una vergogna... un'infamia! Chiedo di essere accompagnato a casa dell'ambasciatore


d'Austria!

- Ho l'ordine d'imbavagliare Vostro Onore, se grida - disse il gendarme.


- Tutta l'Europa sentirà parlare di questo oltraggio - disse il cavaliere, infuriato.

- Come volete - rispose la guardia, e poi tutti e due si chiusero nel più profondo silenzio.

Il silenzio non venne mai rotto tra Berlino e Postdam, luogo che il cavaliere attraversò mentre
Sua Maestà stava passando in rivista le sue guardie ed i reggimenti di Bulow, Zitwitz, e
Henkel di Donnersmark. Mentre il cavaliere passava, Sua Maestà il Re alzò il cappello e
disse:

- "Qu'il ne descende pas: je lui souhaite un bon voyage".

Il Cavaliere di Balibari rispose alla cortesia con un profondo in chino.

Non avevano passato Postdam da molto tempo, quando bum! cominciò a tuonare il cannone
d'allarme.

- E' un disertore! - disse la guardia.

- E' possibile - rispose il cavaliere e si sprofondò di nuovo nella carrozza.

Sentendo il rimbombo del cannone la gente usciva in frotte sulla strada con fucili da caccia e
forconi, nella speranza di catturare il fuggiasco. I "gendarmes" sembravano molto desiderosi
di restare liberi per poterlo cercare anch'essi. Il premio per chi riportava un disertore era di
cinquanta corone.

- Confessate, signore - disse il cavaliere all'ufficiale di polizia che era in carrozza con lui - che
desiderate liberarvi di me, da cui non potete ricavare niente, e mettervi a caccia del disertore,
che vi può portare cinquanta corone di premio. Perché non dite al postiglione di accelerare?
Potrete sbarcarmi alla frontiera e ritornare alla vostra caccia il più presto possibile.

L'ufficiale disse al postiglione di accelerare, ma la strada sembrava al cavaliere lunga oltre


ogni limite della sopportazione.
Un paio di volte credette di udire il rumore di cavalli che galoppavano dietro di loro; i suoi
cavalli non sembrava andassero a più di due miglia all'ora ma ci andavano.

Alla fine comparvero le sbarre bianche e nere, nei pressi di Bruck, e dalla parte opposta
quelle verdi e gialle della Sassonia.

I doganieri sassoni uscirono.

- Non ho bagaglio - disse il cavaliere.

- Questo signore non ha contrabbando - dissero le guardie prussiane, sghignazzando, e


presero congedo dal prigioniero con molto rispetto.

Il cavaliere di Balibari diede loro una moneta da un Federico.

- Signori - disse - vi auguro una buona giornata. Vorreste avere la compiacenza di andare
alla casa da cui sono uscito questa mattina e dire al mio domestico di mandarmi il bagaglio
ai "Tre Re" a Dresda?

Poi, dopo aver ordinato cavalli freschi, il cavaliere continuò il viaggio per quella capitale. Non
c'è bisogno che vi dica che io ero il cavaliere.

Dal Cavaliere de Balibari a Redmond Barry, Esquire, "Gentilhomme Anglais, à l'Hotel des
Trois Couronnes", a Dresda, in Sassonia.

"Caro nipote Redmond, "questa lettera ti giungerà per mezzo di una mano sicura, vale a dire
per mezzo del signor Lumpit, della missione inglese, che è a conoscenza, come tutta Berlino
lo sarà presto, della tua meravigliosa storia. Solo che se ne conosce soltanto la metà; vale a
dire si sa soltanto che un disertore se ne è andato con i miei vestiti, e sono tutti in
ammirazione della tua intelligenza e della tua audacia.

"Ti confesso che per due ore dopo la tua partenza sono rimasto a letto con non poca
trepidazione, temendo che Sua Maestà non avesse il ghiribizzo di mandarmi a Spandau, per
la bagatella di cui eravamo entrambi colpevoli. Ma anche per questo caso avevo preso le
mie precauzioni: avevo scritto una relazione sul caso al mio capo, il Ministro austriaco, con
l'intera e veritiera storia che tu eri stato mandato a spiarmi, e che poi avevi scoperto di
essere mio stretto parente, che eri stato rapito e costretto al servizio militare, e che avevamo
deciso di effettuare tutti e due un tentativo di fuga.

"Si sarebbe riso tanto sul conto del Re che non avrebbe mai osato alzare neppure un dito
contro di me. Che cosa avrebbe detto Monsieur de Voltaire su un simile atto di tirannia?

"Ma era un giorno fortunato e tutto è andato a seconda dei miei desideri. Mentre ero ancora
a letto, due ore e mezzo dopo la tua partenza, entra il tuo ex Capitano, Potzdorff.

"Redmond", dice nel suo tono imperioso di ufficiale tedesco "sei qui?".

"Nessuna risposta.

"Quel mascalzone se n'è andato", dice, e si dirige alla mia cassetta rossa dove tengo le
lettere d'amore, l'occhialino che ho l'abitudine di portare con me, i miei dadi favoriti con cui
ho vinto tredici mani a Praga, le mie due dentiere di Parigi, ed i miei altri oggetti personali
che tu ben conosci.

"Prima ha provato con un mazzo di chiavi, ma nessuna si adattava alla piccola serratura
inglese. Allora il mio gentiluomo tira fuori di tasca scalpello e martello, e comincia a lavorare
come un ladro professionista, ed alla fine spalanca la mia piccola cassetta!

"Era venuto il momento di agire. Mi precipito addosso a lui, armato di un'enorme brocca. Gli
piombo addosso senza far rumore proprio nel momento in cui aveva aperto la cassetta, e
con tutte le mie forze, gli dò un tal colpo sulla testa che la brocca va in frantumi, mentre il mio
Capitano cade a terra in un breve deliquio. Credevo di averlo ammazzato.

"Allora mi attacco a tutti i campanelli della casa, grido, bestemmio, urlo:

"Al ladro! al ladro! Padrone! Assassini! Al fuoco!".

"Tutto il servitorame arriva a precipizio per le scale.

"Dov'è il mio domestico?" grido. "Chi osa derubarmi in pieno giorno? Guardate questo
mascalzone che ho sorpreso nell'atto di fracassare la mia cassetta! Mandate a chiamare la
polizia! Mandate a chiamare Sua Eccellenza il Ministro d'Austria! Tutta l'Europa conoscerà
questo insulto!''.

"Benedetto il Cielo!" dice il padrone. "Vi abbiamo visto uscire tre ore fa!".

"Io!" dico. "Ma come, signore, sono rimasto a letto tutta la mattina. Sono malato. Ho
chiamato il medico. Non sono uscito da casa questa mattina! Dov'è quel mascalzone di
Ambrose? Ma, basta.

Dove sono i miei vestiti e la mia parrucca?" Perché stavo davanti a loro in veste da camera e
calze, col berretto da notte in testa.

"Ho capito! Ho capito io!" dice una camerierina. "Ambrose è uscito col vestito di Vostro
Onore".

"E col mio denaro... il mio denaro!" dico. "Dov'è la mia borsa con quarantotto Federici? Ma
c'è rimasto uno di quei mascalzoni.

Guardie, arrestatelo!" "E' il Capitano Herr von Potzdorff!" dice il padrone sempre più
meravigliato.

"Come! Un gentiluomo che forza la mia cassetta con martello e scalpello... è impossibile!"
"Herr von Potzdorff stava frattanto tornando alla vita, con un bozzo sul cranio grande come
una sottocoppa; le guardie lo portarono via, e mandai a chiamare il giudice per fare un
"procès verbal" dell'accaduto, e ne chiesi una copia, che mandai di filato al mio
ambasciatore.

"Il giorno seguente rimasi chiuso nella mia stanza, ed un giudice, un generale, ed una
schiera di avvocati, ufficiali e funzionari erano attorno a me, per calmarmi, confondermi,
minacciarmi e adularmi.

"Dissi che era vero che mi avevi detto di essere stato rapito e costretto al servizio militare,
ma che pensavo che fossi stato congedato, e che avevo avuto le migliori raccomandazioni.
"Feci appello al ministro d'Austria, che fu costretto a venire in mio aiuto; e per farla corta, il
povero Potzdorff è ora in rotta per Spandau; e suo zio, il vecchio Potzdorff, mi ha portato
cinquecento luigi, con l'umile richiesta di compiacermi di lasciare Berlino e mettere a tacere
questa storia penosa.

"Sarò da te alle "Tre Corone" il giorno dopo quello in cui avrai ricevuto questa lettera.

"Invita a pranzo il signor Lumpit. Non risparmiare il denaro...

sei mio figlio. Tutti a Dresda conoscono tuo zio che ti ama tanto.

Il CAVALIERE DE BALIBARI"

Attraverso queste straordinarie vicissitudini fui di nuovo libero, e mi rafforzai nella decisione,
che già avevo preso, di non cadere mai più nelle mani di alcun reclutatore, e di essere, da
allora in poi, per sempre, un gentiluomo.

Con questa buona somma di denaro, e con un buon giro di fortuna che ci accompagnò in
quel momento, fummo in grado di fare una non indegna figura. Mio zio mi raggiunse presto
all'albergo di Dresda, dove, facendo finta di essere ammalato, ero rimasto tranquillo fino al
suo arrivo, e siccome il Cavaliere di Balibari era in particolare favore alla Corte di Dresda,
essendo stato intimo amico del defunto monarca (l'Elettore Re di Polonia, il più dissoluto ed il
più simpatico dei principi europei) potei entrare rapidamente nella migliore società sassone,
dove posso dire che la mia persona ed il mio modo di fare e la singolarità delle avventure di
cui ero stato il protagonista, mi fecero accogliere nel modo migliore.

Non vi era riunione della nobiltà cui i due gentiluomini di Balibari non venissero invitati. Ebbi
l'onore di baciare la mano all'Elettore e di essere graziosamente ricevuto a Corte, e scrissi a
casa a mia madre una tale sfolgorante descrizione della mia prosperità che quella buona
creatura fu quasi sul punto di dimenticare il suo celestiale benessere ed il suo confessore, il
Reverendo Joshua Jowls, per venire da me in Germania; ma viaggiare a quei tempi era una
cosa molto difficile, e così mi fu risparmiato l'arrivo della buona signora.

Credo che l'anima di Harry Barry, mio padre, che fu sempre tanto gentile nel suo modo di
fare, debba essersi rallegrata moltissimo nel vedere la posizione che ora occupavo: tutte le
donne erano ansiose di ricevermi, tutti gli uomini erano gelosi di me; mi riunivo familiarmente
con duchi e conti a pranzo, ballavo minuetti con baronesse molto ben nate (esse stesse si
definiscono in Germania in questa assurda maniera), con simpatiche Eccellenze, ed anche
con Altezze e Serenità: chi poteva competere col brillante giovane nobile irlandese? Chi
poteva pensare che appena sette settimane prima ero stato un semplice... ma! Mi
vergognavo di pensarci!

Uno dei momenti più divertenti della mia vita fu una grande gala al Palazzo dell'Elettore, in
cui ebbi l'onore di ballare una "polonaise" niente di meno che con la margravia di Bayreuth,
la sorella del vecchio Fritz, del vecchio Fritz di cui avevo indossato l'orrenda livrea grigioblu,
di cui avevo lustrato i cinturoni con terra da pipe, e di cui avevo ingozzato per cinque anni le
abominevoli razioni di cattiva birra e di "sauerkraut".

Avendo vinto al gioco una carrozza inglese da un gentiluomo italiano, mio zio fece dipingere
il nostro stemma sugli sportelli in un modo più splendido che mai, sormontato, siccome
discendevamo dagli antichi Re, da una corona irlandese della più splendida forma e della più
bella doratura.

Avevo fatto incidere questa corona a guisa di sigillo su un grosso anello con pietra di
ametista che portavo all'anulare, e non mi vergogno di confessare che avevo l'abitudine di
dire che questo gioiello apparteneva alla mia famiglia da molte migliaia di anni, essendo
stato, in origine, di proprietà di un mio diretto antenato, la compianta Maestà di Re Briano
Boru o Barry. Scommetto che molti motti della Consulta Araldica non sono più autentici di
quanto non lo fosse il mio.

Da prima il Ministro ed i gentiluomini all'albergo d'Inghilterra avevano l'abitudine di essere un


po' contegnosi verso i due nobili irlandesi e discutevano le nostre pretese al titolo. Il Ministro
era figlio di un lord, è vero, ma era anche nipote di un droghiere, e così glielo dissi al ballo
mascherato del Conte Lobkowitz.

Mio zio infatti, da quel nobile gentiluomo che era, conosceva l'albero genealogico di qualsiasi
famiglia più in vista in Europa.

Diceva che questa era la sola cultura conveniente ad un gentiluomo, e quando non
giocavamo a carte, passavamo le ore sul Gwillim o sul D'Hozier, a leggere le genealogie, ad
imparare i blasoni, ed a renderci edotti delle parentele della nostra classe.

Ohimè! questa nobile scienza è caduta oggi in discredito, come anche le carte, studi e
passatempi senza i quali io concepisco appena che possa esistere un uomo distinto, un
gentiluomo.
La mia prima questione d'onore con un uomo di gran mondo fu appunto a causa della mia
nobiltà, col giovane Sir Rumford Bumford, dell'ambasciata inglese. Mio zio nel medesimo
tempo mandò un cartello al Ministro, che rifiutò di venire. Colpii Sir Rumford alla gamba, tra
le lacrime di gioia di mio zio, che mi aveva accompagnato sul terreno.

Vi assicuro che nessuno di quei giovani gentiluomini fece più domande sull'autenticità del
mio albero genealogico, né rise più della mia corona.

Che vita deliziosa conducevamo ora! Sapevo di essere nato gentiluomo, per il modo delicato
con cui trattavo gli affari, perché certo si trattava di affari. Infatti anche la vita d'un gentiluomo
non è tutta un piacere, e posso assicurare ogni persona di bassa nascita che abbia
l'occasione di leggermi, che noi, i migliori, dobbiamo lavorare quanto loro. Mi alzavo, è vero,
a mezzogiorno, ma non ero stato forse al tavolo da gioco fino a molto dopo la mezzanotte?
Molte volte venivamo a casa per andare a letto quando le truppe si mettevano in marcia per
la rivista del mattino; e, oh! come mi faceva bene al cuore sentire le trombe che suonavano
la sveglia prima dello spuntar dell'alba, e vedere i reggimenti che marciavano per andare
all'istruzione, e pensare che non ero più legato a quella disciplina, ma riportato alla mia
situazione naturale.

Mi ci ero ambientato subito, come se non avessi fatto mai niente altro in vita mia. Avevo un
gentiluomo per seguirmi, un "friseur" francese per aggiustarmi i capelli la mattina, conoscevo
il gusto della cioccolata quasi per intuito e sapevo distinguere il vino spagnolo da quello
francese prima di aver passato una settimana nella mia nuova posizione. Portavo anelli su
tutte le dita, orologi in tutti e due i taschini, bastoni, gioielli e tabacchiere di ogni sorta, ed
ognuna superava l'altra in eleganza. Avevo miglior gusto naturale per i merletti e la
porcellana di qualsiasi persona che abbia mai conosciuta; sapevo giudicare un cavallo bene
quanto qualsiasi mercante ebreo della Germania; ero senza rivali nel tiro a segno e negli
esercizi atletici; non sapevo scriverli, ma sapevo parlare francese e tedesco con abilità.

Avevo almeno dodici abiti completi: tre riccamente ricamati d'oro due con merletti d'argento,
una pelliccia di velluto color granata coi bordi di zibellino, uno di merletto francese grigio-
argento orlato di cincillà. Avevo vestaglie da mattino di damasco.

Prendevo lezioni di chitarra e cantavo alla perfezione motivi francesi. Dov'era in realtà un
gentiluomo più perfetto di Redmond de Balibari?

Tutti questi lussi, confacenti alla mia situazione, non si potevano naturalmente, ottenere
senza credito e denaro, per procurarci i quali, poiché il nostro patrimonio era stato mandato
in rovina dai nostri antenati, e noi eravamo troppo al disopra del volgo e delle basse vicende
e delle mutevoli fortune del commercio, mio zio teneva un banco di faraone. Eravamo in
società con un fiorentino, ben noto in tutte le Corti d'Europa, il Conte Alessandro Pippi, il più
abile giocatore che abbia mai visto; ma egli alla fine si dimostrò un vero mascalzone, e
scoprii che anche la sua contea era tutta un'impostura.
Mio zio aveva un arto impedito, come ho detto; Pippi, come tutti gli impostori, era un
vigliacco; fu soltanto l'abilità senza pari che avevo nel maneggiare la spada e la prontezza
con cui l'usavo, che mantennero la reputazione della ditta, per così dire, e ridussero al
silenzio più di un giocatore timido che aveva delle esitazioni sul pagamento delle sue perdite.
Noi giocavamo sempre sulla parola con tutti; con ogni persona, cioè, di onore e di nobile
lignaggio. Noi non chiedevamo mai con insistenza le nostre vincite e non rifiutavamo di
ricevere biglietti con tanto di firma in luogo dell'oro. Ma guai a quell'uomo che non faceva
fronte all'impegno quando la nota giungeva alla scadenza! Allora Redmond de Ballibari lo
aspettava con il suo conto e vi posso assicurare che ci furono pochi debiti inesigibili; per
contro i gentiluomini ci erano grati della nostra correttezza e la nostra reputazione, sul punto
dell'onore, restava immacolata.

In tempi più recenti un volgare pregiudizio nazionale ha cercato di gettare un'ombra sul
carattere degli uomini d'onore che si danno al gioco come professione; ma io parlo del buon
tempo antico in Europa, prima che la vigliaccheria dell'aristocrazia francese, in quella
vergognosa Rivoluzione che l'ha servita a dovere, portasse discredito e rovina sulla nostra
classe sociale. Essi dimostrano disgusto per gli uomini che si danno al gioco, ma vorrei
sapere che cosa il loro modo di vivere ha di più onorevole del nostro.

L'agente di cambio che specula al rialzo ed al ribasso, e compra e vende, e si impegna in


prestiti a lungo termine, e si vale dei segreti di Stato, che cosa è se non un giocatore? Il
commerciante che traffica in tè e sego, è forse qualche cosa di meglio?

Le balle di sporco indaco sono i suoi dadi, le sue carte si distribuiscono una volta l'anno
invece che ogni dieci minuti, ed il mare è il suo tavolo verde. Chiamate onorevole la
professione legale in cui un uomo mente per qualsiasi offerta: mente il povero per avere una
mancia dal ricco, mente chi è nel giusto, perché anche lui deve tenere discorsi arzigogolati.
Chiamate onorevole il dottore, il cerusico pretenzioso, che non crede nelle ricette che
prescrive e prende le vostre ghinee per dirvi all'orecchio che è proprio una bella giornata; e
poi disprezzate un galantuomo che siede davanti ad un tavolo verde, e sfida tutti quelli che
vengono, il suo denaro contro il loro, la sua fortuna contro la loro? Dal vostro moderno
mondo morale costui viene proscritto. E' una congiura delle classi medie contro i
gentiluomini: si può scivolare oggi soltanto sul piano inclinato del bottegaio.

Io dico che il gioco era un'istituzione cavalleresca: ed ha fatto naufragio insieme con gli altri
privilegi degli uomini di buona nascita. Quando il cavaliere di Seingalt tenne impegnato un
avversario per sei ore e mezzo senza lasciare il tavolo, non credete che abbia mostrato
coraggio? E non avevamo il sangue migliore ed i più brillanti occhi d'Europa sfolgoranti sul
tavolo, quando mio zio ed io tenevamo le carte ed il banco contro qualche terribile giocatore,
che arrischiava solo la millesima parte dei suoi milioni, mentre tutto quello che noi avevamo
era sul tappeto?

Quando ci impegnammo contro quell'audace Alexis Kossloffsky, e vincemmo settemila luigi


in un sol colpo, se avessimo perduto saremmo stati ridotti all'elemosina il giorno dopo; ma
perse lui, e nel peggiore dei casi significò un villaggio e qualche centinaio di servi in pegno.
Quando a Toeplitz il Duca di Courland fece entrare quattordici lacché, ognuno con quattro
borse di fiorini, e sfidò il banco, a giocare contro le borse sigillate, che cosa gli chiedemmo?

- Signore - dicemmo - noi abbiamo soltanto ottantamila fiorini al banco o duecentomila a tre
mesi. Se le borse di Vostra Altezza non contengono più di ottantamila, possiamo incontrarvi.

E così facemmo, e dopo undici ore di gioco, in cui il nostro banco si ridusse una volta a
duecentotrè ducati, gli vincemmo diciassettemila fiorini. Questo non rassomiglia all'audacia?
E questa professione non richiede intelligenza, perseveranza e valore? Quattro teste
coronate guardavano il gioco, ed una principessa imperiale, quando voltai l'asso di cuori e
feci "paroli", scoppiò in lacrime. Nessun uomo, sul Continente europeo, aveva allora una
posizione migliore di Redmond Barry, e quando il Duca di Courland perdette, si compiacque
di dire che avevamo vinto nobilmente: così era, e spendemmo non meno nobilmente mai
meno quanto avevamo vinto.

In questo periodo mio zio, che assisteva regolarmente ogni giorno alla messa, non metteva
mai meno di dieci fiorini nella cassetta delle elemosine. Dovunque andassimo, i tavernieri ci
ricevevano meglio dei principi reali.

Avevamo l'abitudine di regalare il cibo avanzato ai nostri pranzi ed alle nostre cene a ventine
di mendicanti che ci benedicevano.

Chiunque mi teneva il cavallo o mi lustrava gli stivali, riceveva un ducato per la sua fatica.
Ero, posso dirlo, l'autore della nostra comune buona fortuna, perché avevo introdotto
l'audacia nel nostro modo di giocare. Pippi era un individuo di animo meschino, che si
comportava sempre vilmente quando cominciava a vincere.

Anche mio zio - parlo di lui con grande rispetto - era troppo devoto e troppo scrupoloso al
gioco per vincere forte. Il suo coraggio morale era fuori questione, ma la sua audacia non era
sufficiente. Entrambi i miei maggiori soci in conseguenza mi riconobbero come loro capo, e
da qui derivò lo stile di magnificenza che ho descritto.

Ho ricordato Sua Altezza Imperiale la Principessa Frederica Amelia, che fu colpita dal mio
successo, e penserò sempre con gratitudine alla protezione di cui quell'augusta signora mi
onorò.

Era straordinariamente appassionata del gioco, come lo erano le signore di quasi tutte le
Corti di Europa a quel tempo, e ciò ci dava spesso non poco fastidio, perché, a dire la verità,
alle signore piace molto giocare, ma non pagare. Il punto d'onore non è compreso dal gentil
sesso, e solo con la maggiore difficoltà, nelle nostre peregrinazioni nelle varie Corti
dell'Europa settentrionale, le tenevamo lontane dal nostro tavolo. Era una fatica riscuotere il
loro denaro se perdevano; e se pagavano, impedire loro di usare subito dopo i più furiosi e
straordinari mezzi di vendetta.

In quei giorni della nostra grande fortuna, calcolai che perdemmo non meno di
quattordicimila luigi per tali mancati pagamenti.

Una principessa di una casa ducale ci diede fondi di bicchiere invece dei diamanti che aveva
solennemente detto di darci in pegno; un'altra organizzò un furto di gioielli della Corona e ci
avrebbe accusato del furto, se non fosse stato per la precauzione presa da Pippi, che aveva
conservato una nota di mano di "Sua Altezza Serenissima", e l'aveva mandata al suo
ambasciatore. Per questa precauzione credo che ci salvassimo la testa. Una terza signora di
alto rango, ma non principesco, dopo che le ebbi vinta una considerevole somma in perle e
diamanti, mandò il suo amante, con una banda di sicari, ad aggredirmi. E fu soltanto per il
mio straordinario coraggio, abilità e buona fortuna che riuscii a sfuggire a quei farabutti, ferito
anch'io, ma dopo aver lasciato il capo degli aggressori morto sul terreno; la mia spada gli
entrò nell'occhio e glielo sfondò, ed i mascalzoni che erano con lui, vedendo cadere il loro
capo, fuggirono. Avrebbero potuto finirmi, perché non avevo più altre armi con cui difendermi.

Come si sarà visto, la nostra vita, nonostante il suo splendore, era piena di grandi pericoli e
difficoltà, e richiedeva molto talento e coraggio per arrivare al successo; e spesso, quando
eravamo in piena vena di successo, eravamo allontanati dal nostro terreno di lavoro per
qualche improvviso capriccio di un principe regnante, per qualche intrigo di un'amante
delusa, o per qualche lite col ministro della polizia.

Se quest'ultimo personaggio non riceveva qualche mancia o non vinceva, niente di più facile
per noi che di ricevere un improvviso ordine di partenza, e così, per forza di cose, vivevamo
una vita vagabonda ed agitata.

Benché i guadagni di una simile vita siano, come ho detto, molto grandi, anche le spese
sono enormi. Il nostro aspetto ed il nostro modo di vivere erano troppo splendidi per la
ristretta mente di Pippi, che quasi sempre gridava contro la mia stravaganza, benché fosse
obbligato ad ammettere che la sua meschinità e parsimonia non ci avrebbero mai portato le
grandi vittorie che avevo ottenuto con la mia generosità. Nonostante tutti i nostri successi, il
nostro capitale non era grande. Quel discorso al Duca di Courland, ad esempio, era stato
una bravata, almeno per quanto riguardava i duecentomila fiorini a tre mesi. Non avevamo
credito, e non possedevamo altro denaro che quello sul tavolo, e saremmo stati costretti a
fuggire se Sua Altezza avesse vinto ed accettato le nostre cambiali. Qualche volta anche ci
riducevamo molto vicino all'osso. Un banco dà quasi la certezza; ma ogni tanto può venire
una giornata nera, e le persone che hanno coraggio nella buona fortuna, dovrebbero almeno
affrontare bene quella cattiva; cose, credetemi, difficili entrambe, ma la prima di più.
Una di queste cattive sorti ci piombò addosso nel territorio del Duca di Baden, a Mannheim.
Pippi, che era sempre in cerca di affari, mi offrì di tenere un banco all'albergo in cui ci
eravamo fermati, e dove cenavano gli ufficiali dei corazzieri del duca: ed in conseguenza
facemmo un piccolo gioco, e alcune disgraziate corone e luigi cambiarono di mano, credo
anzi con un certo vantaggio di quei poveri gentiluomini dell'esercito, che sono certo i più
poveri diavoli che esistano sotto il sole.

Ma, quando si dice la cattiva sorte! Un paio di studentelli della vicina università di Heidelberg,
che erano stati a Mannheim a riscuotere il trimestre della loro rendita, e così avevano con
loro qualche centinaio di dollari, vennero introdotti al nostro tavolo e, non avendo mai giocato
prima di allora, cominciarono a vincere, come sempre succede.

Siccome ci si era messa la cattiva fortuna, erano anche ubbriachi, ed ho spesso visto che i
calcoli più sottili falliscono contro l'ubriachezza. Giocavano in una maniera assolutamente
pazza, eppure vincevano sempre. Ogni carta che voltavano, era a loro favore. Avevano vinto
un centinaio di luigi in dieci minuti, e vedendo che Pippi cominciava ad arrabbiarsi e che la
fortuna ci era contraria, stavo per chiudere il banco, dicendo che si era giocato solo per
scherzo e che ne avevamo abbastanza.

Ma Pippi, che quel giorno aveva litigato con me, era deciso a continuare e la conclusione fu,
che gli studenti giocarono e vinsero sempre di più; poi prestarono denaro agli ufficiali, che
cominciarono anch'essi a vincere; ed in questo ignobile modo, in una stanza di taverna piena
di fumo di tabacco, attraverso un tavolo macchiato di birra e di liquori, contro un gruppo di
subalterni affamati e un paio di studenti imberbi, tre dei più abili e rinomati giocatori d'Europa
persero millesettecento luigi!

Arrossisco ancora quando ci penso! Fu come Carlo Dodicesimo o Riccardo Cuor di Leone
che caddero davanti ad una piccola fortezza, per una mano ignota (come scrisse il mio
amico signor Johnson); anzi in realtà fu una disfatta anche più vergognosa.

Né questa fu la sola disfatta. Quando i nostri poveri conquistatori se ne furono andati,


soddisfatti del tesoro che la fortuna aveva loro gettato nelle mani (uno di questi studenti si
chiamava il Barone de Clootz, forse lo stesso che più tardi perdette la testa sul patibolo a
Parigi) (13) Pippi riprese la lite della mattina, e tra noi passarono parole un po' troppo
pesanti.

Tra l'altro ricordo di avergli tirato uno sgabello in testa e di essere stato sul punto di buttarlo
fuori della finestra; ma mio zio, che aveva conservato il suo sangue freddo e che stava
facendo la Quaresima con la sua consueta solennità, si interpose tra noi, così che ebbe
luogo la riconciliazione: Pippi si scusò e confessò di aver avuto torto.
Avrei dovuto dubitare però della sincerità di quell'italiano traditore (14) in realtà non ho mai
creduto ad una sola parola che abbia detto in vita sua, e non so perché fossi così sciocco da
fidarmi di lui ed andarmene a letto, lasciandogli la chiave della cassetta del nostro denaro.
Conteneva, dopo le nostre perdite coi corazzieri, circa 8.000 sterline in denaro e cambiali.

Pippi insisté perché la nostra riconciliazione fosse ratificata con una coppa di vino caldo, e
non ho dubbio che abbia messo nel liquore qualche droga soporifera, perché mio zio ed io
dormimmo entrambi fino a molto tardi la mattina seguente, e ci svegliammo con un violento
mal di testa e febbre: non lasciammo il letto fino a mezzogiorno.

Pippi se n'era andato da dodici ore, lasciando vuoto il tesoro, e a sua giustificazione una
specie di calcolo, con cui dimostrava di portar via soltanto quella che era la sua parte di
profitto, e che tutte le perdite comuni erano state subite senza il suo consenso.

Così dopo diciotto mesi, dovevamo ricominciare da capo. Ma mi abbattei forse? No. Il nostro
guardaroba valeva ancora una grossa somma di denaro, perché i gentiluomini a quei tempi
non vestivano come gli impiegati delle parrocchie, ed una persona di mondo portava spesso
addosso un abito ed una serie di ornamenti che farebbero la fortuna di un negoziante; così
senza perdere un sol minuto o dire una sola parola di rabbia (il carattere di mio zio da questo
punto di vista era ammirevole), o permettere che il segreto della nostra perdita fosse noto a
qualsiasi persona mortale, mettemmo in pegno tre quarti dei nostri gioielli ed abiti da Moses
Lowe il banchiere, e col prodotto di questo affare, e col nostro denaro spicciolo personale,
che ammontava in tutto a meno di 800 luigi, scendemmo di nuovo in campo.

Capitolo 10

ALTRI GIRI DELLA FORTUNA

Non voglio intrattenere i miei lettori con un resoconto della mia carriera professionale di
giocatore, più di quanto non lo abbia fatto con gli aneddoti della mia vita di militare. Potrei
riempire dei volumi con racconti di questo genere se ne avessi l'intenzione; ma in questo
modo ci vorrebbero anni prima che il mio racconto venisse alla fine, e chi sa in quale
momento potrò essere chiamato a farla finita?
Ho la gotta, il reumatismo, i calcoli ed il fegato fuori sesto. Ho due o tre ferite sul mio corpo,
che mi fanno male e ogni tanto mi danno un dolore insopportabile, e cento altri sintomi di
prossima fine. Questi sono gli effetti del tempo, della malattia e della vita libera su una delle
costituzioni più robuste e dei corpi più belli che si siano mai visti al mondo. Ah! non soffrivo di
nessuna di queste malattie nel 1766, quando in Europa non vi era nessuno di spirito più
allegro, e più splendido nel suo modo di fare, del giovane Redmond Barry.

Prima del tradimento di quel farabutto di Pippi, avevo visitato molte delle migliori Corti
d'Europa, specialmente le più piccole, in cui il gioco era incoraggiato, ed i professori di quella
scienza erano sempre i benvenuti. Nei principati ecclesiastici del Reno eravamo
particolarmente ben ricevuti. Non ho mai conosciuto Corti più belle e più allegre di quelle
degli Elettori di Treviri e di Colonia, dove vi erano anche maggiore splendore ed allegria che
a Vienna, e di gran lunga di più che in quella maledetta Corte-caserma di Berlino. La Corte
dell'Arciduchessa-Governatrice del Netherlands era parimenti un luogo regale per noi
cavalieri del dado e galanti devoti della fortuna; invece nella cupa Olanda, o nelle
micragnose repubbliche svizzere, era impossibile che un galantuomo si guadagnasse la vita
senza venire molestato.

Dopo il nostro incidente di Mannheim, mio zio ed io ci dirigemmo al ducato di X... Il lettore
può individuare il luogo abbastanza facilmente, ma io non ho intenzione di stampare in tutte
lettere i nomi di alcune persone illustri, nella cui compagnia mi trovai allora, e tra le quali ebbi
la ventura di correre una strana e tragica avventura.

Non vi era Corte in Europa in cui gli stranieri fossero meglio accolti che a quella del nobile
Duca di X...; non vi era piacere più largamente offerto e più splendidamente goduto. Il
principe non abitava nella sua capitale di S..., ma, imitando da ogni punto di vista il
cerimoniale della Corte di Versailles, si era costruito un magnifico palazzo ad alcune leghe
dalla capitale, ed attorno al palazzo una superba città aristocratica, abitata interamente dai
suoi nobili e dai funzionari della sua sontuosa Corte.

Il popolo veniva spremuto abbastanza duramente, a voler dire la verità, per mantenere
questo splendore, perché i domini di Sua Altezza erano piccoli, e così, saggiamente, egli
viveva in una specie di splendido isolamento, e mostrava di rado il suo volto nella capitale né
vedeva altre persone che i suoi fedeli domestici e funzionari.

Il suo palazzo ed i giardini di Ludwigslust erano esattamente sul modello francese. Due volte
la settimana vi erano ricevimenti a Corte, e gran gala di Corte due volte al mese. Vi era il
teatro d'opera più magnifico che esistesse fuori della Francia, ed un balletto che non aveva
rivali in splendore. Per esso Sua Altezza, grande amatore della musica e della danza,
spendeva somme prodigiose. Può darsi che dipendesse dal fatto che era molto giovane, ma
mi sembra di non aver mai più visto una simile riunione di brillanti bellezze, come quelle che
figuravano in quel tempo sul palcoscenico del teatro di Corte, nei grandi balli mitologici che
erano allora di moda, ed in cui si vedeva Marte in scarpine col tacco rosso e parrucca, e
Venere con nei e guardinfante.
Dicono che il costume non fosse corretto, e da allora in poi lo hanno cambiato; ma per parte
mia non ho mai visto una Venere più graziosa di Coralie, che era la prima ballerina, e non
trovavo alcun difetto nelle ninfe che la seguivano con code e falde e cipria. Questi spettacoli
d'Opera avevano luogo di solito due volte la settimana, e dopo di essi qualche grande
ufficiale della Corte offriva una serata, con una cena brillante, e le scatole dei dadi
risuonavano dappertutto e tutti quanti giocavano.

Ho visto fino a settanta tavoli da gioco sistemati nella grande galleria di Ludwigslust, oltre al
banco di faraone, ed il duca stesso si compiaceva di venire a giocare, e vinceva e perdeva
con uno splendore veramente regale.

Fu qui che venimmo dopo l'incidente di Mannheim. La nobiltà della Corte si compiacque di
dichiarare che la nostra reputazione ci aveva preceduti, ed i due gentiluomini irlandesi
vennero accolti molto bene. La prima notte a Corte perdemmo 740 dei nostri 800 luigi; ma la
sera seguente, al tavolo del Maresciallo di Corte, io ne vinsi 1.300 di più. Potete esser sicuri
che facemmo in modo che nessuno si accorgesse di quanto eravamo stati vicini alla rovina
la sera prima; anzi, io mi guadagnai le simpatie di tutti col mio elegante modo di perdere, ed
il Ministro delle Finanze in persona accettò una nota di 400 ducati, tratta da me sul
maggiordomo di Ballibarry Castle nel Regno d'Irlanda, nota che per fortuna rivinsi a Sua
Eccellenza il giorno seguente, insieme con una considerevole somma a pronti contanti. In
quella nobile corte tutti erano giocatori. Potevamo vedere i lacché nelle ducali anticamere al
lavoro con i loro sporchi mazzi di carte; il cocchiere ed i portatori di lettighe giocavano nel
cortile, mentre i loro padroni puntavano nei saloni del piano nobile, e mi è stato detto che
cuochi e sguatteri tenevano un banco, in cui uno di loro, un pasticciere italiano, fece una
bella fortuna: egli comprò più tardi un marchesato romano, e suo figlio ha figurato come uno
dei più eleganti tra i forestieri illustri di Londra.

Quei poveri diavoli dei soldati giocavano la loro paga quando l'avevano, cosa che avveniva
di rado, e credo che non vi fosse ufficiale nei reggimenti della guardia che non avesse in
tasca le carte; ed era più difficile che dimenticasse i dadi che il cinturone della spada. Tra
gente come quella, si era come corsaro contro corsaro. Sarebbe stata una follia fare quello
che si chiama gioco leale. I gentiluomini di Ballybarry sarebbero stati sciocchi davvero a
comportarsi da colombe in un simile nido di sparvieri.

Nessuno, se non gli uomini di coraggio e di ingegno, può vivere e prosperare in una società
in cui tutti sono audaci ed intelligenti; e qui mio zio ed io fummo all'altezza della situazione,
ed anche più che all'altezza!

Il Duca era vedovo, o piuttosto dopo la morte della duchessa regnante aveva contratto un
matrimonio morganatico con una signora che aveva egli stesso fatta nobile, e che
considerava un complimento, tale era la morale di quei tempi, di essere chiamata la Dubarry
del Nord. Si era sposato molto giovane, e suo figlio, il principe ereditario si può dire che
fosse già il vero sovrano politico dello Stato; perché il duca regnante era più amante del
piacere che della politica e preferiva di gran lunga parlare col suo Gran Cacciatore e col
Direttore dell'Opera che coi ministri e gli ambasciatori.

Il principe ereditario, che chiamerò il principe Victor, era di un carattere molto diverso da
quello del suo augusto genitore. Aveva fatto le guerre di Successione e dei Sette Anni con
grande onore al servizio dell'Imperatrice, era di umore cupo, compariva di rado a Corte salvo
quando il cerimoniale lo richiedeva, e viveva quasi solo in un'ala del palazzo, in cui si
dedicava agli studi più severi, essendo un grande astronomo e chimico.

Anche lui aveva la passione, allora tanto comune in tutta l'Europa, di andare alla ricerca della
pietra filosofale; e mio zio rimpiangeva spesso di non avere nessuna infarinatura di chimica,
come il famoso Balsamo (che si faceva chiamare Cagliostro), il conte di San Germano ed
altri individui, che avevano ottenuto grandi somme dal duca Victor per aiutarlo nella sua
ricerca del grande segreto. I suoi divertimenti consistevano nell'andare a caccia e nel
passare in rivista le truppe. Se non fosse stato per lui, e se il carattere remissivo di suo padre
non gli fosse stato d'aiuto, l'esercito avrebbe passato tutto il giorno a giocare a carte, e così
era bene che si lasciasse governare il prudente principe.

Il duca Victor aveva allora cinquant'anni, e sua moglie, la principessa Olivia, ne aveva
ventitré. Erano sposati da sette anni, e nei primi cinque anni della loro unione la principessa
gli aveva dato un figlio ed una figlia. L'austera morale ed il modo di fare brusco, l'aspetto
cupo e poco piacevole del marito erano poco adatti a lusingare la brillante ed affascinante
giovane sposa che era stata educata nel Sud (era imparentata con la casa ducale di S...) e
aveva passato due anni a Parigi sotto la tutela delle figlie di Sua Maestà Cristianissima. Essa
era la vita e l'anima della Corte di X..., la più allegra tra le persone allegre, l'idolo del suo
augusto suocero e, in realtà, di tutta la Corte.

Non era bella, ma piacente; non intelligente, ma ugualmente affascinante sia nella sua
conversazione che nel suo aspetto. Era stravagante oltre ogni misura; tanto falsa che non ci
si poteva fidare di lei. Ma la sua debolezza era più avvincente delle virtù delle altre donne, il
suo egoismo più delizioso della generosità delle altre.

Non ho mai conosciuto una donna che abbia avuto dei difetti tanto attraenti. Era solita
mandare in rovina la gente, eppure tutti l'amavano. Il mio vecchio zio l'aveva vista barare alle
"ombre" (15) e le aveva fatto vincere 400 luigi senza resisterle affatto.

I suoi capricci con gli impiegati e le signore della sua casa erano senza tregua: ma essi
l'adoravano. Era la sola della famiglia regnante che il popolo amasse. Non usciva mai senza
che la sua carrozza fosse seguita da grida di acclamazione: e per essere generosa con
coloro che l'applaudivano si faceva prestare fino all'ultimo soldo dalle sue povere dame
d'onore, che non rimborsava mai.
Nei primi tempi, suo marito fu affascinato da lei come lo erano tutti gli altri; ma i suoi capricci
provocarono alla fine spaventosi scoppi di collera da parte di lui e alla fine il suo
allontanamento, benché interrotto da quasi folli ritorni di amore, era oramai quasi completo.
Parlo di Sua Altezza Reale con perfetta buona fede ed ammirazione, benché io potrei essere
scusato se la giudicassi severamente, considerando l'opinione che ella aveva di me; avendo
essa detto che il vecchio Monsieur de Balibari era un perfetto gentiluomo di antico stampo,
ma che il più giovane aveva modi da vetturale. Questa parola ha dato luogo a diverse
interpretazioni, ma posso permettermi di pensare che la frase era stata detta a mio sfavore.
Oltre a questo aveva per me una ragione di antipatia, che ora sentirete.

Cinque anni nell'esercito e la mia lunga esperienza del mondo, avevano ormai
completamente disperso tutte quelle romantiche idee riguardanti l'amore con cui avevo
cominciato la vita, ed avevo deciso, così come si conviene ai gentiluomini (sono soltanto le
persone di bassa nascita che si sposano per amore), di consolidare la mia fortuna con un
buon matrimonio. Nel corso delle nostre peregrinazioni mio zio ed io avevamo fatto molti
tentativi per mettere in atto questo progetto, ma avevamo avuto parecchie delusioni, che non
vale la pena di ricordare qui, che mi avevano impedito di fare un matrimonio come quello che
ritenevo conveniente ad un uomo della mia nascita, abilità ed aspetto. Le signore, sul
Continente, non hanno l'abitudine di farsi rapire, così come si usa in Inghilterra (abitudine di
cui molti onorevoli gentiluomini del mio paese hanno largamente profittato!) e nel matrimonio
intervengono tutori, cerimonie e difficoltà di ogni genere. Il vero amore non può mai avere il
suo corso e le povere donne non possono concedere il loro onesto cuore ai galanti giovani
che le hanno conquistate.

Ora venivano richieste garanzie, ora il mio albero genealogico ed i miei titoli non sembravano
soddisfacenti, benché avessi la pianta e l'elenco delle rendite dei feudi di Ballybarry, e la
genealogia della famiglia fino al re Brian Boru, o Barry, fosse chiaramente disegnata sulla
carta. Ora era una signorina che veniva sbattuta in un convento perché era pronta a cadere
nelle mie braccia; in un'altra occasione, quando una ricca vedova dei Paesi Bassi era proprio
sul punto di farmi signore di un magnifico feudo nelle Fiandre, venne un ordine della polizia
che mi sloggiava da Bruxelles con un'ora di preavviso, e che rappresentò il funerale del mio
castello in aria. Ma ad X... ebbi occasione di giocare un grosso gioco, e lo avrei anche vinto,
se non fosse stato per una disastrosa catastrofe che sconvolse il mio destino.

Nella casa della principessa ereditaria vi era una fanciulla di diciannove anni, che possedeva
il patrimonio più grosso di tutto il ducato. La Contessa Ida, così si chiamava, era figlia di un
ex Ministro e favorito di Sua Altezza il Duca di X..., e la Duchessa, che le aveva fatto l'onore
di essere sua madrina alla nascita, alla morte di suo padre l'aveva presa sotto la sua augusta
tutela e protezione. A sedici anni l'aveva portata nel suo castello, dove in quel periodo le era
stato permesso di risiedere, ed era stata addetta alla persona della Principessa Olivia, come
una delle damigelle d'onore di Sua Altezza.

La zia della Contessa Ida, che dirigeva la sua casa durante la sua minore età, le aveva
scioccamente permesso di contrarre una passione per un suo cugino germano, un
sottotenente senza un soldo in uno dei reggimenti di fanteria del ducato, che si era lusingato
di essere in grado di conquistare un così ricco premio; e se non fosse stato un idiota, stolto e
stupido, avendo il vantaggio di vederla in continuazione, di non aver rivali vicino a sé, e di
essere in intime relazioni con tutta la parentela, avrebbe potuto facilmente, con un
matrimonio segreto, assicurarsi la contessina e i suoi beni. Ma egli condusse le cose così da
sciocco, che non solo le permise di lasciare il suo ritiro per venire a Corte per un anno e
prendere il suo posto nella casa della Principessa Olivia, ma per di più il mio giovane
gentiluomo non ebbe riguardo di presentarsi una mattina al levarsi del Duca, con le spalline
lustrate e la giubba di panno logoro, a fare, in debita forma, a Sua Altezza, come tutore della
signorina, la richiesta della mano della più ricca ereditiera dei suoi domini!

La debolezza di carattere del buon principe era tale che, siccome la Contessa Ida stessa era
tanto disposta al matrimonio quanto il suo stupido cugino, si sarebbe lasciato andare a
permettere le nozze se la Principessa Olivia non lo avesse indotto ad opporsi e non avesse
spinto il duca a mettere un veto perentorio alle speranze del giovanotto.

La causa di questo rifiuto è ancor oggi ignota: non si era ancora presentato alcun altro
pretendente alla mano della signorina, e i due innamorati continuarono a tenere
corrispondenza tra loro, sperando che il tempo avrebbe portato un cambiamento nelle
risoluzioni di Sua Altezza; ma ad un tratto il tenente venne trasferito in uno di quei reggimenti
che il principe aveva l'abitudine di vendere alle grandi potenze allora in guerra (questo
commercio militare costituiva la parte principale delle rendite di Sua Altezza e degli altri
principi in quel periodo) e la loro relazione fu così bruscamente spezzata.

Era strano che la Principessa Olivia avesse preso questo atteggiamento verso una ragazza
che era stata la sua favorita; anzi da principio, per quelle idee romantiche e sentimentali che
quasi tutte le donne hanno, essa aveva un po' incoraggiato la Contessa Ida ed il suo
spiantato innamorato; ma poi ad un tratto si era voltata contro di loro, ed anziché favorire la
contessina, come aveva fatto fino allora, passò a perseguitarla con tutte le forme di odio che
una donna possa inventare: non vi era fine alla ingegnosità delle sue torture, al veleno della
sua lingua, all'amarezza del suo sarcasmo e del suo dileggio. Quando arrivai per la prima
volta alla Corte di X..., i giovanotti avevano soprannominato la ragazza la "Dumme Gräfin", la
contessa stupida.

Di solito essa taceva, bella, ma pallida, con uno sguardo sciocco e duro; non prendeva alcun
interesse ai divertimenti della città e sembrava, in mezzo alle feste, come la testa di morto,
che, a quanto si dice, i Romani eran soliti tenere alla loro tavola.

Si sussurrava che un giovane gentiluomo, di origine francese, il Cavalier de Magny, scudiero


del principe ereditario, e che si trovava a Parigi quando la Principessa Olivia si era sposata
con lui per procura laggiù, fosse il pretendente della ricca Contessa Ida; ma non era stata
fatta ancora nessuna dichiarazione ufficiale del genere e si bisbigliava di qualche sporco
intrigo, che più tardi ricevette una spaventosa conferma.
Questo de Magny era il nipote di un vecchio ufficiale generale al servizio del Duca, il Barone
de Magny. Il padre del barone aveva lasciato la Francia al tempo dell'espulsione dei
Protestanti, dopo la revoca dell'Editto di Nantes, ed aveva preso servizio ad X, dove era
morto. Gli era succeduto il figlio, che, diversamente da quanto accade alla maggior parte dei
gentiluomini di origine francese che ho conosciuto, era un calvinista cupo e freddo, rigido nel
compimento dei suoi doveri, contegnoso nel suo modo di fare, che si mescolava poco con la
Corte, ed era intimo amico e favorito del Duca Victor, a cui egli assomigliava come carattere.

Il cavaliere suo nipote, invece, era un vero francese: era nato in Francia, dove suo padre
aveva tenuto un incarico diplomatico al servizio del duca. Si era mescolato alla più brillante
società delle più allegre Corti del mondo ed aveva da raccontarci infinite storielle sui piaceri
delle "petites maisons", sui segreti del "Parc aux Cerfs", e sulla selvaggia sfrenatezza di
Richelieu (16) e dei suoi compagni.

Si era quasi rovinato al gioco, come aveva fatto suo padre prima di lui, perché, fuori di
portata del cupo vecchio barone di Germania, figlio e nipote avevano condotto la vita più
sfrenata.

Era tornato da Parigi subito dopo l'ambasciata che era stata mandata laggiù in occasione del
matrimonio della principessa e fu ricevuto con molta freddezza dal vecchio nonno, che però
gli pagò ancora una volta i debiti e gli procurò un impiego nella casa del Duca.

Il Cavaliere de Magny divenne presto grande favorito del suo augusto signore; portava con
sé le mode e l'allegria di Parigi, era l'ideatore di tutte le mascherate e di tutti i balli, il
reclutatore delle ballerine del balletto, e di gran lunga il giovane gentiluomo più brillante e
splendido della Corte.

Dopo qualche settimana della nostra permanenza a Ludwigslust il vecchio Barone de Magny
cercò di farci mandar via dal ducato, ma la sua voce non era abbastanza forte da superare la
voce pubblica che ci era favorevole, ed il de Magny, specialmente, prese le nostre parti
davanti a Sua Altezza quando la questione fu dibattuta in sua presenza. L'amore del gioco
del cavaliere non lo aveva abbandonato. Frequentava regolarmente il nostro banco, dove
giocò per qualche tempo con una discreta fortuna, e poi, quando cominciò a perdere, pagava
con una regolarità sorprendente per coloro che conoscevano la scarsità dei suoi mezzi in
confronto allo splendore del suo aspetto.

Anche Sua Altezza la Principessa Olivia era molto appassionata del gioco. In una mezza
dozzina di occasioni, quando tenevamo banco a Corte, potei accorgermi della sua passione
per il gioco.
Ma potei vedere... cioè lo vide mio zio che aveva sempre il cervello a posto... molto di più. Vi
era una relazione tra Monsieur de Magny e quella illustre signora.

- Se Sua Altezza non è innamorata di quel piccolo francese - mi disse una sera mio zio dopo
il gioco - possa io perdere la vista dell'occhio che mi è rimasto.

- E a noi che ce ne importa, signore? - dissi io.

- Che ce ne importa? - disse mio zio guardandomi fisso in volto.

Sei così ingenuo da non capire che cosa ce ne importi? Può essere la tua fortuna, se sai
starci dietro; e possiamo riavere i feudi dei Barry in due anni, ragazzo mio.

- Com'è questa storia? - chiesi, ancora imbarazzato.

Mio zio mi disse in tono secco:

- Fai giocare Magny; non importa che paghi; prendi le sue cambiali a vista. Più ci deve,
meglio è; ma sopra tutto fallo giocare.

- Non può pagare neppure uno scellino - risposi io. - Gli Ebrei non sconteranno le sue tratte
nemmeno al cento per cento.

- Tanto meglio. Vedremo che uso potremo farne - rispose il vecchio gentiluomo. E debbo
confessare che il piano che aveva fatto era brillante, intelligente, ed anche geniale.

Dovevo indurre Magny a giocare; fin qui non c'erano grandi difficoltà. Eravamo diventati
intimi, perché egli era un eccellente sportivo come me, ed avevamo l'uno per l'altro una
notevole amicizia: se egli vedeva una scatola di dadi era impossibile impedirgli di prenderla
in mano, la prendeva con la stessa naturalezza di un bambino quando prende i dolci.

Da principio vinse; poi cominciò a perdere; poi io giocai denaro contro i gioielli che portava
addosso; gingilli di famiglia, disse, ma in realtà di considerevole valore. Mi pregò, tuttavia, di
non farne uso nel Ducato, ed io diedi la mia parola d'onore su questo punto e la mantenni.
Dai gioielli passò a giocare su biglietti di impegno, e siccome non era permesso giocare a
credito alle tavole di Corte ed in pubblico, fu molto lieto di avere un'occasione per soddisfare
alla sua passione in privato. Stavo con lui per ore intere nel mio padiglione, che avevo
mobiliato alla maniera orientale, in modo splendido, e giocavamo ai dadi finché non veniva
per lui il momento di andare a Corte a fare il suo servizio, ed in questo modo passavamo un
giorno dopo l'altro.

Mi portò altri gioielli, una collana di perle, un antico medaglione di smeraldi ed altre bagatelle,
come garanzia per le sue perdite: perché non c'è bisogno di dire che non avrei giocato con
lui per tutto questo tempo se fosse stato lui a vincere; ma dopo una settimana la fortuna si
accanì talmente contro di lui, che egli divenne mio debitore per una somma prodigiosa. Non
mi importa di ricordarne l'esatto ammontare; era tale che non avrei pensato che egli potesse
pagarla.

Perché, dunque, allora, continuavo a giocare? Perché sprecare le giornate in un gioco


segreto che era un vero fallimento, quando altrove si potevano fare affari molto più proficui?
Debbo confessare sinceramente la ragione che mi spingeva. Volevo vincere a Monsieur de
Magny non il suo denaro, ma la sua presunta sposa, la Contessa Ida. Chi può dire che non
avessi il diritto di usare qualsiasi stratagemma in questa questione d'amore? Ma perché
usare la parola amore? Io volevo il denaro di quella signorina: l'amavo, quindi, molto più di
Magny; l'amavo quasi quanto una pudica vergine di diciassette anni ama il vecchio lord di
settanta che la sposa.

Seguivo in questo l'abitudine del mondo: con questo matrimonio avrei raggiunto la mia
fortuna.

Avevo l'abitudine di farmi dare da Magny, dopo le sue perdite, un'amichevole lettera di
riconoscimento che suonava pressappoco così:

"Mio caro Monsieur de Balibari, "riconosco di avere perduto oggi a lanzichenecco (o a


picchetto, o ai dadi, secondo i casi, perché lo dominavo a qualunque gioco facessimo) la
somma di trecento ducati e considererò come una grande cortesia da parte vostra consentire
a tenere in sospeso il debito fino al giorno in cui potrete riceverne il pagamento dal vostro
grato ed umile servitore".

Quanto ai gioielli che mi aveva portato, avevo preso la precauzione (ma questa era stata
un'idea di mio zio, ed anche molto buona) di farmene fare un inventario, con una lettera che
mi pregava di ricevere quelle bagatelle come parziale pagamento della somma di denaro che
mi doveva.
Quando lo ebbi messo in posizione tale da venire incontro alle mie intenzioni, gli parlai con
grande serietà e senza alcuna riserva, proprio come un uomo di mondo deve fare con un
altro.

- Mio caro amico - gli dissi - non ti farò un così cattivo complimento da ritenerti capace di
credere che tu possa andare avanti un pezzo a giocare in questo modo, e che io, viceversa,
possa essere in alcun modo soddisfatto di fare collezione di un numero più o meno grande di
pezzi di carta muniti della tua firma, e di una serie di cambiali a vista che io so che non potrai
mai pagare. Non ti sdegnare e non ti arrabbiare, perché tu sai che Redmond Barry è tuo
maestro anche alla spada; oltre a questo non sono tanto sciocco da battermi con un uomo
che mi deve tanto denaro; ma ascolta con calma quello che ti devo proporre. Hai avuto molta
confidenza in me durante l'amicizia intima che si è formata tra noi in quest'ultimo mese: ed io
conosco completamente tutti i tuoi affari personali. Hai dato al nonno la tua parola d'onore di
non giocare più sulla parola, e sai bene come l'hai mantenuta e sai anche che ti
diserederebbe se conoscesse la verità. E poi, anche supponendo che morisse domani, i suoi
beni non sono sufficienti a pagare la somma che mi devi; e se tu non fai l'arrendevole con
me diventi un pezzente ed un fallito. Sua Altezza la Principessa Olivia non ti nega niente.
Non voglio sapere perché, ma lasciami dire che mi sono accorto di questo fatto quando
abbiamo cominciato a giocare insieme.

- Vuoi essere fatto barone-ciambellano, con il gran cordone dell'ordine? - balbettò il povero
diavolo. - La principessa può tutto col Duca.

- Non ho alcuna obiezione - dissi - contro il nastro giallo e la chiave d'oro, benché un
gentiluomo della casa di Ballybarry si occupi poco dei titoli della nobiltà tedesca. Ma non è
questo che voglio. Tu, mio caro, non mi hai nascosto alcuno dei tuoi segreti.

Mi hai detto che con difficoltà hai indotto la Principessa Olivia ad acconsentire al progetto
della tua unione con la Gräfin Ida, che non ami. So ben io chi è quella che ami.

- Monsieur de Balibari! - disse il cavaliere sconfitto; non poteva più resistermi. La verità
cominciava a balenargli davanti.

- Cominci a capire... - continuai. - Sua Altezza la Principessa - dichiarai in tono sarcastico -


non sarà molto dispiacente se romperai la tua relazione con la "stupida contessa". Io non
sono un ammiratore di quella signorina più di quello che lo sia tu; ma voglio i suoi beni. Ho
giocato per conquistarli ed ho vinto: e ti restituirò le tue cambiali e cinquecento ducati il
giorno in cui mi sarò sposato.
- Il giorno in cui io avrò sposato la contessa - rispose il cavaliere sperando di conquistarmi -
sarò in grado di avere il denaro per soddisfare dieci volte le tue richieste (e questo era vero
perché la proprietà della contessa poteva avere un valore di quasi mezzo milione di sterline,
in moneta nostra), ed allora soddisfarò i miei obblighi verso di te. Frattanto se tu mi dai
fastidio con minacce, o m'insulti di nuovo come hai fatto ora, farò uso di quella influenza che,
come dici, possiedo, e ti farò cacciar via dal Ducato, come lo sei stato dal Netherlands lo
scorso anno.

Suonai il campanello molto tranquillamente.

- Zamor - dissi a un negro grande e grosso, vestito da turco, che aveva l'abitudine di
seguirmi - quando sentirai suonare il campanello la seconda volta, porterai questo pacchetto
al Maresciallo di Corte, questo a Sua Eccellenza il generale de Magny, e questo lo porrai
nelle mani di uno degli scudieri di Sua Altezza il Principe ereditario. Aspetta in anticamera, e
non andartene, con questi pacchetti, se non suono un'altra volta.

Quando il negro si fu ritirato, mi volsi a Monsieur de Magny e dissi:

- Sappi, cavaliere, che il primo pacchetto contiene una tua lettera diretta a me, che dichiara i
tuoi debiti e mi promette solennemente il pagamento della somma che mi devi; è
accompagnata da un documento firmato da me (perché mi aspettavo un po' di resistenza da
parte tua), che dichiara che il mio onore è stato chiamato in causa, e domanda quindi che il
documento venga presentato al tuo augusto signore, a Sua Altezza. Il secondo pacchetto è
per tuo nonno, e contiene la lettera in cui ti dichiari suo erede, e chiede conferma del fatto.
L'ultimo pacchetto è per Sua Altezza il duca ereditario aggiunsi, guardandolo in modo molto
severo - e contiene lo smeraldo che Gustavo Adolfo ha dato alla sua principessa, e che tu mi
hai gabellato per un tuo gioiello di famiglia. La tua influenza presso Sua Altezza deve essere
molto grande davvero aggiunsi - se hai potuto estorcerle un gioiello come quello e se hai
potuto far sì che, allo scopo di pagare i tuoi debiti, ti abbia affidato un segreto da cui
dipendono tutte e due le vostre teste.

- Mascalzone! - disse il francese, quasi gelato per la rabbia e per la paura - vuoi
compromettere la principessa?

- Monsieur de Magny - risposi con un sogghigno - no; dirò soltanto che hai rubato il gioiello.

Credevo proprio che le cose fossero andate così, e che l'infelice ed infatuata principessa non
si fosse neppure accorta del furto se non che molto tempo dopo che era stato commesso.
Come fossimo venuti a sapere la storia dello smeraldo è una cosa molto semplice. Siccome
avevamo bisogno di denaro (perché le mie occupazioni col de Magny facevano sì che il
nostro banco fosse molto trascurato), mio zio aveva portato quelle bagatelle del cavaliere in
pegno a Mannheim. L'ebreo che fece il prestito su di esse conosceva la storia dello
smeraldo: e quando chiese come Sua Altezza era giunta a separarsene; mio zio con grande
intelligenza prese la storia al punto in cui l'aveva trovata, disse che la principessa era molto
appassionata del gioco, ma che non sempre le riusciva comodo di pagare, ed in
conseguenza lo smeraldo era venuto nelle nostre mani. Saggiamente lo riportò con sé ad
S...

Per quanto riguarda gli altri gioielli che il cavaliere ci aveva dato in pegno, non erano di
particolare interesse, e non solo non sapevo che provenissero da Sua Altezza, ma questa è
una congettura che faccio soltanto ora.

Lo sfortunato giovanotto doveva avere un carattere alquanto vile, perché quando lo accusai
del furto, non fece uso delle mie due pistole che per caso si trovavano davanti a lui, per
mandare all'altro mondo il suo accusatore e se stesso, ormai che era rovinato. Con tale
imprudenza e deprecabile mancanza di precauzioni da parte sua e della sventurata signora
che si era abbandonata a questo inetto, doveva aver capito che la scoperta era inevitabile.
Ma era scritto che questo spaventoso destino si sarebbe compiuto: invece di finire da uomo,
egli piegò davanti a me coi nervi spezzati, e gettatosi su un divano scoppiò in lacrime, e
cominciò ad invocare come un matto tutti i santi perché lo aiutassero: come se i santi
potessero interessarsi del destino di uno straccione come lui!

Vidi che non avevo più niente da temere da lui, e richiamato Zamor, il mio negro, dissi che
avrei consegnato i pacchetti io stesso e li riposi nel mio "escritoire"; ed avendo così
guadagnato il primo punto agii, come sempre faccio, molto generosamente verso di lui. Dissi
che, per sicurezza, avrei mandato lo smeraldo fuori del paese ma mi impegnavo sul mio
onore a restituirlo alla duchessa, senza alcun compenso pecuniario, il giorno in cui mi
avesse ottenuto il consenso del sovrano alla mia unione con la contessa Ida.

Questo spiegherà abbastanza chiaramente, almeno spero, il gioco che stavo giocando; e
benché qualche rigido moralista possa muovere obiezioni alla sua correttezza, dico che tutto
è lecito in amore e che le persone povere come me non possono permettersi di essere
troppo schizzinose sul modo di guadagnarsi da vivere.

I grandi ed i ricchi sono sempre ben accolti con grandi sorrisi sullo scalone del mondo; ma i
poveri che hanno aspirazioni debbono arrampicarsi sulle pareti, o spingersi lottando sulle
scale di servizio o strusciare come talpe lungo le fogne della casa, non importa se sporche o
strette, purché portino in alto. I pigri senza ambizioni asseriscono che non vale la pena di
arrivare in cima, abbandonano la lotta e dichiarano di essere filosofi. Io dico che sono
codardi poveri di spirito. A che cosa serve la vita se non per ottenere onori? E questi sono
tanto indispensabili che vogliamo raggiungerli ad ogni modo.

Il modo che si poteva seguire per ottenere il ritiro di Magny venne proposto da me, e tutto fu
condotto in modo da non urtare il sentimento di delicatezza delle due parti. Feci prendere la
Contessa Ida in disparte da Magny, il quale le tenne questo discorso:

- Signora, benché non mi sia mai dichiarato vostro ammiratore voi e la Corte avete avuto
sufficienti prove della mia considerazione per voi; e la mia domanda sarebbe stata, lo so,
appoggiata da Sua Altezza, vostro augusto tutore. So che è volontà del Duca che le mie
attenzioni siano accolte favorevolmente; ma poiché il tempo non è riuscito a modificare
l'affetto che avete posto altrove, e poiché ho troppo buon senso per costringere una signora
del vostro nome e del vostro rango ad unirsi a me contro la sua volontà, il piano migliore è
che io vi faccia, per la forma, una proposta non autorizzata da Sua Altezza; che voi mi
rispondiate, come sono spiacente di sapere che il vostro cuore vi detta, negativamente:

dopo di che formalmente cesserò di farvi la corte, dichiarando che, dopo un rifiuto, nulla
nemmeno la volontà del Duca, potrebbe indurmi a continuare nelle mie insistenze.

La Contessa Ida quasi piangeva nel sentire queste parole di Monsieur de Magny, e le
venivano le lacrime agli occhi, egli disse, mentre gli prendeva la mano per la prima volta, e lo
ringraziava per la delicatezza della sua proposta. Non sapeva che il francese era
assolutamente incapace di simili forme di delicatezza, e che il garbato modo con cui
dichiarava di cessare la sua corte era tutto di mia invenzione.

Non appena si fu ritirato, fu affar mio farmi avanti: con cautela, piano, per non mettere in
allarme la ragazza, ma tuttavia con viva fermezza, tanto da convincerla che il piano di unirsi
con il suo straccione di innamorato, il sottotenente, era destinato al fallimento. La
Principessa Olivia fu abbastanza brava da compiere in mio favore la necessaria parte del
piano, ed avvertì solennemente la Contessa Ida che, nonostante che Monsieur de Magny si
fosse ritirato ed avesse smesso di farle la corte, Sua Altezza il suo tutore l'avrebbe fatta
sposare soltanto con chi riteneva adatto, e che essa doveva dimenticare per sempre il suo
adoratore con le pezze ai gomiti. In realtà non riuscivo neppure a capire come quel pezzente
straccione avesse mai avuto l'audacia di farle una proposta; indubbiamente era di nobile
famiglia, ma quali altre qualità aveva?

Quando il cavaliere de Magny si fu ritirato, potete star certi che si presentarono alla
Contessa Ida numerosi altri pretendenti, e tra questi il vostro umile servitore, il cadetto di
Ballybarry. In questo periodo venne tenuto un "carrousel", o torneo, ad imitazione degli
antichi scontri della cavalleria, in cui i cavalieri si colpivano tra loro o infilavano un anello; ed
in questa occasione mi vestii di uno splendido costume romano (vale a dire un elmo
d'argento, una parrucca ondeggiante, una corazza di cuoio dorato con grandi ricami, un
mantello di lucente velluto blu, e dei mezzi stivali di marocchino cremisi) ed in questo abito
feci correre il mio cavallo baio, Brian, infilzai i tre anelli e vinsi il premio su tutto il seguito del
duca e sulla nobiltà dei paesi vicini che era accorsa allo spettacolo. Una corona di alloro
dorato era il premio del vincitore e doveva essergli consegnata dalla dama che egli avrebbe
scelto.

Così galoppai fino alla galleria in cui la Contessa Ida era seduta dietro alla principessa
ereditaria e dopo averla chiamata per nome ad alta voce, seppure con grazia, la pregai di
incoronarmi di sua mano, e così mi proclamai, di fronte a tutta la Germania, per così dire,
suo pretendente.

Notai che ella diventò molto pallida, mentre la principessa diventava rossa; ma la Contessa
Ida finì per incoronarmi; dopo di che, dato di sprone al cavallo, galoppai intorno alla pista per
salutare Sua Altezza il Duca dalla parte opposta, e feci col mio baio i più meravigliosi
esercizi.

Il mio successo, come si può immaginare, non aumentò la mia popolarità tra i giovani al
seguito del duca. Mi chiamavano avventuriero, mascalzone, giocatore coi dadi piombati, e
con un centinaio almeno di simili complimenti: ma io avevo modo di ridurre al silenzio questa
gente. Affrontai il Conte di Schmetterling, il più ricco e coraggioso dei giovanotti che
sembravano avere qualche pretesa sulla Contessa Ida, e lo insultai pubblicamente al ridotto
gettandogli le carte in faccia. Il giorno seguente percorsi trentacinque miglia a cavallo nel
territorio dell'Elettore di B..., mi incontrai con Monsieur de Schmetterling e gli infilai due volte
la spada attraverso il corpo: poi tornai indietro sempre a cavallo, col mio secondo Monsieur
de Magny, e mi presentai al whist della duchessa quella sera stessa.

Magny da principio non era stato molto soddisfatto di accompagnarmi, ma io insistei perché
mi facesse da padrino e così dovette appoggiare la mia sfida. Subito dopo aver reso il mio
omaggio a Sua Altezza, me ne andai dalla Contessa Ida, e le feci un marcato e profondo
inchino, guardandola fissa in volto, mentre ella diventava rosso cremisi, e poi diedi
un'occhiata intorno a tutti gli uomini che formavano il suo circolo, finché, "ma foi", li feci andar
via tutti. Avevo dato istruzioni a Magny di dire dappertutto che la Contessa era pazzamente
innamorata di me, commissione che, insieme a molte altre da me affidategli, il povero diavolo
fu costretto ad eseguire. Faceva piuttosto una "sotte figure", come dicono i Francesi, agendo
come mio sostenitore, lodandomi da per tutto ed accompagnandomi sempre. Lui che era
stato l'arbitro della moda fino al mio arrivo, lui che riteneva che l'albero genealogico dei
Baroni de Magny (quegli straccioni!) fosse superiore alla razza dei grandi re irlandesi da cui
io discendevo; che mi aveva preso in giro cento volte come spadaccino e disertore, e mi
aveva chiamato un volgare nobiluccio irlandese. Ora avevo la mia vendetta da gentiluomo, e
ne approfittavo.

Ero solito chiamarlo, nelle comitive più eleganti, col suo nome di battesimo di Maxime.
Dicevo:

- "Bon jour, Maxime; comment vas-tu?" - in modo che la principessa potesse sentirmi, e lo
potevo vedere mordersi le labbra per la rabbia e l'umiliazione. Ma lo tenevo in pugno, lui e
anche Sua Altezza... io, il povero soldato del reggimento di Bulow.

E questa è una prova di quanto possono fare il genio e la perseveranza, e dovrebbe servire
di avviso ai grandi di non aver "secrets"... se possono mai riuscirvi.

Sapevo che la principessa mi odiava, ma che cosa me ne importava?

Essa sapeva che sapevo tutto; e credo che il suo pregiudizio contro di me fosse tanto forte
da farle credere che fossi un mascalzone indelicato, capace di tradire una signora, cosa che
io avrei sempre evitato di fare; sicché tremava davanti a me come una bambina davanti al
maestro di scuola. Tuttavia, secondo il suo metodo tutto femminile, mi faceva ogni sorta di
scherzi e di dispetti nei giorni di ricevimento; mi chiedeva notizie del mio palazzo in Irlanda, e
dei re miei antenati, e mi domandava se, quando ero soldato semplice nel reggimento dei
fanti di Bulow, i miei regali parenti si erano interposti per riscattarmi, e se il bastone veniva
laggiù amministrato in maniera elegante... tutto per mortificarmi. Ma il Cielo vi benedica!
potevo farle delle concessioni in pubblico, ed ero solito riderle in faccia. Mentre ella
continuava i suoi scherzi ed i suoi frizzi, mi prendevo il divertimento di guardare il povero
Magny e di vedere come lui li sopportava. Il povero diavolo tremava che potessi scoppiare
sotto i sarcasmi della principessa e dire tutto; ma la mia vendetta, quando la principessa mi
attaccava, era di dire qualche cosa di amaro a lui... passandogliela, come fanno i ragazzi a
scuola. E questo era quello che urtava di più Sua Altezza. Fremeva quando attaccavo
Magny, come se avessi detto qualche cosa di offensivo per lei. E benché mi odiasse, poi, in
privato, mi domandava scusa, e benché il suo orgoglio stesse qualche volta per prendere il
sopravvento in lei, pure la prudenza obbligava la magnifica principessa ad umiliarsi davanti
al povero ragazzo irlandese senza un soldo.

Non appena Magny ebbe formalmente ritirate le sue pretese sulla Contessa Ida, la
principessa tornò di nuovo a mostrare il suo favore per questa signorina, e mostrò di avere
molta simpatia per lei.

Per render loro giustizia, non so quale delle due mi odiasse di più... la Principessa che era
tutto ardore, fuoco e civetteria, o la Contessa che era tutto contegno e dignità. Quest'ultima
specialmente mostrava per me la più grande antipatia, eppure, dopo tutto, l'avevo lusingata
del mio meglio; ero uno degli uomini più belli d'Europa, ed avrei sfidato qualsiasi bellimbusto
della Corte a misurare il torace o la gamba con me. Ma non mi curavo di nessuno dei suoi
sciocchi pregiudizi ed ero deciso a vincerla e ad addomesticarla anche contro la sua volontà.
Forse agivo a causa del suo fascino personale e delle sue qualità? No. Era molto bianca,
sottile, miope, alta e asciutta, mentre i miei gusti sono proprio l'apposto; quanto alla sua
intelligenza non c'era da meravigliarsi se una povera creatura, che aveva avuto una
passioncella per un sottotenente disgraziato ed in cenci, non potesse mai apprezzare me.

Era il suo patrimonio che volevo: per quanto riguardava lei, sarebbe stato calunniare il mio
gusto di uomo di mondo, pensare ch'essa mi potesse davvero piacere.

Capitolo 11

IN CUI LA FORTUNA SI RIVOLTA CONTRO BARRY


Le mie speranze di ottenere la mano di una delle più ricche ereditiere della Germania erano
ormai entro i limiti delle possibilità umane e per quanto i miei meriti e la mia prudenza
personale potevano assicurare la mia fortuna, proprio sul punto di realizzarsi. Ero ammesso
negli appartamenti della principessa tutte le volte che mi presentavo, ed avevo tutte le
possibilità che desideravo di incontrarvi la Contessa Ida. Non posso affermare ch'ella mi
ricevesse con particolari segni di favore; gli affetti di quella giovane sciocchina erano, come
ho già detto, ignobilmente impegnati altrove; e per quanto la mia persona e i miei modi
potessero essere affascinanti, non c'era da aspettarsi ch'ella potesse dimenticare tutto ad un
tratto il suo spasimante, per amore del giovincello gentiluomo irlandese che le rivolgeva i
suoi omaggi. Ma le piccole ripulse che ricevevo erano ben lungi dallo scoraggiarmi. Avevo
amici potenti, che mi avrebbero aiutato nell'impresa; e sapevo che presto o tardi la vittoria
sarebbe stata mia. In sostanza aspettavo soltanto il momento adatto per rendere la mia corte
più incalzante. Chi avrebbe potuto prevedere il terribile colpo che sovrastava alla mia illustre
protettrice e che doveva coinvolgermi almeno in parte nella sua rovina?

Per un certo tempo tutto sembrò assolutamente favorevole ai miei desideri; e nonostante la
poca inclinazione della Contessa Ida per me, sarebbe stato più facile farla rientrare in sé di
quanto, forse, si potrebbe supporre in uno sciocco paese costituzionale come l'Inghilterra,
dove la gente non viene allevata con quegli assoluti sentimenti di obbedienza alla regalità
che erano abituali in Europa all'epoca in cui io ero giovanotto.

Ho già spiegato come, attraverso Magny, io avessi la principessa per così dire ai miei piedi.
Sua Altezza non aveva che da sollecitare il matrimonio presso il vecchio Duca, sul quale
aveva una influenza illimitata, e da assicurarsi l'appoggio della Contessa di Liliengarten (era
questo il romantico titolo della sposa morganatica di Sua Altezza), e l'arrendevole vecchio
avrebbe dato gli ordini per il matrimonio, a cui la sua pupilla avrebbe dovuto obbedire per
forza. Anche Madame di Liliengarten, nella sua posizione, era estremamente sollecita di
rendersi gradita alla Principessa Olivia che un giorno o l'altro avrebbe potuto essere
chiamata ad occupare ii trono. Il vecchio Duca era apoplettico, traballante ed
eccessivamente amante della bella vita. Alla sua scomparsa, la sua vedova avrebbe trovato
estremamente necessario l'appoggio della Duchessa Olivia. C'era, quindi, una stretta intesa
reciproca tra le due dame; e il mondo diceva che la principessa ereditaria era già in debito
verso la favorita per essere stata aiutata da lei in diverse occasioni. Sua Altezza aveva
ottenuto, per il tramite della Contessa, parecchi generosi prestiti in denaro per pagare i suoi
svariati debiti; ed era abbastanza buona da esercitare la sua graziosa influenza su Madame
de Liliengarten allo scopo di raggiungere per me lo scopo così caro al mio cuore. Non si
immagini che io potessi raggiungere i miei fini senza continue dimostrazioni di cattiva volontà
e rifiuti da parte di Magny; ma io mantenevo risolutamente il mio programma, ed avevo in
mano i mezzi per vincere l'ostinazione di quel debole giovanotto. Posso anche dire senza
alcuna vanità che, se l'alta e potente Principessa mi detestava, la Contessa di Liliengarten
(benché fosse di origine estremamente bassa, si diceva) aveva gusti migliori e mi ammirava.
Ci fece spesso l'onore di partecipare ad una delle nostre partite di faraone e dichiarava che
io ero l'uomo più seducente del Ducato. Tutto quello che mi chiese fu di provare la mia
nobiltà, ed io mi feci venire da Vienna un albero genealogico che avrebbe soddisfatto la
persona più esigente in materia. Effettivamente, che cosa avrebbe avuto a temere un uomo
che discendeva dai Barry e dai Brady, da un qualsiasi von di Germania? Per essere anche
più sicuro in proposito, promisi a Madame de Liliengarten diecimila luigi il giorno del mio
matrimonio, ed ella sapeva che non avevo mai mancato alla mia parola di giocatore; e le
promisi solennemente che, avessi dovuto anche pagarci sopra il cinquanta per cento di
interesse, avrei trovato quel denaro.

Così grazie ai miei talenti, alla mia onestà ed alla mia intelligenza, io mi ero procurato,
considerando che ero un povero esule senza appoggi, dei protettori molto potenti. Persino
sua altezza il Duca Victor era favorevolmente disposto verso di me; perché il suo cavallo
favorito si ammalò di vertigini, ed io gli diedi una pozione come soleva darne mio zio Brady ai
suoi cavalli, e lo guarii, e dopo questo Sua Altezza si compiacque di darmi frequenti segni di
distinzione. Mi invitò alle sue partite di caccia, dove io mostrai di essere un eccellente
sportivo; e un paio di volte si degnò di parlarmi delle mie possibilità nella vita, deplorando
che mi fossi dato al giuoco, e che non avessi adottato un modo più regolare di far carriera.

- Signore - dissi io - se volete permettermi di parlare francamente a Vostra Altezza, il giuoco


è per me soltanto un mezzo per raggiungere un fine. Dove sarei ora senza di esso? Sarei
ancora semplice soldato fra i granatieri di Re Federico. Io provengo da una razza che ha
dato al mio paese dei principi; ma le persecuzioni li hanno privati dei loro vasti domini. La
fedeltà di mio zio alle sue antiche convinzioni religiose lo ha bandito dal nostro paese. Anche
io avevo deciso di cercare di far carriera nel servizio militare, ma le insolenze e i
maltrattamenti che ricevetti per mano degli Inglesi non erano tali da esser sopportati da un
gentiluomo di nascita elevata, sicché fuggii dal loro servizio; ma solo per cadere in un'altra
prigionia sotto ogni aspetto ancor più senza speranze, quando la mia buona stella mi mandò
un salvatore nella persona di mio zio, e il mio spirito e la mia bravura mi misero in grado di
valermi dei modi di sfuggirvi, che mi erano possibili. Da allora noi abbiamo vissuto, non lo
nascondo, grazie al gioco; ma chi può dire che io abbia fatto del male? Eppure, se potessi
trovarmi un'occupazione onorevole ed i mezzi di sussistenza assicurati, non toccherei più
una carta, salvo che per divertimento, come fa qualsiasi gentiluomo. Supplico Vostra Altezza
di far fare indagini dal vostro rappresentante diplomatico a Berlino se io non mi sono
comportato in ogni circostanza come un valoroso soldato. Sento di avere talenti di un genere
più elevato, e sarei orgoglioso di avere un'occasione per esercitarli; se, come non dubito, la
mia fortuna mi permetterà di metterli in evidenza.

Il candore di questa dichiarazione colpì grandemente Sua Altezza, e lo impressionò in mio


favore; ed egli si compiacque di dire che mi credeva, e sarebbe stato lieto di essermi amico.

Avendo così dalla mia parte i due Duchi, la Duchessa, e la favorita in auge, c'era ogni
probabilità che riuscissi ad ottenere il gran premio; e secondo tutti i calcoli dell'umana
prudenza avrei dovuto essere, mentre scrivo queste righe, principe dell'Impero, ma la mia
mala sorte mi perseguitò in una cosa in cui io non ero minimamente da biasimare: l'infelice
attaccamento della Duchessa Olivia a quel debole, sciocco e codardo francese. Era penoso
assistere alle dimostrazioni di questo amore, quanto fu poi terribile pensare alla sua fine. La
principessa non ne faceva mistero. Se Magny diceva una parola ad una dama della sua
Corte si ingelosiva, e assaliva con tutta la furia della sua lingua il disgraziato colpevole. Gli
mandava una mezza dozzina di biglietti al giorno: quando egli arrivava unendosi al suo
circolo (o ai cortigiani se teneva corte) ella si illuminava in volto in modo che tutti potevano
accorgersene, C'era da meravigliarsi che suo marito non si fosse già accorto da un pezzo
della infedeltà di lei; ma il Principe Victor era di natura così elevata e rigida che non avrebbe
potuto credere ch'ella si abbassasse tanto al di sotto del suo rango da dimenticare la sua
virtù: e ho sentito dire che, quando gli furono fatte delle insinuazioni sull'evidente parzialità
che la Principessa mostrava per lo scudiero, la sua risposta fu un secco ordine di non essere
più disturbato in proposito. - La Principessa è un po' leggera - egli disse; - è stata allevata ad
una Corte frivola; ma la sua leggerezza non va al di là della civetteria; una colpa è
impossibile; essa ha la sua nascita, il mio nome ed i suoi figli a difenderla.

E se ne andava a cavallo per le sue ispezioni militari e restava assente per settimane, o si
ritirava nei suoi appartamenti e vi rimaneva chiuso per giornate intere; faceva la sua
comparsa soltanto per rendere omaggio alla levée di Sua Altezza, o per darle il braccio alle
feste ufficiali di Corte, dove il cerimoniale richiedeva la sua presenza. Era un uomo di gusti
volgari, ed io l'ho visto nel suo giardino privato, con la sua figura sgraziata, correre e giocare
a palla con la figliola e il figlioletto, che trovava ogni giorno una dozzina di pretesti per andare
a vedere. I nobili fanciulli venivano condotti dalla madre tutte le mattine durante la sua
toilette, ma essa li riceveva con grande indifferenza; salvo che in un'occasione, quando il
piccolo Duca Ludwig si mise la sua uniforme di colonnello degli usseri, perché il suo padrino,
l'Imperatore Leopoldo, gli aveva fatto dono di un reggimento. Allora, per un giorno o due, la
Duchessa Olivia si innamorò del ragazzino; ma se ne stancò ben presto, come un bambino
di un nuovo giocattolo. Ricordo che un giorno, nel circolo mattutino, un po' del rossetto della
Principessa si sparse sulla manica della bianca giacchettina della divisa di suo figlio; e lei
diede un sonoro schiaffo al povero piccolo, che se ne andò tutto in lacrime. Oh, quanti guai
combinano le donne a questo mondo! In quali dispiaceri gli uomini vengono messi
leggermente, con volti sorridenti, spesso senza avere neppure la scusa della passione, ma
soltanto per fatuità, vanità e smargiassata! Gli uomini scherzano con queste terribili armi a
doppio taglio, come se non potessero far loro alcun male. Ma io, che ho conosciuto la vita
più di molti altri uomini, io se avessi un figlio mi inginocchierei davanti a lui a pregarlo di
evitare la donna, che è peggio del veleno. Un solo intrigo, e tutta la vostra vita è in pericolo;
voi non sapete mai quando il male può precipitare su di voi; e i guai di intere famiglie, e la
rovina di innocenti creature che vi sono molto care, possono essere cagionate da un vostro
momento di follia.

Quando io vidi che il disgraziato Monsieur de Magny sembrava assolutamente perduto, ad


onta di tutto quello che avevo contro di lui, insistetti perché scappasse. Egli aveva le sue
stanze nel palazzo, nelle soffitte sopra gli appartamenti della Principessa (il fabbricato era
molto vasto, e accoglieva quasi una popolazione di nobili dipendenti della famiglia ducale);
ma quel giovane pazzo e infatuato non si volle muovere, benché non avesse neppure la
scusa dell'amore per trattenersi. - Come guarda storto - diceva della Principessa - e come è
deforme! Crede che non ci si accorga della sua deformità. Mi scrive versi presi da Gresset o
da Crébillon, e si immagina che io li creda originali. Bah! non sono più suoi di quanto non lo
siano i suoi capelli! In questo modo il disgraziato ragazzo danzava sull'abisso che si
spalancava sotto di lui. Io credo che il suo maggior piacere nel fare all'amore con la
Principessa fosse che poteva scrivere delle sue vittorie ai suoi amici delle "petites maisons"
di Parigi, dove desiderava ardentemente di essere considerato un uomo di spirito e un
"vainqueur de dames".

Vedendo la temerarietà del giovane e i rischi della sua posizione, divenni molto dubitoso che
il mio piccolo progetto giungesse ad una fine soddisfacente, ed insistetti caldamente presso
di lui in proposito.
Le mie sollecitazioni avevano generalmente molto successo con lui, non occorre dirlo, a
causa della particolare natura dei nostri rapporti; in realtà quel povero diavolo non poteva
rifiutarmi nulla: come io solevo dirgli spesso ridendo, con sua scarsissima soddisfazione. Ma
io facevo uso con lui, più che di minacce o della mia legittima influenza, di delicatezza e di
generosità; e a riprova di questo posso citare il fatto che promisi di restituire alla Principessa
lo smeraldo di famiglia, che, come ho narrato nel capitolo precedente, avevo vinto al gioco al
suo spregiudicato ammiratore.

Questo fu fatto col consenso di mio zio, e fu uno degli abituali atti di prudenza e di
preveggenza che distinguono quell'uomo così abile. - Vedi di accelerare la faccenda adesso,
Redmond, ragazzo, mio - insistette lui. - Quest'affare tra Sua Altezza e Magny può finir male
per tutti e due, e presto, anche; e che probabilità avrai di conquistarti la Contessa, allora?
Adesso è il momento tuo! conquistala e sposala prima della fine del mese, e avremo vinto la
partita, e andremo a vivere da nobili nel nostro castello di Suabia. Sbarazzati anche di quello
smeraldo aggiunse; - se dovesse accadere un incidente, sarebbe un brutto deposito da farsi
trovare in mano. - Fu questo che mi decise a rinunciare alla proprietà del gioiello; da cui,
debbo confessarlo, ero piuttosto restio a separarmi. Ma fu una fortuna per tutti e due che lo
avessi fatto: come sentirete subito.

Nel frattempo, dunque, io insistevo presso Magny; e parlai io stesso energicamente alla
Contessa di Liliengarten, che promise formalmente di trasmettere la mia richiesta a Sua
Altezza il Duca regnante; e Monsieur de Magny fu istruito per indurre la Principessa Olivia a
fare l'identica richiesta in mio favore al vecchio sovrano. Tutto questo fu fatto. Le due dame
insistettero col Principe; Sua Altezza (ad una cena di ostriche e champagne) fu indotta ad
acconsentire, e Sua Altezza la Principessa ereditaria mi fece l'onore di comunicare
personalmente alla Contessa Ida che era volere del Principe che essa sposasse "il giovane
nobile irlandese, il Cavaliere Redmond di Balibari". La comunicazione fu fatta in mia
presenza; e benché la giovane Contessa esclamasse "Mai!", cadendo svenuta ai piedi della
sua signora, io, ve lo assicuro, non mi preoccupai affatto di questa piccola dimostrazione di
schizzinosa sensibilità, e sentii, anzi, che la mia vittoria era assicurata.

Quella sera diedi al Cavaliere de Magny lo smeraldo, che egli promise di restituire alla
Principessa; ed ora la sola difficoltà sulla mia strada era il Principe ereditario, di cui suo
padre, sua moglie e la favorita avevano tutti ugualmente paura. Poteva non essere disposto
a permettere che la più ricca ereditiera del suo Ducato fosse portata via da un nobile, ma
non ricco straniero. Ci voleva tempo per spiegare la faccenda al Principe Victor. La
Principessa doveva trovarlo in un momento di buon umore. Egli aveva ancora giorni di
infatuazione, in cui non sapeva rifiutare nulla a sua moglie; e il nostro piano era di aspettarne
uno, o di trovare una qualsiasi altra occasione che potesse presentarsi.

Ma era destino che la Principessa non vedesse mai più il marito ai suoi piedi, come era stato
spesso un tempo. Il fato stava preparando una terribile fine alle sue follie, ed alle mie
speranze. Ad onta delle solenni promesse fattemi, Magny non restituì mai lo smeraldo alla
Principessa Olivia.
Egli aveva sentito dire, in un casuale scambio di parole con me, che mio zio ed io eravamo
stati in rapporto con il signor Moses Lowe, il banchiere di Heidelberg, che ci aveva pagato
bene i nostri gioielli, e quello stolto giovane trovò un pretesto per recarsi laggiù e gli offrì il
gioiello in pegno. Moses Lowe riconobbe subito lo smeraldo, e diede a Magny la somma che
quest'ultimo gli chiese, e il Cavaliere la perdette immediatamente al gioco; naturalmente
senza farci sapere in che modo era venuto in possesso di un simile capitale. Noi, dal canto
nostro, supponemmo che fosse stato rifornito dal suo banchiere abituale, la Principessa: e
molti rotoli delle sue monete d'oro trovarono la strada del nostro gruzzoletto, quando
tenemmo il nostro banco di faraone alle feste di Corte, nei nostri appartamenti o in quelli di
Madame de Liliengarten (che in quelle occasioni ci fece l'onore di fare a metà con noi).

Così il denaro di Magny sfumò ben presto. Ma benché l'ebreo si tenesse il suo gioiello, che
rappresentava senza dubbio tre volte il valore della somma che aveva prestato su quella
garanzia, non si contentò di trarre soltanto quel profitto dal suo infelice creditore su cui
cominciò subito ad esercitare la propria influenza. I suoi conoscenti ebrei di X..., agenti di
cambio, banchieri, mercanti di cavalli, che vivevano attorno alla Corte, dovettero dire al loro
confratello di Heidelberg quali erano i rapporti di Magny con la Principessa; e quel furfante
decise di trarne profitto, e di spremere tutte e due le vittime. Mio zio ed io, nel frattempo,
nuotavamo sull'alta marea della fortuna, prosperando con le nostre carte e con la partita
matrimoniale anche più grossa che stavamo giocando; senza accorgerci minimamente della
miccia che avevamo sotto i piedi.

Prima che fosse passato un mese, l'ebreo cominciò a tormentare Magny. Si presentò di
persona ad X..., e chiese ulteriori interessi in contanti; altrimenti avrebbe dovuto vendere lo
smeraldo. Magny trovò del denaro per lui, la Principessa aiutò ancora il suo vile innamorato.
Ma il successo della prima richiesta riuscì solo a rendere la seconda più esorbitante. Io non
so quanto denaro fu pagato ed estorto su quel disgraziato smeraldo; ma fu la causa della
rovina di tutti noi.

Una notte tenevamo il nostro tavolo come al solito dalla Contessa di Liliengarten, e Magny,
trovandosi in fondi, comunque se li fosse procurati, tirava fuori rotoli di monete uno dopo
l'altro, e giocava con la sua sfortuna abituale. Nel bel mezzo della partita gli fu portato un
biglietto, che egli lesse diventando pallidissimo nello scorrerlo; ma in quel momento la
fortuna gli era contraria, e alzando piuttosto ansiosamente lo sguardo all'orologio, egli
partecipò a qualche altro giro di carte, fino a che avendo, suppongo, perduto il suo ultimo
rotolo, si alzò con una selvaggia bestemmia che spaventò qualcuno della raffinata
compagnia lì raccolta, e lasciò la stanza. Si udì dal di fuori un gran scalpitare di cavalli; ma
noi eravamo troppo occupati nelle nostre faccende per fare attenzione a quel rumore, e
continuammo la nostra partita.

Ad un tratto qualcuno entrò nella sala da gioco e disse alla Contessa: - Ecco una strana
storia! E' stato assassinato un ebreo nella Kaiser vard. Magny è stato arrestato mentre
usciva dalla stanza.
Tutta la compagnia si levò di scatto udendo questa strana notizia, e noi levammo il banco per
quella sera. Magny era stato seduto vicino a me durante il gioco (mio zio teneva banco, ed io
pagavo e riscuotevo il denaro) e guardando sotto la sedia vidi che c'era un foglietto
spiegazzato, che raccolsi e lessi. Era quello che gli era stato consegnato poco prima, e
diceva così:

"Se avete fatto una cosa simile, prendete il cavallo d'ordinanza con cui vi sarà recato questo.
E' il migliore della mia stalla. Ci sono cento luigi in ciascuna delle due fondine, e le pistole
sono cariche. Tutte e due le vie vi sono aperte; voi sapete quello che intendo dire. Entro un
quarto d'ora conoscerò il nostro destino - se io debbo essere disonorato e sopravvivervi, se
siete un colpevole e un codardo; o se siete ancora degno del nome di M.".

La calligrafia era quella del vecchio Generale de Magny, e mio zio ed io, tornandocene a
casa nel buio, dopo aver fatto e diviso quella sera con la Contessa di Liliengarten dei
guadagni non indifferenti, sentimmo i nostri trionfi fortemente scossi nello scorrere quella
lettera. "Ha Magny derubato l'ebreo", ci chiedemmo, "o il suo intrigo è stato scoperto?". Tanto
in un caso che nell'altro, le mie pretese alla mano dalla Contessa Ida stavano probabilmente
per incontrare serie difficoltà; ed io cominciai a sentire che la mia a gran carta" era giocata e
forse perduta.

Ebbene, era perduta: benché io dica, ancor oggi, che era stata giocata bene e con abilità.
Dopo cena (perché per timore di conseguenze noi non cenavamo mai durante il gioco)
divenni così agitato nel pensare a quello che stava succedendo che decisi di recarmi in città
verso la mezzanotte ad indagare qual'era il vero motivo dello arresto di Magny. Ma alla porta
c'era una sentinella, che mi comunicò che io e mio zio eravamo in stato d'arresto.

Fummo lasciati nei nostri appartamenti per sei settimane guardati così rigidamente che una
fuga era impossibile, anche se l'avessimo desiderato; ma, essendo innocenti, non avevamo
nulla da temere. Il nostro genere di vita era noto a tutti, e noi desideravamo e ricercavamo
un'inchiesta. Grandi e tragici avvenimenti si verificarono durante quelle sei settimane; e di
essi, benché ne udissimo le linee generali, come tutta l'Europa, quando fummo rilasciati dalla
nostra prigionia, eravamo ben lungi dal comprendere tutti i particolari, che io conobbi solo
molti anni dopo. Eccoli, come mi furono raccontati dalla dama che era forse fra tutti quella
che probabilmente li conosceva meglio. Ma sarà opportuno fare di questo racconto il
contenuto di un altro capitolo.

Capitolo 12
CONTIENE LA TRAGICA STORIA DELLA PRINCIPESSA DI X

Più di vent'anni dopo gli avvenimenti narrati nei precedenti capitoli, io stavo passeggiando
con lady Lyndon sulla Rotonda di Ranelagh. Eravamo nel 1790; l'emigrazione dalla Francia
era già cominciata, i vecchi conti e le marchese affollavano le nostre spiagge: non affamati e
miserabili come li vedemmo qualche anno dopo, ma ancora indisturbati, e ancora portavano
con sé qualche traccia della splendidezza propria della loro nazione. Io stavo passeggiando
con lady Lyndon che, gelosa in modo speciale e sempre desiderosa d'infastidirmi, scoprì una
dama straniera che mi stava evidentemente osservando, e naturalmente chiese chi fosse
quell'orribile olandese così grassa che mi sbirciava in quel modo.

Io non la riconoscevo assolutamente. Avevo però la sensazione di aver visto da qualche


parte il viso di quella signora (che era adesso, come diceva mia moglie, enormemente
grassa e pesante); ma non potevo riconoscere nella proprietaria di quella faccia una persona
che ai suoi tempi era stata tra le più belle donne della Germania.

Non si trattava d'altri che di Madame de Liliengarten, l'amica, o, come altri dicevano, la
moglie morganatica del vecchio Duca di X.... il padre del Duca Victor. Essa aveva lasciato
X... pochi mesi dopo la dipartita del vecchio Duca, e se n'era andata a Parigi, avevo sentito
dire, dove un avventuriero senza principi l'aveva sposata per il suo denaro; ma aveva,
nonostante questo, conservato sempre il suo titolo quasi regale, e pretendeva, fra le risa dei
parigini che frequentavano la sua casa, gli onori e il cerimoniale spettanti alla vedova di un
sovrano. Aveva un trono nella sua sala principale, e veniva chiamata "Altezza" dai domestici
e da tutti coloro che volevano farle la corte o farsi prestare denaro da lei. I chiacchieroni
dicevano che beveva piuttosto abbondantemente; ed effettivamente il suo viso portava i
segni di quest'abitudine, ed aveva perduto la rosea, schietta ed allegra bellezza che aveva
affascinato il sovrano che l'aveva fatta nobile.

Benché essa non mi rivolgesse la parola nel circolo di Ranelagh, io in quel periodo ero
conosciuto quanto il Principe di Galles, ed essa non ebbe difficoltà a trovare la mia casa in
Berkeley Square, dove mi mandò un biglietto la mattina dopo. "Una vecchia amica di
Monsieur de Balibari", diceva il biglietto (in pessimo francese), "desidera ardentemente di
rivedere il Cavaliere e di parlare con lui dei bei tempi andati. Rosina de Liliengarten (può
Redmond Balibari averla dimenticata?) sarà in casa, in Leicester Fields, tutta la mattina, in
attesa di qualcuno che vent'anni fa non sarebbe certo mancato all'appuntamento".

Era Rosina di Liliengarten, davvero - una Rosina così pienamente sbocciata come raramente
ne ho viste. La trovai in un decoroso primo piano di Leicester Square (quella povera creatura
cadde molto più in basso in seguito), intenta a bere un thè che odorava fortemente di brandy;
e dopo i primi saluti, che sarebbero ancora più noiosi a riferire di quanto non sia stato farli, e
diverse altre chiacchiere, ella mi fece in breve il seguente racconto degli avvenimenti di X...,
che posso benissimo intitolare la "Tragedia della Principessa".

"Voi vi ricordate di Monsieur de Geldern, il Ministro di Polizia.

Era di origine olandese, e per di più di una famiglia di ebrei olandesi. Benché tutti fossero a
conoscenza di questa macchia sul suo blasone, egli si adirava mortalmente se la sua origine
veniva anche soltanto sospettata; e tentava di supplire alle colpe di suo padre con eccessive
dimostrazioni di religiosità e con le più austere pratiche di devozione. Andava in chiesa tutte
le mattine, si confessava una volta la settimana, e odiava ebrei e protestanti quanto un
inquisitore. Non perdeva mai un'occasione di provare la sua sincerità perseguitando gli uni o
gli altri ogni volta che se ne presentava l'occasione.

"Odiava mortalmente la principessa; perché Sua Altezza lo aveva offeso con qualche
scherzo intorno alla sua origine, aveva fatto togliere di davanti a lui il maiale a tavola, o lo
aveva colpito con altre sciocchezzuole; e provava una violenta animosità contro il vecchio
Barone de Magny, sia per la sua qualità di protestante, sia perché quest'ultimo con aria
altera gli aveva voltato pubblicamente le spalle considerandolo un truffatore e una spia.

"Così Geldern aveva una ragione d'odio per rovinare la principessa, ed io sono convinta che
avesse anche un altro motivo più forte - l'interesse. Ricordate che il Duca, dopo la morte
della sua prima moglie, sposò una principessa della casa di F.?

Geldern comperò due anni dopo un bel palazzo, ed io sono convinta che lo abbia comperato
col denaro che gli fu dato dalla famiglia di F. per concludere il matrimonio.

"Non era minimamente nei desideri di Geldern andare dal Principe Victor e riferire a Sua
Altezza una faccenda che tutti conoscevano. Sapeva che la persona che avesse portato al
Principe informazioni così disastrose sarebbe stata rovinata per sempre nella stima del
Principe. Il suo scopo, dunque, era di lasciare che la faccenda si chiarisse da sé agli occhi di
Sua Altezza; ma quando il momento fu maturo, pensò di cercare un mezzo per attuare il suo
piano. Aveva spie nelle case del vecchio e del giovane Magny; ma questo voi naturalmente
lo sapete, con la vostra esperienza delle abitudini del Continente. Il vostro negro (mi pare si
chiamasse Zamor) soleva venire a farmi rapporto tutte le mattine; ed io solevo intrattenere il
caro vecchio Duca con le storie delle vostre partite a picchetto e a dadi la mattina, e delle
discussioni e degli intrighi fra voi e vostro zio.

Imponevano contributi di questo genere a tutti, ad X, per divertire il caro vecchio. E il valletto
di Monsieur de Magny soleva riferire tanto a me che a Monsieur de Geldern.
"Io conoscevo il fatto dello smeraldo dato in pegno; e fu dal mio tesoro personale che la
povera principessa trasse i fondi che dovevano essere spesi per quell'odioso Lowe e per
quell'anche più indegno giovane cavaliere. Che la principessa potesse fidarsi di quest'ultimo,
come insisteva a fare, è al di là della mia comprensione; ma non c'è infatuazione pari a
quella di una donna innamorata: e voi avrete osservato, mio caro Monsieur de Balibari, che il
nostro sesso generalmente dedica la propria attenzione agli uomini peggiori".

- Non sempre, signora - protestai io; - anche il vostro umile servo ha suscitato molte
simpatie!

- Non vedo come questo possa intaccare la verità della mia affermazione - disse seccamente
la vecchia signora, e continuò il suo racconto. "L'ebreo che era in possesso dello smeraldo
aveva avuto parecchi abboccamenti con la Principessa, e alla fine gli fu offerto un riscatto
così cospicuo che decise di restituire il pegno. Egli commise l'inconcepibile imprudenza di
portare con sé lo smeraldo a X, e si recò da Magny, al quale la principessa aveva fornito il
denaro per riscattare il pegno, e che era effettivamente pronto a pagarlo.

"Il loro incontro avvenne negli appartamenti di Magny, dove il suo domestico sorprese la loro
conversazione fino all'ultima parola.

Il giovane, che era sempre così completamente trascurato in fatto di denaro quando ne
aveva, fu così pronto ad offrirlo, che Lowe aumentò le sue richieste, ed ebbe il coraggio di
chiedere il doppio della somma precedentemente stabilita.

"Allora il cavaliere perdette la pazienza, si slanciò su quel briccone ed era sul punto di
ucciderlo, quando molto opportunamente il cameriere si precipitò dentro e lo salvò. Costui
aveva udito ogni parola della conversazione tra i due litiganti, e l'ebreo volò terrorizzato fra le
sue braccia; Magny, uomo lesto e passionale, ma non violento, lasciò che il servo
conducesse da basso quel furfante, e non ci pensò più.

"Forse non gli dispiaceva di essersi liberato di lui, e di rimanere in possesso di una forte
somma di denaro - quattromila ducati - con cui poteva tentare la fortuna ancora una volta, e
voi sapete che egli lo fece al vostro tavolo quella sera stessa".

- Vostra Signoria fece a metà, signora - dissi io; - e voi sapete quanto poco mi curavo delle
mie vincite.

"Il domestico condusse l'ebreo tutto tremante fuori del palazzo, e non appena lo ebbe visto
sistemato in casa di un suo correligionario, dove aveva l'abitudine di recarsi, se ne andò
all'ufficio di Sua Eccellenza il Ministro di Polizia e gli narrò parola per parola la conversazione
che aveva avuto luogo fra l'ebreo e il suo padrone.

"Geldern espresse la massima soddisfazione per la prudenza e la fedeltà della sua spia. Gli
diede una borsa con trenta ducati, e promise di ricompensarlo generosamente; come a volte
i grandi promettono di ricompensare coloro che si fanno loro strumenti; ma voi, Monsieur de
Balibari, sapete quanto raramente queste promesse vengono mantenute. "Ora va' e cerca di
sapere", disse Monsieur de Geldern, "quando è che l'ebreo si propone di ritornare a casa, o
se si pentirà e prenderà quel denaro". L'uomo andò ad eseguire la commissione. Nel
frattempo, per rendere la faccenda più sicura, Geldern combinò una partita a casa mia,
invitando voi a tener banco, come potete ricordare; e trovò il mezzo, nello stesso tempo, di
far sapere a Maxime de Magny che ci sarebbe stato banco di faraone da Madame de
Liliengarten. Era un genere di invito che il povero ragazzo non rifiutava mai".

Ricordavo benissimo i fatti, e seguitai ad ascoltare, stupefatto dall'abilità dell'infernale


Ministro di Polizia.

"La spia ritornò dalla commissione datagli presso Lowe, e dichiarò che aveva fatto indagini
tra i domestici della casa in cui alloggiava il banchiere di Heidelberg, e che era intenzione di
quest'ultimo lasciare X... quel pomeriggio stesso. Viaggiava solo, su un vecchio cavallo,
vestito in maniera modestissima, secondo le abitudini della sua gente.

"Johann", disse il Ministro, battendo sulla spalla alla spia assai lusingata da quel gesto,
"sono sempre più soddisfatto di te. Ho pensato, da quando mi hai lasciato, alla tua
intelligenza e alla fedeltà con cui mi hai servito; e troverò presto un'occasione per sistemarti
secondo i tuoi meriti. Che strada prenderà quel briccone di ebreo?".

"Va ad R... stasera ".

"E deve passare per il Kaiserwald.. Sei coraggioso, Johann Kerner?" "Vostra Eccellenza si
fidi di me! " disse l'uomo, con gli occhi scintillanti:" ho servito nella Guerra dei Sette Anni, e
non ho mai mancato al mio dovere".

"Allora stammi a sentire. Bisogna togliere lo smeraldo a quell'ebreo: semplicemente nel


tenerlo quel furfante ha commesso un reato di alto tradimento. All'uomo che mi porterà quello
smeraldo io giuro che darò cinquecento luigi. Tu capisci perché e necessario che sia
restituito a Sua Altezza. Non c'è bisogno che dica altro".
"Lo avrete stasera, signore", disse l'uomo. "Naturalmente Vostra Eccellenza mi tirerà fuori dai
guai in caso di incidenti".

"Diamine!" rispose il Ministro; "ti darò metà della somma anticipata; tanta è la confidenza che
ho in te. Un incidente è impossibile, se prendi accuratamente le tue misure. Ci sono quattro
leghe di bosco; e l'ebreo cammina adagio. Sarà notte prima che arrivi, diciamo, al vecchio
Powder-Will nel bosco. Che cosa ti impedisce di tendere una corda attraverso la strada, e di
trattare con lui laggiù? Ritorna da me stasera stessa. Se incontri qualcuno della pattuglia, di'
"Le volpi sono scappate". E' la parola d'ordine per stanotte. Ti lasceranno passare senza far
domande" "L'uomo se ne andò soddisfattissimo dell'incarico; e mentre Magny stava
perdendo il suo denaro al nostro banco di faraone, il suo domestico in agguato attendeva
l'ebreo nel luogo che si chiama Powder-Will, nel Kaiserwald. Il cavallo dell'ebreo inciampò in
una corda che era stata tesa attraverso la strada; e mentre il cavaliere rotolava in terra
lamentandosi, Johann Kerner si precipitò su di lui mascherato, con la pistola in mano,
chiedendogli il suo denaro. Non aveva intenzione di uccidere l'ebreo, credo, a meno che la
sua resistenza non rendesse necessario ricorrere a mezzi estremi.

"E infatti non commise nessun assassinio del genere; perché mentre l'ebreo strillando
chiedeva pietà, e il suo assalitore lo minacciava con una pistola, arrivò una squadra in
pattuglia e si impadronì del predone e del ferito.

"Kerner lanciò una bestemmia; "Siete arrivato troppo presto", disse al sergente di polizia. "Le
volpi sono scappate".

"Ma qualcuna è stata presa", ribatté il sergente con assoluta indifferenza; e gli legò le mani
con la corda che lui stesso aveva teso attraverso la strada per far cadere in trappola l'ebreo.
Fu caricato su un cavallo dietro un poliziotto; Lowe fu sistemato nello stesso modo, e così la
compagnia ritornò in città al cader della notte.

"Furono condotti immediatamente al quartiere di polizia; e siccome avvenne che si trovasse


lì il Capo, furono interrogati da Sua Eccellenza in persona. Furono perquisiti rigorosamente
tutti e due; all'ebreo furono tolte le carte e gli scrigni: il gioiello fu trovato in un taschino
segreto. Quanto alla spia, il Ministro, guardandolo con ira, disse, "Diamine, questo è il
domestico del Cavaliere de Magny, uno degli scudieri di Sua Altezza!" e, senza ascoltare una
parola a discolpa del povero diavolo spaventatissimo, ordinò che fosse rinchiuso e isolato.

"Poi, chiesto il suo cavallo, si recò agli appartamenti del Principe e chiese udienza
immediata. Quando fu ammesso, gli presentò lo smeraldo. "Questo gioiello", disse, "è stato
trovato sulla persona di un ebreo di Heidelberg, che in questi ultimi tempi è stato qui
ripetutamente, ed ha avuto molto a che fare con lo scudiero di Sua Altezza, il Cavaliere de
Magny. Questo pomeriggio il domestico del cavaliere è uscito dalla casa del suo padrone
accompagnato dall'ebreo; ed è stato udito far domande sulla strada che l'altro intendeva
prendere per tornare a casa; lo ha seguito, o piuttosto lo ha preceduto, ed è stato trovato
nell'atto di minacciare la sua vittima con una pistola, dalla mia polizia nel Kaiserwald. L'uomo
non confesserà nulla; ma nel frugarlo è stata trovata sulla sua persona una forte somma in
oro; e benché io provi molto dispiacere nel sostenere una simile opinione ed implicare nella
faccenda un gentiluomo del carattere e del nome di Monsieur de Magny, debbo dichiarare
che è nostro dovere interrogare il cavaliere circa quest'affare. Dato che Monsieur de Magny
è al servizio personale di Vostra Altezza, e gode della sua fiducia, almeno così ho sentito
dire, non mi azzarderei ad arrestarlo senza il permesso di Vostra Altezza".

"Il Grande Scudiero di Sua Altezza, un amico del vecchio Barone de Magny, che era
presente all'incontro, non appena ebbe udito la strana notizia, si affrettò ad andare dal
vecchio generale con la terribile nuova del supposto delitto di suo nipote. Forse a Sua
Altezza stessa non dispiaceva che il suo vecchio amico e maestro avesse la possibilità di
salvare la sua famiglia dalla disgrazia; in tutti i modi, a Monsieur de Hengst, il Grande
Scudiero, fu permesso di recarsi indisturbato dal barone, e di comunicargli l'accusa che
pendeva sul disgraziato cavaliere.

"E' da pensare che egli si aspettasse qualche spaventosa catastrofe del genere, perché,
dopo aver udito il racconto di Hengst (come quest'ultimo poi mi riferì), disse soltanto: "Sia
fatta la volontà del Cielo!" e per qualche tempo rifiutò di fare neppure un passo in proposito.
Soltanto dalle insistenze del suo amico fu indotto poi a scrivere la lettera che Maxime de
Magny ricevette al nostro tavolo da giuoco.

"Mentre questi era lì, a dissipare il denaro della Principessa, la polizia perquisiva il suo
appartamento, dove vennero scoperte un centinaio di prove, non della sua colpevolezza
circa il furto, ma della sua colpevole relazione con la Principessa: doni e appassionate lettere
di lei, copie della corrispondenza di lui con i suoi giovani amici di Parigi; che il Ministro di
Polizia lesse attentamente e poi sigillò accuratamente tutte insieme per Sua Altezza il
Principe Victor. Non ho nessun dubbio che le abbia lette, benché, nel consegnarle al principe
ereditario, Geldern dicesse che, obbedendo agli ordini di Sua Altezza, aveva raccolto tutte le
carte del cavaliere; ma che non aveva bisogno di dire che, sul suo onore, lui stesso
(Geldern) non aveva esaminato quei documenti. I suoi contrasti con i due signori de Magny
erano noti; pregava, quindi, Sua Altezza di servirsi di un altro funzionario per giudicare le
accuse fatte al giovane cavaliere.

"Tutto questo accadeva mentre il cavaliere era intento a giocare.

Il corso della fortuna - voi avevate molta fortuna in quei giorni, Monsieur de Balibari - gli era
contrario. Rimase lì finché perdette i suoi quattromila ducati. Ricevette il biglietto di suo zio, e
tale era l'eccitazione dello sfortunato giocatore che, dopo averlo ricevuto, discese nella corte
dove il cavallo lo aspettava, prese arbitrariamente il denaro che il povero vecchio gentiluomo
aveva messo nelle bisacce della sella, lo portò di sopra, lo giocò e lo perdette; e quando uscì
di nuovo dalla stanza per fuggire, era troppo tardi: fu tratto in arresto in fondo alle scale di
casa mia, mentre voi eravate sul punto di andare a casa vostra.
"Quando entrò scortato dai soldati mandati ad arrestarlo, il vecchio generale, che stava
aspettando, fu lietissimo di vederlo, e si gettò tra le braccia del ragazzo, baciandolo per la
prima volta da molti anni, poi disse, singhiozzando: "Eccolo qui, signori; grazie a Dio non è
colpevole del furto!" e ricadde in una poltrona in uno scoppio di emozione: penoso a vedersi,
fu detto poi da tutti coloro che erano presenti, da parte di un uomo così coraggioso, e noto
per essere tanto freddo e rigido.

"Furto!" esclamò il giovanotto. "Giuro davanti a Dio che non ne sono colpevole!" e si svolse
tra loro una scena di riconciliazione quasi commovente prima che lo sfortunato giovane fosse
condotto dal corpo di guardia nella prigione che era destinato a non lasciare più.

"Quella sera il Duca guardò le carte che Geldern gli aveva portato. Poco dopo aver
cominciato a leggere, senza dubbio, ordinò il vostro arresto; perché voi foste presi a
mezzanotte, Magny alle dieci; e dopo questo il vecchio Barone de Magny aveva visto Sua
Altezza, protestando l'innocenza di suo nipote, e il principe lo aveva ricevuto molto
graziosamente e gentilmente. Sua Altezza disse che non aveva alcun dubbio che il giovane
fosse innocente; la sua nascita e il suo sangue rendevano impossibile un simile delitto; ma i
sospetti contro di lui erano troppo forti: si sapeva che quel giorno era stato chiuso con
l'ebreo; che aveva ricevuto una fortissima somma di denaro che aveva dissipato al giuoco, e
che senza dubbio gli era stata imprestata dall'ebreo, che gli aveva spedito dietro il suo
domestico, il quale si era informato dell'ora della partenza dell'ebreo, si era appostato ad
aspettarlo, e lo aveva assalito per derubarlo. I sospetti contro il cavaliere erano così forti, che
la giustizia comune richiedeva il suo arresto; ma nel frattempo, finché non si fosse
discolpato, sarebbe stato tenuto in una prigionia non disonorevole, e si sarebbe avuto ogni
riguardo per il suo nome e per i servizi del suo rispettabile avo. Con questa assicurazione, e
con una calda stretta di mano, il Principe aveva lasciato il vecchio Generale de Magny quella
sera; e il veterano si ritirò a riposare, quasi consolato e fiducioso nel possibile e immediato
rilascio di Maxime.

"Ma al mattino, prima dell'alba, il Principe Victor, che aveva trascorso tutta la notte a leggere
quelle carte, chiamò impetuosamente il paggio, che dormiva nella stanza accanto attraverso
la porta, gli ordinò di prendere i cavalli, che erano tenuti sempre pronti nelle stalle, e
gettando un pacco di lettere in uno scrigno, disse al paggio di seguirlo a cavallo con lo
scrigno. Il giovane (Monsieur de Weissenborn) lo raccontò ad una giovinetta che
apparteneva allora alla mia casa, e che è adesso Madame de Weissenborn, e madre di una
decina di figliuoli.

"Il paggio disse che mai si era visto un cambiamento come quello avvenuto al suo augusto
padrone nel corso di una sola notte. Aveva gli occhi iniettati di sangue, la faccia livida, gli
abiti in disordine, e lui che aveva sempre fatto la sua apparizione alle parate vestito con la
stessa precisione di qualsiasi sergente delle sue truppe, lo si poté veder galoppare per le
strade deserte all'albeggiare, senza cappello, con i capelli senza cipria, svolazzanti come
quelli di un pazzo.
"Il paggio, con lo scrigno delle lettere, faceva rimbombare il selciato dietro il suo padrone.
Non era facile seguirlo; cavalcarono dal palazzo alla città, e attraverso la città ai quartieri del
generale. Le sentinelle che erano alla porta furono spaventate dalla strana figura che si
precipitava verso l'alloggio del generale, e senza riconoscerla, incrociarono le baionette e si
rifiutarono di farlo entrare. "Pazzi", disse Weissenborn, "è il Principe!" Si attaccarono al
campanello come se si trattasse di un incendio, e finalmente la porta venne aperta dal
portiere, e Sua Altezza salì di corsa alla camera da letto del generale, seguito dal paggio con
lo scrigno.

"Magny, Magny", gridò il Principe, imperversando contro la porta chiusa, "alzatevi!" E alla
domanda del vecchio dall'interno, rispose, "Sono io - Victor - il Principe! alzatevi!"
"Immediatamente la porta venne aperta dal generale in veste da camera, e il Principe entrò.
Il paggio portò dentro lo scrigno, e fu pregato di aspettare fuori, e così fece; ma dalla camera
da letto di Monsieur de Magny c'erano due porte, di cui la grande serviva per entrare nella
sua stanza, e la più piccola conduceva, come è abitudine nelle nostre case, in un gabinetto
che comunica con l'alcova in cui è il letto. Il giovane de Weissenborn trovò quest'ultima porta
aperta, e così poté benissimo sentire e vedere tutto quello che succedeva dentro la camera.

"Il generale, con un certo nervosismo, chiese qual era la ragione di una visita così mattutina
da parte di Sua Altezza; a questa domanda il Principe non rispose per qualche istante,
fissandolo ferocemente, e camminando a grandi passi su e giù per la stanza.

"Alla fine disse, "Ecco la ragione!" battendo il pugno sullo scrigno; e siccome aveva
dimenticato di portarne la chiave, andò un momento verso la porta, dicendo, "Forse la chiave
l'ha Weissenborn" ma poi, vedendo sulla stufa uno dei "couteaux-de- chasse" del generale,
lo prese, e disse, "Andrà bene anche questo", e si mise al lavoro per aprire il cofanetto rosso
con la lama del coltello da caccia. La punta si spezzò, ed egli lanciò una bestemmia, ma
continuò ad armeggiare con la lama spezzata, che si mostrò più adatta alla bisogna del
lungo e appuntito coltello, e finalmente riuscì a schiantare il coperchio del cofanetto.

"Qual è la ragione?" disse ghignando. "Eccola qui la ragione leggete questo! - c'è dell'altra
ragione, leggete questo! - ce n'è dell'altra - no, non questa; è il ritratto di qualcun'altra, ma
questo è il suo! Conoscete questo, Magny? E' di mia moglie, della Principessa! Perché mai
voi e la vostra dannata razza siete venuti dalla Francia a sfogare la vostra infernale
malvagità dovunque posavate il piede, e a rovinare oneste famiglie tedesche?

Cos'altro avete avuto, voi e i vostri, dalla mia famiglia, se non confidenza e cortesie? Noi vi
abbiamo dato una casa e una patria quando non ne avevate più, ed ecco la nostra
ricompensa! "e gettò un pacco di carte davanti al vecchio generale; che vide
immediatamente la verità - la conosceva già da molto tempo, probabilmente - e ricadde sulla
sua poltrona, coprendosi la faccia.
"Il Principe seguitò a parlare gesticolando e quasi urlando. "Se un uomo vi avesse fatto una
simile ingiuria, Magny, prima che voi diveniste padre di quel mascalzone falsario e giocatore,
avreste ben saputo come vendicarvi. Voi lo avreste ucciso! Sì, lo avreste ucciso. Ma me, chi
mi aiuterà a vendicarmi? Io non ho pari miei.

Non posso incontrarmi sul terreno con quel cane di francese - quel ruffiano di Versailles - e
ucciderlo, come se avesse compiuto questo tradimento ai danni di uno del suo stesso
rango".

"Il sangue di Maxime de Magny", disse orgogliosamente il vecchio gentiluomo, "vale quanto
quello di qualsiasi altro principe della Cristianità".

"Posso io prendermi quel sangue?" ruggì il principe: "voi lo sapete, che non posso. Io non
posso avere gli stessi privilegi di qualsiasi altro gentiluomo d'Europa. Che cosa debbo fare?
Guardate Magny, io ero pazzo quando sono venuto qui; non sapevo quello che facevo. Voi
mi avete servito per trent'anni; mi avete salvato la vita due volte: non ci sono che giocatori e
donnacce qui, intorno al mio vecchio padre - né donne né uomini onesti voi siete l'unico - voi
mi avete salvato la vita: ditemi voi che cosa debbo fare!" Così, dopo aver insultato Monsieur
de Magny, il povero principe mezzo impazzito finì col supplicarlo; e alla fine si buttò
addirittura in terra in uno scoppio di pianto.

"Il vecchio Magny, uno degli uomini più rigidi e freddi abitualmente, quando vide
quest'esplosione di sentimenti da parte del Principe, si agitò tanto quanto il suo padrone,
almeno così mi disse il mio informatore. Dalla sua alterigia e dalla sua freddezza il vecchio
piombò improvvisamente nella piagnucolosa lamentosità dell'estrema vecchiaia. Perdette
ogni senso di dignità: si buttò in ginocchio, ed esplose in ogni sorta di appassionati e
incoerenti tentativi di consolazione; a un punto tale, che Weissenborn disse che non poté
sopportare la vista di questa scena e ne distolse lo sguardo.

"Ma, da quello che seguì in pochi giorni, noi possiamo immaginare le conclusioni di quel
lungo incontro. Il Principe, quando si allontanò dalla conversazione col suo vecchio servitore,
dimenticò il suo fatale cofanetto di carte e rimandò indietro il paggio a prenderlo. Il generale
era in ginocchio nella stanza e pregava quando il giovane entrò, e fece appena una mossa e
si guardò attorno selvaggiamente quando l'altro prese l'oggetto. Il Principe, a cavallo, si recò
al suo casino di caccia a tre leghe da X..., e tre giorni dopo Maxime de Magny morì
misteriosamente in prigione; dopo aver confessato che era implicato nel tentativo di derubare
l'ebreo, e che l'aveva fatta finita con la vita, per vergogna del proprio disonore.

"Ma quello che non si sa è che fu il generale stesso che diede il veleno a suo nipote: si disse
persino che fosse lui che lo aveva ucciso in prigione con un colpo di pistola. Invece non fu
così. Il Generale de Magny portò a suo nipote la droga che doveva farlo uscire da questa
vita; dimostrò allo sciagurato giovane che il suo destino era inevitabile; e che sarebbe stato
inevitabilmente pubblico, se non avesse deciso di anticipare da se stesso la punizione: e con
queste parole lo lasciò. Ma il disgraziato non era d'accordo, e solo quando ebbe esaurito
qualsiasi possibilità di scampare, come sentirete adesso, la vita di quella sciagurata creatura
volse al suo termine.

"Quanto al Generale de Magny, cadde in uno stato di rimbambimento quasi completo poco
tempo dopo la morte di suo nipote e la scomparsa del mio onorevole Duca. Dopo che Sua
Altezza il Principe ebbe sposato la Principessa Mary di F..., mentre passeggiavano insieme
nel giardino inglese essi incontrarono una volta il vecchio Magny che passeggiava al sole
nella poltrona a rotelle, in cui veniva portato fuori di solito, dopo il suo attacco di paralisi.

"Questa è mia moglie, Magny", disse il Principe affettuosamente, prendendo la mano del
veterano; e aggiunse, volgendosi alla principessa, "Il Generale de Magny mi ha salvato la
vita durante la Guerra dei Sette Anni".

"Come, l'avete ripresa?" disse il vecchio. "Allora vorrei che mi rideste anche il mio povero
Maxime". Aveva completamente dimenticato la morte della povera Principessa Olivia, e il
principe, molto rabbuiato, passò oltre.

- Ed ora - aggiunse Madame del Liliengarten - ho soltanto un'altra storia, ancora più cupa, da
raccontarvi, la morte della Principessa Olivia. E' anche più orribile del racconto che ho finito
ora di farvi. - E con questa premessa la vecchia dama riprese il suo racconto.

"Il fato della gentile, ma debole Principessa, fu affrettato, se non causato dalla vigliaccheria
di Magny. Egli trovò modo di mettersi in comunicazione con lei dalla prigione, e Sua Altezza,
che non era ancora apertamente in disgrazia (perché il Duca, per riguardo alla famiglia,
insisteva nell'accusare Magny soltanto di tentato furto), fece i più disperati sforzi per liberarlo,
e per corrompere i carcerieri che dovevano lasciarlo scappare. Era così agitata che perdette
qualsiasi pazienza e prudenza nell'esecuzione di tutti i progetti che poteva aver fatto per la
liberazione di Magny; suo marito era inesorabile, e aveva disposto in modo che la prigione
del cavaliere fosse sorvegliata strettamente perché qualsiasi tentativo di fuga fosse
impossibile. Ella offrì dei gioielli di Stato in pegno al banchiere di Corte, che naturalmente fu
costretto a rifiutare l'affare. Si disse anche che si mettesse in ginocchio davanti a Geldern, il
Ministro di Polizia, offrendogli Dio sa cosa in pegno. Infine si recò piangendo dal mio povero,
caro vecchio Duca, che per la sua età, i suoi malanni e le sue abitudini tranquille, era
assolutamente inadatto a sopportare scene di carattere così violento; e che in conseguenza
dell'agitazione sollevata nel suo augusto seno dalla frenetica violenza e dal dolore di lei,
ebbe un attacco durante il quale fui sul punto di perderlo. E che la sua cara vita sia stata
portata immaturamente alla fine da tutte quelle storie, io non ne dubito minimamente, perché
il buon pasticcio di Strasburgo a causa del quale dissero che era morto, non gli avrebbe mai
fatto male, ne son certa, se non fosse stato per il colpo che il suo povero, tenero cuore
ricevette dagli insoliti avvenimenti cui fu costretto a prender parte.
"Tutti i movimenti di Sua Altezza erano accuratamente, anche se non apertamente,
sorvegliati da suo marito, il Principe Victor; il quale, recatosi a far visita al suo augusto padre,
gli dichiarò severamente che se Sua Altezza (il mio Duca) avesse osato dare aiuto alla
Principessa nei suoi sforzi per liberare Magny, lui, il Principe Victor avrebbe accusato
pubblicamente la Principessa e il suo amante di alto tradimento, e avrebbe preso dei
provvedimenti con la Dieta per rimuovere dal trono suo padre, come incapace di regnare.
Quindi ogni intromissione da parte nostra era vana, e Magny fu lasciato al suo destino.

"Esso giunse, come sapete, assai subitaneamente. Geldern, Ministro di Polizia, Hengst,
Grande Scudiero, e il colonnello della guardia del Principe, si recarono a visitare il giovane in
prigione due giorni dopo che suo nonno era stato a trovarlo e si era lasciato dietro la fiala di
veleno che il colpevole non aveva il coraggio di adoperare. E Geldern fece sapere al giovane
che se non avesse preso spontaneamente l'acqua di lauroceraso fornitagli dal vecchio
Magny, sarebbero stati immediatamente usati nei suoi riguardi mezzi di morte più violenti, e
che una schiera di granatieri aspettava nel cortile per compiere la sua esecuzione. Di fronte
a questo Magny, nel più pietoso stato di avvilimento, dopo essersi trascinato in ginocchio per
la stanza da un ufficiale all'altro, piangendo e strillando di terrore, alla fine disperato bevve il
veleno, e pochi minuti dopo non fu più che un cadavere. Così finì quello sciagurato giovane.

"La sua morte fu resa di pubblica ragione nella Gazzetta di Corte due giorni dopo: un
trafiletto diceva che Monsieur de M....

colpito dal rimorso per aver tentato di assassinare l'ebreo, si era dato da se stesso la morte
col veleno in prigione; e seguiva un ammonimento a tutti i giovani nobili del ducato perché si
astenessero dal terribile peccato del giuoco, che era stato la causa della rovina del giovane,
e aveva coperto di dolore irreparabile i capelli grigi di uno dei più nobili e onorati servitori del
Duca.

"Il funerale si compì con decorosa semplicità, e vi assistette il Generale de Magny. La


carrozza dei due Duchi e tutti i principali personaggi della Corte passarono poi a far visita al
generale. Il giorno dopo egli assistette come al solito alla parata sulla Piazza dell'Arsenale, e
il Duca Victor, che aveva ispezionato gli edifici, ne uscì appoggiato al braccio del vecchio e
valoroso guerriero. Egli si mostrò particolarmente grazioso col vecchio, e ripeté ai suoi
ufficiali la storia, tante volte raccontata, di come a Rosbach, quando l'esercito di X...
combatteva con le truppe del disgraziato Soubise, il generale si era gettato davanti ad un
dragone francese che stringeva molto da vicino Sua Altezza sulla strada, aveva ricevuto il
colpo diretto al suo signore ed aveva ucciso l'assalitore. E fece allusione al motto di famiglia
"Magny sans tache", dicendo che così era sempre stato col suo prode amico e maestro nelle
armi. Questo discorso commosse molto tutti i presenti, ad eccezione del vecchio generale,
che si inchinò soltanto, senza aprir bocca; ma quando tornò a casa lo si udì borbottare
"Magny sans tache, Magny sans tache!" e quella notte ebbe un attacco di paralisi, da cui non
si riprese più che in parte.
"La notizia della morte di Maxime era stata in qualche modo tenuta nascosta alla Principessa
fino a quel momento: era stata persino stampata una Gazzetta: senza il paragrafo
contenente la relazione del suo suicidio; ma a lungo andare, non so come, ella lo venne a
sapere. E quando lo seppe, mi dissero le sue dame, mandò un grido e cadde come colpita a
morte; poi rimase lì discinta e scarmigliata come una pazza. Fu portata a letto, dove il suo
medico la visitò, constatando che era stata colpita da una febbre cerebrale. Il principe
mandava a chiedere continuamente notizie; e giudicando dal fatto che dava ordini perché il
suo castello di Schlagenfels venisse preparato e ammobiliato, non ho alcun dubbio che fosse
sua intenzione confinarla laggiù; come era stato fatto con l'infelice sorella di Sua Maestà
Britannica a Zell.

"Ella mandò ripetutamente a chiedere di essere ricevuta da Sua Altezza; ma questi rifiutò,
dicendo che l'avrebbe vista quando si fosse abbastanza rimessa in salute. Ad una delle
appassionate lettere di lei egli mandò in risposta un pacchetto che, quando fu aperto, mostrò
di contenere lo smeraldo che era stato la causa attorno alla quale si era svolto tutto
quell'oscuro intrigo.

"Questa volta Sua Altezza divenne addirittura frenetica; giurò in presenza di tutte le sue
dame che un ricciolo dei capelli del suo caro Maxime era per lei più prezioso di tutti i gioielli
del mondo; suonò per far chiamare la sua carrozza, e disse che sarebbe andata a baciare la
tomba di lui; proclamò l'innocenza del martire assassinato, e richiamò la punizione del cielo,
e la collera della sua famiglia sull'assassino di lui. Nell'udire questi discorsi (che,
naturalmente, gli venivano tutti regolarmente riportati) si dice che il Principe lanciasse uno
dei suoi terribili sguardi, e dicesse, "Questa storia non può durare a lungo".

"Tutto quel giorno e il giorno seguente, la Principessa li passò nel dettare le lettere più
appassionate al principe suo padre, ai Re di Francia, Napoli e Spagna, suoi parenti, e a tutti
gli altri rami della sua famiglia, supplicandoli con le parole più incoerenti di proteggerla contro
quel carnefice e quell'assassino di suo marito, facendo la persona di lui oggetto dei più folli
rimproveri, e confessando nello stesso tempo il suo amore per l'assassinato Magny. Invano
le dame che le erano fedeli le fecero notare l'inutilità di queste lettere, la pericolosa follia
della confessione che contenevano; ella insistette a scriverne, e soleva affidarle alla sua
seconda cameriera, una francese (Sua Altezza era sempre particolarmente affezionata a
coloro che appartenevano a questa nazione), che aveva la chiave della sua cassettina, e
portava tutte quelle lettere a Geldern.

"Salvo il fatto che non si tenevano ricevimenti pubblici, le cose si svolgevano attorno alla
Principessa col cerimoniale consueto.

Alle sue dame era permesso di attendere al suo servizio e di compiere i loro doveri abituali
verso la persona di Sua Altezza. I soli uomini ammessi, però, erano i suoi domestici, il
medico e il cappellano; e un giorno che essa voleva discendere in giardino un heyduc (17),
che faceva la guardia alla porta, disse a Sua Altezza che era ordine del Principe che essa
restasse nei suoi appartamenti.
"Questi appartamenti terminano, come forse ricorderete, sul grande ballatoio dello scalone di
marmo di Schloss X... e l'ingresso alle stanze del Principe Victor è di fronte a quello della
Principessa sul medesimo pianerottolo. E' uno spazio vasto, pieno di divani e di panchettini,
e i gentiluomini e gli ufficiali addetti al Duca solevano farne una specie di anticamera, e
rendere omaggio a Sua Altezza lì, quando egli vi passava uscendo, alla parata delle undici.
Nello stesso momento, gli heyduc che erano nelle stanze della Principessa solevano venir
fuori con le loro alabarde a far il presentat'arm al Principe Victor, e la stessa cerimonia veniva
compiuta dalla parte degli appartamenti di lui, quando uscivano i paggi ad annunciare l'arrivo
di Sua Altezza. I paggi solevano venir fuori a dire: "il Principe, signori!" e i tamburi battevano
nel vestibolo, e i gentiluomini che stavano aspettando sui banchi che correvano lungo la
balaustra si alzavano in piedi.

"E siccome il suo destino la spingeva verso la morte, un giorno la Principessa, quando le sue
guardie si mossero per uscire e comprese da questo che il Principe si tratteneva, com'era
sua abitudine, sul pianerottolo, conversando con i suoi gentiluomini (un tempo soleva
attraversare l'appartamento della Principessa e andare a baciarle la mano) la Principessa,
che era stata agitatissima tutta la mattina, lamentandosi del caldo e insistendo che tutte le
porte dell'appartamento fossero lasciate aperte, e dando segni di una follia che io penso
fosse ormai evidente, si precipitò impetuosamente verso le porte mentre passavano le
guardie, le spalancò, e prima che si potesse dirle una parola o che le sue dame potessero
seguirla fu alla presenza del Duca Victor, che stava chiacchierando come al solito sul
pianerottolo:

e mettendosi fra lui e lo scalone, cominciò ad apostrofarlo con frenetica veemenza:

"Sappiate, signori!" gridò, "che quest'uomo è un assassino e un mentitore; che egli prepara
intrighi ai danni di onorevoli gentiluomini, e li fa uccidere in prigione! Sappiate che anch'io
sono imprigionata; e pavento il medesimo destino: lo stesso carnefice che uccise Maxime de
Magny può, ogni notte, mettermi il coltello alla gola. Io faccio appello a voi, e a tutti i Re
d'Europa, miei regali parenti. Domando di essere liberata da questo vile tiranno, da questo
menzognero traditore! E scongiuro tutti voi, gentiluomini d'onore, di portare queste lettere ai
miei parenti, e di dir loro da chi le avete avute!" e a questo punto l'infelice donna cominciò a
gettare tutto attorno lettere in mezzo a quella folla attonita.

"Che nessuno si chini a raccoglierle!" gridò il Principe con voce di tuono. "Madame de Gleim,
voi avreste dovuto sorvegliare meglio la vostra ammalata. Chiamate i medici della
Principessa: il cervello di Sua Altezza è sconvolto. Signori, abbiate la bontà di ritirarvi". E il
Principe rimase sul pianerottolo mentre i gentiluomini discendevano lo scalone, dicendo
risolutamente alla sentinella, "Soldato, se si muove, colpiscila con la tua alabarda!" e a
queste parole il soldato puntò la sua arma al petto della Principessa, che, spaventata,
indietreggiò di scatto e rientrò nei suoi appartamenti. "Adesso, Monsieur de Weissenborn",
disse il Principe, "raccogliete tutte quelle carte": e il Principe rientrò nei propri appartamenti,
preceduto dai suoi paggi, e non li lasciò fino a che non ebbe visto bruciare sul fuoco fin
l'ultima di quelle lettere.
"Il giorno dopo la Gazzetta di Corte conteneva un bollettino firmato da tre medici, in cui si
dichiarava che "Sua Altezza la Principessa Ereditaria era ammalata di infiammazione
cerebrale, e aveva passato una notte insonne e agitata". Un giorno dopo l'altro vennero
pubblicate notizie simili. Tutte le sue dame, all'infuori di due, furono dispensate dal servizio.
Vennero messe sentinelle dentro e fuori delle sue porte; le sue finestre furono assicurate in
modo che fosse impossibile fuggire da quella parte: e voi sapete che cosa accadde dieci
giorni dopo. Le campane della chiesa suonarono per tutta la notte, e furono richieste le
preghiere dei fedeli per una persona in extremis. Al mattino apparve la solita Gazzetta listata
a lutto che annunciava che "l'alta e potente Principessa Olivia Maria Ferdinanda, consorte di
Sua Altezza Serenissima Victor Louis Emanuel, Principe Ereditario di X.... era deceduta la
sera del 24 gennaio 1769".

"Ma sapete voi in che modo essa morì, signore? Anche questo è un mistero. Weissenborn, il
paggio, ebbe parte in questa cupa tragedia; e il segreto era così terribile che mai, credetemi,
fino alla morte del Principe Victor, io ebbi il coraggio di rivelarlo.

"Dopo il fatale scandalo che aveva fatto la Principessa, il Principe mandò a chiamare
Weissenborn, e vincolandolo al segreto col più solenne dei giuramenti (lo infranse soltanto
con sua moglie molti anni dopo: e invero non c'è segreto al mondo che le donne non
possano conoscere, se vogliono), lo mandò a fare la seguente misteriosa commissione.

"Sulla riva del fiume a Kehl", disse Sua Altezza, "di fronte a Strasburgo, abita un uomo di cui
troverete facilmente l'abitazione col suo nome, "Monsieur De Strasbourg". Chiederete di lui
tranquillamente, cercando di non farvi notare; forse a questo scopo farete meglio ad andare
addirittura a Strasburgo, dove quella persona è ben conosciuta. Porterete con voi un
compagno di cui possiate fidarvi nella maniera più assoluta: la vita di entrambi, ricordatelo,
dipende dalla vostra segretezza. Cercherete un momento in cui "Monsieur De Strasbourg" è
solo, e soltanto in compagnia del domestico che vive con lui (io stesso sono stato per caso a
far visita a quest'uomo durante il mio ritorno da Parigi cinque anni fa ed è questo che mi
induce a mandarlo a chiamare, nella mia attuale situazione). Farete fermare la carrozza alla
sua porta di notte; e voi ed il vostro compagno entrerete in casa sua mascherati, e gli
offrirete una borsa con cento luigi, promettendogli il doppio di questa somma al suo ritorno
dalla spedizione. Se rifiuta, dovete usare la forza e portarmelo qui; minacciandolo di morte
immediata se rifiuta di seguirvi. Lo metterete nella carrozza con gli sportelli chiusi, e l'uno o
l'altro di voi non lo perderà mai di vista per tutta la strada, minacciandolo di morte se si
mostra o grida. Lo alloggerete qui nella vecchia Torre, dove ci sarà una camera preparata
per lui; e quando avrà fatto il suo lavoro, lo ricondurrete a casa sua con la stessa rapidità e
segretezza con cui lo avrete portato sin qui".

"Questi furono i misteriosi ordini che il Principe Victor diede al suo paggio; e Weissenborn,
scegliendosi per compagno nella spedizione il Luogotenente Bartenstein, partì per il suo
singolare viaggio.
"Tutto questo mentre il palazzo viveva nel silenzio, come sotto l'incubo di un lutto e nella
Gazzetta di Corte apparivano i bollettini che annunciavano il proseguimento della malattia
della principessa. Benché essa avesse solo poche persone ad assisterla, si narravano storie
strane e piene di particolari sui progressi del suo male. Che era quasi impazzita. Che aveva
tentato di uccidersi. Che immaginava di essere non so quante persone differenti. Furono
mandati dei corrieri espressi alla sua famiglia per informarla dello stato di lei, e inviati
pubblicamente dei corrieri a Vienna e a Parigi per richiedere l'assistenza di medici
specializzati nella cura delle malattie del cervello. Ma questa pretesa ansia era solo una
finta: non si ebbe mai, in realtà, l'intenzione di far guarire la Principessa.

"Il giorno in cui Weissenborn e Bartenstein ritornarono dalla loro spedizione, fu annunciato
che Sua Altezza la Principessa era molto peggiorata; quella notte corse voce in città che era
in agonia:

invece quella notte la sfortunata donna stava tentando la fuga.

"Essa aveva una fiducia illimitata nella cameriera francese che la serviva, e il piano di fuga fu
preparato fra lei e questa donna.

La Principessa prese i suoi gioielli in uno scrigno; fu rimessa in opera per lei una porta
segreta, che si apriva in una delle sue stanze e conduceva, le fu detto, al cancello esterno
del palazzo:

e le fu portata una lettera facendole capire che proveniva dal Duca suo suocero, in cui si
diceva che erano stati preparati una carrozza e dei cavalli, che l'avrebbero portata a B...: un
paese da cui avrebbe potuto comunicare con la sua famiglia e mettersi in salvo.

"La sventurata dama, fiduciosa nella sua guardiana, si avventurò nella spedizione. Il
passaggio si apriva attraverso i muri della parte moderna del palazzo e terminava
effettivamente nella vecchia Owl Tower, com'era chiamata, nel muro esterno (in seguito la
torre fu abbattuta, e per buone ragioni).

"Ad un certo punto la candela che la cameriera portava si spense; e la Principessa fu sul
punto di mettersi a gridare per il terrore, ma si sentì prendere per la mano ed una voce
ingiunse, "Sst!". Un attimo dopo un uomo mascherato (era il Duca in persona) si precipitò su
di lei, la imbavagliò con un fazzoletto, le furono legati mani e piedi, ed essa fu portata,
tramortita dal terrore, in una camera a volta, dove fu messa vicino ad una persona che
aspettava lì, e legata in una poltrona. La stessa maschera che l'aveva imbavagliata venne a
denudarle il collo e disse, "Sarebbe meglio farlo ora che è svenuta".
"Forse effettivamente sarebbe stato meglio; perché quando essa si riebbe dallo svenimento,
e il suo confessore che era presente si avanzò e tentò di prepararla alla spaventosa morte
che stava per esserle data, ed allo stato in cui stava per entrare, quando ella tornò in sé dico,
fu soltanto per mettersi a gridare come una pazza, per maledire il Duca chiamandolo
carnefice e tiranno, e per invocare Magny, il suo caro Magny.

"A questo punto il Duca, calmissimo, disse, "Possa Dio avere pietà della sua anima
peccatrice!" E lui, il confessore e Geldern, che era presente, si misero in ginocchio. Poi Sua
Altezza fece un cenno col fazzoletto e mentre Weissenborn sveniva, Monsieur de
Strasbourg, afferrando i neri capelli di lei, separò il capo di Olivia, che continuava a gridare,
dal suo miserabile corpo peccatore. Possa il Cielo aver pietà dell'anima sua!".

Questa fu la storia che mi raccontò Madame de Liliengarten, e il lettore non avrà difficoltà a
ricavarne la parte che riguardava me e mio zio. Dopo sei settimane d'arresti, fummo messi in
libertà, ma con l'ordine di lasciare immediatamente il Ducato: anzi, con una scorta di dragoni
che ci condusse alla frontiera. Tutto quello che possedevamo ci fu permesso di venderlo e di
realizzarlo in denaro; ma non ci fu pagato nessuno dei nostri crediti di giuoco: e tutte le mie
speranze sulla Contessa Ida finirono così miseramente.

Quando il Duca Victor salì sul trono, cosa che accadde quando, sei mesi dopo, un colpo
apoplettico portò via il vecchio sovrano suo padre, tutte le vecchie buone usanze di X...
furono troncate, e il giuoco proibito: l'Opera e il Balletto chiusi definitivamente; e i reggimenti
venduti dal vecchio Duca richiamati dal loro servizio all'estero: con essi tornò quello
straccione del cugino della mia Contessa, il tenente, e la sposò. Non so se siano stati felici o
no. Ma è certo che una donna così povera di spirito non meritava delle grandi soddisfazioni.

Il Duca Victor ora regnante si risposò egli stesso quattro anni dopo la scomparsa della sua
prima moglie, e Geldern, benché non fosse più Ministro di Polizia, si costruì il gran palazzo di
cui parlava.

Madame de Liliengarten. Quel che successe degli attori secondari di questa grande tragedia,
chi può saperlo? Solo "Monsieur de Strasbourg" fu restituito ai suoi compiti. Degli altri,
dell'ebreo, della cameriera, della spia di Magny, non so nulla.

Questi piccoli strumenti di cui i grandi personaggi si servono nelle loro imprese,
generalmente si rompono nell'adoperarli: ed io non ho mai sentito dire che coloro che se ne
servono abbiano molti riguardi verso di loro quando hanno terminato il loro compito.
Capitolo 13

CONTINUO LA MIA CARRIERA DI UOMO DI MONDO

Trovo che ho già riempito decine e decine di pagine, eppure mi rimane ancora da raccontare
gran parte del più interessante periodo della mia storia, cioè quello che descrive il mio
soggiorno nei regni d'Inghilterra e d'Irlanda, e l'importantissima parte che vi rappresentai,
quando vivevo fra i più illustri personaggi di quei paesi; e non ero certo il meno distinto di
quel brillante circolo. Allo scopo di rendere debitamente giustizia a questa parte delle mie
Memorie dunque, cosa che è più importante di quanto non possano essere le mie avventure
all'estero (benché io potrei riempire dei volumi con interessanti descrizioni di queste), taglierò
corto con il resoconto dei miei viaggi in Europa, e dei miei successi alle Corti del continente
al fine di parlare di quel che mi capitò in patria.

Basti dire che non c'è capitale in Europa, all'infuori di quella pezzente città di Berlino, in cui il
giovane Cavaliere di Balibari non sia stato conosciuto ed ammirato; e dove non abbia fatto
parlare di sé i più valorosi uomini, i più nobili ed i più belli.

Vinsi 80.000 rubli a Potemkin al Palazzo d'Inverno a Pietroburgo (e quel birbante d'un
favorito non me li pagò mai); ho avuto l'onore di vedere Sua Altezza Reale il Cavaliere Carlo
Edoardo ubriaco come qualsiasi facchino a Roma; mio zio fece parecchie partite a biliardo
col celebre Lord C. a Spa, e vi assicuro che non ne uscì sconfitto. Anzi, con uno dei nostri
stratagemmi, facemmo ridere tutti alle spalle di Sua Signoria, e ottenemmo anche qualcosa
di più sostanzioso. Milord non sapeva che il Cavalier Barry aveva sempre avuto un occhio
cieco, e quando un giorno mio zio scherzosamente fece una scommessa con lui che lo
avrebbe vinto a biliardo con una benda su un occhio, il nobile lord credendo di batterci (era
uno dei giocatori più arrabbiati che sia mai vissuto), accettò la scommessa, e gli vincemmo
una bella somma.

Né occorre che io faccia menzione dei miei successi tra la parte più bella della razza umana.
Uno dei più compìti, alti, atletici e bei gentiluomini d'Europa, quale ero allora, un giovane del
mio aspetto, dico, non poteva fare a meno di avere certe possibilità, che una persona del mio
spirito sapeva benissimo come adoperare.
Ma su questi soggetti io sono assolutamente muto. Incantevole Schuvaloff, Sczotarska dagli
occhi neri, bruna Valdez, tenera Hegenheim, brillante Langeac! O cuori gentili che così forte
batteste a quei tempi per il giovane e ardente gentiluomo irlandese, dove siete ora? Benché i
miei capelli siano ormai grigi, e il mio cuore gelido per gli anni, per la noia, le delusioni, il
tradimento degli amici, pure io non ho che da sprofondarmi nella mia poltrona e pensare; ed
ecco che quelle dolci figure risorgono dinanzi a me uscendo dal passato, coi loro sorrisi, le
loro gentilezze, ed i loro occhi teneri e sfavillanti!

Non ci sono più donne come quelle, ormai, non più modi come i loro! Guardate quel branco
di donne ai ricevimenti del Principe, impalate nei loro rigidi sacchetti di seta bianca, col seno
più basso delle braccia, e paragonatele alle graziose figure d'un tempo! Diamine, quando io
ballavo con Coralie de Langeac ai festeggiamenti per la nascita del primo delfino a
Versailles, il cerchio delle sue sottane aveva diciotto piedi di circonferenza, e i tacchi delle
sue deliziose scarpine erano alti tre pollici dal suolo; il merletto del mio jabot valeva mille
corone, ed i bottoni della mia giacca di velluto color amaranto costavano da soli ottantamila
sterline. Guardate che differenza adesso! I gentiluomini sono vestiti come pugilatori,
quacqueri o cocchieri di piazza; e le signore non sono vestite affatto. Non c'è più eleganza,
non c'è più raffinatezza; nulla più della cavalleria del vecchio mondo, di cui io rappresento
una parte. Pensate alla moda di Londra capeggiata da un Brummell! (18) un figlio di
nessuno:

una bassa creatura, che non sa danzare un minuetto più di quanto io non sappia parlare le
lingue dei Pellirosse; che non sa neppure spezzare il collo a una bottiglia da gentiluomo; che
non ha mai dimostrato di essere un uomo con la spada alla mano: come noi solevamo
mostrarci ai bei tempi d'una volta, prima che quel volgare Còrso sconvolgesse tutta la nobiltà
del mondo! Oh, rivedere ancora una volta la bruna Valdez, come quel giorno che la incontrai
alla sua prima uscita in carrozza in gran pompa, con i suoi otto muli ed il suo seguito di
gentiluomini, lungo il giallo Manzanarre! Oh, un'altra passeggiata in carrozza con la
Hegenheim, nella slitta dorata, sulla neve di Sassonia! Falsa com'era la Schuvaloff, era
meglio essere presi in giro da lei, che adorati da qualsiasi altra donna. Non posso pensare a
nessuna di loro senza tenerezza. Ho un ricciolo di ciascuna di loro nel mio povero, piccolo
museo di ricordi. E voi, conservate i miei, care anime che avete sopravvissuto ai guai e alle
tempeste di quasi mezzo secolo?

Come è mutato ora il colore dei miei capelli, dal giorno in cui la Sczotarska se li mise al collo,
dopo il mio duello col Conte Bjernaski, a Varsavia!

Non tenevo mai dei miserabili libri di conti, a quei tempi. Non avevo debiti. Pagavo come un
re tutto quello che prendevo; e prendevo tutto quello che volevo. Le mie entrate dovevano
essere molto larghe. I miei passatempi ed i miei equipaggi erano quelli di un gentiluomo di
posizione elevata: che nessun briccone si permetta di sogghignare perché rapii e sposai
Milady Lyndon (come sentirete subito), e di chiamarmi avventuriero, o di dire che io ero uno
spiantato e che quel matrimonio fu tra persone di condizioni molto diverse. Spiantato! Io
avevo tutta la ricchezza d'Europa ai miei ordini. Avventuriero! Altrettanto può esserlo un abile
avvocato o un prode soldato: come è un avventuriero qualsiasi uomo che fa da sé la sua
fortuna. La mia professione era il giuoco: in cui allora non avevo rivali. Nessun uomo poteva
competere con me sul tappeto verde in tutta l'Europa; e il mio reddito era altrettanto sicuro
(quando stavo bene in salute e nell'esercizio della mia professione) quanto quello di una
persona che riscuote il suo tre per cento, o di qualsiasi grasso gentiluomo di campagna che
trae il reddito dalle sue terre. Il raccolto non è più sicuro degli effetti dell'abilità: la mèsse è
una "probabilità" proprio come una partita a carte giuocata da un bravo giocatore: può
esserci la siccità, o il gelo, o una grandinata, e la posta è perduta; ma l'uno è un avventuriero
proprio quanto l'altro!
Nell'evocare il ricordo di quelle belle e gentili creature, io provo soltanto piacere. Vorrei poter
dire altrettanto del ricordo di un'altra dama, che d'ora in poi rappresenterà una parte
importante nel dramma della mia vita, voglio dire la Contessa di Lyndon; di cui feci la fatale
conoscenza a Spa, poco dopo che gli avvenimenti descritti nello scorso capitolo mi avevano
fatto lasciare la Germania.

Honoria, Contessa di Lyndon, Viscontessa di Bullingdon in Inghilterra, Baronessa di Castle


Lyndon nel regno d'Irlanda, era tanto conosciuta nel gran mondo ai suoi tempi che non c'è
quasi bisogno che io entri nella storia della sua famiglia; che si può trovare in ogni "Peerage"
(19) che possa capitare tra le mani del lettore. Era, non occorre che io lo dica, contessa,
viscontessa e baronessa per diritto personale. I suoi possedimenti nel Devon e nella
Cornovaglia erano tra i più estesi da quelle parti; e le sue proprietà irlandesi non erano meno
magnifiche; ad esse abbiamo già fatto allusione, nella primissima parte di queste Memorie,
perché si stendevano proprio vicino alle mie proprietà paterne nel regno d'Irlanda: anzi le
ingiuste confische al tempo di Elisabetta e di suo padre avevano diminuito i miei terreni,
aggiungendoli alla già vasta proprietà della famiglia Lyndon.

La contessa, quando la vidi per la prima volta nella società di Spa, era la moglie di suo
cugino, il Molto Onorevole Sir Reginald Lyndon, Cavaliere del Bagno, Ministro di Giorgio
Secondo e poi di Giorgio Terzo presso parecchie delle minori Corti d'Europa. Sir Charles
Lyndon era rinomato come uomo di spirito e "bon vivant":

aveva scritto versi d'amore contro Hanbury Williams, e scambiato satire con George Selwyn;
era un uomo di "vertu" come Harry Walpole, e con lui e con il signor Grey aveva fatto parte
del gran giro; in una parola, era citato come uno dei più eleganti e compìti gentiluomini del
suo tempo.

Io feci la conoscenza di questo gentiluomo, come al solito, al tavolo da giuoco, di cui egli era
un assiduo frequentatore.

Davvero, non si poteva non ammirare lo spirito ed il coraggio con cui si dedicava al suo
passatempo favorito; perché, quantunque tormentato dalla gotta e da una quantità di altri
malanni, quel povero storpio che veniva portato attorno in una poltrona a rotelle, e in preda a
dolori terribili, potevate vederlo tutti i giorni e tutte le sere al suo posto davanti al delizioso
tappeto verde; e se, come accadeva spesso, aveva le mani troppo deboli o troppo
infiammate per tenere il bussolotto dei dadi, giocava ugualmente, facendo gettare i dadi per
conto suo ad un domestico o a un amico. A me piace un simile spirito indomito in un uomo: i
più grandi successi nella vita sono stati raggiunti con un'indomabile perseveranza di questo
genere.

Io ero a quell'epoca uno dei personaggi più conosciuti d'Europa; e la fama delle mie imprese,
dei miei duelli, del mio coraggio al giuoco, faceva affollare la gente intorno a me tutte le volte
che comparivo in società. Potrei mostrare pacchi su pacchi di biglietti profumati, per provare
che questa sollecitudine nel volermi conoscere non si limitava soltanto ai gentiluomini; ma il
fatto è che odio vantarmi, e parlo di me stesso solo quanto è necessario per riferire le mie
avventure: le più singolari di qualsiasi uomo che sia vissuto in Europa. Bene, io feci per la
prima volta la conoscenza di Sir Charles Lyndon in occasione di una partita di picchetto nella
quale il molto onorevole cavaliere mi vinse 700 monete d'oro (in questo gioco egli era quasi
alla mia altezza); ed io le perdetti con molta buona grazia, e le pagai: le pagai proprio
puntualmente, ve lo assicuro. In realtà, lo dico per me stesso, perdere denaro al giuoco non
mi ha mai fatto sentire antipatia verso il vincitore, e ogni volta che ho trovato qualcuno che mi
era superiore, sono stato sempre pronto a riconoscerlo e a rendergli omaggio.

Lyndon fu molto orgoglioso di avere sconfitto una persona così celebre, e si stabilì fra noi
una specie di intimità, che però per un certo tempo non andò al di là delle gentilezze che ci si
scambiavano durante i bagni termali, e delle conversazioni attraverso il tavolo da giuoco
quando si faceva uno spuntino: ma poi andò gradatamente aumentando, fino a che fui
ammesso alla sua più privata amicizia. Era una persona dal linguaggio molto franco (la
nobiltà a quei tempi era molto più orgogliosa di adesso), e soleva parlarmi nel suo modo
scorrevole e altero: Al diavolo, signor Barry, voi non avete maniere più raffinate di un
barbiere, ed io credo che il mio domestico negro abbia ricevuto maggior istruzione di voi; ma
siete un giovanotto originale e pieno di coraggio, e mi piacete, perché sembrate deciso ad
andare al diavolo in un modo tutto vostro. - Io lo ringraziavo ridendo del complimento e gli
dicevo che, dato che lui sarebbe andato all'altro mondo molto più presto di me, gli sarei stato
molto grato se mi avesse fatto trovare un posticino comodo già preparato laggiù. Di solito si
divertiva immensamente ad ascoltare i miei racconti sugli splendori della mia famiglia e sulla
magnificenza di Castle Brady; non si stancava mai di ascoltarmi o di ridere di quelle storie.

- Ma tenetevi attaccato alle carte, ragazzo mio - mi disse quando gli raccontai le mie
disavventure in fatto di matrimonio, e quanto prossimo ero stato a conquistare una delle più
grandi fortune della Germania. - Fate qualunque cosa tranne che prender moglie, mio
ingenuo contadinotto irlandese - (mi chiamava con una quantità di strani appellativi). -
Coltivate i vostri grandi talenti in fatto di giuoco; e state attento, che una donna vi
sconfiggerebbe.

Io negavo questa possibilità, citando numerosi esempi di casi in cui avevo conquistato tipi fra
i più intrattabili del gentil sesso.

- Vi metteranno sotto, a lungo andare, mio caro Alcibiade di Tipperary. Appena uno è
sposato, è vinto, fidatevi della mia parola. Guardate me. Io ho sposato mia cugina, la più
nobile e la più grande ereditiera d'Inghilterra; l'ho sposata quasi contro la sua volontà - (e qui
un'ombra cupa passò sulle fattezze di Sir Charles Lyndon). - E' una debole donna; la
vedrete, e vedrete quanto è debole, eppure è la mia padrona. Ha amareggiato tutta la mia
vita. E' una sciocca ma ha avuto la meglio su una delle migliori teste della Cristianità. E'
enormemente ricca; ma in certo senso io non sono stato mai tanto povero come da quando
l'ho sposata. Pensavo di migliorare la mia posizione, ed ella ha fatto di me un essere
spregevole; mi ha ammazzato! E farà altrettanto col mio successore, quando io me ne sarò
andato.
- Ha un reddito molto forte Sua Signoria? - chiesi io. A questa domanda Sir Charles scoppiò
in una stridula risata, che mi fece arrossire non poco della mia "gaucherie"; perché il fatto è
che, vedendolo nelle condizioni in cui era, io non potevo fare a meno di riflettere sulle
possibilità che un uomo di spirito avrebbe potuto avere con la sua vedova.

- No, no! - disse lui seguitando a ridere. - Non ve lo consiglio, signor Barry; se ci tenete alla
vostra tranquillità, non pensate a mettervi le mie scarpe, quando resteranno vuote. Inoltre, io
non credo che Milady Lyndon acconsentirebbe mai a sposare un...

- Un che cosa, signore? - dissi io, furioso.

- Non importa che cosa: ma l'uomo che la prenderà se ne pentirà, sulla mia parola. Che la
peste la colga! se non fosse stato per l'ambizione di mio padre e mia (mio padre era suo zio
e suo tutore, e non volevamo lasciar uscire dalla famiglia un simile patrimonio), io avrei
potuto morire in pace almeno; mi sarei trascinato tranquillamente la mia gotta fino alla
tomba, avrei vissuto nel mio modesto possedimento di May Fair; e tutte le case d'Inghilterra
mi sarebbero state aperte; e adesso invece, adesso ne ho sei di mia proprietà, e ognuna di
esse è un inferno per me.

Diffidate delle grandezze, signor Barry. Prendete esempio da me.

Da quando mi sono sposato e sono diventato ricco, sono stato il più meschino e sciagurato
uomo del mondo. Guardatemi. Sto morendo, povero storpio logoro e rattrappito, all'età di
cinquant'anni. Il matrimonio mi ha aggiunto almeno quarant'anni. Quando presi Lady Lyndon,
non c'era uomo della mia età che sembrasse giovane come me. Stolto che fui! Avevo entrate
sufficienti col mio vitalizio, completa libertà, la miglior società d'Europa; e rinunciai a tutto
questo, mi sposai e divenni un disgraziato. Prendete esempio da me, Capitano Barry, e
tenetevi alle carte.

Benché la mia intimità col cavaliere fosse divenuta grande, per un pezzo non penetrai in altri
appartamenti del suo albergo fuori di quelli che occupava lui stesso. Sua moglie viveva
completamente divisa da lui; e l'unica cosa strana era che viaggiassero, in certo senso,
insieme. Lei era figlioccia della vecchia Mary Wortley Montagu; e come quella famosa
vecchia signora del secolo scorso, aveva notevoli pretese di intellettualità e di "bel- esprit".
Lady Lyndon scriveva poesie in inglese e in italiano, che i curiosi possono ancora trovare
nelle pagine delle riviste del tempo. Era in corrispondenza con numerosi "savants" europei
su argomenti di storia, di scienza, di lingue antiche e specialmente di teologia. Il suo maggior
piacere era di discutere punti controversi con abati e vescovi; e i suoi adulatori dicevano che
essa rivaleggiava in sapere con Madame Dacier. Qualsiasi avventuriero che avesse fatto
una scoperta nel campo della chimica, o avesse un nuovo busto antico, o avesse un piano
per scoprire la pietra filosofale, era sicuro di trovare in lei una protettrice. C'erano
innumerevoli lavori dedicati a lei, e le venivano diretti infiniti sonetti da tutti i poetastri
d'Europa, sotto il nome di Lindonira o di Calista. Le sue stanze erano ricolme di orribili
scimmiotti cinesi, e di ogni sorta d'oggetti di "vertu".

Nessun'altra donna si vantava dei suoi principi più di lei, ma nessun'altra permetteva che le
si proferisse amore più largamente. L'abitudine al corteggiamento era praticata dai più distinti
gentiluomini di quei tempi in una forma poco comprensibile ai nostri giorni, così rozzi e privi
di ricercatezze; e giovani e vecchi versavano fiumi di complimenti in lettere e madrigali, che
farebbero strabiliare una signora per bene se le venissero indirizzati oggi, così
completamente è scomparsa dalle nostre abitudini la galanteria del secolo scorso.

Lady Lyndon andava attorno con una piccola Corte personale. Nei suoi viaggi si muoveva
con una mezza dozzina di carrozze. Nella propria viaggiava con la sua dama di compagnia
(qualche distinta signora decaduta), i suoi uccelli, i suoi barboncini, e il "savant" favorito del
momento. In un'altra viaggiavano la sua segretaria e la sua cameriera personale; le quali,
con tutte le loro cure, non riuscivano mai a far avere alla loro padrona un aspetto decente.
Sir Charles Lyndon aveva la sua carrozza personale, e i domestici della casa seguivano con
altri veicoli.

Occorre far menzione anche della carrozza in cui viaggiava il cappellano di Sua Signoria, il
signor Runt, che fungeva da istitutore di suo figlio, il piccolo Visconte di Bullingdon, un
ragazzino melanconico e abbandonato, del quale il padre non si curava affatto, e che la
madre non vedeva mai, salvo un paio di minuti alla sua "levée", in cui gli faceva qualche
domanda di storia o di grammatica latina dopo di che veniva rimandato ai suoi divertimenti, o
alle cure del suo Istitutore, per tutto il resto della giornata.

L'immagine di una simile Minerva, che io vedevo di tanto in tanto in qualche luogo pubblico,
circondata da nugoli di abati e di maestri di scuola miserabili, per un certo tempo mi
terrorizzò, e non ebbi il minimo desiderio di fare la sua conoscenza. Non desideravo
diventare uno dei miserabili adoratori aggiogati al carro di quella gran signora - mezzo amici
e mezzo lacché - che componevano versi, scrivevano lettere e correvano a far commissioni,
contentandosi di essere ripagati con una poltrona nel palco di Sua Signoria a teatro o con un
posto alla sua tavola a mezzogiorno. - Non temete - mi disse sir Charles Lyndon, il cui
principale soggetto di conversazione e di scherzo era sua moglie; - la mia Lindonira non avrà
mai niente a che fare con voi. A lei piace la parlata toscana, non quella di Kerry. Dice che voi
sapete troppo di stalla per essere ammesso nella compagnia delle signore, e due domeniche
fa, l'ultima volta che mi fece l'onore di parlarmi, disse: "Mi meraviglio, Sir Charles Lyndon,
che un gentiluomo il quale è stato ambasciatore del Re possa abbassarsi a giocare e a bere
con scrocconi irlandesi di bassa nascita!" Non andate sulle furie! Io non sono che uno
storpio, ed è stata Lindonira che ha detto questo, non io!

Questo mi ferì, e decisi di fare ad ogni modo conoscenza con Lady Lyndon non fosse che
per mostrare a Sua Signoria che il discendente di quei Barry, di cui essa deteneva
ingiustamente la proprietà, era un compagno non indegno di qualsiasi signora, fosse pur ella
la più nobile del mondo. Per di più, il mio amico cavaliere stava morendo: e la sua vedova
sarebbe stata la più ricca preda dei tre regni. Perché non avrei dovuto conquistarla,
conquistando con lei i mezzi per fare nel mondo quella figura che il mio genio e le mie
tendenze desideravano? Sentivo di essere eguale per sangue e per nascita a qualsiasi
Lyndon della Cristianità, e decisi di piegare quella superba signora. E quando io prendo una
decisione, considero la cosa come già fatta.

Mio zio ed io discutemmo sulla faccenda, e stabilimmo rapidamente un sistema per fare i
nostri approcci con l'altera signora di Castle Lyndon. Il signor Runt, l'istitutore del giovane
lord Bullingdon, andava pazzo per i divertimenti, per un bicchiere di vino del Reno nei ritrovi
all'aperto, e per un rapido giro di dadi quando se ne presentava l'occasione; ed io ebbi cura
di fare amicizia con codesto individuo, il quale, essendo inglese e precettore, era pronto a
mettersi in ginocchio davanti a chiunque rassomigliasse ad una persona di alto rango.
Avendo visto il mio seguito di domestici, la mia vettura a due posti e le altre mie carrozze, i
miei domestici, il mio ussaro e i cavalli, avendomi visto vestito d'oro, di velluto e di zibellino
salutare i più grandi personaggi d'Europa quando li incontravamo sul corso o a Spa, Runt fu
lusingato dai miei approcci, e fu tutto mio appena alzai un dito. Non dimenticherò mai lo
stupore di quel povero diavolo quando lo invitai a pranzare con due conti, in piatti dal bordo
dorato, nella saletta del Casino: fu addirittura felice quando lasciammo che ci vincesse
qualche moneta, divenne un po' alticcio, cantò delle canzoni di Cambridge, e divertì tutta la
compagnia raccontandoci, nel suo orribile francese dello Yorkshire, storielle sui domestici del
suo Collegio, e su tutti i lords che erano stati nel Collegio. Io lo incoraggiai a venirmi a
trovare più spesso ed a portare con sé il suo piccolo visconte; per il quale, benché il ragazzo
mi mostrasse antipatia, ebbi cura di far trovare sempre pronti, quando veniva, dolci, balocchi,
e libri illustrati.

Cominciai poi ad entrare in discussione con il signor Runt, e gli confidai alcuni miei dubbi, e
un'inclinazione molto ardente verso la Chiesa di Roma. Mi feci scrivere, da un certo abate
che conoscevo lettere sulla transustanziazione ed altre cose del genere, lettere a cui l'onesto
precettore era piuttosto imbarazzato a rispondere. Sapevo che sarebbero state comunicate a
Sua Signoria, come di fatto avveniva: perché, avendo chiesto il permesso di assistere al
servizio secondo il rito inglese che veniva celebrato nei suoi appartamenti, ed era
frequentato dagli Inglesi più distinti che si trovassero allora a Spa, la seconda domenica ella
acconsentì a rivolgermi lo sguardo, la terza si degnò di rispondere al mio profondo inchino
con un lieve cenno del capo; il giorno seguente io rafforzai la conoscenza rendendole
omaggio sulla passeggiata pubblica; e, per raccontare in breve una lunga storia, Sua
Signoria ed io eravamo in attiva corrispondenza sul soggetto della transustanziazione prima
che fossero trascorse sei settimane. Milady era venuta, infatti, in aiuto al suo cappellano; ed
allora io cominciai a comprendere tutto il peso dei suoi argomenti, come del resto era da
aspettarsi. Non c'è bisogno di riferire qui in dettaglio i progressi di questo piccolo e innocuo
intrigo. Non dubito che tutti i miei lettori si siano serviti di stratagemmi del genere quando si
trattava di una bella signora.

Non dimenticherò mai la meraviglia di Sir Charles Lyndon quando una sera d'estate, mentre
tornava dalla sala da giuoco nella sua portantina secondo le sue abitudini, la berlina a
quattro di Sua Signoria con i suoi domestici a cavallo nella fulva livrea della famiglia Lyndon
entrò nel cortile della casa in cui abitavano; e in quella carrozza, a lato di Sua Signoria,
sedeva null'altri che "il volgare avventuriero irlandese", come ella si era compiaciuta di
chiamarlo: voglio dire il sottoscritto Redmond Barry, Esquire.
Sir Charles fece il più cortese dei suoi saluti, e sventolò il cappello nella maniera più graziosa
che la gotta gli permetteva; e da parte nostra Sua Signoria ed io rispondemmo al saluto con
la maggior cortesia ed eleganza possibile.

Io non potei tornare al tavolo da giuoco ancora per qualche tempo, perché Lady Lyndon ed io
avemmo una discussione sulla transustanziazione che si prolungò per tre ore, ed in cui ella
rimase, come al solito, vincitrice, mentre la sua compagna, l'Onorevole Miss Flint Skinner, si
addormentò; ma quando, infine, raggiunsi Sir Charles al Casino, egli mi ricevette con uno
scoppio di risa, com'era sua abitudine, e mi presentò a tutta la compagnia come
l'interessante giovane convertito da Lady Lyndon. Era questo il suo modo di fare: rideva e
motteggiava su tutto. Rideva quando era in un parossismo di dolore; rideva quando vinceva
o quando perdeva: il suo riso non era gioviale o piacevole, ma piuttosto penoso e sardonico.

- Signori - disse a colui che teneva banco, il Colonnello Loder, Conte du Carreau, ed a
parecchi gioviali compagni di giuoco con i quali soleva discutere su una bottiglia di
Champagne e un paio di trote del Reno dopo la partita - guardate questo simpatico giovane!
E' stato turbato da scrupoli religiosi, ed è corso a rifugiarsi nelle braccia del mio cappellano, il
signor Runt, che a sua volta ha chiesto consiglio a mia moglie, Lady Lyndon; e tra tutti e due
stanno rafforzando il mio giovane ed ingegnoso amico nella sua fede. Avete mai visto dottori
simili, e un simile discepolo?

- In fede mia, signore - ribattei io - se ho bisogno di imparare dei buoni principi, è certamente
meglio che mi rivolga per questo a vostra moglie ed al vostro cappellano che non a voi!

- Vuole mettersi le mie scarpe! - continuò il cavaliere.

- Felice l'uomo che ci riuscirà - risposi io - purché dentro non ci siano sassi!

Sir Charles non fu molto soddisfatto di questa risposta, e proseguì con crescente animosità,
perché parlava sempre con molta franchezza quando aveva bevuto un bicchiere di più; e per
dire la verità beveva un bicchiere di più assai più volte alla settimana di quanto non glielo
avrebbe permesso il suo dottore.

- Non è un piacere, signori - disse - per me, che sono così vicino alla fine, di trovare la mia
casa così felice? e mia moglie così innamorata di me, che sta già pensando fin da adesso di
nominarmi un successore? (Non intendo alludere precisamente a voi, signor Barry; voi state
soltanto tentando la sorte con una diecina di altri che potrei nominare). Non è una
consolazione vedere che lei, da brava massaia, tiene tutto pronto per la dipartita di suo
marito?

- Io spero che voi non pensiate di lasciarci tanto presto, cavaliere! - dissi io, con perfetta
sincerità; perché era un compagno tanto divertente che mi piaceva.
- Non così presto come potete immaginare, forse, mio caro seguitò lui. - Diamine, sono stato
dato per spacciato diverse volte in questi ultimi quattro anni; e c'era sempre un paio di
candidati che aspettavano per impadronirsi del mio posto. Chissà quanto tempo posso farvi
aspettare ancora?

E infatti mi fece aspettare per un tempo un po' più lungo di quanto in quel momento ci fosse
ragione di sospettare.

Dato che mi ero dichiarato molto apertamente, secondo i miei modi abituali, e che gli autori
sono soliti descrivere la persona delle signore di cui i loro eroi si innamorano, in ossequio a
quest'uso dovrei forse dire una parola o due sulle attrattive di Milady Lyndon. Ma benché io
le abbia celebrate in molti versi, scritti da me e da altri; e benché abbia riempito risme su
risme di carta, nell'appassionato stile dell'epoca, di complimenti diretti a tutte le sue bellezze
ed ai suoi sorrisi, in cui la paragonavo ad ogni fiore, deità o famosa eroina di cui mai si fosse
sentito parlare; la verità mi costringe a dire che in lei non c'era assolutamente nulla di divino.
Era una donna non c'è male; ma niente di più.

Aveva un volto fine, capelli scuri, occhi belli ma estremamente mobili; le piaceva cantare, ma
cantava, come tutte le gran signore del suo stampo, con voce molto stonata. Aveva
un'infarinatura di mezza dozzina di lingue moderne e, come ho già detto prima, di molte più
scienze di quante io non ne conoscessi neppure di nome.

Si piccava di conoscere il greco e il latino; ma la verità è che il signor Runt soleva fornirle le
citazioni che ella introduceva nella sua voluminosa corrispondenza. Essa aveva tanto
desiderio d'essere ammirata, una così forte e sgradevole vanità, e tanto poco cuore quanto
qualsiasi donna che mai io abbia conosciuta.

Altrimenti quando suo figlio, lord Bullingdon, a causa dei suoi contrasti con me, corse... Ma
tutto questo verrà raccontato al momento opportuno. Infine Milady Lyndon aveva circa un
anno più di me; benché fosse, naturalmente, disposta a giurare sulla Bibbia che era più
giovane di tre anni.

Pochi uomini sono onesti come me; perché pochi ammetterebbero i veri motivi delle loro
azioni, mentre a me non importa un fico di confessare i miei. Quello che diceva Sir Charles
Lyndon era perfettamente vero. Io avevo fatto conoscenza di lady Lyndon con ulteriori
vedute. - Signore - gli dissi, quando dopo la scena descritta e gli scherzi che mi rivolse, ci
ritrovammo da soli lasciate ridere quelli che vincono. Voi scherzaste molto sul mio conto
alcune sera fa, nonché sulle mie intenzioni circa la vostra signora. Bene, e se anche sono
quelle che voi credete che siano - se io desidero mettermi le vostre scarpe; e con questo? Io
non ho intenzioni diverse da quelle che avreste voi stesso. Potete giurare che io ho mostrato
tanti riguardi per lady Lyndon quanti mai voi gliene avete mostrati; e se io la conquisto e me
la sposo quando voi sarete morto e seppellito, "corbleu", cavaliere, pensate forse che sarà la
paura del vostro spettro a impedirmelo?
Lyndon si mise a ridere come al solito, ma con aria un po' sconcertata: in realtà, io avevo
evidentemente avuto la meglio su di lui nella discussione, ed avevo esattamente tanto diritto
di andare a caccia della mia fortuna quanto ne aveva avuto lui.

Ma un giorno egli mi disse: - Se sposerete una donna come milady Lyndon, ricordatevi le mie
parole, ve ne pentirete. Rimpiangerete la libertà di cui godevate un tempo. Per San Giorgio!
Capitano Barry - aggiunse con un sospiro - la cosa che io rimpiango di più nella vita, forse
perché sono vecchio, blasé e moribondo, è di non aver mai avuto una passione sincera.

- Ah! ah! la figlia di un lattaio! - dissi io, ridendo di quella assurdità.

- Bene, perché no? Ragazzo mio, io sono stato innamorato in gioventù, come molti
gentiluomini, della figlia del mio precettore, Helena, una ragazza grande e robusta;
naturalmente più anziana di me (questo mi fece ricordare i miei piccoli amori con Nora Brady
ai tempi della mia prima giovinezza) - e sapete, signore, che rimpiango di tutto cuore di non
averla sposata? Non c'è nulla come l'avere a casa una schiava virtuosa, signore. E' una cosa
che dà sapore ai piaceri del mondo, ve ne dò la mia parola. Nessun uomo di buon senso
sarà ridotto a limitarsi, o negarsi un solo divertimento per amore di sua moglie: all'opposto,
se sceglie accuratamente l'animale, ne dovrà trovare una che non gli sia d'ostacolo al suo
piacere, ma gli sia di conforto nelle sue ore di noia. Per esempio, io ho la gotta: chi mi cura?
Un domestico pagato, che mi deruba tutte le volte che può. Che amici ho io? Non uno al
mondo. Gli uomini di mondo, come voi e come me, non hanno amici; e noi siamo zimbelli dei
nostri guai. Fatevi un amico, signore, e che quest'amico sia una donna: una buona massaia
e una buona schiava, che vi ami. Questo è il più prezioso genere di amicizia, perché grava
tutto sulla donna; l'uomo non ha bisogno di contribuirvi in alcun modo. Se è un briccone, lei
giurerà che è un angelo; se è un bruto, a lei piacerà anche di più perché la maltratta. A
queste donne piace essere maltrattate, signore. Sono nate per essere il nostro maggiore
conforto e la nostra più grande comodità; per essere... per essere moralmente i nostri
cavastivali, e per uomini che fanno il nostro genere di vita, credetemi, persone simili non
hanno prezzo. Io parlo soltanto per amore del vostro benessere mentale e materiale, badate.
Perché mai non ho sposato Helena Flower, la figlia del curato?

Io pensai che questi discorsi fossero osservazioni di un uomo indebolito e deluso; benché
forse in seguito abbia avuto qualche ragione di riconoscere la verità delle affermazioni di Sir
Charles Lyndon. Il fatto è, a parer mio, che spesso noi comperiamo il denaro a troppo caro
prezzo. Acquistare qualche migliaio di sterline all'anno a costo di una moglie odiosa, è un
pessimo investimento per un giovane di spirito e di talento; e ci sono stati nella mia vita
momenti in cui, nel bel mezzo del mio più grande splendore e della mia massima opulenza,
con una mezza dozzina di lords alla mia levée, con i più bei cavalli nelle mie stalle, la più
grande casa sulle mie spalle, un credito illimitato dal mio banchiere e... Lady Lyndon da
servire, avrei preferito essere di nuovo un semplice soldato sotto Bulow, o qualsiasi altra
cosa, pur di liberarmi di lei. Ma ritorniamo alla nostra storia.

Sir Charles, con tutte le sue complicate malattie, stava morendo davanti ai nostri occhi a
goccia a goccia; capisco che non dovesse essere molto piacevole per lui vedere un bel
giovanotto fare la corte alla sua futura vedova proprio davanti ai suoi occhi come facevo io.
Dopo essere andato una volta in quella casa per la discussione sulla transustanziazione,
trovai una dozzina d'altre occasioni per coltivare la nostra intimità, e finii per stare quasi
sempre intorno a Sua Signoria. Il mondo chiacchierava e mormorava, ma che cosa poteva
importarmene? Gli uomini mostravano il loro disgusto per l'impudente avventuriero irlandese;
ma ho già raccontato in che modo chiudevo la bocca a simili invidiosi: e a quell'epoca la mia
spada si era fatta una tale reputazione in Europa, che ben pochi desideravano di scontrarsi
con essa. Una volta che io sia riuscito ad impadronirmi di un posto, lo tengo a tutti i costi.
Sono stato in parecchie case in cui ho visto gli uomini evitarmi. "Oibò! quel volgare
irlandese", dicevano. "Bah! quel grossolano avventuriero!"."Fuorideipiedi quell'insopportabile
scroccone e fantoccio!" e così via.

Quest'odio mi ha reso servigi non indifferenti nel mondo; perché quando io metto la mira su
una preda, nulla può indurmi a lasciare la presa: e se vengo lasciato a me stesso, tanto
meglio.

Come dicevo in quei giorni a lady Lyndon con perfetta sincerità,- Calista - (solevo chiamarla
Calista nella mia corrispondenza)- Calista, io ti giuro, per l'immacolato candore dell'anima
tua, per lo splendore dei tuoi occhi spietati, per tutto ciò che c'è di puro e di casto nel cielo e
nel tuo cuore, che non cesserò mai di seguirti! Io posso sopportare la beffa e il disprezzo, e
sopportarlo per mano tua. Posso superare l'indifferenza; è una roccia che la mia energia
scalerà un magnete attrae l'impavido ferro dell'anima mia!

Ed era vero, mai io l'avrei lasciata, no, neppure se mi avessero gettato fuori a calci ogni volta
che mi presentavo alla sua porta.

E' questo il mio modo di affascinare le donne. Che l'uomo il quale deve far fortuna nella vita
si ricordi di questa massima.

Attaccare è il suo solo segreto. Osare, e il mondo si arrende sempre; o, se qualche volta vi
sconfigge, osate ancora, ed esso soccomberà. A quei tempi il mio spirito era così alto che, se
mi fossi messo in mente di sposare una principessa di sangue, ci sarei riuscito!

Raccontai a Calista la mia storia, alterando solo di poco, di pochissimo, la verità. Il mio scopo
era di spaventarla: di mostrarle che ciò che io volevo, l'osavo; che ciò che osavo, riuscivo a
compierlo; e nella mia storia ce n'era abbastanza, di momenti impressionanti, per convincerla
della mia volontà di ferro e del mio indomito coraggio.

- Non sperate mai di sfuggirmi, signora - dicevo: - mostratevi disposta a sposare un altro
uomo, ed egli morrà sotto questa spada, che non ha ancora incontrato chi la superi. Fuggite
da me ed io vi seguirò, fosse pure sino ai cancelli dell'Ade. - E vi assicuro che questo era un
linguaggio molto diverso da quello che ella aveva l'abitudine di udire dai suoi agghindati e
profumati adoratori: avreste dovuto vedere come li spaventavo e li allontanavo da lei.
Quando affermavo così energicamente che avrei seguito lady Lyndon anche attraverso lo
Stige, se fosse stato necessario, naturalmente intendevo dire che l'avrei fatto purché non si
fosse presentato nel frattempo nulla di più conveniente. Per esempio se Lyndon non fosse
morto, quale sarebbe stata l'utilità della mia corte alla contessa? Infatti, verso la fine della
stagione a Spa, debbo confessare, con mia grande mortificazione, che il cavaliere si riprese
di nuovo: sembrava proprio che nulla riuscisse ad ucciderlo.

- Mi dispiace per voi, Capitano Barry - diceva, ridendo come al solito. - Sono dolente di far
aspettare voi, o qualche altro gentiluomo. Non fareste meglio a mettervi d'accordo col mio
dottore, o a dire al cuoco di condire la mia omelette con l'arsenico? Che probabilità c'è,
signori - aggiunse - che io riesca a vivere abbastanza da vedere il Capitano Barry impiccato?

Effettivamente, i dottori lo riaggiustarono per un altr'anno .E' la mia solita fortuna - non potei
fare a meno di dire a mio zio, che era il mio confidente e il mio miglior consigliere in tutte le
faccende di cuore. - Ho sperperato tesori d'affetto in questo flirt con la contessa, ed ecco che
suo marito si rimette e probabilmente vivrà ancora non so quanti anni!

E come per accrescere la mia mortificazione, ecco che proprio in quel periodo vennero a
Spa l'erede di un candelaio inglese, con un enorme patrimonio; e Madame Cornu, la vedova
di un grosso mercante di bestiame, con l'idropsia e duecentomila sterline all'anno.

- A che serve che io segua i Lyndon in Inghilterra - dissi io - se il cavaliere non si decide a
morire?

- E tu non seguirli, mio caro sempliciotto - ribatté mio zio.

Fermati qui e fa' la corte alle nuove arrivate.

- Sì, e così perderò per sempre Calista, e le più grandi proprietà di tutta l'Inghilterra.

- Puà, puà! i giovani come te facilmente prendono fuoco e facilmente si scoraggiano. Resta
in corrispondenza con Lady Lyndon. Tu sai che non c'è nulla che le piaccia di più. C'è
quell'abate irlandese, che scriverà per te le lettere più incantevoli a una corona l'una. Lascia
che se ne vada; scrivile, ma nel frattempo cerca se te ne capita qualcun'altra. Chissà!

Potresti sposare la vedova normanna, seppellirla, prenderti il suo denaro, ed essere pronto
per la contessa prima che muoia il cavaliere.
E così, dopo averle confermato il più profondo e rispettoso attaccamento, e dopo aver dato
venti luigi alla cameriera di Lady Lyndon per una ciocca dei suoi capelli (cosa di cui,
naturalmente, la donna informò la sua padrona) presi congedo dalla contessa, quando ciò
divenne necessario a cagione del ritorno di lei nei suoi possedimenti in Inghilterra; giurando
che l'avrei seguita appena una questione d'onore che avevo per le mani fosse stata condotta
a termine.

Tralascerò gli avvenimenti dell'anno che trascorse prima che io la rivedessi. Ella mi scrisse
secondo la sua promessa, con molta regolarità da principio, un po' meno di frequente in
seguito. Nel frattempo i miei affari al tavolo da giuoco non andavano troppo male, ed ero
proprio sul punto di impalmare la vedova Cornu (eravamo a Bruxelles in quell'epoca, e quella
povera creatura era pazzamente innamorata di me), quando mi capitò in mano la London
Gazette, ed io lessi il seguente annuncio:

"Deceduto a Castle Lyndon, nel regno d'Irlanda, il Molto Onorevole Sir Charles Lyndon,
Cavaliere del Bagno, Membro del Parlamento per Lyndon nel Devonshire, e per molti anni
rappresentante di Sua Maestà presso diverse Corti europee. Lascia dietro di sé un nome
caro a tutti i suoi amici per le sue numerose virtù ed i suoi svariati talenti, una reputazione
giustamente acquistata al servizio di sua Maestà, ed una vedova inconsolabile che piange la
sua perdita. Sua Signoria la vedova contessa di Lyndon era a Bath quando la raggiunse la
terribile notizia della dipartita del suo consorte, e si è affrettata a recarsi immediatamente in
Irlanda per compiere gli ultimi tristi doveri verso le adorate spoglie".

Quella sera stessa ordinai la mia carrozza e partii per Ostenda dove noleggiai un vascello
per Dover e, viaggiando rapidamente verso Ovest, raggiunsi Bristol; da questo porto mi
imbarcai per Waterford e mi ritrovai, dopo un'assenza di undici anni, nel mio paese natale.

Capitolo 14

RITORNO IN IRLANDA E FACCIO MOSTRA DEL MIO SPLENDORE E DELLA MIA


GENEROSITA' IN QUEL REGNO

Come erano cambiati per me i tempi, adesso! Quando avevo lasciato il mio paese ero un
povero ragazzo senza un soldo, soldato semplice in un miserabile reggimento di marcia. E
tornavo uomo compìto, con un patrimonio di circa cinquemila ghinee in mio possesso, con
uno splendido guardaroba e una cassetta di gioielli che valeva altre duemila ghinee; dopo
essermi mescolato a tutte le scene della vita, ed aver agito in esse da attore tutt'altro che
secondario; dopo aver fatto la mia parte in guerra e in amore; dopo essermi fatto strada con
il mio genio e la mia energia dalla povertà e dall'oscurità all'agiatezza ed allo splendore.

Nel guardare fuori dai finestrini della mia carrozza, che rotolava pesantemente lungo le nude
e squallide strade, presso le miserabili casupole dei contadini, che venivano fuori ravvolti nei
loro stracci spalancando gli occhi sullo splendido equipaggio che passava, e gridavano "urrà"
in onore di Sua Signoria nel vedere il magnifico straniero nella sua carrozza dorata, col mio
gigantesco domestico personale Fritz dritto dietro la carrozza coi suoi mustacchi arricciati e il
suo lungo codino e la sua livrea verde dagli alamari d'argento, non potevo fare a meno di
pensare a me stesso con notevole compiacimento, e ringraziare la mia stella che mi aveva
dotato di tante buone qualità. Se non fosse stato per i miei meriti sarei rimasto un rozzo
gentiluomo di campagna irlandese, simile a quelli che vedevo vagare per le miserabili città
attraverso le quali passava la mia carrozza percorrendo la strada verso Dublino. Avrei potuto
sposare Nora Brady (e benché, grazie a Dio, non lo abbia fatto, non ho mai pensato a quella
fanciulla altro che con tenerezza, e ricordai persino l'amarezza di averla perduta più
chiaramente, in quegli istanti, di qualsiasi altro caso della mia vita); avrei potuto essere ormai
padre di dieci figli, o fattore per mio conto, o amministratore di un gentiluomo di campagna, o
avvocato; ed eccomi invece uno dei più famosi gentiluomini d'Europa! Ordinai al mio
domestico di procurarsi un sacchetto di spiccioli e di gettarli alla folla mentre cambiavamo i
cavalli, e vi posso garantire che si levarono tante grida in mio onore quante se ne sarebbero
levate se fosse passato lord Townsend, il lord Luogotenente, in persona.

La seconda giornata di viaggio - perché le strade irlandesi erano molto cattive a quei tempi, e
le carrozze dei gentiluomini potevano procedere solo molto lentamente - mi portò a Carlow,
dove mi fermai alla stessa osteria in cui mi ero fermato undici anni prima, quando fuggivo da
casa dopo la supposta uccisione di Quin in duello. Come ricordo bene ogni istante della
scena! Il vecchio padrone che mi aveva servito allora non c'era più; la locanda che allora mi
era parsa tanto comoda appariva ora diroccata e miserabile; ma il chiaretto era buono come
ai vecchi tempi, ed io invitai l'oste a dividerne con me un'anfora, per sentire le novità del
paese.

Egli fu tanto comunicativo quanto lo sono di solito gli osti: mi parlò delle mèssi e dei mercati,
dei prezzi del bestiame all'ultima fiera di Castle Dermot, dell'ultima storiella sul pastore, e
dell'ultimo scherzo del curato Padre Hogan; mi raccontò che gli Whiteboys (20) avevano
bruciato i covoni di grano dello Squire Scanlan, e che i banditi avevano visto respinto il loro
assalto alla casa di Sir Thomas, mi disse dei soldati che c'erano in città, e come miss Biddy
Toole fosse scappata con il sottotenente Mullins: tutte le novità in fatto di sport, tribunali e
sessioni trimestrali mi furono riferite dettagliatamente da quel degno cronista in diciottesimo,
che si meravigliò molto che la mia Signoria non ne avesse udito parlare in Inghilterra o in altri
paesi esteri, dove egli credeva che la gente si interessasse quanto lui delle faccende di
Kilkenny e di Carlow.
Debbo ammettere che io ascoltai quei racconti con notevole piacere; perché di quando in
quando nella conversazione veniva a galla un nome che ricordavo dai tempi d'una volta,
portando con sé, per associazione di idee, un mucchio di antiche memorie.

Avevo ricevuto da mia madre molte lettere, che m'informavano delle vicende della famiglia di
Brady Town. Mio zio era morto e Mick, il figlio maggiore, lo aveva seguito nella tomba. Le
ragazze Brady si erano allontanate dal tetto paterno appena il fratello maggiore ne aveva
preso la direzione. Alcune si erano sposate, altre erano andate a stabilirsi con la loro vecchia
e odiosa madre in luoghi di bagni fuori mano. Ulick, benché fosse successo a suo padre
nella proprietà, aveva fatto bancarotta, ed ora Castle Brady era abitato soltanto dai pipistrelli,
dai gufi e dal vecchio guardiacaccia. Mia madre, la signora Harry Barry, era andata ad
abitare a Bray, per far parte delle devote parrocchiane del signor Jowls, il suo predicatore
favorito, che aveva lì una cappella; e alla fine l'oste mi disse che il figlio della signora Barry
era andato all'estero, si era arruolato al servizio dei Prussiani, ed era stato fucilato come
disertore!

Non mi vergogno di dire che dopo il pranzo presi a nolo dalla stalla dell'oste un grosso
ronzino, e al tramonto rifeci all'indietro venti miglia verso la mia vecchia casa. E il mio cuore
batté forte nel rivederla. Barryville aveva ora uno stemma con un pestello ed un mortaio sulla
porta, e portava il nome di "Magazzino di Esculapio", del Dottor Macshane. Un ragazzo dai
capelli rossi stava intonacando il nostro vecchio salotto; la vetrata della finestra della mia
camera, un tempo così pulita e splendente, era incrinata in vari punti, e tappata qua e là con
pezzi di carta e stracci; i fiori erano scomparsi dalle linde aiuole che la mia buona mamma
teneva tanto in ordine. Nel terreno dietro la chiesa c'erano incisi sulla pietra altri due nomi
sulla tomba di famiglia dei Brady: erano quelli di mio cugino, di cui mi importava assai poco,
e di mio zio, al quale avevo sempre voluto bene. Chiesi al mio vecchio compagno di giuochi,
il fabbro, che mi aveva picchiato tanto spesso ai tempi d'una volta, di dare al mio cavallo un
po' di foraggio e una lettiera: era un uomo dall'aspetto logoro e malaticcio, con una dozzina
di marmocchi stracciati che giuocavano nella sua bottega, e non riconobbe il distinto
gentiluomo che aveva dinanzi. Non cercai di farmi riconoscere da lui fino al giorno dopo,
quando gli misi in mano dieci ghinee, dicendogli di berle alla salute del Redmond inglese.

Quanto a Castle Brady, i cancelli del parco c'erano ancora; ma nel viale i vecchi alberi erano
stati abbattuti: qua e là sporgeva un vecchio moncone, che gettava lunghe ombre mentre io
passavo alla luce della luna sul vecchio sentiero abbandonato e invaso dall'erba. Alcune
vacche pascolavano qua e là. Il cancello del giardino non c'era più, e il giardino era tutto un
groviglio inselvatichito. Mi sedetti sul vecchio banco di pietra, dove m'ero seduto il giorno in
cui Nora si era presa giuoco di me. Credo che i miei sentimenti fossero ancora forti allora
come lo erano stati quand'ero un ragazzo, dieci anni prima; e fui quasi sul punto di rimettermi
a piangere, nel pensare che Nora Brady mi aveva abbandonato. Penso che un uomo non
possa dimenticare nulla: ho visto un fiore, ho udito qualche comunissima parola, che hanno
risvegliato ricordi che erano rimasti addormentati per decine d'anni; e quando entrai nella
casa in Clarges Street, in cui ero nato (era diventata una casa da giuoco, quando tornai per
la prima volta a Londra), tutto ad un tratto mi ritornò la memoria della mia infanzia - della mia
vera infanzia: ricordai mio padre vestito in verde e oro, che mi sollevava per farmi vedere un
cocchio dorato, e mia madre in un abito a fiorami, con i nei sulla faccia.
Mi domando se un giorno tutto ciò che abbiamo visto e pensato e fatto passerà in un lampo
attraverso la nostra mente in questo modo. Preferirei di no. Pure io provai tutto questo
mentre stavo seduto sulla panchina di Castle Brady, e pensavo ai tempi trascorsi.

La porta principale della casa era aperta - era stato sempre così in quella casa; - la luna
brillava sulle lunghe e vecchie finestre e tracciava linee spettrali sui pavimenti; e le stelle
occhieggiavano dall'altra parte nell'azzurro di una finestra che sbadigliava sul grande
scalone: di lì si poteva vedere la vecchia campana della stalla, con le lettere che vi
luccicavano ancora sopra. C'erano stati bei cavalli in quelle stalle un tempo; ed io potevo
vedere l'onesta faccia di mio zio e udirlo parlare ai suoi cani quando venivano saltando e
guaiolando e abbaiando intorno a lui in un'allegra mattina d'inverno. Noi solevamo montare a
cavallo lì; e le ragazze ci guardavano dalla finestra del vestibolo, là dov'ero ora io, che
guardavo i vecchi luoghi, tristi muffiti, abbandonati. Una luce rossa brillava attraverso le
fessure di una porta in un angolo del fabbricato, e all'improvviso venne fuori un cane,
abbaiando forte: e un uomo lo seguiva zoppicando, con un fucile da caccia in mano.

- Chi è là? - disse il vecchio.

- Phil Purcell, non mi riconoscete? - gridai io, - sono Redmond Barry.

Credo che se non avessi parlato il vecchio avrebbe fatto immediatamente fuoco su di me,
perché aveva puntato il fucile verso la finestra; ma io gli gridai di metterlo giù, e sceso dalla
finestra corsi ad abbracciarlo... Oibò! Non mi importa di raccontare il resto: Phil ed io
trascorremmo una lunga nottata, parlando di mille vecchie sciocchezze, che ormai non
hanno più interesse per anima viva, perché quale anima viva c'è ancora che si curi di Barry
Lyndon?

Lasciai un centinaio di ghinee al vecchio quando me ne tornai a Dublino, e gli fissai una
pensione che gli permise di passare tranquillamente gli ultimi giorni della sua vecchiaia.

Il povero Phil Purcell si stava divertendo a fare una partita con un mazzo di vecchie carte
spaventosamente sudicie, in compagnia di una mia vecchia conoscenza; la quale non era
altri che Tim, colui che veniva chiamato il mio "valletto" in tempi remoti, e che il lettore può
ricordare infagottato nelle vecchie livree di mio padre, che gli pendevano giù da tutte le parti
a quei tempi, e doveva rimboccarsele ai polsi ed alle ginocchia. Ma Tim, benché protestasse
di essere quasi morto di dolore quando io me n'ero andato, era diventato enormemente
grasso durante la mia assenza, e si sarebbe trovato quasi a suo agio negli abiti di Daniel
Lambert, o in quelli del Vicario di Castle Brady, che egli serviva in qualità di sagrestano. Lo
avrei preso al mio servizio se non fosse stato per le sue mostruose proporzioni, che lo
rendevano assolutamente inadatto al servizio di un gentiluomo di una certa condizione;
sicché gli regalai una bella somma, e gli promisi di fare da padrino al suo prossimo figlio:
l'undicesimo da quando me n'ero andato. Non c'è paese al mondo in cui il lavoro di
moltiplicarsi venga compiuto con tanta energia come nella mia isola natale. Il signor Tim
aveva sposato la cameriera delle mie cugine, che era stata una mia ottima amica ai vecchi
tempi. Il giorno dopo volli andare a salutare la cara Molly, e la trovai ridotta una povera donna
sudicia e trascurata in una capanna di terra, circondata da uno sciame di ragazzini quasi
stracciati come quelli del mio amico fabbro.

Da Tim e da Phil Purcell, che così per caso avevo incontrati insieme, appresi le notizie più
recenti circa la mia famiglia. Mia madre stava bene.

- In fede mia, signore - disse Tim - forse voi siete arrivato in tempo per impedire un
accrescimento della vostra famiglia.

- Signore! - esclamai io, pieno di indignazione.

- Nella forma di un padrigno, voglio dire, signore - si scusò Tim.

- La signora sta per mettersi d'accordo con Mister Jowls, il predicatore.

La povera Nora, aggiunse, aveva fatto parecchi accrescimenti all'illustre razza dei Quin; mio
cugino Ulick era a Dublino, e non andava troppo bene - temevano tutti e due i miei
informatori- e stava facendo in modo di mandare in malora anche gli scarsi residui di qualche
valore della proprietà che il mio buon vecchio zio aveva lasciato.

Vidi che avrei avuto non pochi membri della famiglia a cui provvedere; e poi per concludere
la serata Phil, Tim ed io prendemmo una bottiglia di usquebaugh (21), di cui avevo ricordato
il sapore per undici interi anni, e ci separammo con le più calde espressioni d'amicizia,
quando il sole era già da qualche tempo in cielo. Io sono troppo affabile: questa è sempre
stata una delle mie qualità caratteristiche. Non ho falso orgoglio, come ne hanno molti uomini
d'alto lignaggio come me, e in mancanza di miglior compagnia mi metto a bere in compagnia
di un contadino ignorante o di un soldato semplice con la stessa prontezza con cui mi
metterei col primo nobile del paese.

La mattina dopo feci ritorno al villaggio, e trovai un pretesto per visitare Barryville con la
scusa di voler acquistare certe droghe. Dal muro sporgevano ancora i ganci a cui solevo
appendere la mia spada dall'elsa d'argento; sul davanzale della finestra, dove mia madre
soleva appoggiare il suo "Whole Duty of Man", stava un vescicante. Quell'odioso Dottor
Macshane aveva scoperto chi ero (i miei compaesani scoprono sempre tutto, e anche
qualche altra cosa), e ridendo sotto i baffi mi chiese come stava il Re di Prussia quando lo
avevo lasciato, e se il mio amico l'Imperatore Giuseppe era amato quanto lo era stata
l'Imperatrice Maria Teresa.

I campanari avrebbero certo sonato un concerto di campane in mio onore, ma ce n'era


soltanto uno, Tim, troppo grasso per tirare le corde; ed io mi allontanai a cavallo prima che il
vicario, il Dottor Bolter (che era successo al vecchio signor Texter, che viveva ai miei tempi),
avesse il tempo di uscire a rendermi omaggio. Tutti i mascalzoncelli di quel miserabile
villaggio si erano radunati in un sudicio gruppo a darmi il benvenuto, e gridarono "Hurrà per
Master Redmond!" mentre io mi allontanavo a cavallo.

La mia gente stava molto in pensiero per me, quando tornai a Carlow, e il padrone della
locanda era stato in gran timore, mi disse, che i briganti di strada si fossero impadroniti di
me.

Anche qui avevano appreso il mio nome e la mia posizione dal mio domestico Fritz; che non
aveva risparmiato lodi al suo padrone, e aveva inventato storie meravigliose sul mio conto.
Aveva detto che veramente io ero in intimità con metà dei sovrani d'Europa, e il favorito di
molti di loro. In realtà io avevo fatto diventare ereditario l'Ordine dello Sperone di cui era
insignito mio zio, e viaggiavo sotto il nome di Cavaliere di Barry, ciambellano del Duca di
Hohenzollern Sigmaringen.

Mi diedero i migliori cavalli che ci fossero nella stalla per portarmi sulla strada di Dublino, e i
migliori finimenti che potessero trovare, e proseguimmo abbastanza bene, e non ci fu alcuno
scontro fra i briganti e le pistole di cui Fritz ed io eravamo provvisti. Quella sera riposammo a
Kilcullen, e il giorno dopo feci il mio ingresso nella città di Dublino, con quattro cavalli alla
carrozza, cinquemila ghinee nella borsa, ed una delle più brillanti reputazioni d'Europa, io
che avevo lasciato quella città undici anni prima come un povero miserabile ragazzo.

I cittadini di Dublino hanno un così grande e lodevole desiderio di conoscere gli affari dei loro
vicini quanto ne ha la gente di campagna; ed è impossibile per un gentiluomo, per modesti
che possano essere i suoi desideri (e tali sono stati notoriamente i miei per tutta la mia vita),
entrare nella capitale senza che il suo nome venga stampato in tutti i giornali e riportato in
tutti i circoli più importanti. Il mio nome ed i miei titoli si sparsero per tutta la città subito dopo
il mio arrivo. Una gran quantità di gentili persone mi fecero l'onore di passare dal mio
alloggio, quando me ne fui scelto uno: e fu questo un punto da sistemare immediatamente,
perché gli alberghi in città non erano che volgarissimi buchi, assolutamente inadatti per un
nobiluomo elegante e distinto come me. Ero già stato informato di questo fatto da altri
viaggiatori sul Continente; e deciso a trovare immediatamente un alloggio conveniente, feci
andare il cocchiere lentamente su e giù per le strade con la mia carrozza, fino a che non ebbi
scelto un posto quale si conveniva al mio rango. Questo modo di procedere, e le singolari
domande ed il contegno del mio tedesco Fritz, che aveva avuto l'ordine di fare le richieste del
caso nelle diverse abitazioni fino a che non fosse venuto fuori un alloggio adatto,
richiamarono attorno alla mia carrozza una folla immensa, e quando le nostre stanze furono
scelte, avreste potuto supporre che io fossi il nuovo comandante generale, tanto grande era
la moltitudine che ci seguiva.

Alla fine fissai un bell'appartamento in Capel Street, diedi agli stracciati postiglioni che mi
avevano condotto fin lì una splendida mancia, e dopo essermi installato in quelle stanze col
mio bagaglio e Fritz, chiesi al padron di casa di trovarmi un altro domestico che portasse la
mia livrea, un paio di robusti e fidati portatori con la loro portantina e un cocchiere che
avesse dei bei cavalli da tiro da darmi a nolo per la mia carrozza, e dei buoni cavalli da sella
da comprare. Gli diedi un buon anticipo; e vi assicuro che l'effetto della mia richiesta fu tale
che la mattina dopo ebbi in anticamera un vero e proprio ricevimento; palafrenieri, domestici
e maggiordomi vennero ad offrirsi in gran numero; per l'acquisto dei cavalli ebbi proposte
sufficienti a montare un reggimento, tanto da mercanti che da gentiluomini alla moda. Sir
Lawler Cawler venne a propormi la più elegante cavalla baia che mai si fosse vista; lord
Dundoodle aveva un tiro a quattro che non sarebbe stato inadatto neppure al mio amico
Imperatore; e il Marchese di Ballyragget mandò il suo valletto ed i suoi complimenti,
affermando che se volevo recarmi alle sue stalle, o fargli l'onore di fare la prima colazione
con lui, mi avrebbe mostrato i due più bei cavalli grigi d'Europa. Io decisi di accettare gli inviti
di Dundoodle e di Ballyragget, ma di acquistare i miei cavalli dai mercanti, che è sempre la
cosa migliore. Inoltre a quei tempi in Irlanda se un gentiluomo vi garantiva il suo cavallo, e
poi il cavallo non era perfetto o sorgeva qualche questione, l'unico rimedio che vi si offriva
era una pallottola nel panciotto. Io avevo giocato a quel giochetto delle pallottole troppo
seriamente per farne uso senza necessità:

e posso dire con orgoglio che non mi sono mai impegnato in un duello se non avevo una
ragione vera, valida e saggia per farlo.

C'era in quella nobiltà irlandese una semplicità che mi divertì e mi meravigliò nello stesso
tempo. Se raccontano più frottole che non i loro schietti vicini al di là del mare (22), d'altra
parte ne credono anche di più; e in una sola settimana io mi feci a Dublino una tale
reputazione, che ad acquistarsela a Londra ci sarebbero voluti dieci anni e un mucchio di
denaro. Io avevo vinto cinquecentomila sterline al gioco; io ero il favorito dell'Imperatrice
Caterina di Russia; ero l'agente di fiducia di Federico di Prussia; ero io che avevo vinto la
battaglia di Hochkirchen; ero il cugino di Madame Du Barry, il favorito del Re di Francia, e
mille altre cose ancora. Io stesso, a dire il vero, avevo accennato un certo numero di queste
storielle ai miei gentili amici Ballyragget e Gawler; ed essi non avevano tardato ad ampliare i
cenni dati da me.

Dopo aver visto gli splendori della vita civile all'estero, la vista di Dublino nell'anno 1771,
quando tornai laggiù, suscitò in me tutto fuorché rispetto. Era quasi arretrata come Varsavia,
senza la regale grandezza di quest'ultima. La gente appariva più stracciona di qualsiasi altra
popolazione che io avessi visto, tranne le orde di zingari lungo le rive del Danubio. Non c'era,
come ho già detto, in tutta la città una locanda in cui un gentiluomo di una certa condizione
potesse alloggiare. Quei disgraziati che non potevano tenere una carrozza e che
camminavano a piedi per le strade di sera, correvano continuamente il rischio di scontrarsi
con i coltelli delle donne e dei ruffiani che erano lì in attesa. C'era una quantità di straccioni e
barbari villanzoni che non conoscevano l'uso delle scarpe né del rasoio; e quando un
gentiluomo entrava nella sua carrozza o nella sua portantina, per recarsi ad una riunione
serale o a fare una partita, le torce dei valletti illuminavano una tale sfilata di selvagge facce
irlandesi che avrebbe spaventato qualsiasi persona dai nervi un po' sensibili. Fortunatamente
io avevo un sistema nervoso a tutta prova, e del resto avevo già conosciuto in precedenza i
miei amabili compaesani.

So che questa descrizione che ne faccio susciterà una certa ira tra i patrioti irlandesi, ai quali
non piace che si riveli la miseria del nostro paese, e che si arrabbiano se si dice tutta la
verità in proposito. Ma bah! era proprio una miserabile cittaduzza di provincia, Dublino, ai
tempi di cui parlo; e molte residenze tedesche di decimo ordine sono più raffinate. C'erano,
in compenso, in quel periodo, circa trecento Pari residenti, una Camera dei Comuni, un lord
Mayor e la sua Municipalità; ed un'allegra e rumorosa Università, i cui studenti facevano non
poco chiasso la notte, incrementavano l'attività delle prigioni, giocavano brutti tiri agli
stampatori e agli artigiani, e dettavano legge al Crow Street Theatre.

Ma ho visto troppa della miglior società d'Europa per essere molto tentato dalla compagnia di
quella rumorosa nobiltà, ed era troppo poco da gentiluomo mescolarsi alle dispute politiche
del lord Mayor e dei suoi Aldermen. Alla Camera dei Comuni vi erano dozzine di questi
simpatici individui, e nel Parlamento inglese non ho mai udito discorsi migliori di quelli fatti da
Flood e Daly di Galway.

Dick Sheridan, benché non fosse una persona ben educata, era un compagno di tavola
divertente e spiritoso quanto qualsiasi altro che io abbia mai incontrato; e benché durante gli
interminabili discorsi del signor Edmund Burke al Parlamento inglese io finissi sempre per
addormentarmi, pure ho sentito dire da persone ben informate che il signor Burke era
persona di notevole talento, ed era persino considerato eloquente nei suoi momenti più
favorevoli.

(23) Cominciai ben presto a godere pienamente di tutti i piaceri che consentono quei
disgraziati luoghi, e che erano, nei limiti delle possibilità di un gentiluomo, Ranelagh e il
Ridotto; il signor Mossop, in Crow Street; i ricevimenti del Lord Luogotenente, dove si beveva
troppo e si giocava troppo poco perché una persona che aveva abitudini eleganti e raffinate
come me ci si trovasse a suo agio. La "Daly's Coffeehouse" e le case dei nobili mi furono
ben presto aperte; ed io osservai con mio grande stupore nei circoli più elevati quello che già
avevo sperimentato nella mia prima disgraziata visita a Dublino, una straordinaria mancanza
di denaro, ed una ridicola quantità di biglietti privati in circolazione, contro cui non ero
assolutamente disposto a puntare le mie ghinee. Anche le signore andavano pazze per il
gioco: ma erano troppo poco disposte a pagare quando perdevano. Così quando la vecchia
Contessa di Trumpington perdette contro di me dieci monete d'oro a quadriglio, mi diede,
invece di denaro, un biglietto con la sua firma per il suo amministratore di Galway, biglietto
che io, con grande gentilezza, bruciai alla fiamma di una candela. Ma quando la Contessa mi
propose una seconda volta di giocare, io dissi che appena fossero arrivate le rendite di sua
Signoria sarei stato lietissimo di incontrarmi ancora con lei; ma che fino allora mi sarei
limitato a presentarle i miei umili omaggi. E mantenni questa risoluzione e questo particolare
atteggiamento in tutta la società di Dublino: dichiarando da "Daly's" che ero pronto a giocare
con chiunque, qualsiasi somma, a qualsiasi gioco; o a tirar di scherma con chiunque, o a
gareggiare con chiunque in fatto d'equitazione, di tiro al volo o di tiro al bersaglio: e in
quest'ultimo genere di sport, specialmente se si tratta di un bersaglio vivente, i gentiluomini
irlandesi di quell'epoca avevano un'abilità assolutamente fuori dell'ordinario.

Naturalmente mandai un corriere vestito della mia livrea a Castle Lyndon con una lettera
personale per Runt, chiedendogli tutti i possibili particolari sullo stato d'animo e di salute
della Contessa di Lyndon; e scrissi un'eloquente e commovente lettera a Sua Signoria in cui
la pregavo di ricordarsi dei giorni andati. La suggellai con un capello della ciocca che avevo
acquistato dalla sua cameriera, e nella quale le dicevo che Sylvander ricordava il suo
giuramento e non avrebbe mai dimenticato la sua Calista. La risposta che ricevetti da lei fu
estremamente poco soddisfacente e poco esplicita; quella del signor Runt abbastanza
esplicita, ma niente affatto soddisfacente come contenuto. Lord George Poynings, il figlio
minore del Marchese di Tiptoff, rendeva omaggi molto evidenti alla vedova; era legato alla
famiglia da vincoli di parentela, ed era stato chiamato in Irlanda quale esecutore
testamentario del defunto Sir Charles Lyndon.

Ora, c'era a quei tempi in Irlanda una specie di legge locale che riusciva di grande utilità alle
persone desiderose di una giustizia sbrigativa; e di cui i giornali dell'epoca contengono prove
a centinaia. Individui che portavano i nomi di battaglia di Capitano Fireball, Luogotenente
Buffcoat, Sottotenente Steele, mandavano ripetutamente lettere minatorie ai grandi
proprietari, e li ammazzavano se le richieste delle lettere non erano eseguite.

Nelle contee del sud dettava legge il famigerato Capitano Thunder, e sembrava che il suo
compito fosse di procurare una consorte ai gentiluomini che non avevano mezzi sufficienti
per piacere ai parenti delle signorine desiderate; o, forse, non avevano tempo per lunghi e
complicati corteggiamenti.

Io avevo trovato a Dublino mio cugino Ulick, divenuto molto grasso e molto povero;
perseguitato da ebrei e da creditori; rifugiato in ogni sorta di strani angoletti, da cui usciva al
tramonto per recarsi al Castello, o a giocare alle carte nella sua taverna; ma era sempre un
tipo coraggioso: e con lui feci allusione ai miei sentimenti verso Lady Lyndon.

- La Contessa di Lyndon! - disse il povero Ulick; - beh, questa è magnifica! Anch'io ho avuto
una forte inclinazione per una signorina, una della famiglia dei Kiljoys di Ballyhack, che ha
diecimila sterline di patrimonio personale e che è sotto la tutela di Sua Signoria; ma come
può un povero diavolo che non ha nemmeno un mantello per coprirsi fare proposte ad
un'ereditiera in simile compagnia? Tanto varrebbe che io chiedessi la mano della Contessa in
persona.

- Faresti meglio a non farlo - dissi io, ridendo; - chiunque ci provi correrà il rischio di uscire
prima dal novero dei viventi.- E gli spiegai le mie personali intenzioni nei riguardi di Lady
Lyndon. L'onesto Ulick, il cui rispetto per me era divenuto prodigioso da quando aveva visto il
mio splendido aspetto e udito le mie mirabili avventure e la mia grande esperienza della vita
elegante, si perdette nell'ammirazione della mia energia e del mio coraggio, quando gli
confidai il mio proposito di sposare la più grande ereditiera d'Inghilterra.

Ordinai ad Ulick di uscire di città col pretesto che preferiva, e di imbucare una lettera
all'ufficio postale vicino a Castle Lyndon, lettera che preparai con una scrittura contraffatta,
ed in cui avvertivo solennemente lord George Poynings di lasciare il paese, dicendo che una
mèta così grandiosa non era destinata a lui, e che c'erano ereditiere a sufficienza in
Inghilterra, senza che egli venisse a rubarsele "dai domini del Capitano Fireball".

La lettera era scritta su un pezzo di carta sudicia, con ogni sorta d'errori d'ortografia: arrivò a
milord a giro di posta, e naturalmente egli, essendo un giovane di spirito, ne rise molto.

Per sua disgrazia, egli fece la sua comparsa a Dublino poco tempo dopo; fu presentato al
Cavaliere Redmond Barry alla tavola del Lord Luogotenente; si recò con lui e con parecchi
altri gentiluomini al club, da "Daly's", e lì, in una discussione sulla genealogia di un cavallo, in
cui tutti dissero che ero io che avevo ragione, volarono parole grosse, e ne seguì uno
scontro. Non avevo ancora avuto affari del genere dopo il mio arrivo a Dublino, e la gente era
ansiosa di vedere se ero pari alla mia fama. Io non faccio mai vanterie in proposito, ma
quando viene il momento non mi tiro mai indietro; e il povero lord George, che aveva buona
mano e occhio pronto ma era stato allevato alla grossolana scuola inglese, rimase in piedi
davanti alla mia spada solo fino a che non ebbi deciso dove lo avrei colpito.

La mia spada penetrò sotto la sua guardia, e gli uscì dalla schiena. Mentre cadeva, col suo
buon carattere egli mi stese la mano dicendo:

- Signor Barry, avevo torto io!

- Io non mi sentii troppo a mio agio quando il povero diavolo fece quella confessione; perché
la disputa era partita da me e, per dire il vero, io non avevo mai avuto intenzione di farla
finire altrimenti che con uno scontro.

Rimase quattro mesi a letto in seguito a quella ferita; e la stessa posta che portò a Lady
Lyndon la notizia del duello, le portò un messaggio del Capitano Fireball, che diceva:
"Questo è il numero uno!" - E tu, Ulick - aggiunsi - potresti essere il numero due.

- In fede mia - disse mio cugino - basta uno!

Ma io avevo i miei piani nei suoi riguardi, e decisi immediatamente di beneficare quel bravo
figliolo e di condurre a termine i miei progetti nei riguardi della vedova.
Capitolo 15

FACCIO LA CORTE A MILADY LYNDON

Dato che la condanna di mio zio Mister Balibari per essere uscito dall'Irlanda col Pretendente
nel 1745 non era stata annullata, sarebbe stato poco opportuno per lui accompagnare suo
nipote nella terra dei nostri avi, dove, se non l'impiccagione, almeno un fastidioso processo,
la prigionia e un dubbio perdono aspettavano il vecchio signore. In ogni importante crisi della
mia vita, i suoi consigli erano stati sempre importantissimi per me, ed io non mancai di
andarne in cerca in quel frangente, e di implorare, per lettera, i suoi consigli in quel che
concerneva i miei corteggiamenti alla vedova. Gli raccontai la situazione in cui si trovava il
cuore di lei, come l'ho descritta nello scorso capitolo; i progressi che il giovane Poynings
aveva fatto nel suo affetto, e l'oblìo in cui ella aveva posto il suo vecchio ammiratore; e ne
ricevetti in risposta una lettera piena di eccellenti suggerimenti, di cui non mancai di seguire.

Il gentile cavaliere apriva la lettera dicendo che in quel momento si trovava a pensione nel
convento dei Frati Minori a Bruxelles; che pensava di cercare lì la sua salvezza, e di ritirarsi
per sempre dal mondo, dedicandosi alle più severe pratiche della religione.
Contemporaneamente mi scriveva circa l'amabile vedova:

era naturale che una persona della sua condizione finanziaria, con un fisico non spiacevole,
avesse attorno molti adoratori. Ma poiché, quando suo marito era ancora in vita, si era
mostrata non del tutto maldisposta a ricevere i miei omaggi, non potevo aver dubbi sul fatto
che io non ero il primo che ella avesse favorito in quel modo; e che probabilmente non sarei
stato neppure l'ultimo.

"Vorrei proprio, caro figliolo", aggiungeva, "che quella sgradevole condanna che mi opprime
come un laccio al collo, e la risoluzione che ho preso di ritirarmi da un mondo tutto vanità e
peccato, non mi impedissero di venire personalmente in tuo aiuto in questa delicata crisi che
attraversano le tue faccende; perché, per condurli a buon fine, esse richiedono non solo il
coraggio indomabile, l'audacia e la vanagloria che tu possiedi più di qualsiasi altro giovanotto
che io abbia mai conosciuto" (quanto alla "vanagloria", come la chiamava il cavaliere, la
nego assolutamente, essendo sempre stato molto modesto nel mio contegno); "ma benché
tu abbia la vigoria per eseguirli, non hai l'ingegno che suggerisce i piani di condotta per
portare a termine un progetto che sarà probabilmente di esecuzione lunga e difficile. Avresti
mai pensato, tu, a quel brillante progetto sulla Contessa Ida, che fu sul punto di conquistarti il
maggior patrimonio d'Europa, se non fosse stato per i consigli e l'esperienza di un povero
vecchio, che tira ora le somme dei suoi conti col mondo, ed è sul punto di ritirarsi da esso
per sempre?

"Bene, per quel che riguarda la Contessa di Lyndon, il tuo modo di conquistarla è, secondo
me, attualmente del tutto "en l'air"; né io posso consigliarti giorno per giorno, come vorrei
poter fare, a mano a mano che si presentano le circostanze. Ma il tuo piano generale
dovrebbe essere questo. Se ben ricordo le lettere che solevi ricevere da lei durante il periodo
di corrispondenza che quella sciocca ebbe con te, passarono tra voi espressioni molto
elevate; specialmente quelle scritte da Sua Signoria stessa, che è una "bas-bleu", e va
pazza per scrivere; essa soleva fare dei suoi dissensi col marito il continuo tema della sua
corrispondenza (come fanno le donne). Io ricordo diversi passaggi delle sue lettere in cui
essa deplorava amaramente il proprio destino, che l'aveva unita ad un uomo così indegno di
lei.

"Certamente, nella massa di biglietti da lei inviati di cui sei in possesso, dev'esserci
abbastanza per comprometterla. Studiateli bene, scegli i passaggi adatti, e minaccia di
comprometterla.

Scrivile dapprima in un tono da non lasciar dubbi, come un innamorato che ha tutti i diritti su
di lei. Poi, se lei tace, fai le tue rimostranze, alludendo alle sue precedenti promesse;
producendo le prove della sua precedente considerazione per te; giurando disperazione,
distruzione, vendetta, se si mostra infedele. Spaventala - stupiscila con qualche tratto
temerario, che le mostri la tua indomabile risoluzione: sei uomo da farlo. La tua spada ha
una notevole reputazione in Europa, e tu hai un carattere abbastanza sfrontato; questa fu la
prima cosa che fece volgere su di te gli sguardi di Lady Lyndon. Fa' che la gente parli di te, a
Dublino. Sii splendido, audace e stravagante quanto più possibile. Come vorrei esserti
vicino! Tu non hai sufficiente immaginazione per farti una personalità come quella che ti
creerei io... ma perché parlare così? Non ne ho forse abbastanza del mondo e delle sue
vanità?"

C'era molto buon senso e molta praticità in questi consigli, che riporto qui, senza
accompagnarli con le lunghe descrizioni delle mortificazioni e delle devozioni a cui mio zio si
dedicava, terminando come al solito la sua lettera con le più fervide preghiere per la mia
conversione alla vera fede. Ma egli era costante nella sua forma di convinzione religiosa; ed
io, da uomo d'onore e di principi, ero saldo nella mia; e non ho alcun dubbio che l'una, da
questo punto di vista, fosse tanto accettabile quanto l'altra.

Attenendomi dunque a queste direttive scrissi a lady Lyndon, al mio arrivo, per chiederle
quando al più rispettoso dei suoi ammiratori avrebbe potuto essere permesso di intromettersi
nel suo dolore. Poi, dato che Sua Signoria restava silenziosa, le chiesi se aveva forse
dimenticato i tempi trascorsi, e una persona che era stata favorita della sua intimità in quel
periodo così felice.
Aveva Calista dimenticato Eugenio? Contemporaneamente mandai per mezzo del mio
domestico insieme a questa lettera il dono di una piccola spada a lord Bullingdon, e un
biglietto personale al suo istitutore; di cui, fra l'altro, possedevo un impegno scritto per una
somma, di cui non ricordo l'entità, ma che era certo molto più di quanto il povero diavolo
fosse in grado di pagare. A questo punto mi venne una risposta dal segretario di lady
Lyndon, nella quale si affermava che Sua Signoria era ancora troppo turbata dal dolore per
la sua recente, terribile disgrazia per vedere chicchessia, all'infuori dei suoi parenti; e un
biglietto del mio amico, l'istitutore del ragazzo, che dichiarava che lord George Poynings era
il giovane consanguineo che si accingeva a consolarla.

Fu questo che cagionò la lite di cui ho già parlato, fra me e quel giovane gentiluomo; che io
ebbi cura di sfidare non appena arrivò a Dublino.

Quando la notizia del duello fu portata alla vedova a Castle Lyndon, il mio informatore mi
scrisse che lady Lyndon si mise a strillare gettando via il giornale, ed esclamò: - Quell'orribile
mostro! Non arretrerebbe dinnanzi ad un assassinio, credo - e il piccolo lord Bullingdon,
traendo la spada, la spada che gli avevo dato io, a quel briccone! dichiarò che avrebbe
ucciso con quella l'uomo che aveva ferito il cugino George. E quando il signor Hunt gli disse
che ero io il donatore di quell'arma, quel piccolo furfante giurò ancora che mi avrebbe
ammazzato lo stesso! In verità, ad onta della mia gentilezza verso di lui, sembrava che quel
ragazzo mi detestasse sempre più.

Sua Signoria mandava ogni giorno corrieri ad informarsi della salute di lord George; e,
pensando tra me che probabilmente ella si sarebbe indotta a venire a Dublino se avesse
saputo che lui era in pericolo, feci in modo di farle sapere che era in uno stato piuttosto
precario; che stava sempre peggio e che in seguito a questo Redmond Barry era scappato.
Di questa fuga feci in modo che desse notizia anche il giornale Mercury, ma in realtà non
andai più lontano della città di Bray, dove abitava la mia buona madre; e dove, trovandomi in
difficoltà per un duello, potevo star sicuro di essere il benvenuto.

Quei lettori che hanno in mente un forte senso del dovere filiale, si meraviglieranno che io
non abbia ancora descritto il mio incontro con mia madre, i cui sacrifici per me in giovinezza
erano stati così notevoli, e per la quale un uomo della mia calda ed affettuosa natura non
poteva fare a meno di provare il più durevole e sincero riguardo.

Ma un uomo che agisce nell'alta sfera della società in cui ora mi trovavo io, ha i suoi doveri
pubblici da compiere prima di pensare ai suoi sentimenti privati; sicché appena arrivato io
inviai un messaggero alla signora Barry, annunciandole il mio arrivo, inviandole i sensi del
mio rispetto e della mia devozione, e promettendo di andare a rinnovarglieli di persona
appena le occupazioni che avevo a Dublino me lo avessero permesso.
Queste, non ho bisogno di dirlo, erano molto importanti. Io avevo i miei cavalli da comperare,
il mio alloggio da sistemare, la mia "entrée" nella buona società da fare; e, avendo
annunciato la mia intenzione di acquistare cavalli e di vivere con un certo stile, in un paio di
giorni fui talmente importunato da visite della nobiltà e del mondo elegante, e così assillato
da inviti a pranzo e a cena, che per parecchi giorni divenne per me estremamente difficile
andare a compiere la visita tanto desiderata alla signora Barry.

Mi risulta che quella buona creatura preparò un ricevimento appena ebbe saputo del mio
arrivo, e invitò a parteciparvi tutte le sue umili conoscenze di Bray, ma in seguito io mi trovai
impegnato con Milord Ballyragget per il giorno fissato, e fui, naturalmente, costretto a non
tener fede alla promessa che avevo fatto a mia madre di essere presente al suo modesto
festino.

Cercai di addolcire il suo disappunto mandandole un bel mantello di seta e un abito di


velluto, che comperai dal miglior negoziante di stoffe di Dublino (anzi le dissi che li avevo
portati da Parigi apposta per lei); ma il messaggero che inviai con i doni riportò indietro i
pacchi, con la pezza di seta stracciata proprio nel mezzo: ed io non ebbi bisogno delle sue
descrizioni per rendermi conto del fatto che qualche cosa aveva offeso la buona signora, che
era venuta fuori, egli disse, e lo aveva ingiuriato sulla porta, e gli avrebbe tirato le orecchie,
se ciò non le fosse stato impedito da un signore in nero, che io conclusi giustamente
dovesse essere il suo amico ecclesiastico, il signor Jowls.

Questo modo di ricevere i miei doni mi rese più timoroso che speranzoso di un incontro con
mia madre, e fece rimandare ancora di qualche giorno la visita che intendevo farle. Le scrissi
una rispettosa e carezzevole lettera, che non ricevette risposta, benché le avessi raccontato
che durante il mio viaggio verso la capitale ero stato a Barryville, e avevo visitato ancora una
volta i luoghi della mia giovinezza.

Non mi vergogno di ammettere che mia madre è l'unico essere umano che io abbia paura di
affrontare. Ricordavo i suoi accessi di collera quand'ero bambino, come pure le riconciliazioni
che seguivano, e che erano di solito anche più violente e penose; sicché, invece di andare di
persona, mandai il mio factotum, Ulick Brady, a trovarla; ed egli tornò indietro dicendo che
aveva avuto una tale accoglienza, che non si sarebbe sentito di subirla un'altra volta neppure
per venti ghinee: che era stato cacciato via dalla casa, con la rigorosa ingiunzione di
informarmi che mia madre mi rinnegava per sempre. Questo domestico anatema, a dir vero,
mi colpì profondamente, perché io ero sempre stato il più rispettoso dei figli; sicché decisi di
andare personalmente appena possibile, e di sfidare quella che sapevo sarebbe stata
un'inevitabile scena di rimproveri e di collera, in vista, almeno lo speravo, di una sicura
riconciliazione Una sera avevo dato un ricevimento in onore della compagnia più distinta di
Dublino, e stavo accompagnando Milord il marchese di... X giù per le scale con un paio di
candelieri, quando trovai una donna vestita di un mantello nero seduta sui gradini del mio
portone; e, prendendola per una mendicante, le porsi una moneta, mentre i miei nobili amici,
che erano piuttosto alticci, le rivolgevano qualche frizzo, mentre io chiudevo la porta e
auguravo loro la buona notte.
Fui piuttosto sorpreso e colpito scoprendo in seguito che quella donna incappucciata non era
altri che mia madre; che spinta dall'orgoglio aveva fatto voto di non varcare la soglia di casa
mia, ma i cui materni sentimenti le avevano ispirato il desiderio di rivedere ancora una volta il
viso di suo figlio, e che si era per questo così incappucciata e si era messa sulla mia soglia.
In realtà, nella mia lunga esperienza ho constatato che queste sono le sole donne che non
deludono mai un uomo e i cui affetti rimangono costanti attraverso tutte le prove. Pensate
alle ore che quella cara anima deve aver passato, sola nella strada, ascoltando il frastuono e
l'allegria nei miei appartamenti, il tintinnio dei bicchieri, le risate, i canti e gli scherzi!

Quando accadde il mio duello con lord George, divenne necessario per me, per le ragioni
che ho già esposte, levarmi di mezzo.

"Ora", pensai, "è il momento di fare la pace con la mia buona madre: essa non mi rifiuterà un
asilo, ora che sono nei guai".

Così, facendola avvertire che stavo per arrivare, e che avevo avuto un duello che mi aveva
messo negli impicci e rendeva necessario che mi nascondessi, seguii il mio messaggero a
mezz'ora di distanza; e vi posso assicurare che non mancai di essere ben ricevuto, perché,
quando fui introdotto in una stanza vuota dalla domestica scalza che era al servizio della
signora Barry, la porta si aprì immediatamente, e la povera madre si gettò fra le mie braccia
con un grido, e con trasporti di gioia tali che non tenterò neppure di descriverli, ma che
saranno certo compresi dalle donne che hanno tenuto fra le braccia il loro unico figlio dopo
essere state dodici anni lontane da lui.

Il Reverendo Jowls, il direttore spirituale di mia madre, fu la sola persona alla quale venne
aperta la porta della sua abitazione durante il mio soggiorno, perché non avrebbe ammesso
dinieghi.

Egli si preparò subito un bicchiere di punch al rum, che sembrava avesse l'abitudine di bere
a spese della mia buona madre; cominciò a borbottare forte, e a farmi una predica sulla
peccaminosità dei miei passati trascorsi, e specialmente dell'ultima orribile azione che avevo
commesso.

- Peccatore! - diceva mia madre, arrabbiandosi fortemente nel sentir attaccare suo figlio; -
certo, noi siamo tutti peccatori; e siete proprio voi, signor Jowls, che mi avete dato
l'inesprimibile benedizione di farmi apprendere questo. Ma come avreste voluto che il povero
ragazzo si comportasse altrimenti?

- Io avrei voluto che il signore qui presente evitasse tanto di bere che di attaccar briga, e del
pari quel dannato duello rispondeva l'ecclesiastico.
Ma mia madre tagliò corto a questi discorsi, dicendo che un simile tipo di condotta avrebbe
potuto andare benissimo per una persona del suo abito e della sua nascita, ma che non si
addiceva né a un Brady né ad un Barry. In realtà, ella era assolutamente incantata dall'idea
che avevo ferito in duello il figlio di un marchese inglese, e così, per consolarla, gliene
raccontai un'altra diecina in cui ero stato implicato, e di cui ho già, almeno in parte, informato
il lettore.

Dato che il mio ultimo avversario era fuori di pericolo quando feci il resoconto del rischio che
avevo corso, non c'era nessuna particolare necessità che la mia reclusione fosse molto
rigorosa.

Ma la vedova non conosceva bene come me tutta la faccenda, e tenne la sua casa
addirittura barricata, mettendo Becky, la scalza servetta, continuamente in sentinella per dare
l'allarme, se le guardie fossero venute a cercarmi.

Ma la sola persona che io aspettavo era mio cugino Ulick, che doveva portarmi la desiderata
notizia dell'arrivo di lady Lyndon; e debbo ammettere che, dopo due giorni di rigoroso
confinamento a Bray, in cui raccontai a mia madre tutte le avventure della mia vita e riuscii a
farle accettare gli abiti che prima aveva rifiutato ed una notevole aggiunta alle sue entrate
che fui ben lieto di fare, fui molto soddisfatto quando vidi quel reprobo di Ulick Brady, come lo
chiamava mia madre, fermarsi alla porta nella mia carrozza, con le desiderate notizie: per
mia madre che il giovane lord era fuori pericolo, per me che la Contessa di Lyndon era
arrivata a Dublino.

- Avrei voluto, Redmond, che quel giovane fosse stato in pericolo un po' più a lungo - disse la
vedova, con gli occhi pieni di lacrime - così ti saresti trattenuto un po' di più con la tua povera
vecchia madre. - Ma io asciugai le sue lacrime abbracciandola teneramente, e promettendo
di tornare a trovarla spesso; e accennai che avrei potuto forse un giorno avere una casa mia
propria ed una nobile nuora a darle il benvenuto.

- E chi è, caro Redmond? - chiese la vecchia signora.

- Una delle più ricche e più nobili donne dell'Impero, madre mia- risposi io. - Niente più Brady
questa volta - aggiunsi ridendo: e con queste speranze lasciai la signora Barry di ottimo
umore.

Nessun uomo è meno capace di me di serbar rancore; e una volta che ho sostenuto il mio
punto divento una delle persone più pacifiche del mondo. Mi ero trattenuto a Dublino una
settimana prima che ritenessi necessario lasciare quella capitale; e in quel frattempo mi ero
completamente riconciliato col mio rivale; mi ero fatto un punto d'onore di andarlo a trovare,
e divenni ben presto suo intimo consolatore al suo capezzale. Aveva un valletto con cui non
mancai di mostrarmi molto gentile, e verso il quale ordinai ai miei sottoposti di usare ogni
riguardo; perché ero naturalmente ansioso di apprendere qual'era stata realmente la
posizione di lord George verso la signora di Castle Lyndon, se c'erano altri corteggiatori
attorno alla vedova, e come aveva accolto la notizia della ferita di lui.

Fu il giovane gentiluomo in persona che mi illuminò in qualche modo sull'argomento che ero
tanto desideroso di conoscere.

- Cavaliere - mi disse una mattina che ero andato a rendergli omaggio - trovo che voi siete
una vecchia conoscenza della mia parente, la Contessa di Lyndon. Essa mi scrive una
pagina di insulti sul vostro conto, qui in una lettera; e la parte strana di questa storia è che un
giorno, quando si parlò di voi a Castle Lyndon, e dello splendido equipaggio di cui facevate
pompa a Dublino, la bella vedova giurò e protestò che non aveva mai sentito parlare di voi.

"Oh sì, mamma", disse il piccolo Bullingdon, "quell'uomo alto e bruno che era a Spa, con
quel tic all'occhio, che faceva bere il mio istitutore e che mi mandò per regalo la spada: si
chiamava proprio Barry". Ma Milady ordinò al ragazzo di uscire dalla stanza, e insistette
nell'affermare che non vi conosceva.

- E voi siete un parente ed amico di lady Lyndon? - chiesi io, in tono di profonda sorpresa.

- Si, certo - rispose il giovane gentiluomo. - Ho lasciato la sua casa solo per ricevere da voi
questa brutta ferita. E mi è capitata proprio in un momento disgraziato.

- Perché più disgraziato di un altro?

- Diamine, vedete voi, cavaliere. Io credo che la vedova non fosse del tutto insensibile alla
mia corte. Credo che avrei potuto indurla a stringere maggiormente i nostri rapporti; e in fede
mia, benché sia un po' più vecchia di me, è il più ricco partito che ci sia ora in Inghilterra.

- Milord George - dissi io - volete permettermi di farvi una franca, ma strana domanda?
volete mostrarmi le sue lettere?

- No, non farò davvero una cosa simile - ribatté lui tutto arrabbiato.
- Perbacco, non vi inquietate. Se io vi mostro delle lettere mandate da lady Lyndon a me, mi
farete vedere le vostre?

- Che cosa intendete dire, signor Barry, in nome del cielo?

esclamò il giovane.

- Intendo dire che io amavo appassionatamente lady Lyndon. Intendo dire che io... che io
non le ero del tutto indifferente. Intendo dire che l'amo alla follia anche adesso, e che mi
ucciderò, o ucciderò l'uomo che la possieda prima di me.

- Voi, sposare la maggior ereditiera e il più nobile sangue d'Inghilterra? - esclamò


alteramente lord George.

- Non c'è in Inghilterra sangue più nobile del mio - risposi io; e vi dico che io non so se
sperare o no. Ma questo so, che ci furono giorni in cui, povero come sono, la grande
ereditiera non sdegnò di abbassare lo sguardo sulla mia povertà, e che chiunque voglia
sposarla dovrà passare sul mio cadavere per farlo. E' una fortuna per voi - aggiunsi
fieramente - che, in occasione del mio scontro con voi, io non sapessi quali erano le vostre
mire su lady Lyndon.

Mio povero ragazzo, voi siete coraggioso, ed io vi voglio bene. Ma la mia è la prima spada
d'Europa, e voi giacereste ora in un letto molto più stretto di quello che occupate adesso!

- Ragazzo! - esclamò lord George - se non ho neanche quattro anni meno di voi.

- Avete quarant'anni meno di me in fatto d'esperienza. Io ne ho passate di tutti i generi, nella


vita. Ho fatto fortuna con la mia abilità e il mio coraggio. Ho partecipato a quattordici battaglie
campali in qualità di soldato semplice, e sono sceso sul terreno ventitré volte, e non sono
stato toccato che una volta: ed è stato dalla spada di un maestro d'armi francese, che ho
ucciso. Ho esordito nella vita a diciassette anni, povero come un mendicante, ed ora a
ventisette anni possiedo 20.000 ghinee. Immaginate che un uomo del mio coraggio e della
mia energia non riesca a raggiungere tutto ciò a cui aspira, e che avendo dei diritti sulla
vedova, non li farò valere?

Questo discorso non era tutto vero alla lettera (perché io avevo un po' moltiplicato il numero
delle mie battaglie e dei miei duelli, e specialmente le mie ricchezze); ma vidi che aveva fatto
l'impressione che desideravo sulla mente di quel giovane gentiluomo. Egli ascoltò le mie
affermazioni con particolare serietà, e lo lasciai immediatamente solo a digerirle.
Dopo un paio di giorni tornai di nuovo a trovarlo, e portai con me alcune delle lettere che ci
eravamo scambiati con lady Lyndon.

- Ecco - dissi - guardate... ve la mostro in confidenza.... questa è una ciocca di capelli di Sua
Signoria; ecco le sue lettere, firmate Calista e indirizzate ad Eugenio. Ecco qua una poesia,
"Quando il Sole abbellisce il prato con la sua luce, e la pallida Cintia sparge i suoi raggi",
indirizzata da Sua Signoria al vostro umile servitore.

- Calista! Eugenio! Il Sole abbellisce il prato con la sua luce?- esclamò il giovane lord. - Sto
forse sognando? Diamine, mio caro Barry, la vedova ha mandato anche a me proprio la
stessa poesia!

"Rallegrandosi ai raggi del sole, O meditando nella grigia sera...".

Non potei fare a meno di ridere mentre egli continuava la citazione. Effettivamente, erano
proprio le stesse parole che la mia Calista aveva rivolto a me. E paragonando le lettere,
trovammo che interi squarci d'eloquenza che figuravano in una delle due corrispondenze
apparivano anche nell'altra. Guardate un po' a che cosa porta fare la "bas-bleue", e avere la
mania di scriver lettere!

Poi il giovane depose le lettere molto turbato.

- Bene, sia ringraziato il cielo! - disse dopo una pausa di una certa durata - sia ringraziato il
cielo, per questa liberazione!

Ah, signor Barry, che donna avrei potuto sposare, se queste carte non fossero
fortunatamente capitate sulla mia strada! Io pensavo che lady Lyndon avesse un cuore,
signore, debbo confessarlo, ma non un cuore così caldo; e che almeno ci si potesse fidare di
lei.

Ma sposarla ora! Vorrei piuttosto mandare in strada il mio domestico a cercarmi una moglie,
che prendere una matrona di Efeso (24) come questa.

- Milord George - dissi io - voi conoscete poco il mondo.

Ricordatevi che razza di marito aveva lady Lyndon, e non meravigliatevi ch'ella, da parte sua,
potesse essergli indifferente. Mi permetto di assicurarvi che non ha mai oltrepassato i limiti di
una innocua galanteria, o peccato altrimenti che nel comporre un sonetto o un "billet-doux".
- Mia moglie - disse il giovane lord - non scriverà né sonetti né "billets-doux"; e sono
sinceramente lieto di pensare che ho penetrato in tempo la vera essenza di una strega
senza cuore di cui ho creduto per un momento di essere innamorato.

Il giovane ferito era, come ho detto, molto giovane ed inesperto nelle cose di questo mondo:
perché supporre che un uomo lasci andare quarantamila sterline all'anno soltanto perché la
signora che le possiede, ha scritto alcune lettere sentimentali ad un giovanotto, è troppo
assurdo. Oppure, come propendo a credere, era lieto di trovare una scusa per abbandonare
completamente il campo, non essendo in alcun modo ansioso di incontrare una seconda
volta l'invincibile spada di Redmond Barry.

Quando l'idea del pericolo che correva Poynings, o i rimbrotti che probabilmente egli aveva
rivolto alla vedova riferendosi a me, ebbero portato a Dublino quella troppo debole donna,
come io mi aspettavo, ed il mio degno Ulick mi ebbe informato dell'arrivo di lei, io lasciai la
mia buona madre completamente riconciliata con me (era stato questo l'effetto del duello), e
trovai che la sconsolata Calista aveva preso l'abitudine di recarsi a far visita al ferito
innamorato: con grande noia di codesto gentiluomo, almeno così mi dissero i domestici. Gli
Inglesi sono spesso assurdamente alteri e sdegnosi su un puntiglio; e dopo aver saputo della
condotta della sua parente lord Poynings aveva giurato che non avrebbe più avuto nulla a
che fare con lei.

Io ricevetti questa informazione dal valletto di Sua Signoria; del quale, come ho detto, avevo
avuto particolarmente cura di diventare amico: né il suo portiere si rifiutò di farmi entrare,
quando decisi di andare ancora a fargli visita, come prima.

Milady aveva probabilmente dato, come me, una mancia a quel degno uomo; perché era
riuscita a salire di sopra, benché le fosse stato dapprima negato l'ingresso: e di fatto io
l'avevo tenuta d'occhio da quando era uscita da casa fino all'appartamento di lord George
Poynings, e l'avevo vista discendere dalla sua portantina lì davanti ed entrare, prima di
seguirla io stesso.

Mi proponevo di aspettarla tranquillamente nell'anticamera, e di farle lì una scena,


rimproverandola della sua infedeltà, se fosse stato necessario; ma le cose andarono in modo
molto più conveniente per me, poiché, entrando senza essere annunciato nell'anticamera
degli appartamenti di Sua Signoria, ebbi la felicità di udire nella camera vicina, la cui porta
era socchiusa, la voce della mia Calista. Essa piangeva a calde lacrime, appellandosi al
povero ammalato, che giaceva confinato nel suo letto, e parlando nel modo più
appassionato.
- Che cosa può avervi condotto a dubitare della mia fedeltà, George? - ella diceva. - Come
potete spezzare il mio cuore sbarazzandovi di me in questa mostruosa maniera? Volete
trarre la vostra povera Calista al sepolcro? Bene, bene, raggiungerò laggiù il caro angelo
scomparso.

- Che vi è entrato solo da tre mesi - disse lord George, sogghignando. - C'è proprio da
meravigliarsi che gli abbiate sopravvissuto così a lungo.

- Non trattate la vostra povera Calista in questo modo crudele, Antonio! (25) - esclamò la
vedova.

- Bah! - disse lord George - la mia ferita va male. I miei dottori mi hanno proibito di parlare a
lungo. Immaginate che il vostro Antonio sia stanco, mia cara. Non potete consolarvi con
qualcun altro?

- Cielo, lord George! Antonio!

- Consolatevi con Eugenio - disse il giovane gentiluomo amaramente, e si mise a suonare il


campanello; al suono venne fuori il suo domestico, che stava in una camera più interna, ed
egli gli ordinò di riaccompagnare Sua Signoria.

Lady Lyndon uscì dalla camera con gran trambusto. Era vestita a lutto stretto, con un velo
sul viso, e non riconobbe la persona che aspettava in anticamera. Ma mentre scendeva le
scale io le corsi dietro agilmente, e mentre il suo cocchiere le apriva la porta balzai fuori e le
porsi la mano per farla salire in carrozza.

- Carissima vedova - le dissi - Sua Signoria ha parlato proprio bene. Consolatevi con
Eugenio! - Ella era troppo spaventata anche per gridare, mentre il cocchio la portava via
rapidamente. Discese davanti a casa sua, e potete esser certi che io ero allo sportello della
carrozza, come prima, per aiutarla a discendere.

- Mostro! - ella mi disse - vi prego di lasciarmi in pace.

- Madame, sarebbe contrario al mio giuramento - risposi io; ricordate la promessa che
Eugenio fece a Calista.

- Se non ve ne andate, chiamerò i domestici perché vi mettano fuori della porta.


- Cosa! quando io sono venuto con le lettere della mia Calista in tasca, forse per restituirle?
Voi potete prendermi con la dolcezza, Signora, ma non potete spaventare Redmond Barry.

- Ma che cosa volete da me, signore? - disse la vedova, piuttosto agitata.

- Fatemi salire, e vi dirò tutto - risposi io; ed ella accondiscese a porgermi la mano, ed a
permettermi di condurla dalla sua portantina al salotto.

Quando fummo soli, le rivelai onestamente le mie intenzioni.

- Carissima signora - dissi - non fate in modo che la vostra crudeltà conduca uno schiavo
disperato a misure estreme. Io vi adoro. Nei giorni andati voi mi permetteste di bisbigliarvi la
mia passione senza restrizioni; adesso mi cacciate dalla vostra porta, lasciate le mie lettere
senza risposta, e preferite un altro a me!

La mia carne e il mio sangue non possono sopportare un trattamento simile. Riflettete alla
punizione che sono stato costretto ad infliggere; tremate al pensiero di quella che posso
essere obbligato a somministrare a quello sfortunato giovane: appena vi sposerà, signora,
egli morrà.

- Io - disse la vedova - non vi riconosco il minimo diritto di dettar legge alla Contessa di
Lyndon: non comprendo minimamente le vostre minacce, e non ne tengo alcun conto. Che
cosa è mai passato fra me ed un avventuriero irlandese che possa autorizzare questa
impertinente intrusione?

- Sono passate queste, signora - dissi io - le lettere di Calista ad Eugenio. Possono essere
state del tutto innocenti, ma vorrà crederlo il mondo? Voi potete aver avuto soltanto
l'intenzione di scherzare col cuore di un povero ingenuo gentiluomo irlandese che vi adorava
e aveva fiducia in voi. Ma chi crederà alla storia della vostra innocenza contro l'inconfutabile
testimonianza della vostra stessa scrittura? Chi vorrà credere che abbiate scritto queste
lettere per mera civetteria, e non sotto l'influsso di un vero affetto?

- Mascalzone! - gridò lady Lyndon - osereste tirar fuori da quelle mie oziose lettere un
significato diverso da quello che esse hanno realmente?

- Ne tirerò fuori qualsiasi cosa - dissi io, - tanta è la passione che mi spinge verso di voi. Io
l'ho giurato, voi dovete essere mia e lo sarete! Avete mai saputo che io abbia giurato di fare
una cosa e non l'abbia fatta? Che cosa preferite avere da parte mia:

un amore quale mai donna ebbe da un uomo, o un odio di cui non esiste l'uguale?
- Una donna del mio rango, signore, non può temere nulla dall'odio di un avventuriero come
voi - ribatté la signora, alzandosi con aria dignitosa e superba.

- Guardate il vostro Poynings, non era egli forse del vostro rango? Voi siete la causa della
ferita di quel giovane, signora; e, se non fosse che lo strumento della vostra selvaggia
crudeltà si è egli stesso mansuefatto, sareste stata l'autrice della sua uccisione. Sì, della sua
uccisione; perché, se una moglie è infedele, non è lei che arma il marito a punire il
seduttore? Ed io vi considero come mia moglie, Honoria Lyndon.

Marito! moglie, signore! - esclamò la vedova, stupefatta.

- Sì, moglie! marito! Io non sono una di quelle povere creature con cui le civette possono
scherzare, per poi gettarle da un canto. Voi potrete aver dimenticato quello che è passato fra
noi a Spa: Calista potrà dimenticare Eugenio; ma io non vi permetterò di dimenticarmi. Voi
pensavate di scherzare col mio cuore, vero? Ma una volta che esso è ferito, è ferito per
sempre, Honoria. Io vi amo... vi amo tanto appassionatamente adesso come quando la mia
passione era senza speranza; ed ora, che posso conquistarvi, pensate che vi lascerò
andare? Crudele, crudele Calista! Voi conoscete male il potere dei vostri vezzi se credete
che il loro effetto si possa dimenticare così facilmente, voi conoscete male la costanza di
questo puro e nobile cuore se credete che, avendovi amato una volta, esso possa mai
cessare di adorarvi. No! giuro per la vostra crudeltà che vi punirò; giuro per la vostra
meravigliosa bellezza che la conquisterò, e sarò degno di conquistarla.

Adorabile, affascinante, mutevole, crudele donna! Voi sarete mia, lo giuro! La vostra
ricchezza può essere grande; ma non ho io una natura abbastanza generosa per usarne
degnamente? Il vostro rango è elevato; ma non elevato come la mia ambizione Voi vi siete
gettata una volta tra le braccia di un debosciato freddo e privo di spirito: datevi adesso ad un
uomo, Honoria; e ad un uomo che, per elevato che possa essere il vostro rango, lo eleverà
ancora e vi si adatterà perfettamente!

Mentre io riversavo parole su parole sull'attonita vedova, stavo dritto dinnanzi a lei
dominandola con la mia statura, ed affascinandola col balenare dei miei occhi; la vedevo
diventare rossa e pallida per il timore e per la meraviglia; vedevo che le lodi che tributavo al
suo fascino e l'esposizione della mia passione non le tornavano sgraditi, e constatavo con
calma trionfale il dominio che stavo prendendo su di lei. Il terrore, siatene certi, non è un
cattivo ingrediente dell'amore. Un uomo che vuole decisamente conquistarsi il cuore di una
debole e svaporata donna deve riuscire, se ha occasioni sufficienti.

- Uomo terribile - disse lady Lyndon, ritraendosi da me non appena ebbi terminato di parlare
(invero mi trovavo a corto di parole, e stavo pensando ad un altro discorso da farle) - uomo
terribile!

lasciatemi.
Vidi che le avevo fatto una certa impressione, proprio da queste parole.

"Se mi lascia rientrare in casa domani" pensai fra me "è mia".

Quando discesi, misi dieci ghinee nelle mani del portiere, che apparve assolutamente
stupefatto di un simile dono.

- E' per compensarvi del disturbo di aprirmi la porta - dissi io:

- dovrete farlo tanto spesso!

Capitolo 16

LARGISCO NOBILTA' ALLA MIA FAMIGLIA E RAGGIUNGO IL CULMINE DELLA MIA


(APPARENTE) FORTUNA

Il giorno dopo, quando ritornai, i miei timori si realizzarono: mi fu rifiutato l'ingresso. La


signora non era in casa! Sapevo che era falso: avevo tenuto d'occhio per tutta la mattina la
porta da una camera che avevo preso in affitto nella casa dirimpetto.

- La vostra padrona non è fuori di casa - dissi; - è lei che vi ha detto di non farmi entrare, ed
io non posso, naturalmente, farmi strada a forza. Ma ascoltatemi: voi siete inglese?

Sapevo che lo era, e che perciò potevo offrirgli una mancia. Uno straccione di domestico
irlandese, a cui non fosse stato pagato il salario da mesi, vi avrebbe probabilmente tirato il
denaro in faccia.
- Ascoltatemi, dunque - dissi. - Le lettere della vostra padrona passano per le vostre mani,
vero? Una corona per ogni lettera che mi portate per farmela leggere. C'è uno spaccio di
whisky qui nella strada vicina; portatemele lì quando andate a bere un goccetto, e
chiamatemi col nome di Dermot.

- Mi ricordo di Vostro Onore a Spa - disse quell'individuo sogghignando: - sette è il massimo,


eh? - e, molto orgoglioso di questo ricordo, dissi addio al mio nuovo sottoposto.

Io non approvo questa pratica di aprire le lettere altrui nella vita privata, salvo che in casi
della più urgente necessità; quando siamo costretti a seguire gli esempi dei nostri migliori, gli
statisti di tutta Europa, e, per amore di un bene più grande, a violare una piccola questione
d'etichetta. Alle lettere di Lady Lyndon non accadde nulla di male per essere state aperte, e
questo fece invece un mondo di bene; perché la conoscenza ottenuta attraverso l'attenta
lettura delle sue molteplici epistole mi mise in grado di diventare un intimo conoscitore del
suo carattere in mille modi, e di ottenere un potere di cui non tardai a profittare. Con l'aiuto
delle lettere e del mio amico inglese, a cui offrivo sempre liquori della migliore qualità, e
facevo doni in denaro, a lui anche più graditi (solevo indossare anch'io una livrea per questi
incontri, e mettermi una parrucca rossa, sotto la quale era impossibile riconoscere il distinto
ed elegante Redmond Barry), riuscii ad ottenere una conoscenza così intima dei movimenti
della vedova da meravigliare lei stessa. Sapevo in precedenza in quali luoghi pubblici
sarebbe andata: erano assai pochi, a causa della sua vedovanza, ma dovunque faceva la
sua comparsa, in chiesa o nel parco, c'ero sempre io pronto a porgerle il suo libro o a
scortare a cavallo la sua carrozza.

Molte lettere di Sua Signoria contenevano le più fantastiche rodomontate che mai un "bas-
bleu" abbia scritto. Era una donna che prendeva e lasciava un numero di cari amici e di
amiche più grande di quanto io abbia mai visto. Ad alcune di queste amiche femmine
cominciò immediatamente a scrivere circa la mia indegna persona, e con un sentimento di
estrema soddisfazione trovai che la vedova cominciava ad avere una terribile paura di me.
Mi chiamava la sua "bête noire" il suo spirito malvagio, il suo sanguinario adoratore, e con
centinaia di altri nomi che rivelavano la sua estrema inquietudine ed il suo terrore, come
"Quel furfante ha pedinato la mia carrozza attraverso tutto il parco", oppure, "il mio incubo mi
ha seguito in chiesa" e "il mio inevitabile adoratore mi ha offerto la mano per scendere dalla
portantina davanti alla bottega del merciaio", e non so che altro. La mia intenzione era di
accrescer nel suo seno questo sentimento di terrore, e di farle credere che io ero una
persona alla quale era impossibile sfuggire.

A questo scopo corruppi un veggente, che ella consultò contemporaneamente a parecchie


altre sciocche e distintissime persone di Dublino, in quei giorni; e che, benché ella si fosse
vestita come una delle sue dame, non mancò di riconoscere la sua vera posizione, e di
descriverle come suo futuro marito il suo perseverante adoratore Redmond Barry, Esquire.

Questo incidente la turbò molto, ed ella ne scrisse in termini di grande meraviglia e terrore
alle sue corrispondenti di genere femminile. "Può questo mostro", scriveva, "fare davvero
quello di cui si vanta, e piegare persino il Fato alla sua volontà? Può egli far sì che io lo
sposi, benché io lo detesti cordialmente, e ridurmi schiava ai suoi piedi? L'orribile sguardo
dei suoi neri occhi di serpente mi affascina e mi spaventa: mi sembra che mi segua
dovunque, ed anche quando chiudo gli occhi, quello sguardo spaventoso penetra attraverso
le mie ciglia, ed è ancora su di me".

Quando una donna comincia a parlare di un uomo in questo modo, costui è un asino se non
riesce a conquistarla; e da parte mia io solevo seguirla in giro e mettermi sempre di fronte a
lei, "per affascinarla col mio sguardo", come soleva dire, più assiduamente che mi fosse
possibile.

Lord George Poynings, il suo antico ammiratore, era sempre trattenuto in casa dalla sua
ferita, e sembrava deciso a rinunciare a qualsiasi pretesa dei suoi favori; perché non la
faceva entrare quando andava a trovarlo, non rispondeva alla sua ripetuta corrispondenza,
contentandosi di dire in generale che il chirurgo gli aveva proibito di ricevere visite o di
rispondere alle lettere. Così, mentre lui si ritirava, io mi facevo avanti, e facevo ben
attenzione che non si presentassero altri rivali con una qualche probabilità di successo;
perché, appena sentivo dire che ce n'era uno, mi procuravo una disputa con lui. In questo
modo ne ferii altri due, oltre alla mia prima vittima, lord George.

Prendevo sempre un altro pretesto per attaccar briga, e non quello vero, delle sue attenzioni
verso lady Lyndon, in modo che non ne sorgesse in conseguenza alcuno scandalo, e che i
sentimenti di Sua Signoria non ne fossero feriti; ma ella sapeva benissimo qual era il
significato di questi duelli: ed anche i giovanotti di Dublino, mettendo assieme due più due,
cominciavano a subodorare che c'era un simile dragone a guardia della ricca ereditiera, e
che dovevano vincere il dragone prima di arrivare alla dama. E vi garantisco che, dopo i
primi tre, non si trovarono molti campioni che rivolgessero i loro omaggi alla dama; ed ho riso
spesso (dentro di me) nel vedere parecchi dei giovani "belli" di Dublino che cavalcavano a
lato della carrozza di lei squagliarsela appena apparivano la mia cavalla baia e le mie livree
verdi.

Io desideravo fare impressione su di lei con qualche grande e terribile dimostrazione della
mia potenza, e a questo fine avevo deciso di elargire un grande beneficio al mio onesto
cugino Ulick, portando via per lui il dolce oggetto dei suoi sospiri, Miss Kiljoy, proprio sotto gli
occhi della sua tutrice ed amica, lady Lyndon; e alla faccia dei cavalieri, fratelli della
signorina, che trascorrevano la stagione mondana a Dublino, e facevano tanto chiasso sulle
10.000 sterline irlandesi della sorella, quanto ne avrebbero fatto se avesse avuto un
immensa fortuna. La ragazza non era affatto contraria a mio cugino Brady; e questo dimostra
soltanto quanto siano deboli di spirito certi uomini, e come un genio superiore possa
immediatamente superare difficoltà che sembrano insuperabili a mentalità comuni: voglio
dire il fatto che egli non avesse mai pensato di fuggirsene con lei: come io feci
immediatamente e arditamente. Miss Kiljoy era stata sotto la tutela del Tribunale dei minori
fino a che non aveva raggiunto la maggiore età (e prima di questo periodo sarebbe stato
pericoloso per me mettere in esecuzione il progetto che meditavo a proposito di lei); ma,
benché ora fosse libera di sposare chi le piaceva, era una signorina di carattere piuttosto
timido, e aveva paura dei suoi fratelli e dei parenti come se non fosse stata assolutamente
indipendente da loro. Essi avevano in vista un qualche loro amico per la signorina, ed
avevano respinto sprezzantemente la proposta di Ulick Brady, il gentiluomo decaduto, che
era assolutamente indegno a quanto pensavano quei rustici maschi, della mano di
un'ereditiera così prodigiosamente ricca com'era la loro sorella.

Trovandosi sola nella sua grande casa di Dublino, la Contessa di Lyndon invitò la sua amica
Miss Amelia a venire a passare la stagione con lei a Dublino; e, in uno slancio di amore
materno, mandò a prendere anche suo figlio, il piccolo Bullingdon e il mio vecchio amico
istitutore, perché venissero nella capitale a farle compagnia. Una carrozza di famiglia portò il
ragazzo, l'ereditiera e l'istitutore da Castle Lyndon a Dublino; ed io decisi di cogliere la prima
occasione per mettere in esecuzione il mio piano.

Per l'occasione non dovetti aspettare molto. Ho già detto, in un precedente capitolo della mia
biografia, che il regno d'Irlanda era in quel periodo infestato da diverse bande di briganti; i
quali, sotto il nome di Whiteboys, Oakboys, Steelboys, con alla testa diversi capi, uccidevano
i funzionari, davano fuoco ai fienili, tagliavano i garretti al bestiame, mutilavano la selvaggina,
e amministravano la legge a modo loro. Una di queste bande, o anche più d'una, per quel
che ne sapevo io, era comandata da un misterioso personaggio chiamato Capitano Thunder;
il cui principale compito sembrava fosse quello di far sposare le persone con o senza il loro
consenso, o quello dei genitori. Le "Dublin Gazettes" ed i "Mercuries" di quell'epoca (l'anno
1772) abbondano di proclami del Lord Luogotenente, che offrono ricompense per la cattura
di questo terribile Capitano Thunder e della sua banda, e descrivono per esteso diverse
imprese di questo selvaggio aiutante di campo del Dio Imene. Io decisi di approfittare, se non
dei servigi, almeno del nome del Capitano Thunder e di far entrare mio cugino Ulick in
possesso della sua dama e delle sue diecimila sterline. Lei non era una gran bellezza, e
immagino che fosse il denaro che egli amava, più che la sua proprietaria.

A causa della sua vedovanza, Lady Lyndon non poteva ancora frequentare i balli e le serate
che l'ospitale nobiltà di Dublino aveva l'abitudine di dare; ma la sua amica Miss Kiljoy non
aveva un'uguale ragione per vivere ritirata, e fu lieta di partecipare a tutte le riunioni a cui
poteva essere invitata. Io feci dono ad Ulick Brady di un paio di eleganti abiti di velluto, e
mediante la mia influenza gli procurai inviti a parecchie tra le più eleganti di queste riunioni.
Ma egli non aveva le mie attrattive o la mia esperienza sul modo di corteggiare una donna;
era timido con le signore come un giovane puledro, e non era più abile nel danzare il
minuetto di quanto lo sia un asino. Nel mondo elegante fece quindi poca strada nel cuore
della sua bella; in effetti, io potei vedere che ella gli preferiva diversi altri giovani gentiluomini,
che si trovavano più a casa loro nelle sale da ballo di quanto non lo fosse il povero Ulick. Egli
aveva fatto impressione sull'ereditiera soltanto la prima volta, ed aveva provato i primi ardori
per lei nella casa di suo padre a Ballykiljoy, dove era solito andare a caccia ed ubbriacarsi col
vecchio gentiluomo.

- Quelle sono cose che potrei fare abbastanza bene dovunque diceva Ulick con un sospiro; -
e se si trattasse di bere o di attraversare tutto il paese a cavallo, non c'è uomo in Irlanda che
potrebbe avere maggiori possibilità con Amalia.
- Non aver paura, Ulick - fu la mia risposta; - avrai la tua Amalia, o non mi chiamo più
Redmond Barry.

Lord Charlemont - che era uno dei più eleganti e compìti nobili d'Irlanda in quell'epoca, un
distinto letterato e uomo di spirito, un gentiluomo che aveva viaggiato molto all'estero, dove
io avevo avuto l'onore di conoscerlo - diede un magnifico ballo mascherato nella sua casa di
Marino, a poche miglia da Dublino, sulla strada di Dunleary. E fu a quella festa che io decisi
di rendere felice Ulick per tutta la vita. Al ballo mascherato era invitata Miss Kiljoy, ed il
piccolo Lord Bullingdon, che desiderava assistere ad un simile spettacolo; e fu stabilito che
egli vi sarebbe andato sotto la sorveglianza dell'istitutore, il mio vecchio amico Runt.

Io sapevo qual era l'equipaggio in cui la compagnia doveva essere portata al ballo, e presi le
mie misure in conseguenza.

Ulick Brady non era presente: la sua fortuna ed il suo rango non erano sufficienti a
procurargli un invito in un luogo così distinto, ed io avevo propagato sin da tre giorni prima la
voce che era stato arrestato per debiti: cosa che non sorprese nessuno di quelli che lo
conoscevano.

Quella notte io feci la mia apparizione sotto le spoglie di un personaggio con cui ero molto
familiare, un soldato semplice della guardia del Re di Prussia. Mi ero fatta fare una grottesca
maschera con un immenso naso e due baffoni, parlavo un misto di corrotto inglese e
tedesco, in cui quest'ultimo predominava nettamente; ed avevo attorno un mucchio di gente,
che rideva del mio ridicolo accento, e la cui curiosità era ulteriormente accresciuta dal fatto
che conoscevano la mia storia passata. Miss Kiljoy era vestita da principessa antica, ed
aveva con sé il piccolo Bullingdon che le faceva da paggio, vestito come ai tempi della
cavalleria, con i capelli incipriati, ed il costume in verde, rosa e argento; ed era molto carino e
impertinente mentre camminava in giro tutto tronfio con la mia spada al fianco. Quanto a
Runt, egli si aggirava per le sale in domino, con l'aria grave, e andava ogni momento a far
visita al buffet, dove mangiava pollo freddo e beveva punch e champagne a sufficienza per
soddisfare una compagnia di granatieri.

Il Lord Luogotenente venne e se ne andò in pompa magna. Il ballo fu magnifico. Miss Kiljoy
ebbe cavalieri in abbondanza fra cui io stesso, che ballai con lei un minuetto (se il goffo
barcollare dell'ereditiera irlandese può essere chiamato con un simile nome); e colsi
l'occasione per perorare la mia passione per Lady Lyndon nei termini più patetici, e per
chiedere l'intromissione della sua amica in mio favore.

Erano le tre dopo mezzanotte quando la compagnia di Lyndon House se ne andò. Il piccolo
Bullingdon si era addormentato da un pezzo in uno dei gabinetti di porcellane di Lady
Charlemont. Runt era anche troppo sovrabbondante nel parlare, e tutt'altro che franco
nell'incedere. Una signorina di oggi si allarmerebbe nel vedere un gentiluomo in simili
condizioni; era invece uno spettacolo molto comune in quegli antichi, allegri tempi, quando
un gentiluomo era considerato un pezzo di pan molle se di tanto in tanto non era un po' brillo.
Vidi Miss Kiljoy avvicinarsi alla sua carrozza, accompagnata da parecchi cavalieri: e
guardando attraverso la folla di stracciati portatorce, cocchieri, mendicanti, ubriaconi maschi
e femmine che solevano invariabilmente mettersi davanti alle porte dei gran signori quando
si davano delle feste, vidi la carrozza allontanarsi, fra gli applausi della folla; poi tornai
immediatamente nella stanza della cena, dove parlai tedesco, favorii i tre o quattro ubriaconi
che erano ancora lì con una canzone in olandese antico, e attaccai i piatti e il vino con
grande risolutezza.

- Ma come fate a bere con quel nasone? - disse uno dei presenti.

- Andate a farvi impiccare! - dissi io, con magnifico accento tedesco, dedicandomi di nuovo al
vino; al che gli altri risero, ed io seguitai la mia cena in silenzio. Era presente un gentiluomo
che aveva visto il gruppo di casa Lyndon andarsene, e con cui avevo fatto una scommessa,
che perdetti; e il mattino dopo passai da casa sua a pagargliela. Il lettore sarà sorpreso di
sentirmi enumerare tutti questi particolari: ma il fatto è che non fui io che ritornai alla festa,
ma il mio nuovo domestico tedesco, che aveva la mia identica statura e che, vestito col mio
costume, poteva perfettamente passare per me. Ci scambiammo gli abiti in una carrozza da
nolo che era vicina alla carrozza di Lady Lyndon, ed io, correndole dietro, la sorpassai
rapidamente.

Il fatale veicolo che portava l'adorato oggetto della passione di Ulick Brady non aveva
camminato molto quando, nel mezzo di un profondo solco della strada, affondò
improvvisamente con un sobbalzo; il domestico, balzando giù dal dietro la carrozza, gridò
"Ferma!" al cocchiere, avvisandolo che era uscita una ruota, e che sarebbe stato pericoloso
andare avanti con tre sole. I parafanghi non erano ancora stati inventati a quei tempi, come
lo sono stati in seguito dagli ingegnosi costruttori di Long Acre. E come fosse uscito il chiodo
della ruota io non pretendo di saperlo; ma probabilmente era stato tirato fuori da qualche
briccone tra la folla davanti ai cancelli di Lord Charlemont.

Miss Kiljoy sporse il capo fuori dal finestrino, strillando come fanno sempre le signore; il
cappellano Runt si svegliò dal suo sopore d'ubriaco; e il piccolo Bullingdon, balzando in piedi
e tirando fuori la sua piccola spada, disse: - Non abbiate paura, Miss Amelia: se ci sono dei
briganti, io sono armato. - Quel mascalzoncello aveva proprio lo spirito di un leone, a dire la
verità; debbo riconoscerlo, nonostante tutte le dispute che ebbi con lui in seguito.

La carrozza da nolo che aveva seguito quella di Lady Lyndon la raggiunse in quel momento,
e il cocchiere, vedendo il disastro, scese giù di cassetta e molto educatamente chiese a Sua
Signoria se voleva fargli l'onore di salire sul suo veicolo, che era pulito ed elegante quanto
qualsiasi persona di elevato rango avrebbe potuto desiderare. Dopo qualche minuto
d'esitazione, questo invito fu accettato dai passeggeri della carrozza: mentre il cocchiere
prometteva di condurli a Dublino in un fiat. Thady, il domestico, si offrì di accompagnare il
padroncino e la signora; e il cocchiere, che aveva accanto a cassetta un amico
apparentemente ubbriaco, con un sogghigno disse a Thady di salire pure dietro.

Però, siccome il predellino posteriore era coperto di chiodi, per difenderlo dai monelli di
strada, che amano troppo le passeggiate gratis, la fedeltà di Thady non giunse al punto di
sfidare i chiodi; ed egli si persuase a rimanere nella carrozza sfasciata, a cui lui ed il
cocchiere si misero a fabbricare un perno di ricambio con un ramo di una siepe lì vicina.

Nel frattempo, benché il cocchiere della carrozza da nolo andasse rapidamente, pure alle
persone che erano dentro la distanza da Dublino cominciava a sembrare eccessiva; e quale
fu lo stupore di Miss Kiljoy quando, guardando finalmente fuori dal finestrino, vide attorno a
sé una landa abbandonata, in cui non c'erano tracce di fabbricati né di città. Ella cominciò
immediatamente a gridare al cocchiere di fermarsi; ma a quel chiasso l'uomo si limitò a
frustare più forte i cavalli, e pregò Sua Signoria di "avere pazienza, perché aveva preso una
scorciatoia".

Miss Kiljoy continuò a strillare, il cocchiere a frustare, i cavalli a galoppare, fino a che
uscirono improvvisamente da una siepe due o tre uomini, a cui la bella chiese aiuto
gridando; e il giovane Bullingdon, aprendo la porta della carrozza, saltò giù
coraggiosamente, facendo un bel capitombolo nel cadere; ma si rialzò in un attimo, tirò fuori
la sua piccola spada e correndo verso la carrozza esclamò: - Da questa parte, signori!
fermate quel furfante!

- Ferma! - gridarono gli uomini; e a quest'ordine il cocchiere fermò con straordinaria


obbedienza. In tutto questo tempo Runt giaceva ubriaco nella carrozza, rendendosi conto
solo a metà, come in sogno, di tutto quello che succedeva.

I nuovi campioni della rapita damigella tennero ora un consulto, durante il quale guardavano
il giovane Lord ridendo allegramente.

- Non abbiate paura - disse il capo, avvicinandosi allo sportello; - uno dei miei uomini salirà a
cassetta accanto a questo infido furfante, e, col permesso di Vostra Signoria, io ed il mio
compagno entreremo in carrozza e vi scorteremo fino a casa. Siamo bene armati, e potremo
difendervi in caso di pericolo.

E con ciò, senza aggiungere altro, balzò dentro la carrozza, seguito dal suo compagno.
- State al vostro posto, voi! - gridò il piccolo Bullingdon con indignazione; - fate posto al Lord
Visconte Bullingdon! - e si mise davanti all'alta persona del nuovo venuto, che era sul punto
di entrare nella carrozza.

- Levatevi di mezzo, milord - disse l'uomo nel suo rozzo dialetto, spingendolo da una parte. A
questo il ragazzo gridando: - Ladri!

Ladri! - tirò fuori la sua piccola arma e si lanciò sull'uomo, e lo avrebbe ferito (perché una
spada piccola ferisce bene quanto una grande); ma il suo avversario, che era armato di un
lungo bastone con una botta fece saltar via l'arma di mano al ragazzo:

la spada volò al di sopra della sua testa, e lo lasciò sbigottito e mortificato per la sua
sconfitta.

Poi l'uomo si tolse il cappello, fece un profondo inchino a Sua Signoria ed entrò nella
carrozza, il cui sportello fu chiuso dal suo degno socio, che stava per salire a cassetta. Miss
Kiljoy avrebbe voluto gridare; ma ritengo che le sue strida fossero fermate dalla vista di
un'enorme pistola d'arcione che uno dei suoi campioni tirò fuori, dicendo: - Non abbiamo
intenzione di farvi alcun male, signora, ma se gridate dovremo imbavagliarvi; e a questo ella
divenne immediatamente muta come un pesce.

Tutti questi avvenimenti si svolsero in uno spazio di tempo brevissimo; e quando i tre
assalitori ebbero preso possesso della carrozza (il povero piccolo Bullingdon era rimasto per
terra sconvolto e stupefatto) uno di loro tirò fuori la testa dal finestrino e disse:

- Una parola, milord.

- Che c'è? - chiese il ragazzo, cominciando a piangere: aveva soltanto undici anni, e fino
allora si era mostrato coraggiosissimo.

- Vi trovate a sole due miglia da Marino. Tornate indietro fino a che non giungerete ad una
gran pietra, lì voltate a destra, e camminate diritto fino alla strada maestra, dove troverete
facilmente la strada del ritorno. E quando vedete Sua Signoria la vostra mamma, portatele i
complimenti del Capitano Thunder, e ditele che Miss Amelia sta per sposarsi.

- O Cielo! - sospirò la signorina.

La carrozza si allontanò rapidamente, e il povero piccolo visconte fu lasciato lì a terra,


proprio quando stava cominciando a spuntare il giorno. Era terribilmente spaventato; e non
c'è da meravigliarsene. Pensò di correre dietro alla carrozza, ma gli mancò il coraggio e gli
mancarono le gambe; così si mise a sedere su un sasso e pianse di rabbia.

In questo modo Ulick Brady fece quello che io chiamo un matrimonio alla Sabina. Quando si
fermò con i suoi due testimoni presso il "cottage" dove si doveva compiere la cerimonia,
Runt, il cappellano, dapprima rifiutò di prestarsi. Ma venne puntata una pistola alla fronte del
disgraziato precettore, e gli fu detto, con terribili bestemmie, che gli avrebbero fatto
scoppiare il suo miserabile cervello; sicché egli dovette consentire a celebrare il servizio.
L'adorabile Amelia fu, molto probabilmente, incoraggiata con mezzi simili, ma di questo io
non so nulla, perché me ne tornai in città col cocchiere non appena avemmo accompagnato
la comitiva nuziale, ed ebbi la soddisfazione di trovare che Fritz, il mio domestico tedesco,
era arrivato prima di me: era tornato nella mia carrozza e con i miei vestiti, senza che il
travestimento fosse scoperto, e dopo aver fatto tutto secondo i miei ordini.

Il povero Runt ritornò il giorno dopo in uno stato pietoso, serbando il silenzio sulla parte da lui
avuta negli avvenimenti della sera precedente, e con una terribile storia di aver bevuto, di
essere stato preso in un agguato e legato, di essere stato abbandonato sulla strada e
raccolto da un carro di Wicklow, che veniva a far provviste a Dublino. Non c'era alcuna
possibilità di stabilire che parte avesse avuto nella congiura. Il piccolo Bullingdon, che aveva
trovato anche lui il modo di ritornare a casa, era incapace di identificarmi in alcun modo. Ma
Lady Lyndon seppe che io ero a parte del complotto, perché la incontrai il giorno dopo che
tornava in tutta fretta al Castello, mentre tutta la città era sottosopra per il rapimento. Ed io la
salutai con un sorriso così diabolico che le fece comprendere che io avevo avuto una parte
in quell'audace e ingegnoso piano.

Così ripagai le gentilezze fattemi molti anni prima da Ulick Brady ed ebbi la soddisfazione di
risollevare le decadute fortune di un ramo così meritevole della mia famiglia. Egli portò la sua
sposa a Wicklow dove visse con lei nella più stretta clausura finché tutta la storia non venne
fuori. I Kiljoy frugarono invano da ogni parte per scoprire il suo rifugio. Per un certo tempo
non seppero neppure chi era il fortunato che aveva rapito l'ereditiera. Solo dopo che essa
ebbe scritto una lettera, alcune settimane dopo, firmandola Amelia Brady e dicendo che era
perfettamente felice nella sua nuova condizione, e raccontando che era stata unita in
matrimonio dal cappellano di Lady Lyndon Runt, si seppe la verità, e il mio degno amico
confessò la parte che aveva avuto nella faccenda. E poiché la sua indulgente padrona non lo
licenziò dal suo posto in conseguenza di questa storia, tutti continuarono a supporre che la
povera Lady Lyndon facesse parte del complotto; e la storia dell'appassionato attaccamento
di Sua Signoria per me guadagnò sempre maggior credito.

Io non tardai, potete esserne certi, a profittare di queste voci.

Tutti pensarono che io avessi avuto parte nel matrimonio di Brady benché nessuno potesse
provarlo. Tutti pensarono che io ero in buoni termini con la contessa vedova, benché
nessuno potesse dimostrare che io avevo mai detto una cosa simile. Ma c'è un modo di
provare una cosa anche quando la negate, ed io solevo ridere e scherzare così "a proposito"
che tutti gli uomini cominciarono a farmi i rallegramenti per la mia grande fortuna, ed a
considerarmi come il promesso sposo della più grande ereditiera del regno. I giornali si
impadronirono della cosa; le amiche di Lady Lyndon le fecero le loro rimostranze e gridarono
"Oibò!". Anche i giornali e le riviste inglesi, che a quei tempi erano così diffamatori, parlarono
della faccenda, e bisbigliarono che "una bella e compìta vedova, con un titolo e vastissime
proprietà nei due regni, era sul punto di concedere la sua mano ad un giovane gentiluomo
alla moda, di alta nascita, che si era distinto al servizio di Sua Maestà il Re di Prussia".

Non ho bisogno di dire chi era l'autore di questi trafiletti; o come apparvero due ritratti, uno
che rappresentava me col titolo "L'Irlandese prussiano", e l'altro Lady Lyndon come "La
Contessa di Efeso", nel "Town and Country Magazine", pubblicato a Londra, e che
conteneva i pettegolezzi quotidiani del mondo elegante.

Lady Lyndon rimase così stupefatta e atterrita di questo continuo dominio esercitato su di lei,
che decise di lasciare il paese.

Ebbene, se ne andò, ma chi credete che fosse il primo a riceverla quando sbarcò a
Holyhead? Il vostro umile servitore, Redmond Barry, Esquire. E, per colmo di misura, il
"Dublin Mercury", che annunciò la partenza di Sua Signoria, aveva annunciato la mia il
giorno prima. Non ci fu anima viva che non pensasse che essa mi aveva seguito in
Inghilterra; mentre cercava soltanto di fuggirmi.

Vana speranza! Ad un uomo risoluto come me non era facile sfuggire con una fuga. Fosse
pure volata fino agli antipodi, io mi sarei trovato là: sì, l'avrei seguita come Orfeo seguì
Euridice!

Sua Signoria aveva una casa in Berkeley Square, a Londra, più splendida ancora di quella
che possedeva a Dublino; e sapendo che vi si sarebbe recata la precedetti nella capitale
inglese, e presi un bell'alloggio in Hill Street, lì vicino. Nella casa di Londra avevo lo stesso
servizio di sorveglianza che mi ero procurato a Dublino. Lo stesso fedele portiere era lì per
darmi tutte le informazioni che desideravo. Gli promisi di triplicare il suo salario appena si
fosse verificato un certo avvenimento. Mi conquistai anche la dama di compagnia di Lady
Lyndon con un dono di 100 ghinee alla mano, e la promessa di altre 2.000 quando fossi
sposato, e mi guadagnai i favori della sua cameriera favorita con un dono parimenti notevole.
La mia reputazione mi aveva preceduto a Londra tanto che, al mio arrivo, una quantità di
nobili erano pronti a ricevermi alle loro riunioni mondane.

Noi non abbiamo idea, in quest'epoca monotona e volgare, di quanto gaia e splendida fosse
Londra allora: e che passione per il gioco ci fosse tra giovani e vecchi, maschi e femmine;
quante migliaia di sterline si perdessero e si vincessero in una notte; quali bellezze ci fossero
allora gaie, brillanti, risplendenti! Tutti erano deliziosamente perversi: i Duchi Reali di
Gloucester e di Cumberland davano l'esempio e i nobili li seguivano dappresso. Era di moda
vivere allo sbaraglio. Ah! che piacevoli tempi; e felice colui che aveva entusiasmo, giovinezza
e denaro, e poteva vivere allora! Io avevo tutto questo; e i vecchi frequentatori di "White's",
"Wattier's", e "Goosetree's" potrebbero raccontare un bel po' di storie sul coraggio, lo spirito
e l'eleganza del Capitano Barry.

Lo svolgimento di una storia d'amore è tedioso per tutti coloro che non vi hanno parte, ed io
lascio questi argomenti ai poveri scrittori di romanzi e alle signorine dei pensionati per cui
essi le scrivono. Non è mia intenzione seguire qui passo passo gli incidenti del mio
corteggiamento, o narrare tutte le difficoltà che dovetti affrontare, e il mio trionfale modo di
superarle.

Basti dire che vinsi tutte queste difficoltà. Sono del parere, d'accordo in questo col mio
defunto e ingegnoso amico Wilkes, che tali impedimenti non hanno nessuna importanza
nella vita di un uomo di spirito: e che egli può convertire l'indifferenza e l'avversione in amore
se ha perseveranza ed abilità sufficienti.

All'epoca in cui terminò il lutto della Contessa, io avevo trovato il mezzo per farmi ricevere in
casa sua; avevo le sue donne che parlavano continuamente in mio favore, magnificando la
mia reputazione e lodando il mio successo e la mia popolarità nel mondo elegante.

Per di più, i migliori amici che ebbi nel perseguire il mio tenero scopo furono i nobili parenti
della contessa; i quali erano ben lungi dal comprendere il servizio che mi rendevano, ed ai
quali chiedo licenza di rivolgere i miei più cordiali ringraziamenti per gli oltraggi di cui allora
mi caricarono: ed ai quali significo il mio profondo disprezzo per le calunnie e l'odio con cui in
appresso mi perseguitarono.

La capintesta di queste amabili persone era la Marchesa di Tiptoff madre del giovane
gentiluomo la cui audacia io avevo punito a Dublino. Questa vecchia brontolona, appena la
contessa arrivò a Londra, andò a trovarla, e la gratificò di una tale tempesta di insulti per
avermi incoraggiato, che io credo che essa giovasse alla mia causa più di quanto non
avessero fatto sei mesi di assiduo corteggiamento, o il ferire in duello una mezza dozzina di
rivali. Invano la povera Lady Lyndon sostenne la sua completa innocenza, e giurò che non mi
aveva mai incoraggiato.

- Mai incoraggiato! - strillò quella vecchia furia; - non avete forse incoraggiato quel
mascalzone persino a Spa, quand'era ancora vivo il povero Sir Charles? Non avete forse
maritato una vostra giovane amica ad uno dei dissoluti e bancarottieri cugini di costui?
Quando egli partì per l'Inghilterra, non lo avete seguito come una pazza il giorno dopo? Non
ha egli preso alloggio quasi alla vostra porta? E questo non lo chiamate incoraggiamento?

Vergogna, signora, vergogna! Voi che avreste potuto sposare mio figlio, il mio caro e nobile
George! Ma egli non volle intromettersi nella vostra vergognosa passione per quello
straccione di villan rifatto da cui lo faceste assassinare; e il solo consiglio che io posso dare a
Vostra Signoria è questo, di legittimare il legame che avete contratto con quello svergognato
avventuriero; di rendere legale questo rapporto che, di fatto qual'è ora, è ad un tempo contro
il decoro e contro la religione; e di risparmiare alla vostra famiglia ed a vostro figlio la
vergogna della vostra attuale condotta.

E con questo quella vecchia furia della Marchesa lasciò la stanza e lasciò Lady Lyndon in
lacrime: io conobbi tutti i particolari della conversazione dalla dama di compagnia di Sua
Signoria, e mi augurai che ne seguissero i migliori risultati in mio favore.

Così, grazie alla saggia influenza di Lady Tiptoff, gli amici naturali e la famiglia della
Contessa di Lyndon la privarono della loro compagnia. Persino quando Lady Lyndon si recò
a Corte, la più augusta signora del Regno la ricevette con una freddezza così marcata che la
disgraziata vedova, tornata a casa, si mise a letto per il dispiacere. Così, posso dire, la
regalità stessa divenne un agente attivo nel far progredire la mia corte, e nel favorire i piani
del povero soldato di ventura irlandese. Così il Fato lavora con mezzi grandi e piccoli; e con
mezzi sui quali essi non hanno alcun controllo, si compiono i destini degli uomini e delle
donne.

Considererò sempre la condotta della signora Bridget (la cameriera favorita di Lady Lyndon
in quell'epoca) come un capolavoro di ingegnosità: e in realtà avevo una tale opinione della
sua abilità diplomatica, che nell'istante stesso in cui divenni padrone delle proprietà dei
Lyndon e le ebbi pagato la somma promessa (sono un uomo d'onore e, pur di mantenere la
mia parola con quella donna, presi in prestito la somma dagli ebrei, ad un interesse
esorbitante) appena, dico, ebbi conseguito il mio trionfo, presi per mano Bridget e le dissi: -
Madame, voi avete mostrato una così esemplare fedeltà al mio servizio che sono lieto di
ricompensarvi secondo la mia promessa; ma voi avete dato prova di una così straordinaria
abilità e dissimulazione, che debbo rinunciare a tenervi nella casa di Lady Lyndon, e vi prego
di lasciare il servizio oggi stesso; cosa ch'ella fece, aggregandosi alla fazione dei Tiptoff, e
dicendo da allora in poi sempre male di me.

Ma ora debbo raccontarvi che cosa ella aveva fatto di tanto abile.

Diamine, fu la cosa più semplice del mondo, come sono tutti i colpi da maestro. Un giorno
che Lady Lyndon si lamentava del suo destino e del mio - come si compiaceva di chiamarlo
vergognoso modo d'agire, Bridget disse: - Perché Vostra Signoria non scrive a quel giovane
gentiluomo accennandogli al male che vi sta facendo?

Fate appello ai suoi sentimenti (che sono ottimi, a quanto ho sentito dire: tutta la città
echeggia di racconti del suo spirito e della sua generosità), e pregatelo di desistere da una
persecuzione che cagiona tante pene alla migliore delle dame.
Scrivetegli, signora: io so che il vostro stile è così elegante che io, per parte mia, sono
scoppiata molte volte in lacrime leggendo le vostre incantevoli lettere, e non ho alcun dubbio
che Mister Barry farà qualsiasi sacrificio piuttosto che ferire i vostri sentimenti. - E,
naturalmente, quell'Abigaille ci giurava sopra.

- Credete proprio che sia così, Bridget? - chiese Sua Signoria. E la mia adorata mi scrisse
immediatamente una lettera, alla sua affascinante e seducente maniera:

"Perché, signore, mi perseguitate così? Perché mi avviluppate in una ragnatela di intrighi


così terribile che il mio spirito ne è sopraffatto, vedendo che non c'è speranza di scampo
dalle vostre spaventose, diaboliche arti? Dicono che voi siete generoso verso gli altri: siatelo
verso di me. Conosco il vostro ardire anche troppo bene: esercitatelo su uomini che possono
incontrare la vostra spada, non su una povera donna, che non può resistervi.

Ricordate l'amicizia che una volta mi professaste. Ed ora vi scongiuro, vi imploro, di darmene
una prova. Ribattete voi stesso le calunnie che avete diffuso sul conto mio, e ponete riparo,
se potete, se avete ancora una briciola d'onore, ai guai che avete cagionato alla desolata
Honoria Lyndon".

Che scopo poteva avere quella lettera se non che io vi rispondessi di persona? La mia
eccellente alleata mi disse dove potevo incontrare Lady Lyndon, e in base a questo io la
seguii, e la trovai al Pantheon. Ripetei ancora una volta la scena già fatta a Dublino; le
mostrai quanto fosse prodigioso il mio potere, umile com'ero, e che la mia energia era
ancora inesausta. - Ma - aggiunsi - io sono grande nel bene come nel male; e affezionato e
fedele come amico tanto quanto sono terribile come nemico. Farò tutto ciò che mi chiederete
aggiunsi- purché non mi proibiate di amarvi. Questo è superiore alle mie possibilità; e finché
il mio cuore batte io debbo seguirvi. E' il mio destino; il vostro destino. Cessate di lottare
contro di esso, e siate mia. Voi siete la più adorabile creatura del vostro sesso! solo con la
morte avrà termine la mia passione per voi; e invero solo morendo per ordine vostro io posso
essere indotto ad obbedirvi. Volete che io muoia?

Ella disse allora, ridendo (perché era una donna allegra e vivace), che non voleva che
commettessi un assassinio su me stesso; ed io sentii che da quel momento era mia.

Così a un anno di distanza da quel giorno, il 15 di maggio dell'anno 1773, io ebbi l'onore e la
felicità di condurre all'altare Honoria, Contessa di Lyndon, vedova del defunto Molto
Onorevole Sir Charles Lyndon. La cerimonia si svolse nella chiesa di San Giorgio, in
Hannover Square, dal Reverendo Samuel Runt, cappellano di Sua Signoria. Fu data una
magnifica cena e un ballo nella nostra casa di Berkeley Square, e la mattina dopo ebbi un
Duca, quattro Conti, tre generali ed una folla dei personaggi più distinti di Londra alla mia
"levée". Walpole compose una satira sul matrimonio, e Selwyn trinciò arguzie al "Cocoa-
tree". La vecchia Lady Tiptoff, benché ce lo avesse raccomandato lei stessa, si morse le dita
dalla rabbia; e quanto al giovane Bullingdon, che era diventato un bel ragazzo di quattordici
anni, quando fu invitato dalla contessa ad abbracciare il suo papà, mi scosse il pugno
davanti al viso e disse: - Lui mio padre! Chiamerei piuttosto papà uno dei domestici di Vostra
Signoria!
Ma io potevo permettermi di ridere dell'ira del ragazzo e della vecchia signora, e degli scherzi
di tutti i belli spiriti di Saint-James. Mandai uno scintillante resoconto delle nostre nozze a
mia madre e al buon cavaliere mio zio; quindi, essendo giunto all'apice della prosperità ed
essendo arrivato, a trent'anni, ad una delle più alte posizioni sociali che un uomo possa
occupare in Inghilterra, decisi di godermela da uomo di qualità per tutto il resto della mia vita.

Dopo che avemmo ricevuto le congratulazioni dei nostri amici di Londra - perché a quei
tempi la gente non si vergognava di sposarsi, come sembra che avvenga adesso - io ed
Honoria, che era tutta allegria, e la più graziosa, vivace e piacevole delle compagne, ci
recammo a visitare le nostre proprietà nell'ovest dell'Inghilterra, in cui io non avevo ancora
messo piede.

Lasciammo Londra in tre carrozze, a quattro cavalli ciascuna; e mio zio sarebbe stato molto
soddisfatto se avesse potuto vedere dipinta sui nostri sportelli la corona irlandese e lo scudo
dei Barry, accanto alla corona ed allo splendido stemma della nobile famiglia dei Lyndon.

Prima di lasciare Londra, io mi procurai da Sua Maestà il grazioso permesso di aggiungere il


nome della mia graziosa signora al mio; ed assunsi quindi il nome ed il titolo di Barry Lyndon,
come l'ho scritto a capo di questa autobiografia.

Capitolo 17

FACCIO LA MIA COMPARSA COME ORNAMENTO DELLA SOCIETA' INGLESE

Tutto il viaggio fino ad Hackton Castle, il più grande ed il più antico dei nostri possessi nel
Devonshire, fu compiuto con la lentezza e la solennità che si addicevano a persone che
occupavano una posizione di prim'ordine nel regno. Un battistrada con la mia livrea ci
precedeva e predisponeva il nostro alloggio di città in città; e così ci fermammo in forma
solenne ad Andover, a Ilminster e ad Exeter; e la quarta sera arrivammo proprio in tempo per
la cena davanti all'antico maniero baronale, che aveva un portale di un'odiosa foggia gotica
che avrebbe fatto impazzire di gioia il signor Walpole (26).
I primi giorni di matrimonio sono abitualmente molto difficili; ed io ho conosciuto coppie, che
hanno vissuto insieme come colombi per tutto il resto della loro vita, ma che sono state sul
punto di cavarsi gli occhi durante la luna di miele. Io non sfuggii alla sorte comune; nel nostro
viaggio verso ovest Lady Lyndon stabilì di bisticciarsi con me perché tirai fuori una pipa
(avevo preso l'abitudine di fumare in Germania, quando ero soldato nell'esercito di Bulow, e
non ho mai potuto liberarmene) e mi misi a fumare in carrozza; e Sua Signoria decise anche
di prendersela a male tanto ad Ilminster che ad Andover perché la sera, quando ci
fermammo, io volli invitare gli albergatori della "Campana" e del "Leone" a stappare una
bottiglia con me. Lady Lyndon era una donna altera, ed io invece odio la superbia; ma vi
assicuro che in tutti e due i casi domai questo suo difetto. Nel terzo giorno del nostro viaggio
mi feci accendere la pipa da lei con le sue stesse mani, ed essa me la consegnò con le
lacrime agli occhi; e alla "Locanda del Cigno" ad Exeter l'avevo sottomessa così
completamente, che ella mi chiese umilmente se non volevo invitare anche l'albergatrice,
oltre all'albergatore, a cenare con noi. Io non avrei avuto obiezioni a questa proposta,
perché, per la verità, la signora Bonnyface era proprio una donna di bell'aspetto; ma
aspettavamo una visita da Sua Signoria il Vescovo, che era un parente di Lady Lyndon, e le
"bienséances" non permettevano di appagare la richiesta di mia moglie. Io feci la mia
comparsa con lei al servizio della sera, per porgere i miei complimenti al nostro molto
reverendo cugino, e misi la firma di mia moglie per venticinque ghinee, e la mia per cento
alla sottoscrizione per il famoso organo nuovo che stavano allora fabbricando per la
cattedrale. Questo modo di comportarmi, proprio all'alba della mia carriera in quella contea,
mi rese non poco popolare; e il canonico residente, che mi fece il favore di cenare con me
alla locanda, se ne andò dopo la sesta bottiglia, formulando fra i singhiozzi i più solenni voti
per la felicità di un gentiluomo così p-p-pio.

Prima di arrivare ad Hackton Castle, dovemmo attraversare per dieci miglia le proprietà dei
Lyndon, dove la gente usciva fuori per vederci, le campane delle chiese si mettevano a
suonare, i parroci ed i fittavoli si radunavano vestiti dei loro abiti migliori sui lati della strada
maestra, e gli scolari e i contadini gridavano rumorosi urrà a Sua Signoria. Io gettavo
spiccioli a quelle brave persone, mi fermavo ad inchinarmi a Sua Reverenza e a far due
chiacchiere con i fittavoli, e se trovavo che le ragazze del Devonshire erano tra le più carine
del regno è forse colpa mia?

Queste osservazioni in particolare Lady Lyndon le fece con grande sdegno: ed io credo che
fosse molto più adirata per la mia ammirazione delle rosse guance di Miss Betsy
Quarringdon di Clumpton, che per qualsiasi altra mia precedente azione o discorso durante il
viaggio.

"Ah, ah, mia brava signora, siete gelosa, vero?" pensai io, e riflettei, non senza un profondo
dispiacere, quanto leggermente essa si era comportata quando era vivo il suo primo marito,
e che i più gelosi sono proprio quelli che danno agli altri maggior cagione di gelosia.

Attorno al villaggio di Hackton la scena delle accoglienze fu particolarmente gaia: avevano


fatto venire una banda musicale da Plymouth, ed erano stati innalzati archi e bandiere,
specialmente davanti alle case dell'avvocato e del dottore, che erano tutti e due dipendenti
diretti della famiglia. C'erano parecchie centinaia di persone acclamanti sotto il grande
porticato che, col muro del parco, circonda uno dei lati di Hackton Green, e da cui, per tre
miglia, si snoda (o piuttosto si snodava) un viale di nobili olmi fino alle torri del vecchio
castello. Avrei voluto che fossero state querce, quando tagliai quegli alberi nel '79, perché
avrebbero fruttato tre volte tanto: non conosco niente di più biasimevole della trascuratezza
degli antenati nel piantare nei loro terreni legname di scarso valore, quando avrebbero
potuto piantare altrettanto facilmente delle querce. Sicché ho sempre detto che il Roundhead
(27) Lyndon di Hackton, che piantò quegli olmi al tempo di Carlo Secondo, mi frodò di 10.000
sterline.

Per i primi giorni dopo il nostro arrivo, il mio tempo fu speso piacevolmente nel ricevere le
visite della nobiltà e delle persone più distinte che venivano a porgere i loro omaggi alla
nobile coppia di novelli sposi, e come la moglie di Barbablù nella favola, a passare in rivista i
tesori, la mobilia e le numerose camere del castello. Esso è un vasto e vecchio maniero,
costruito almeno ai tempi di Enrico Quinto assediato e martellato dai seguaci di Cromwell al
tempo della Rivoluzione, e alterato e rimesso malamente insieme, con un gusto odioso e
antiquato, dalla Testa Rotonda Lyndon che successe nella proprietà alla morte di un fratello
che aveva principi eccellenti, quali deve averli un vero cavaliere, ma che si rovinò soprattutto
bevendo, giocando ai dadi, e conducendo una vita dissoluta, e in piccola parte anche per
sostenere il Re. Il castello si eleva nel mezzo di una bella riserva di caccia, che era
magnificamente popolata di cervi; e non posso fare a meno di ammettere che da principio la
mia soddisfazione era grande, quando sedevo nel salotto dalle pareti di quercia, nelle sere
d'estate con le finestre aperte, i piatti d'oro e d'argento splendenti di cento magnifici colori
sulle credenze, una dozzina di allegri compagni attorno alla tavola, e guardavo fuori nel
vasto parco verdeggiante e negli ondeggianti boschi, e vedevo il sole tramontare sul lago, e
udivo i cervi chiamarsi l'un l'altro.

L'esterno era, quando vi arrivai per la prima volta, una singolare composizione di tutti i generi
d'architettura: di torri feudali e di cortine a frontone nello stile della Regina Bess, e di rustici
muri tirati su per riparare i danni fatti dai cannoni delle Teste Rotonde - ma non c'è bisogno
che io ne parli a lungo, avendo dato a tutto il castello un aspetto nuovo con considerevole
spesa, su progetto di un architetto alla moda, e rifatto la facciata nel più recente e più
classico stile grecofrancese. C'erano fossati e ponti levatoi e mura esterne, ma io li feci
togliere tutti e trasformare in eleganti terrazze e in belle aiuole, secondo i progetti di M.
Cornichon, il grande architetto parigino, che visitò l'Inghilterra appunto a questo scopo.

Dopo aver salito la scalinata esterna, si entrava in un antico vestibolo di vaste dimensioni,
rivestito di quercia nera scolpita, e ornato dei ritratti dei nostri antenati: dalla larga barba di
Brook Lyndon, il grande giurista dei tempi della Regina Bess, alle maniche rigonfie ed ai
riccioli di Lady Saccharissa Lyndon, che Van Dyck dipinse quando essa era damigella
d'onore della Regina Enrichetta Maria, giù giù fino a Sir Charles Lyndon, col nastro di
Cavaliere del Bagno, ed a Milady, dipinta da Hudson, in un mantello di seta bianca e con i
diamanti di famiglia, come fu presentata al vecchio Re Giorgio Secondo. Quei diamanti
erano molto belli; io dapprima li feci rimontare da Boehmer (28), quando comparimmo
davanti ai Reali di Francia a Versailles; e finalmente li misi in pegno per 18.000 sterline, dopo
quell'infernale giro di mala sorte al "Goosetree's", quando Jemmy Twitcher (come
chiamavamo Lord Sandwich), Carlisle, Charley Fox ed io giocammo a ombre per
quarantaquattro ore senza interruzione.
Archi e picche, immense teste di cervo e arnesi da caccia, e vecchie e rugginose armature,
che dovevano essere state indossate ai tempi di Gog e Magog, per quel che immagino,
formavano gli altri antichi ornamenti di quella vasta dimora; ed erano disposti attorno ad un
caminetto dove avreste potuto far girare un tiro a sei. Questo lo lasciai proprio nella sua
forma originaria, ma feci definitivamente rimuovere le vecchie armature, confinandole nei
ripostigli ai piani superiori; sostituendole con bizzarre statuette di porcellana, divani dorati
venuti dalla Francia, ed eleganti marmi, in cui i nasi e le membra rotte e le bruttezze
provavano innegabilmente l'antichità: e che un agente aveva acquistato per me a Roma. Ma
il gusto di quell'epoca (e forse la furfanteria del mio agente) erano tali che 30.000 sterline di
quei capolavori d'arte non ne fruttarono che 300 in seguito, quando fui costretto a realizzare
in denaro le mie collezioni.

Da questo vestibolo principale si dipartiva da una parte e dall'altra una lunga serie di stanze
di rappresentanza, scarsamente ammobiliate con seggioloni dall'alta spalliera e lunghi e
strani specchi veneziani, quando io giunsi per la prima volta nella proprietà; ma che in
seguito resi splendide con damaschi dorati di Lione e le magnifiche tappezzerie Gobelins
che avevo vinto al giuoco al maresciallo di Richelieu. C'erano trentasei camere da letto "de
maître", di cui ne conservai solo tre nelle loro precedenti condizioni: la stanza stregata, come
la chiamavano, in cui era stato compiuto un assassinio al tempo di Giacomo Secondo, il letto
dove dormì Guglielmo dopo aver approdato a Torbay, e la stanza di parata della Regina
Elisabetta. Tutto il resto fu ridecorato dal bravo Cornichon col gusto più elegante e con non
poco scandalo di alcune delle vecchie e posate matrone di campagna perché io feci
decorare gli appartamenti principali con pitture di Boucher e di Vanloo, in cui i Cupidi e le
Veneri erano dipinti in modo veramente naturale. Mi ricordo che la vecchia e grinzosa
contessa di Frumpington appuntò con spilli le cortine del suo letto, e mandò sua figlia, Lady
Blanche Whalebone, a dormire con la cameriera, piuttosto che permetterle di dormire in una
camera tutta tappezzata di specchi, esattamente come lo spogliatoio della regina a
Versailles.

Di molti di questi ornamenti non debbo rispondere tanto io quanto Cornichon, che mi fu
prestato da Lauraguais, e che fu intendente dei miei palazzi per tutto il periodo in cui fui
all'estero. Io avevo dato a costui carta bianca, e quando cadde e si ruppe una gamba,
mentre era intento a decorare un teatro nella camera che era stata la vecchia cappella del
castello, la gente del paese pensò che fosse un anatema del cielo su di lui. Nella sua furia di
miglioramenti, quell'individuo osò di tutto. Senza mio ordine, tagliò il vecchio bosco delle
cornacchie, che era considerato sacro nel paese, e sul quale c'era una profezia che
affermava:

"Quando cadrà il bosco delle cornacchie cadrà anche Hackton Hall".

Le cornacchie se ne andarono a colonizzare i boschi dei Tiptoff, che si stendono vicino a noi
(possano finire impiccati!), e Cornichon costruì, al posto già da loro occupato, un tempio a
Venere e due deliziose fontane. Le Veneri e i Cupidi erano la passione di quel furfante: egli
avrebbe voluto togliere gli scranni gotici e mettere dei Cupidi anche nei nostri seggi in
chiesa; ma il rettore, il vecchio Dottor Huff, venne fuori con un grosso bastone di quercia, e si
rivolse al disgraziato architetto in latino, di cui costui non comprendeva neppure una parola,
riuscendo tuttavia a fargli capire che gli avrebbe fracassato le ossa se si fosse permesso di
toccare soltanto con un dito quel sacro edificio. Cornichon fece le sue lamentele a proposito
dell'"Abbé Huff", come lo chiamava lui (Et quel abbé, grand Dieu!

- aggiunse, assolutamente sconcertato: - un abbé avec douze enfants!); ma io difesi la


chiesa sotto questo punto di vista, e pregai Cornichon di esercitare i suoi talenti soltanto sul
castello.

C'era una magnifica collezione di piatti antichi, a cui io ne aggiunsi diversi del più splendido
genere moderno; una cantina che, quantunque ben fornita, richiedeva di essere
continuamente rimessa in ordine, ed una cucina che io riformai completamente. Il mio amico
Jack Wilkes mi mandò un cuoco dalla "Mansion House", per la cucina inglese (dipartimento
della cacciagione e delle testuggini), e mi feci venire anche uno chef (che, fra l'altro,
domandò soddisfazione al collega inglese, e si lamentò tristemente del "gros cochon" che
desiderava scontrarsi con lui a "coups de poing") ed un paio di "aides" da Parigi, ed un
pasticcere italiano, come miei "officiers de bouche". Tutti questi sono accessori naturali per
un uomo di un certo stile. Ma quell'odioso vecchio taccagno di un Tiptoff, mio parente e
vicino, affettava di osservarli con orrore; e andava spargendo in tutto il paese la voce che io
mi facevo cuocere le vivande dai Papisti, vivevo di ranocchi, e facevo mettere in fricassea (e
questo lo credeva veramente) dei bambini piccoli e teneri.

Nonostante questo i signori dei dintorni mangiavano i miei pranzi con entusiasmo, e il
vecchio Dottor Huff in persona fu costretto ad ammettere che la mia cacciagione e la mia
zuppa di tartaruga erano assolutamente ortodosse. Del resto la nobiltà di cui parlo sapevo
come conciliarmela anche in altri modi. Nel paese c'era stata sin lì soltanto una muta
comune di cani per la caccia alla volpe, e poche miserevoli coppie di vili bracchi, con cui il
vecchio Tiptoff si aggirava per i suoi terreni; io costruii un canile e delle stalle che costarono
30.000 sterline, e li riempii in modo degno dei miei antenati, i re irlandesi. Avevo due mute di
cani, e nella stagione della caccia uscivo quattro volte la settimana, seguito da tre cacciatori
che portavano la mia uniforme, e tenevo casa aperta a Hackton per tutti coloro che avevano
qualche cosa a che fare con la caccia.

Questi mutamenti e questo "train de vivre" richiedevano, come si può immaginare, non poca
spesa; ed io debbo confessare che in me c'è ben poco di quello spirito d'economia che taluni
praticano ed ammirano. Per esempio, il vecchio Tiptoff accumulava denaro per rimediare le
stravaganze fatte da suo padre e liberare dalle ipoteche i suoi possedimenti; e una buona
quantità del denaro che egli pagava per togliere le ipoteche, il mio agente se lo procurava
mettendo ipoteche sul mio. Del resto, bisogna tener presente che io avevo sulla proprietà di
Lyndon un interesse che non oltrepassava la probabile durata della mia vita, che avevo
sempre avuto una certa facilità a trattare con gli strozzini, e che dovevo spendere un bel po'
anche per assicurare un degno andamento di vita a Sua Signoria.

Al termine di un anno Lady Lyndon mi fece dono di un figlio: lo chiamai Bryan Lyndon, in
omaggio al mio regale antenato; ma che altro avevo da lasciargli, all'infuori di un nobile
nome? Non erano forse le proprietà di sua madre destinate tutte a quell'odioso ragazzaccio,
Lord Bullingdon di cui, a proposito, non ho ancora parlato, benché vivesse ad Hackton,
affidato ad un nuovo istitutore? L'insubordinazione di quel ragazzo era spaventosa.
Egli era solito citare a sua madre passaggi dell'"Amleto", che la rendevano assolutamente
furiosa. Una volta che io presi una frusta da cavalli per castigarlo, lui tirò fuori un coltello, e
credo che mi avrebbe accoltellato: e in fede mia, io mi ricordai della mia giovinezza, che era
stata altrettanto ardente; e tendendogli la mano scoppiai in una risata, e gli proposi di
diventare amici. Ci riconciliammo quella volta, ed anche la seguente, e la seguente ancora,
ma non c'era affetto tra noi ed il suo odio per me sembrava crescere insieme con lui, cosa
che avveniva a vista d'occhio.

Decisi, quindi, di dotare il mio caro figliolino Bryan di una proprietà, e a questo scopo feci
tagliare per dodicimila sterline di legname sulle proprietà dello Yorkshire e d'Irlanda di Lady
Lyndon: all'annuncio di questa mia azione Tiptoff, che era il tutore di Bullingdon si mise a
strillare come al solito, e giurò che io non avevo il diritto di toccare neppure un fuscello di
quegli alberi: ma gli alberi furono abbattuti; ed io incaricai mia madre di ricomprare le antiche
terre di Ballybarry e Barryogue, che una volta avevano fatto parte delle immense proprietà
della mia casata. Essa le ricomprò con grande avvedutezza e con estrema gioia; perché il
suo cuore si rallegrava all'idea che mi era nato un figlio che avrebbe portato il mio nome, e al
pensiero delle mie meravigliose fortune.

A dire la verità, io avevo un certo timore, ora che vivevo in un ambiente così diverso da
quello in cui essa era abituata a muoversi che venisse a farmi una visita, facendo stupire i
miei amici inglesi con le sue millanterie e col suo modo di esprimersi in dialetto, col suo
rossetto e le sue sottane a cerchi ed i suoi falpalà del tempo di Giorgio Secondo, che le si
addicevano molto al tempo della sua giovinezza ma che era appassionatamente convinta
essere ancora all'ultima moda. Così ogni tanto le scrivevo rimandando la sua visita;
pregandola di venirci a trovare quando fosse stata ultimata l'ala sinistra del castello o
ultimate le stalle, e così via. Ma non c'era alcun bisogno di precauzioni del genere. "A me
basta un cenno, Redmond ", rispondeva la vecchia signora. "Non verrò a disturbarti tra i tuoi
altolocati amici inglesi con le mie maniere irlandesi fuori moda. E' una benedizione per me
pensare che il mio caro ragazzo ha raggiunto la posizione che ho sempre pensato gli fosse
dovuta e per prepararlo alla quale ho fatto tanti sacrifici. Però devi portarmi un giorno il
piccolo Bryan perché la sua nonna possa baciarlo. Presenta le mie rispettose benedizioni a
Sua Signoria la sua mamma. Dille che ha trovato in suo marito un tesoro che non avrebbe
avuto neppure se avesse preso per marito un duca; e che i Barry ed i Brady, benché non
abbiano titoli, hanno il miglior sangue nelle vene. Io non avrò requie finché non vedrò te
Conte di Ballybarry, e mio nipote Lord Visconte Barryogue".

Strano che per la mente di mia madre e per la mia passassero proprio le stesse idee! Gli
stessi titoli che essa aveva scelto erano stati scelti anche (cosa abbastanza naturale) da me;
e non mi vergogno a confessare che avevo riempito una dozzina di fogli di carta con la mia
firma, sotto i nomi di Ballybarry e di Barryogue, e che avevo deciso con la mia impetuosità
abituale di conseguire il mio scopo. Mia madre andò a stabilirsi a Ballybarry, in casa del
parroco in attesa che venisse costruita una dimora padronale, e datava le sue lettere da
"Ballybarry Castle"; ed io, potete esserne certi, feci correr voce che era un posto di non poca
importanza. Tenevo nel mio studio una pianta della proprietà, tanto ad Hackton che a
Berkeley Square, ed i progetti per l'ampliamento di Ballybarry Castle, la residenza avita di
Barry Lyndon, Esquire, con i miglioramenti progettati, in cui il castello era rappresentato
press'a poco della grandezza di Windsor, con maggior numero di ornamenti nell'architettura.
Ed essendo stati messi in vendita ottocento acri di terreno acquitrinoso, li acquistai a tre
sterline l'acro, sicché sulla pianta la mia proprietà sembrava tutt'altro che insignificante (29).
In quell'anno condussi anche trattative per l'acquisto della proprietà e delle miniere di
Polwellan in Cornovaglia da Sir John Trecothick, per 70.000 sterline: un affare imprudente,
che in seguito mi fu causa di dispute e liti interminabili. I guai del possedere, la bricconeria
degli amministratori, i pasticci dei legulei sono senza fine. La gente modesta invidia noi,
grandi uomini, e immagina che le nostre vite siano tutte piaceri. Più d'una volta durante la
mia prosperità io ho sospirato i giorni della più modesta fortuna, ed ho invidiato i buoni
camerati che avevo alla mia tavola, senza altri abiti indosso che quelli che il mio credito
forniva loro, senza una ghinea all'infuori di quelle che venivano dalla mia tasca; ma anche
senza neppure una delle tormentose preoccupazioni e responsabilità che sono i fastidiosi
accessori della proprietà e dell'alto rango.

Nel regno d'Irlanda io feci poco più che una comparsa per assumere la direzione delle mie
proprietà, ricompensando generosamente coloro che erano stati gentili con me nelle mie
precedenti avversità, e prendendo il posto che mi spettava tra l'aristocrazia del paese. Ma in
verità avevo pochi allettamenti a rimanere lì, dopo aver gustato i piaceri più aristocratici e
completi della vita inglese o continentale; sicché passavamo l'estate a Buxton, a Bath e ad
Harrogate - mentre Hackton Castle veniva abbellito nell'elegante modo già da me descritto -
e la stagione mondana nel nostro castello di Berkeley Square.

E' meraviglioso come il possesso della ricchezza faccia venire alla luce le virtù di un uomo; o
comunque dia loro vernice o lustro, e metta in evidenza il loro splendore ed il loro colore in
modo mai conosciuto quando l'individuo stagnava nella grigia atmosfera della povertà. Vi
assicuro che ci volle assai poco tempo perché diventassi proprio un personaggio di
prim'ordine; e facessi una certa sensazione nei caffè di Pall Mall, e in seguito nei più famosi
clubs. Il mio stile, i miei equipaggi ed i miei eleganti ricevimenti erano sulla bocca di tutti, ed
erano descritti in tutti i giornali del mattino. La parte più modesta dei parenti di Lady Lyndon,
e tutti quelli che erano rimasti offesi dall'intollerabile altezzosità del vecchio Tiptoff,
cominciarono a comparire ai nostri ricevimenti ed alle nostre riunioni serali; e quanto alle mie
parentele personali, trovai a Londra e in Irlanda più cugini di quanti mi fossi mai sognato di
avere, che proclamavano la loro parentela con me. Ce n'erano, naturalmente, di quelli che
erano nati nel mio stesso paese (e di cui non ero particolarmente orgoglioso), e ricevetti
visite da tre o quattro stracciati ed orgogliosi tipi del Temple, con merletti sciupati e millanterie
alla Tipperary, che si guadagnavano da vivere al Tribunale di Londra; di parecchi giocatori ed
avventurieri nei luoghi di bagni, tutta gente che rimisi al suo posto in quattro e quattr'otto; e di
altri di più elevata condizione. Tra questi posso citare mio cugino Lord Kilbarry che, in
omaggio alla nostra parentela, prese a prestito da me trenta monete d'oro per pagare la sua
pensione in Swallow Street; ed al quale, per ragioni mie personali, permisi di conservare e di
dar credito ad una parentela a cui il Collegio Araldico non riconosceva alcun fondamento.

Kilbarry aveva sempre un posto alla mia tavola; puntava al gioco, e pagava quando ne aveva
voglia, il che avveniva raramente; contrasse una notevole intimità e notevoli obbligazioni col
mio sarto; e si vantava sempre di suo cugino, il grande Barry Lyndon del West.
Dopo un certo tempo Sua Signoria ed io vivevamo molto separati, quando eravamo a
Londra. Ella preferiva la quiete: o meglio, a dire il vero, ero io che la preferivo per lei; poiché
ritengo che alla donna si addica un contegno tranquillo e modesto, e il gusto delle gioie
domestiche. La incoraggiavo, quindi, a pranzare in casa, con le sue dame, il suo cappellano
e qualche amica; permettevo a tre o quattro persone discrete e adatte di accompagnarla
all'Opera o ai concerti in occasioni adatte; e declinavo per lei le troppo frequenti visite di
amici e di parenti, preferendo riceverli solo due o tre volte nel corso della stagione, durante i
nostri grandi ricevimenti ufficiali. Inoltre essa era madre, e le era di grande conforto vestire,
educare e vezzeggiare il nostro piccolo Bryan, per amore del quale conveniva che essa
rinunciasse ai piaceri ed alle frivolezze del mondo; sicché lasciava che quella parte dei
doveri di ogni famiglia distinta venisse compiuta da me.

Per dire la verità, la figura e l'aspetto di Lady Lyndon a quell'epoca non erano tali da
permettere alla loro proprietaria di fare una brillante figura nel mondo elegante. Era diventata
molto grassa, di vista corta, di colorito pallido, si curava poco dei suoi vestiti, aveva un
contegno scialbo; le sue conversazioni con me erano caratterizzate da una stupida
disperazione, o da sciocchi, grossolani tentativi di tenerezza forzata anche più sgradevole:
sicché i nostri rapporti erano del tutto insignificanti, e il mio desiderio di portarla in società, o
di rimanere in sua compagnia era logicamente assai scarso.

Del resto anche in casa ella metteva alla prova la mia pazienza in mille modi. Quando le
chiedevo (spesso in modo un po' brusco, lo ammetto) di intrattenere la compagnia con la sua
conversazione, il suo spirito e la sua cultura, tutte cose in cui era versatissima, o con un po'
di musica, di cui era ottima esecutrice, quasi sempre cominciava a piangere e lasciava la
stanza. Da questo, naturalmente, la mia compagnia arguiva che io mi comportassi con lei
come un tiranno, laddove ero soltanto il custode severo e diligente di una donna sciocca, di
cattivo carattere e di debole mente.

Per fortuna voleva molto bene al figliolo più piccolo, e per mezzo suo avevo su di lei un
dominio effettivo e completo; perché se in una delle sue collere o in uno dei suoi accessi di
superbia (quella donna era insopportabilmente orgogliosa e da principio, nelle nostre
dispute, osò rinfacciarmi ripetutamente la mia povertà originaria e la mia bassa nascita), se,
dico nelle nostre dispute pretendeva di avere la meglio, di affermare la sua autorità contro la
mia, di rifiutarsi di firmare delle carte che io potevo ritenere necessarie per l'amministrazione
della nostra vasta ed intrigata proprietà, io portavo via Bryan, a Chiskick, per un paio di
giorni; e vi garantisco che la sua signora madre non riusciva a tener duro a lungo, e finiva
per essere d'accordo su tutto ciò che mi veniva in mente di proporre. I domestici che la
circondavano, ebbi cura che fossero stipendiati da me, e non da lei: specialmente la prima
bambinaia del bambino era ai miei ordini, e non a quelli di Milady; ed era una civetta proprio
carina e impudente, con le sue guance rosse; e mi fece impazzire un bel po'. Questa donna
contava in casa molto più della poco briosa signora che ne era la padrona. Dettava legge ai
domestici; e se io usavo qualche particolare attenzione a qualcuna delle signore che
venivano a trovarci, quella sgualdrina non si faceva scrupolo di mostrare la sua gelosia,
finché trovava il modo di far fare fagotto a tutte. Il fatto è che un uomo di cuore generoso si fa
sempre prendere in giro da una donna o dall'altra; e questa aveva una tale influenza su di
me, che poteva rigirarmi come voleva (30).
Il suo infernale carattere (il nome di quella sgualdrinella era signora Stammer) e il penoso
abbattimento di mia moglie rendevano la mia casa non troppo piacevole; e da questo fui
tratto ad andarmene un bel po' all'estero, dove, poiché il giuoco era di moda in ogni circolo,
taverna e riunione, io fui costretto naturalmente a riprendere le mie vecchie abitudini e a
ricominciare "en amateur" quei giuochi in cui una volta non avevo rivali in Europa. Ma sia che
il carattere di un uomo cambi con la prosperità, sia che la sua abilità lo abbandoni quando,
privo di un socio e non coltivando professionalmente il giuoco, si dedica ad esso, come tutto
il resto della gente, per passatempo, non so; certo è che nelle stagioni 1774 e 1775 perdetti
molto denaro al "White's" ed al "Cocoatree", e fui costretto a far fronte alle mie perdite
attingendo numerosi prestiti sulle rendite annuali di mia moglie, sull'assicurazione sulla vita di
Sua Signoria, e così via.

Le condizioni a cui presi a prestito queste somme a me necessarie e le spese che


richiedevano i miglioramenti da me ordinati erano, naturalmente, molto onerose, e tosavano
notevolmente la proprietà; e furono proprio alcune di queste carte che Milady Lyndon (che
era di carattere ristretto, timido e taccagno) rifiutò occasionalmente di firmare: fino a che io
non la "persuasi", nel modo che ho esposto precedentemente.

I miei rapporti col "turf" dovrebbero anche essere ricordati qui, dato che fanno parte della mia
storia di quei tempi; ma in verità non mi fa particolarmente piacere ricordare le mie imprese a
Newmarket. Venivo imbrogliato e frodato in un modo infernale in quasi tutti gli affari che vi
facevo; benché io montassi a cavallo tanto bene quanto qualsiasi altra persona in Inghilterra.
Ma non c'era corsa in cui i nobili inglesi montassero loro stessi.

Quindici anni dopo che il mio cavallo, Bay Bulow, di Sophy Hardcastle, discendente di
Eclipse, aveva perso le corse di Newmarket, in cui era il primo tra i favoriti, seppi che un
nobile conte, che non nominerò qui, era entrato nella sua stalla la mattina, prima che
corresse; e la conseguenza fu che vinse un cavallo forestiero, e che il vostro umile servitore
rimase fuori per la somma di quindicimila sterline. Gli estranei non avevano probabilità di
vittoria a quei giorni sulla pista: e, benché abbagliato dallo splendore e dall'eleganza lì
radunati e circondato dai più grandi personaggi del paese - i duchi reali, con le loro consorti
ed i loro splendidi equipaggi; il vecchio Grafton, con la sua strana brigata d'amici, e uomini
come Ancaster, Sandwich, Lorn - uno lì avrebbe potuto considerarsi sicuro che vi si giuocava
correttamente, ed essere non poco orgoglioso della compagnia in cui si trovava; eppure io vi
assicuro che non c'era accolta d'uomini in Europa che sapesse come rubare, imbrogliare un
estraneo, corrompere un fantino, propinare droghe a un cavallo, o manipolare un libro di
scommesse in modo più distinto.

Neppure io riuscivo a far fronte a questi perfezionatissimi biscazzieri delle più nobili famiglie
d'Europa. Era la mia personale mancanza di stile, o la mia mancanza di fortuna? Io non lo
so. Ma ora che ero arrivato al colmo delle mie ambizioni sembrava che tanto la mia abilità
quanto la mia fortuna mi avessero abbandonato. Tutto ciò che toccavo andava in briciole fra
le mie mani; tutte le speculazioni che facevo andavano male; tutti gli agenti di cui mi fidavo
mi ingannavano. La verità è che io sono uno di quegli uomini nati per fare, e non per
mantenere le fortune; perché le qualità e l'energia che portano un uomo a farsi largo nel
primo caso sono spesso proprio la cagione della sua rovina nel secondo: e davvero non
trovo altra ragione alla sfortuna che alla fine piombò su di me (31).

Ho sempre avuto una particolare simpatia per gli uomini di lettere, e forse, se si deve dire la
verità, non mi riesce difficile rappresentare la parte del gentiluomo distinto e del mecenate fra
gli uomini di spirito. Le persone di quel genere sono di solito bisognose e di bassa nascita,
ed hanno un rispetto ed un aspetto istintivo per i gentiluomini e per i loro abiti guarniti di pizzi,
come debbono aver notato tutti quelli che ne hanno frequentato la compagnia. Il famoso
Reynolds, che in seguito fu fatto cavaliere, ed era certamente il più elegante pittore dei suoi
tempi, era anche un abile cortigiano della tribù degli uomini di spirito. Per mezzo di questo
signore, che dipinse un quadro rappresentante me, Lady Lyndon ed il nostro piccolo Bryan,
che fu molto ammirato alla Mostra (io ero rappresentato nell'atto di congedarmi da mia
moglie, nel costume dei cavalieri "yeomen" di Tippleton, di cui ero maggiore; e il bambino
indietreggiava spaventato dal mio elmo come quel "come si chiama" - il figlio di Ettore, come
è descritto da Pope nella sua "Iliade"), per mezzo dunque di Reynolds venni presentato a
parecchi di quei gentiluomini e al loro capintesta, il celebre Johnson.

Ho sempre pensato che questo loro capo fosse un grande orso. Venne a prendere il tè in
casa mia due o tre volte, comportandosi molto grossolanamente; trattando le mie opinioni
con rispetto non molto maggiore che se fossero state quelle di uno scolaretto, e dicendomi di
pensare ai miei cavalli e ai miei sarti, e di non impicciarmi con la letteratura. Il suo domatore
d'orsi scozzese, il signor Boswell, era di una comicità di prim'ordine. Non ho mai visto
un'altra figura come quella di quell'individuo, in ciò che egli chiamava un costume Còrso, ad
uno dei balli della signora Cornely, a Carlisle House, Soho. Se non fosse per il fatto che le
storie che si riferiscono a questa istituzione non sono proprio tra le più educative di questo
mondo, potrei narrare migliaia di cose strane che accaddero lì. Tutte le persone di dubbia
reputazione, di alta e bassa nascita, della città, si radunavano colà, da Sua Grazia di
Ancaster giù giù fino al mio compaesano, il povero Oliviero Goldsmith, il poeta, e dalla
Duchessa di Kingston giù fino all'Uccello di Paradiso o a Kitty Fisher. Qui ebbi occasione
d'incontrare tipi molto originali, che fecero anche qualche fine piuttosto strana: il povero
Hackman, che in seguito fu impiccato per aver ucciso Miss Ray, e (di contrabbando) Sua
Reverenza il dottor Simony, che il mio amico San Foote, del "Little Theatre", fece rivivere
anche dopo che i suoi falsi ed una bella corda al collo ne avevano troncato la carriera di
parroco.

Era un simpatico luogo, Londra, a quei tempi, a dir proprio la verità. Io ne scrivo ora, nella
mia gottosa vecchiaia, quando la gente è diventata enormemente più morale e più positiva di
quel che non fosse alla fine del secolo scorso, quando il mondo era giovane con me. C'era
una grande differenza tra un gentiluomo e un individuo qualunque a quei tempi. Noi allora
portavamo seta e ricami. Ora tutti gli uomini hanno lo stesso aspetto da cocchieri, con i loro
cravattoni ed i loro soprabiti con la mantellina, e non c'è alcuna differenza esteriore fra un
Lord ed il suo lacchè.

Allora ad un uomo elegante occorrevano un paio d'ore per fare la sua toilette, ed egli poteva
mostrare un po' di gusto e di genialità nello sceglierla. Che sfolgorio di splendori era un
salotto da ricevere, o un'Opera, o una serata di gala! Che somme di denaro si perdevano e si
vincevano a quei deliziosi tavoli di faraone! Il mio cocchio dorato con i suoi domestici a
cavallo, risplendenti in verde e oro, era qualche cosa di molto diverso a vedere dagli
equipaggi che si vedono oggi sui viali, con quei minuscoli lacchè dietro. Un uomo era capace
di bere quattro volte più di quanto siano capaci di mandar giù gli smidollati di oggi:

ma è inutile insistere sull'argomento. I veri gentiluomini sono morti per sempre. La moda
adesso è favorevole ai soldati ed ai marinai, ed io divento malinconico e di pessimo umore
quando penso a trent'anni fa.

Questo capitolo è dedicato alle reminiscenze di quello che fu per me un'epoca splendida e
felice, ma che presenta poco di notevole in fatto di avventure. Mi sembrerebbe ozioso
riempire pagine e pagine con i resoconti delle occupazioni quotidiane di un uomo elegante,
le belle signore che gli sorridevano, gli abiti che portava, i giochi a cui giocava, e vinceva o
perdeva. Oggi che i più giovani sono occupati a tagliar la gola ai Francesi in Spagna e in
Francia, dormono nei bivacchi, e sono avvezzi a nutrirsi della galletta e della carne
conservata del rancio, essi non comprenderebbero neppure la vita che conducevano i loro
antenati; sicché tralascerò ogni ulteriore discorso sui piaceri dei tempi in cui anche il Principe
era un bamboccio sotto tutela, quando Charles Fox non era ancora diventato un uomo
politico, e Bonaparte era un marmocchio stracciato nella sua isola natale.

Mentre nelle mie proprietà procedevano i miglioramenti e la mia casa, da antico castello
normanno, veniva mutata in un elegante tempio, o palazzo greco, e i miei giardini e i miei
boschi perdevano il loro aspetto rustico e venivano accomodati nel più raffinato stile francese
- mentre il mio bambino cresceva sulle ginocchia di sua madre e la mia influenza nel paese
aumentava, non si deve immaginare che in tutto quel tempo io me ne stessi nel Devonshire,
e che trascurassi le visite a Londra e nelle mie diverse proprietà d'Inghilterra e d'Irlanda.

Risiedetti per qualche tempo nella proprietà di Trecothick e alle miniere di Polwellan, dove
trovai, invece di guadagno, ogni sorta di cavillosi intrighi; attraversai in gran pompa i nostri
territori in Irlanda, dove ricevetti la nobiltà in uno stile a cui lo stesso Lord Luogotenente non
avrebbe potuto stare a pari; diedi il tono a Dublino, che era proprio una miserabile e
selvaggia città, a quei tempi; e dal tempo in cui c'è stato tanto scompiglio circa l'Unione e le
disgrazie che ne sono seguite, io sono rimasto molto imbarazzato a spiegare le folli lodi del
vecchio ordine di cose che gli appassionati patrioti irlandesi hanno inventato. Dico che dettai
legge in fatto di moda a Dublino; e questa non è gran lode per me, perché a quei tempi era
un ben povero luogo, qualunque cosa possa dire il Partito irlandese.

In un precedente capitolo ne ho già fatto la descrizione. Era la Varsavia della nostra parte del
mondo: e vi era una nobiltà splendida, rovinata e semicivilizzata che dettava legge ad una
popolazione semiselvaggia. Dico di proposito semiselvaggia. La gente nelle strade era
disordinata, con la barba lunga e vestita di stracci. La maggior parte dei luoghi pubblici non
offrivano alcuna sicurezza dopo il tramonto. Il Collegio, gli edifici pubblici e le case dell'alta
nobiltà erano splendide (ma queste ultime per la maggior parte non erano finite); ma la
popolazione era più miserabile di qualsiasi altra che io avessi mai conosciuto: l'esercizio
della loro religione era permesso solo per metà; il loro clero era costretto a ricevere la sua
istruzione fuori del paese; l'aristocrazia era completamente divisa dal popolo; c'era una
nobiltà protestante, e nelle città le miserabili, insolenti corporazioni dei protestanti, con un
rovinoso seguito di sindaci, funzionari e ufficiali municipali, che figuravano tutti nelle petizioni
e che esprimevano la voce pubblica nel paese; ma non c'era né simpatia né rapporti tra l'alto
e il basso popolo dell'Irlanda.

Una persona che, come me, era stata per tanto tempo all'estero, era doppiamente colpita
dalla differenza tra Cattolici e Protestanti; e benché fermo come una roccia nella mia fede,
pure io non potevo fare a meno di ricordare che mio nonno aveva avuto una fede diversa, e
di meravigliarmi che potesse esistere una simile differenza politica fra le due.

Tra i miei vicini passavo per un pericoloso livellatore, dato che conservavo ed esprimevo
opinioni simili, e specialmente perché invitavo il prete della parrocchia alla mia tavola a
Castle Lyndon. Costui era un gentiluomo che aveva studiato a Salamanca, ed era a mio
avviso un compagno molto più educato e piacevole del suo collega, il Rettore, che aveva
soltanto una dozzina di protestanti per la sua congregazione; che era figlio di un Lord,
effettivamente, ma parlava malissimo, ed i cui principali campi di attività erano il canile e
l'arena da combattimento dei galli.

Io non estesi ed abbellii gli edifici di Castle Lyndon come avevo fatto nelle altre nostre
proprietà, ma mi contentai di farvi di tanto in tanto una visita occasionale, esercitandovi
un'ospitalità quasi regale e tenendo casa aperta durante il mio soggiorno.

Quando ero assente davo a mia zia, la vedova Brady, ed alle sue sei figliole zitelle (benché
esse mi detestassero ancora) il permesso di abitarvi; poiché mia madre preferiva il mio
nuovo castello di Barryogue.

E poiché Lord Bullingdon a quell'epoca era diventato troppo grande e turbolento, decisi di
lasciarlo affidato alle cure di un istitutore adatto in Irlanda, con la signora Brady e le sue sei
figliole a prendersi cura di lui; e sarebbe stato il benvenuto se si fosse innamorato di tutte
quelle vecchie signore. Magari ne avesse avuto voglia, e avesse imitato su questo punto
l'esempio del suo padrigno! Quando era stanco di Castle Lyndon, Sua Signoria era
pienamente libero di andare a risiedere nella mia casa con la mia mamma; ma tra loro non
c'era simpatia, anzi io credo che, a causa di mio figlio Bryan, ella lo odiasse tanto
cordialmente quanto avrei potuto farlo io.

La contea di Devon non è fortunata come la vicina contea di Cornwall, e non le spetta lo
stesso numero di rappresentanti che possiede quest'ultima; dove ho visto un modesto
gentiluomo di campagna, con poche centinaia di sterline all'anno di reddito, triplicare le sue
entrate mandando al Parlamento tre o quattro Membri, e grazie all'influenza presso i Ministri
che questi seggi gli conferivano. Gli interessi parlamentari della casata dei Lyndon erano
stati grossolanamente trascurati durante la minore età di mia moglie, e l'incapacità del conte
suo padre; o, per parlare con maggiore esattezza, era stata sottratta completamente alla
famiglia Lyndon da quell'abile vecchio ipocrita di Tiptoff Castle, che si comportava come
fanno la maggior parte dei parenti e tutori verso i loro pupilli e parenti, e li derubava di tutto.

Il Marchese di Tiptoff inviò al Parlamento quattro Membri: due per la cittadina di Tippleton
che, come tutti sanno, giace ai piedi della nostra proprietà di Hackton, ed è limitata dall'altra
parte da Tiptoff Park. Da tempo immemorabile eravamo noi che avevamo mandato i Membri
per quella cittadina, finché Tiptoff, approfittando dell'imbecillità del defunto Lord, mise al loro
posto degli altri nominati da lui. Quando il suo figliolo maggiore fu in età da essere eletto,
naturalmente Milord si prese il seggio di Tippleton; quando Rigby (il Nababbo Rigby, che
aveva fatto la sua fortuna sotto Clive, in India) morì, il Marchese ritenne conveniente tirar
fuori il suo secondo figlio, Milord George Poynings, che ho già presentato al lettore nei
capitoli precedenti, e decise, nella sua mente alta e potente, che anche lui sarebbe dovuto
andare ad ingrossare le file dell'opposizione, i grossi e vecchi Whigs, dalla parte dei quali si
era messo.

Rigby era stato per qualche tempo in cattive condizioni di salute prima della sua scomparsa,
e potete star certi che la circostanza della sua cattiva salute non era passata inosservata alla
nobiltà del paese che era costituita per la maggior parte da uomini fedeli al governo, e odiava
i principi di Lord Tiptoff come pericolosi e rovinosi. "E' un pezzo che cerchiamo un uomo per
combattere contro di lui", mi dissero quei gentiluomini di campagna; "noi possiamo tener
testa a Tiptoff solo al di fuori di Hackton Castle. Voi, signor Lyndon, siete il nostro uomo, e
alla prossima elezione della contea vi dichiareremo nostro candidato".

Io odiavo tanto i Tiptoff che li avrei combattuti in qualsiasi elezione. Non solo essi non ci
facevano visita ad Hackton, ma rifiutavano di ricevere coloro che facevano visita a noi;
esortavano le signore della contea a non ricevere mia moglie, inventavano almeno la metà
delle folli storie sulla mia prodigalità e stravaganza con cui si divertiva il vicinato; dicevano
che avevo indotto mia moglie al matrimonio terrorizzandola, e che essa era ormai una donna
finita; insinuavano che la vita del giovane Bullingdon non era sicura sotto il mio tetto, che lo
trattavo in maniera odiosa, e che desideravo toglierlo di mezzo per far posto a mio figlio
Bryan. A me riusciva difficile avere un amico e un informatore ad Hackton, ma essi invece
contavano le bottiglie che si bevevano alla mia tavola e strappavano tutti i segreti delle mie
trattative con i miei legali ed i miei agenti d'affari. Se un creditore non era pagato, tutte le voci
del suo conto erano conosciute a Tiptoff Hall; se davo un'occhiata alla figlia di un contadino,
si diceva che l'avevo rovinata.

Io ho molti difetti, lo confesso, e come capo-famiglia non posso certo vantarmi del mio
carattere, né di essere molto regolato; ma Lady Lyndon ed io non ci bisticciavamo più di
quanto facciano le altre persone di un certo rango, e da principio tiravamo avanti proprio
bene. Io sono un uomo pieno di colpe, certamente, ma non quel demonio che raffiguravano
quegli odiosi maldicenti dei Tiptoff. Nei primi tre anni di matrimonio non picchiai mia moglie
altro che quando ero ubriaco. Quando tirai il trinciante al giovane Bullingdon avevo bevuto,
come possono testimoniare tutti quelli che erano presenti; ma quanto ad avere un qualsiasi
piano sistematico contro quel povero ragazzo, posso dichiarare solennemente che, all'infuori
del semplice fatto di odiarlo (e non si può comandare alle proprie inclinazioni naturali), io non
sono colpevole di avergli fatto alcun male.
Avevo dunque sufficienti motivi d'inimicizia contro i Tiptoff, e non sono uomo da lasciar lì
inattivo un sentimento di questo genere. Benché fosse Whig, o forse proprio perché era
Whig, il marchese era uno degli uomini più altezzosi che ci fossero al mondo, e trattava le
persone di grado inferiore al suo come soleva trattarle il suo idolo, il gran Conte (32), cioè
come altrettanti vilissimi vassalli, che potevano essere orgogliosi di leccargli le fibbie delle
scarpe. Quando il sindaco ed il consiglio comunale di Tippleton andavano a trovarlo, li
riceveva a capo coperto, non offriva mai una sedia al sindaco, anzi si ritirava quando
venivano portati i rinfreschi, o li faceva servire agli onorevoli funzionari nella stanza del
maggiordomo. Quegli onesti britanni non si ribellarono mai contro un simile trattamento, fino
a che non vi furono indotti dal mio patriottismo. No, a quei cani piaceva essere trattati
tirannicamente; e nel corso della mia lunga esperienza, ho conosciuto ben pochi inglesi che
non la pensassero allo stesso modo.

Soltanto quando aprii loro gli occhi, essi riconobbero la propria degradazione. Invitai ad
Hackton il Sindaco e la Sindachessa (che tra l'altro era una formosa e graziosa droghiera),
feci sedere lei accanto a mia moglie, e li condussi tutti e due alle corse nella mia carrozza.
Lady Lyndon si oppose violentemente a questa concessione; ma io avevo, come si dice, il
mio modo di trattarla, e se lei aveva un carattere, io ne avevo uno anche peggiore. Un
caratteraccio, oibò! Un gatto selvatico ha un caratteraccio, ma un buon guardiano riesce ad
averne ragione; ed io conosco ben poche donne al mondo che non sarei capace di
dominare.

Bene, tenni in gran conto il Sindaco e il Consiglio comunale mandai della cacciagione ai loro
pranzi, e li invitai ai miei; mi feci un punto d'onore di assistere alle loro riunioni, di ballare con
le loro mogli e con le loro figlie, di compiere, in breve, tutti quegli atti di cortesia che sono
necessari in simili occasioni: e benché il vecchio Tiptoff dovesse essere al corrente dei miei
procedimenti, pure aveva la testa talmente nelle nuvole, che non riuscì neppure una volta a
immaginare che la sua dinastia potesse essere sconfitta nella sua stessa città di Tippleton, e
dava i suoi ordini con la stessa sicumera che se fosse stato il Gran Turco e gli abitanti di
Tippleton null'altro che gli umilissimi schiavi delle sue volontà.

Ogni arrivo di posta che ci portava la notizia di un aggravamento delle condizioni di salute di
Rigby era la sicura occasione di un banchetto dato da me; sicché alla fine i miei amici e
compagni di caccia solevano dire ridendo: "Ribby sta peggio; c'è un pranzo del Consiglio
comunale ad Hackton!".

Così nel 1776, quando scoppiò la guerra con l'America, entrai in Parlamento. Milord
Chatham (33), di cui il suo partito soleva dire in quei giorni che era di una saggezza
sovrumana, levò la sua voce di oracolo alla Camera dei Pari contro la protesta americana, e
il mio compaesano Burke, un gran filosofo, ma oratore noiosissimo e prolisso, si fece
campione dei ribelli ai Comuni, dove tuttavia, grazie al patriottismo britannico, riuscì a
tirarsene dietro pochi. Il vecchio Tiptoff avrebbe giurato che il nero era bianco, se glielo
avesse detto il gran Conte; e indusse suo figlio a rinunciare al suo grado di ufficiale delle
Guardie, ad imitazione di Lord Pitt, che rinunciò al suo grado piuttosto che combattere contro
coloro che egli chiamava i suoi fratelli americani.

Ma questo era un tipo di patriottismo assai poco apprezzato in Inghilterra, dove, sin dallo
scoppio delle ostilità, il nostro popolo odiava gli Americani con tutto il cuore; e dove, quando
udimmo della battaglia di Lexington e della gloriosa vittoria di Bunker Hill (come eravamo
soliti chiamarla a quei tempi) la nazione esplose in una delle sue solite bollenti collere. Dopo
di questo tutti i discorsi furono contro i filosofi, e la gente era più che mai indomabilmente
fedele.

Solo dopo che venne aumentata la tassa sui terreni la piccola nobiltà cominciò a mormorare
un po'; ma il mio partito nell'Ovest era molto forte contro i Tiptoff. Allora decisi di scendere in
campo, e di vincere come era mio solito.

Il vecchio Marchese trascurava tutte le solite precauzioni che si richiedono per una
campagna elettorale. Annunciò al Consiglio ed ai liberi proprietari la sua intenzione di
presentare il figlio, Lord George, e il suo desiderio che quest'ultimo fosse eletto loro deputato
al Parlamento; ma innaffiò a malapena con un bicchiere di birra la devozione dei suoi
seguaci: mentre io, non c'è bisogno di dirlo, avevo impegnato tutte le taverne di Tippleton a
mio favore.

Non è il caso di rifare qui il racconto già fatto venti volte di un'elezione. Io salvai la città di
Tippleton dalle mani di Lord Tiptoff e di suo figlio Lord George. Provai anche una specie di
selvaggia soddisfazione nell'obbligare mia moglie (che era stata anche troppo offesa dal suo
parente, come ho già raccontato) a parteggiare contro di lui, e ad indossare e a distribuire i
miei colori quando giunse il giorno dell'elezione. E quando parlammo in contraddittorio, io
dissi alla folla che avevo battuto Lord George in amore, che lo avevo battuto sul terreno, e
che ora lo avrei battuto in Parlamento; e così feci, come provarono i fatti:

perché, con indicibile furore del vecchio Marchese, Barry Lyndon, Esquire, fu eletto Membro
del Parlamento per Tippleton, al posto di John Rigby, Esquire, deceduto; ed io lo minacciai di
sbalzarlo da entrambi i suoi seggi alla prossima elezione; dopo di ché mi recai a compiere i
miei doveri in Parlamento.

Fu allora che decisi seriamente di acquistare per me un grado di Pari d'Irlanda, di cui
godesse, dopo di me, il mio adorato figliolo ed erede.
Capitolo 18

IN CUI LA MIA BUONA FORTUNA COMINCIA A VACILLARE

Ed ora, se qualcuno fosse disposto a pensare che la mia storia è immorale (perché ho
sentito qualcuno affermare che io non ero uomo meritevole di raggiungere una simile
prosperità), pregherò qualcuno di questi individui che trovano sempre a ridire, di farmi il
favore di leggere la conclusione delle mie avventure; in cui vedranno che non era un premio
tanto grande quello che avevo vinto, e che ricchezza, splendori, trentamila sterline all'anno e
un seggio in Parlamento sono spesso pagati troppo a caro prezzo, quando si debbono
acquistare questi piaceri a prezzo della propria libertà personale, rincarando la dose col peso
di una moglie fastidiosissima.

Sono una cosa diabolica, queste mogli moleste, questa è la pura verità. Nessun uomo lo sa
finché non prova quanto pesante e scoraggiante possa essere il fardello di una di esse, e
quanto la seccatura cresca ed aumenti di anno in anno, e il coraggio divenga troppo poco
per sopportarle; sicché questo guaio che sembrava lieve e di poco conto il primo anno,
diviene intollerabile dopo dieci anni. Conosco la storia di uno di quei tipi classici del
dizionario che cominciò col portare un vitellino su in cima ad una collina ogni giorno, e che
continuò così fino a che l'animale non fu diventato un toro, sicché riusciva ancora a portarlo
agevolmente sulle spalle, ma vi dò la mia parola, cari giovanotti non ancora sposati, che una
moglie è un fardello molto più pesante a portare sul dorso della più grossa giovenca di
Smithfield: e se posso trattenere anche uno solo di voi dal prender moglie, le "Memorie di
Barry Lyndon, Esquire" non saranno state scritte invano. Non che Milady fosse una
borbottona o una spilorcia, come sono alcune mogli; avrei trovato il modo di curarla di queste
malattie; ma era di un carattere timido, piagnucoloso, melanconico, ipersensibile, cosa che è
per me anche più odiosa:

qualunque cosa si facesse per farle piacere, non era mai contenta o di buon umore. Dopo un
po' la lasciai perdere, e poiché, com'era naturale nel mio caso, i dispiaceri familiari mi
costringevano a cercare fuori di casa compagnia e divertimento, aggiunse a tutti gli altri suoi
difetti una bassa, detestabile gelosia. Per qualche tempo io non potei porgere la più comune
attenzione ad una qualsiasi altra donna, senza che Milady Lyndon si mettesse a piangere, a
torcersi le mani, a minacciare di suicidarsi, e non so che altro.

E la sua morte non sarebbe stata certo una cosa comoda per me, come lascio immaginare a
qualsiasi persona di buon senso; perché quel briccone del giovane Bullingdon (che cresceva
e stava diventando un ragazzone alto, goffo e millantatore, nonché la mia peggior piaga e
seccatura) avrebbe ereditato la proprietà fino all'ultimo penny, ed io sarei rimasto
notevolmente più povero di quando avevo sposato la vedova: perché spendevo il mio
patrimonio personale con tutta la rendita di Milady per conservare un livello di vita pari al
nostro rango, ed ero sempre troppo generoso e di spirito per risparmiare anche un
centesimo delle entrate di Lady Lyndon.

Lasciamo chiacchierare i miei detrattori, i quali dicono che io non avrei mai potuto
danneggiare tanto le sostanze dei Lyndon se non mi fossi fatto un piccolo patrimonio privato;
o credono che, anche nella mia penosissima situazione attuale, abbia dei mucchi d'oro
nascosti da qualche parte. Io non ho preso a prestito neppure uno scellino sulla proprietà di
mia moglie senza spenderlo da uomo d'onore; oltre ad incorrere in innumerevoli obbligazioni
personali in denaro, che andava tutto nella massa comune.

Indipendentemente dalle ipoteche ed intrighi, ho fatto debiti per almeno centoventimila


sterline che spesi nel tempo in cui mi occupavo delle proprietà di mia moglie; sicché ben a
ragione posso dire che la proprietà è in debito verso di me della somma summenzionata.

Benché io abbia descritto il profondo disgusto e l'antipatia che ben presto si impadronirono di
me verso Lady Lyndon; e benché non mi preoccupassi particolarmente (perché io sono tutto
franchezza e sincerità) di nascondere i miei sentimenti, pure ella era di spirito così servile
che mi perseguitava con le sue dimostrazioni d'affetto ad onta della mia indifferenza verso di
lei, e si rianimava alla minima parola gentile che le rivolgevo. Il fatto è, sia detto fra me ed il
mio rispettabile lettore, che io ero a quei tempi uno dei più attraenti e vivaci giovani
d'lnghilterra, e che mia moglie era violentemente innamorata di me; e benché io dica qui
quello che non dovrei dire, lasciamo correre la penna, mia moglie non era certo l'unica donna
di un certo rango che avesse un'opinione favorevole dell'umile avventuriero irlandese.

Che enigma sono queste donne, mi è venuto spesso di pensare! Ho visto le più eleganti
creature di Saint-James diventare pazze d'amore per l'uomo più grossolano e volgare; le
donne più intelligenti ammirare appassionatamente i più illetterati del nostro sesso, e così
via. Non c'è limite all'incoerenza di quelle sciocche creature, e benché io non intenda
davvero insinuare con questo che io sono volgare o illetterato, come gli individui nominati più
sopra (taglierei la gola a chiunque osasse anche soltanto sussurrare una parola sulla mia
nascita o sulla mia educazione), pure ho mostrato che Lady Lyndon aveva pienamente
ragione di non amarmi più se voleva: ma, come le altre del suo stolto sesso, ella era guidata
dall'infatuazione, e non dalla ragione; e, fino all'ultimo giorno della nostra convivenza, era
disposta a riconciliarsi con me, ed a vezzeggiarmi in tutti i modi, se le rivolgevo una sola
parola gentile.

- Ah - diceva, in quei momenti di tenerezza - ah, Redmond se tu fossi sempre così! - E in


quegli accessi d'amore era la creatura più facile del mondo a persuadere, ed avrebbe
alienato con una firma anche tutto il suo patrimonio, se fosse stato possibile.

Debbo confessare che bastava la più piccola attenzione da parte mia a farla diventare di
buon umore. Passeggiare con lei sul Mall, o a Ranelagh accompagnarla alla chiesa di Saint-
James, acquistare qualche piccolo dono o sciocchezzuola per lei, era sufficiente per
lusingarla. Tale è l'incoerenza femminile! Il giorno dopo probabilmente mi avrebbe chiamato
"Signor Barry", e si sarebbe lamentata del suo miserabile destino, che l'aveva unita ad un
simile mostro. Così ella si compiaceva di chiamare uno degli uomini più brillanti dei tre regni
di Sua Maestà: mentre vi garantisco che altre signore avevano di me un'opinione ben più
lusinghiera.

Poi minacciava di lasciarmi; ma io avevo un assoluto dominio su di lei grazie a suo figlio, che
amava appassionatamente: non so perché, dato che aveva sempre trascurato il suo figliolo
maggiore, lord Bullingdon, e non si era mai data pensiero della sua salute del suo benessere
o della sua educazione.

Il nostro ragazzo, dunque, era la creatura che formava il grande legame tra me e Sua
Signoria; e non c'era piano ambizioso che io proponessi, a cui ella non si unisse a vantaggio
del povero bambino né spesa a cui non andasse incontro volentieri, se si poteva dimostrare
in qualche modo che sarebbe stata a suo vantaggio. Posso dirvi che ne furono dispensate, di
regalie, ed anche a persone di grado assai elevato: così vicino alla regale persona di Sua
Maestà, che restereste stupefatti se io raccontassi quali grandi personaggi accondiscesero a
ricevere le nostre elargizioni. Io trassi dai libri araldici d'Inghilterra e d'Irlanda una descrizione
ed un dettagliato albero genealogico della Baronia di Barryogue, e chiesi rispettosamente di
essere reintegrato nei titoli dei miei antenati, ed anche di essere insignito della Viscontea di
Ballybarry. - Questa testa avrà una corona - diceva a volte Milady nei suoi momenti di
tenerezza, carezzando dolcemente i miei capelli, e veramente vi sono parecchi giovani
rampolli di nobile casata che non hanno né il mio coraggio, né la mia prosapia, né alcun altro
dei miei meriti.

La lotta per ottenere questo titolo di Pari ritengo sia stata una delle più sfortunate tra tutte le
mie sfortunate iniziative di quel periodo. Feci sacrifici inauditi per portarla avanti.

Prodigai danaro qua e diamanti là. Comperai terreni a dieci volte il loro valore; acquistai
quadri e oggetti d'arte a prezzi rovinosi. Diedi numerosi ricevimenti a tutti quei sostenitori
della mia richiesta che, essendo prossimi a personalità regali, potevano favorirla. Perdetti più
di una scommessa con i Duchi reali, fratelli di Sua Maestà. Ma dimentichiamo queste
faccende, perché io non voglio mancare di lealtà verso il mio sovrano a causa dei danni
subiti personalmente.

La sola persona che nominerò apertamente fra tutte quelle che ebbero parte in quest'affare è
quel vecchio furfante truffatore di Gustavo Adolfo, tredicesimo Conte di Crabs. Questo
signore era uno dei gentiluomini di camera di Sua Maestà, ed una delle persone con cui il
nostro riverito monarca era in termini di notevole intimità. Tra loro si era stabilito uno stretto
legame al tempo del vecchio Re; quando Sua Altezza Reale, giocando alla racchetta e al
volano col giovane lord sul ripiano della grande scalinata a Kew, il Principe di Galles, dico, in
un momento d'irritazione buttò giù a calci dalla scalinata il giovane Conte, che cadendo si
ruppe una gamba. Il sincero pentimento del Principe per il suo atto violento fu l'origine della
salda amicizia che strinse con colui che aveva offeso; e quando Sua Maestà salì al trono non
ci fu persona, si disse, di cui il Conte di Bute fosse geloso quanto di lord Crabs. Quest'ultimo
era povero e stravagante, e Bute se lo tolse dai piedi mandandolo in Russia e in altre
ambasciate; ma quando fu licenziato questo favorito, Crabs tornò di gran corsa dal
Continente ed ottenne quasi immediatamente un posto presso la persona stessa di Sua
Maestà.

Proprio con questo indegno gentiluomo contrassi una disgraziata intimità, quando, nuovo
dell'ambiente e senza alcun sospetto, mi stabilii per la prima volta in città, dopo il mio
matrimonio con Lady Lyndon: e, dato che Crabs era certamente uno dei compagni più
piacevoli del mondo, provai un sincero piacere della sua compagnia oltre al desiderio
interessato che avevo di coltivare l'amicizia di un gentiluomo che era vicino alla persona del
più alto personaggio del regno.

A starlo a sentire, avreste immaginato che non ci fosse faccenda importante in cui non
avesse parte. Mi disse, per esempio, che Charles Fox (34) sarebbe stato rimosso dal suo
posto un giorno prima che il povero Charles stesso fosse al corrente del fatto. Mi disse
quando sarebbero tornati dall'America gli Howe, e chi doveva succedere loro nel comando
laggiù. Senza stare a moltiplicare ancora gli esempi, fu su costui che feci il maggiore
assegnamento per appoggiare la mia richiesta della Baronia di Barryogue e del titolo di
Visconte che mi proponevo di ottenere.

Una delle principali spese che questa mia ambizione mi impose fu di equipaggiare e di
armare una compagnia di fanti dai possessi di Castle Lyndon e di Hackton, in Irlanda, che
offrii al mio grazioso sovrano per la campagna contro i ribelli d'America. Queste truppe
superbamente vestite ed equipaggiate, si imbarcarono a Portsmouth nell'anno 1778; e il
patriottismo del gentiluomo che le aveva armate fu così accetto alla Corte che, quando fui
presentato da Lord North, Sua Maestà si degnò di notarmi particolarmente, e disse: - Molto
bene, signor Lyndon: armate un'altra compagnia: e andate con loro anche voi! - Ma questo,
come il lettore può immaginare, non era assolutamente nelle mie intenzioni. Un uomo con
trentamila sterline all'anno sarebbe uno sciocco a rischiare la vita come un mendicante
qualsiasi; e in questa materia ho sempre ammirato la condotta del mio amico Jack Bolter,
che era il più attivo e coraggioso degli alfieri, e in questa sua qualità si impegnava in ogni
imbroglio e in ogni scaramuccia che gli capitasse; ma proprio prima della battaglia di Minden
ricevette la notizia che suo zio, il grande appaltatore militare era morto, e gli aveva lasciato
cinquemila sterline all'anno. Jack chiese immediatamente di essere congedato; e siccome
questo gli fu rifiutato in vista dell'azione che stava per aver luogo, quel bravo ragazzo non
sparò più neanche un colpo di pistola: tranne che contro un ufficiale il quale aveva messo in
dubbio il suo coraggio, e che egli affrontò con tanta freddezza e decisione da dimostrare a
tutti che solo per prudenza e per desiderio di godersi il suo denaro, e non per vigliaccheria,
lasciava la professione delle armi.

Quando fu armata questa compagnia di Hackton il mio figliastro, che aveva allora sedici
anni, insistette molto perché gli fosse permesso di unirsi ad essa, ed io sarei stato ben
contento di acconsentire per liberarmi del ragazzo; ma il suo tutore Lord Tiptoff, che mi si
opponeva in tutto, rifiutò il permesso, e le tendenze militari del ragazzo vennero nettamente
contrastate. Se si fosse unito alla spedizione e il fucile di un ribelle avesse messo termine
alla sua vita, credo, a dire il vero, che non mi sarei afflitto molto; e avrei avuto il piacere di
vedere l'altro mio figlio diventare l'erede del patrimonio che suo padre si era conquistato con
tante pene.

L'educazione di quel giovane gentiluomo era stata, lo confesso, tra le più disordinate; e forse
la verità è che io avevo trascurato il ragazzo. Era di natura selvaggia, ribelle e disordinata, ed
io non avevo mai il minimo riguardo per lui.

Davanti a me e a sua madre almeno, era così cupo e scontroso che io pensai che l'istruzione
fosse sprecata con lui, e lo lasciai libero di cavarsela da sé per la maggior parte del tempo.
Per due interi anni egli rimase in Irlanda, lontano da noi; e quando tornò in Inghilterra, lo
tenemmo principalmente ad Hackton, non desiderando di avere quel ragazzo goffo e
sgraziato nella nobile compagnia della capitale a cui ci trovavamo naturalmente mescolati.
All'opposto di lui, Bryan, il mio figliolino, era il bambino più gentile ed attraente che si fosse
mai visto; era un piacere trattarlo con gentilezza e distinzione; e prima ancora che avesse
raggiunto i cinque anni, quel piccino era un modello di eleganza, bellezza e buona
educazione.

Sta di fatto che non avrebbe potuto essere altrimenti, con le cure che tutti e due i genitori gli
prodigavano, e le attenzioni che gli venivano mostrate in ogni modo! Quando Bryan aveva
quattro anni, io ebbi una disputa con la bambinaia inglese che lo aveva allevato e di cui mia
moglie era stata tanto gelosa, e gli procurai una governante francese, che aveva vissuto con
famiglie di prim'ordine a Parigi; e che, naturalmente, doveva anch'essa ingelosire Lady
Lyndon. Sotto la guida di quella giovane il mio bricconcello imparò a parlottare in francese
nel modo più incantevole. Vi avrebbe rallegrato il cuore sentire quel caro furfantello dire
"Mort de ma vie!" e vederlo battere il piedino e mandare quei "manans" e "canaille" dei
domestici ai "trent mille diables". Era precoce in tutto: imparò prestissimo a fare la caricatura
di tutti, a cinque anni stava a tavola e beveva il suo bicchiere di Champagne come tutti noi; e
la sua bambinaia gli insegnava canzoncine francesi, e le ultime romanze parigine di Vade e
Collard. Anche quelle erano graziose; e facevano scoppiare dalle risa tutti quelli dei suoi
ascoltatori che capivano il francese, mentre scandalizzavano, vi assicuro, alcune delle
vecchie matrone che erano ammesse alla compagnia della sua mamma.

Non che ce ne fossero molte; perché io non incoraggiavo le visite di quella che si chiama "la
gente rispettabile" a Lady Lyndon; tutti rapaci di professione, gente pettegola, invidiosa e di
mentalità ristretta; che mettono zizzania fra marito e moglie.

Ogni volta che qualcuno di questi gravi personaggi faceva la sua comparsa ad Hackton, o in
Berkeley Square, il mio più grande piacere consisteva nel farlo scappare spaventato, e
incoraggiavo il mio piccolo Bryan a ballare, a cantare e a fare il "diable à quatre", unendomi a
lui, in modo da spaventare quelle vecchie bisbetiche.
Non dimenticherò mai le solenni rimostranze di quel vecchio smorfioso del nostro rettore ad
Hackton, che fece uno o due vani tentativi di insegnare il latino al piccolo Bryan. Permettevo
qualche volta al nostro ragazzo di accompagnarsi con i suoi innumerevoli figlioli. Essi
impararono da Bryan qualcuna delle sue canzoni francesi, e la loro madre, una povera
creatura che s'intendeva più di torte e di conserve che di francese, li incoraggiava
affettuosamente a cantare; ma un giorno che il padre li sentì, mandò Miss Sarah nella sua
camera a pane e acqua per una settimana, e frustò solennemente Jacob in presenza di tutti i
suoi fratelli e sorelle, nonché di Bryan a cui sperava che questa punizione sarebbe servita di
ammonimento. Ma il mio birbantello si precipitò fra le gambe del vecchio pattoco scalciando,
fino a che questi non fu costretto a chiamare il sacrestano per fargli lasciare la presa, mentre
sacramentava "corbleu, morbleu, ventrebleu", per ottenere che il suo amico Jacob non fosse
picchiato. Dopo questa scena, il reverendo proibì a Bryan di tornare al rettorato. Io giurai che
il suo figliolo maggiore, che studiava anche lui per diventare Ministro, non avrebbe mai avuto
la successione del beneficio di Hackton, che avevo avuto l'intenzione di concedergli; ma suo
padre disse, con quell'aria ipocrita e lamentosa che io non posso soffrire, che si facesse pure
la volontà del cielo, ma che non avrebbe permesso che i suoi figlioli diventassero
disobbedienti e corrotti neppure per amore di un vescovato; e mi scrisse una lettera
pomposa e solenne, piena di citazioni latine, prendendo congedo da me e dalla mia casa.
"Lo faccio con rimpianto" aggiungeva il vecchio signore "perché ho ricevuto tante gentilezze
dalla famiglia di Hackton che allontanarmi da essa è cosa che affligge profondamente il mio
cuore. Temo che i miei poveri soffriranno in conseguenza della mia separazione da voi, e del
fatto che d'ora in poi io non potrò farvi conoscere le preghiere della povertà e dell'afflizione,
che, quando giungevano a vostra conoscenza, la vostra generosità, debbo dirlo per amor di
giustizia, era sempre pronta a soccorrere".

Può essere che ci fosse una certa verità in questo, perché il vecchio signore mi affliggeva
continuamente con richieste, e so di certo che, a causa delle sue personali elemosine, lui
stesso di frequente non aveva un soldo in tasca; ma sospetto anche che i buoni pranzi di
Hackton avessero una parte notevole nel suo dispiacere per la fine delle nostre relazioni; e
so che sua moglie fu dolentissima di rinunciare ai suoi rapporti con la governante di Bryan,
Mademoiselle Louison, che aveva sulla punta delle dita tutte le ultime novità della moda
francese, e che non andava mai al Rettorato senza che la domenica seguente si vedessero
le ragazze della famiglia uscire con nuovi abiti e mantelli.

Io pensai di punire il vecchio ribelle russando sonoramente nel mio banco la domenica
durante il sermone; e presi subito un istitutore per Bryan, ed un cappellano personale,
quando il bambino fu diventato abbastanza grande per toglierlo alla compagnia ed alla
sorveglianza femminile. Feci sposare la sua bambinaia inglese al mio capogiardiniere, con
una bella dote; e concessi in moglie la governante francese al mio fedele tedesco Fritz, non
dimenticando la dote neppure in quest'ultimo caso; questi due misero su una trattoria
francese a Soho, e credo che nel momento in cui scrivo siano più ricchi di beni di questo
mondo che non il loro generoso e liberale ex padrone.

Per Bryan presi un giovane gentiluomo di Oxford, il Reverendo Edmund Lavender, che fu
incaricato di insegnargli il latino, quando il ragazzo era ben disposto, e di dargli qualche base
in storia, in grammatica ed in altre materie necessarie ad un gentiluomo. Lavender fu una
preziosa aggiunta alla nostra compagnia di Hackton, perché ci fornì il mezzo per una
quantità di scherzi. Era il bersaglio di tutte le nostre burle, e le sopportava con l'ammirevole
pazienza di un martire. Apparteneva a quel genere di uomini che preferirebbero essere presi
a calci da un gran personaggio piuttosto che non essere notati da lui. Gli ho gettato spesso
la parrucca nel fuoco davanti a tutta la compagnia, e lui rideva dello scherzo come tutti gli
altri presenti. Era un gran divertimento metterlo su un cavallo molto focoso e mandarlo dietro
ai cani, pallido, madido di sudore, mentre ci gridava di farlo fermare, per amor del cielo,
attaccato con tutte le sue forze alla criniera e alla groppa del cavallo per salvarsi la vita.
Come sia andata che costui non si sia mai ammazzato, non lo so davvero; ma suppongo che
una corda da impiccato sarà il modo in cui si romperà il collo. Non ebbe mai un incidente
degno di essere riferito, durante le nostre partite di caccia: e potevate star sicuri che lo
avreste sempre trovato al suo posto in fondo alla tavola a preparare il ponce, e che sarebbe
stato portato via di lì ubriaco per metterlo a letto prima della fine della serata.

Più di una volta Bryan ed io gli abbiamo tinto la faccia di nero, in quelle occasioni. Lo
mettevamo in una stanza stregata, e lo spaventavamo con gli spiriti fino a fargli uscire
l'anima dal corpo; gli liberavamo una quantità di topi sul letto; gridavamo al fuoco, e gli
riempivamo gli stivali d'acqua; tagliavamo le zampe al suo pulpito e gli riempivamo il libro dei
sermoni di tabacco da fiuto. Il povero Lavender sopportava tutto con pazienza; e nelle nostre
feste, o quando andavamo a Londra, ne veniva ampiamente ripagato col permesso di sedere
accanto al nobili ospiti, e di inebriarsi della compagnia dei gentiluomini alla moda. Faceva
piacere sentire con che disprezzo parlava del nostro rettore. "Ha un figlio che studia
gratuitamente, signore; e studia in un collegio secondario" diceva. "Come potreste pensare,
caro signore, di dare la successione di Hackton ad una persona di così modesta istruzione?".

Dovrò parlare ancora dell'altro figlio, o meglio del figlio di Lady Lyndon, voglio dire del
Visconte Bullingdon. Lo tenni in Irlanda per qualche anno, sotto la sorveglianza di mia
madre, che avevo installato a Castle Lyndon; e grande, ve lo assicuro, era la sua dignità
nell'occuparlo, e prodigiosi lo splendore ed il superbo contegno di quella buona creatura.
Con tutte le sue stranezze, la proprietà di Castle Lyndon era il meglio amministrato di tutti i
nostri possessi, i fitti venivano pagati regolarmente, e le spese d'amministrazione erano
minori di quello che sarebbero state in mano di qualsiasi maggiordomo. Era stupefacente la
modestia delle spese della buona vedova, benché ella tenesse alto l'onore delle due
famiglie, come soleva dire.

Aveva tutta una serie di domestici per servire il giovane Lord, lei stessa usciva di casa in un
vecchio cocchio dorato tirato da sei cavalli; la casa era tenuta pulita e in ordine; la mobilia e i
giardini nelle migliori condizioni; e nelle nostre occasionali visite in Irlanda, non abbiamo mai
trovato alcuna casa, tra quelle che visitavamo, in condizioni migliori della nostra: c'erano
sempre una diecina di domestiche pronte e cinque o sei giardinieri in sottordine attorno al
Castello, e tutto era nelle migliori condizioni in cui potesse tenerlo una buona massaia.

Tutto questo essa lo faceva senza farci spendere quasi nulla:

perché allevava nei giardini pecore e bestiame, e ne traeva un bel profitto a Ballinasloe:
riforniva non so quante città di burro e di prosciutto; e le frutta e le verdure degli orti di Castle
Lyndon raggiungevano prezzi altissimi sul mercato di Dublino. Non faceva sprechi in cucina,
come si suol fare in molte delle nostre case irlandesi, e non si consumavano i vini delle
cantine, perché la vecchia signora beveva acqua, e riceveva poco o punto. Tutta la sua
compagnia erano un paio di figliole della mia vecchia fiamma, Nora Brady, diventata la
signora Quin; lei e suo marito avevano dissipato quasi tutto il loro patrimonio, e una volta
Nora venne a trovarmi a Londra; aveva un'aria molto vecchia: grassa e malmessa, con due
sudici marmocchi al fianco. Pianse molto nel vedermi, mi chiamò "Sir" e "signor Lyndon",
cosa che non mi dispiacque, e mi pregò di aiutare suo marito; cosa che io feci, ottenendogli,
per mezzo del mio amico Lord Crabs, un posto alle dogane in Irlanda, e pagando il viaggio
fin lì a lui ed a tutta la sua famiglia. Trovai che era diventato un sudicio, volgare e
piagnucoloso ubriacone; e guardando la povera Nora non potei fare a meno di pensare con
stupore ai tempi in cui l'avevo considerata come una divinità. Ma se mai ho degnato della
mia attenzione una donna, io le rimango amico per tutta la vita, e potrei citare un migliaio di
simili esempi delle mie generose e fedeli disposizioni.

Il giovane Bullingdon, però, era quasi la sola persona, fra le tante con le quali aveva a che
fare, di cui mia madre non riuscisse ad assicurarsi l'obbedienza. I resoconti ch'ella mi mandò
su di lui sin dal principio erano tali da affliggere notevolmente il mio cuore paterno. Egli
respingeva ogni disciplina ed ogni autorità. Si assentava da casa per settimane per andare a
caccia o per altre spedizioni. Quando stava a casa era silenzioso e strano, rifiutava di fare
una partita di picchetto con mia madre la sera, sprofondandosi invece in ogni sorta di vecchi
libri muffiti, con cui si confondeva il cervello; si trovava molto più a suo agio a ridere e a
ciarlare con i pifferai e con le domestiche nelle stanze di servizio, che con la gente distinta
nella sala da ricevere; lanciava continuamente frizzi alla signora Barry, e lei (che era piuttosto
lenta nel fare a botta e risposta) andava violentemente in collera: in sostanza, il ragazzo
conduceva una vita di insubordinazione e di scandalo. Poi, per colmo, quel cattivo soggetto
prese a frequentare la compagnia del parroco cattolico della parrocchia - un miserabile
briccone, proveniente da qualche seminario papista di Francia o di Spagna - a preferenza
del vicario di Castle Lyndon, un gentiluomo del "Trinity College", che teneva i suoi cani da
caccia e beveva le sue due bottiglie al giorno.

La considerazione dovuta alla religione del ragazzo mi tolse allora qualsiasi esitazione sul
modo di comportarmi verso di lui.

Se c'è un principio che mi ha guidato nella vita, è il rispetto per la chiesa anglicana e un
cordiale disprezzo e antipatia per tutte le altre forme di credenza. Mandai quindi il mio
domestico personale a Dublino con l'incarico di riportare alla ragione il giovane reprobo. Mi
venne riferito che questi aveva passato tutta l'ultima serata del suo soggiorno in Irlanda in
chiesa col suo amico papista; che lui e mia madre avevano avuto una violenta disputa
proprio l'ultimo giorno; che invece aveva baciato Biddy e Dosy, le due nipoti di lei le quali
sembravano molto dolenti che se ne andasse; e che, sollecitato ad andare a trovare il
rettore, aveva rifiutato risolutamente dicendo che era un malvagio vecchio fariseo, in casa
del quale non avrebbe mai messo piede.

Il dottore mi scrisse una lettera, mettendomi in guardia contro i deplorevoli errori di quel
giovane vaso di perdizione, come lo chiamava lui; e da quella lettera potei vedere che non
c'era grande simpatia tra loro. Ma risultò che, se non era simpatico alla nobiltà del paese, il
giovane Bullingdon aveva una vasta popolarità tra la gente comune. C'era una vera folla che
piangeva, davanti al cancello, quando la sua carrozza si allontanò. Diecine di ignoranti e
rustici vagabondi corsero per miglia e miglia accanto alla carrozza; e alcuni giunsero al punto
di correre avanti prima della sua partenza, e di presentarsi alla Pigeon- House a Dublino per
dargli un ultimo saluto. Con notevole difficoltà si dissuase qualcuno di questi individui dal
nascondersi sulla nave per accompagnare il loro giovane signore in Inghilterra.

Per rendere giustizia a quel giovane briccone, quando egli giunse fra noi era un ragazzo
dall'aspetto nobile e virile, e tutto nei suoi modi e nel suo comportamento attestava il nobile
sangue da cui discendeva. Era il vero ritratto di qualcuno dei bruni cavalieri della razza dei
Lyndon, i cui ritratti erano appesi nella galleria di Hackton: dove il ragazzo era felice di
passare la maggior parte del suo tempo immerso nei vecchi libri polverosi che tirava fuori
dalla biblioteca e sui quali mi è così odioso veder sgobbare un giovanotto di spirito. In mia
compagnia egli conservava sempre il più rigoroso silenzio e un contegno altero e
sprezzante; che era tanto più spiacevole in quanto in realtà non c'era nulla nel suo contegno
a cui io potessi appigliarmi per trovare qualche cosa a ridire: benché tutta la sua condotta
fosse in complesso insolente e arrogante al più alto grado.

Sua madre si mostrò molto agitata nel riceverlo al suo arrivo quanto a lui, se anche provava
un'agitazione simile, certo non la dimostrò. Le fece un inchino estremamente profondo e
formale nel baciarle la mano; e quando io gli porsi la mia, mise tutte e due le mani dietro la
schiena, mi guardò ben fisso in faccia, e fece un cenno col capo dicendo: - Il Signor Barry
Lyndon, credo?- poi voltò i tacchi, e cominciò a parlare del tempo che faceva con sua madre
a cui si rivolgeva sempre chiamandola "Vostra Signoria". A lei dispiacque questo contegno
insolente, e quando furono soli lo rimproverò aspramente di non avere stretto la mano a suo
padre.

- Mio padre, signora? - ribatté lui; - certamente voi sbagliate.

Mio padre era il Molto Onorevole Sir Charles Lyndon. Se lo hanno dimenticato gli altri, io
almeno non l'ho dimenticato. Era una dichiarazione di guerra contro di me, come compresi
immediatamente; mentre posso dichiarare che sarei stato abbastanza ben disposto a fare
buona accoglienza al ragazzo al suo arrivo fra noi, e a vivere con lui in termini di buona
amicizia. Ma io tratto le persone come loro trattano me. Chi potrebbe biasimarmi per i miei
successivi litigi con quel giovane reprobo, o addossare a me i guai che successero in
seguito? Forse io perdetti la pazienza, e in seguito lo trattai con durezza. Ma fu lui che
cominciò la disputa, e non io; e le dannose conseguenze che ne derivarono dipesero
intieramente da lui.

Poiché è meglio distruggere il vizio quando è ancora in germe, e un padre di famiglia deve
esercitare la propria autorità in modo che non ci possano essere dubbi in proposito, io colsi
la prima occasione per venire alle strette col signor Bullingdon; e il giorno dopo il suo arrivo
tra noi, in seguito al suo rifiuto di fare qualche cosa che gli chiedevo, lo feci venire nel mio
studio e lo frustai sonoramente. Quest'operazione, lo confesso, da principio mi agitò molto,
perché non avevo mai frustato un Lord prima d'allora; ma poi mi abituai rapidamente a
questo esercizio, e la sua schiena e la mia frusta fecero una così intima conoscenza, che vi
garantisco che dopo un po' tra noi si fecero ben poche cerimonie.

Se volessi riportare qui tutti gli esempi di insubordinazione e di cattiva condotta da parte del
giovane Bullingdon, stancherei il lettore. La sua perseveranza nel resistermi era, credo,
anche più grande della mia nel correggerlo: perché un uomo, anche se è deciso a compiere
il suo dovere di padre, non può frustare i suoi figli ogni giorno, né per tutte le colpe che
commettono; e benché mi sia fatta la fama di essere stato verso di lui un patrigno quanto mai
crudele, posso dare la mia parola che gli ho risparmiato più correzioni, quando le meritava, di
quante non gliene abbia date. Inoltre, c'erano otto interi mesi all'anno in cui egli restava
libero di me, durante la mia presenza a Londra al mio posto in Parlamento e alla Corte del
mio sovrano.

In quel periodo io non ebbi difficoltà a permettergli di approfittare del greco e del latino del
vecchio rettore, che lo aveva battezzato ed aveva una notevole influenza su quell'ostinato
ragazzo. Dopo una scenata o un litigio fra noi, generalmente il giovane ribelle correva al
rettorato per rifugio e per consiglio; e debbo riconoscere che il parroco era un arbitro
giustissimo tra noi nelle nostre dispute. Una volta ricondusse per mano il ragazzo ad
Hackton, e lo portò proprio alla mia presenza, benché avesse fatto voto di non passare mai
più la porta di casa nostra finché io ero vivo e disse "che aveva indotto Sua Signoria a
riconoscere il proprio errore, ed a sottomettersi a qualsiasi punizione io ritenessi opportuno
infliggergli". Dopo di che lo bastonai alla presenza di due o tre miei amici, con i quali in quel
momento ero seduto a bere; e per rendergli giustizia, egli sopportò una punizione molto
severa senza recalcitrare né lamentarsi minimamente. E questo servirà a dimostrare che io
non ero troppo severo nel trattare il ragazzo, dato che avevo l'autorizzazione del parroco
stesso ad infliggergli le correzioni che ritenevo opportune.

Due o tre volte anche Lavender, il precettore di Bryan, tentò di punire Lord Bullingdon; ma vi
assicuro che quel briccone era troppo forte per lui, e stese al suolo l'uomo di Oxford con una
sedia, con gran divertimento del piccolo Bryan, che gridava, "Bravo, Bully! picchialo,
picchialo forte!". E Bully lo fece davvero, con profonda indignazione del precettore, che in
seguito non tentò mai più di infliggergli personalmente correzioni, ma si contentò di riportare i
resoconti delle malefatte di Sua Signoria a me, suo naturale protettore e tutore.

Col bambino, Bullingdon era, strano a dirsi, gentilissimo. Aveva una grande simpatia per il
piccolo - come, per la verità, tutti quelli che lo conoscevano - e gli voleva anche più bene,
diceva, perché era "un mezzo Lyndon". E doveva ben essergli affezionato, perché più d'una
volta, all'intercessione di quel caro angelo "Papà, non frustare Bully oggi!", io mi trattenevo, e
gli risparmiavo una dose di quelle frustate che avrebbe ampiamente meritato.

Con sua madre, da principio, si degnava appena di avere rapporti.


Diceva che non apparteneva più alla famiglia. Perché avrebbe dovuto volerle bene, dato che
non era mai stata una madre per lui?

Ma servirà a dare un'idea dell'accanita ostinatezza e tetraggine di carattere del ragazzo, se


io ricorderò un fatto che lo riguarda. Mi è stato rinfacciato spesso di avergli negato
l'istruzione che si conveniva ad un gentiluomo, e di non averlo mai mandato in un collegio o
in una scuola; ma sta di fatto che fu proprio di sua scelta che non andò né nell'uno né
nell'altra. Io gliene feci ripetutamente l'offerta (poiché avrei desiderato assistere alle sue
imprudenze il meno possibile), ma egli la rifiutò ripetutamente; e per lungo tempo non riuscii
a scoprire qual'era l'incanto che lo faceva restare in una casa in cui doveva trovarsi tutt'altro
che bene.

Alla fine però venne fuori. Tra Lady Lyndon e me c'erano dispute molto frequenti, in cui
qualche volta aveva torto lei, qualche volta io; e che salivano molto di tono, dato che
nessuno dei due aveva un carattere troppo angelico. Io ero spesso un po' alticcio, e qual è il
gentiluomo che riesce a padroneggiarsi, quando è in quello stato?

Forse, quando ero in quelle condizioni, trattavo Milady piuttosto ruvidamente; le tiravo
qualche bicchiere, e la chiamavo con nomi non troppo complimentosi. Posso anche aver
minacciato di ammazzarla (ciò che, evidentemente, non era affatto nel mio interesse), e, in
una parola, averla spaventata molto.

Dopo una di queste liti, durante la quale ella corse strillando per i corridoi, ed io, ubriaco
come un Lord, le correvo dietro barcollando, sembra che Bullingdon uscisse dalle sue stanze
attratto dal rumore; e siccome stavo per raggiungerla, quell'ardito briccone mi fece lo
sgambetto da dietro, approfittando del fatto che non ero troppo sicuro sulle gambe; poi,
raccogliendo tra le braccia la madre svenuta, la portò nelle proprie stanze, dove, su ardente
preghiera di lei, giurò che non avrebbe mai lasciato la casa finché ella fosse rimasta unita a
me.

Io non seppi nulla del voto, né del ghiribizzo da ubriaco che ne aveva fornito l'occasione; fui
raccolto un po' "partito", come suol dirsi, dai domestici, e messo a letto, e la mattina dopo
non mi ricordavo di quel che era accaduto più che se fosse successo quando ero ancora
lattante. Lady Lyndon mi raccontò la faccenda alcuni anni dopo, ed io la riporto qui
unicamente perché mi permette di discolparmi onorevolmente di una delle assurde accuse di
crudeltà lanciate contro di me a proposito del mio figliastro.

Pensino i miei detrattori a trovare scuse, se l'osano, per la condotta di un disgraziato


mascalzone che fa lo sgambetto al suo naturale custode e patrigno dopo il pranzo.

Quest'occasione servì ad unire per un poco madre e figlio; ma i loro caratteri erano troppo
diversi. Io credo ch'ella fosse sempre troppo innamorata di me perché egli potesse
riconciliarsi sinceramente con lei. A mano a mano che Bullingdon cresceva e si faceva uomo,
il suo odio verso di me raggiungeva un'intensità addirittura scandalosa, a pensarci (e vi
assicuro che io lo ricambiavo con tutti gli interessi). All'età di sedici anni, credo,
quell'impudente giovane mascalzone, un'estate, al mio ritorno dal Parlamento, quando mi
proponevo di bastonarlo come al solito, mi fece comprendere che non si sarebbe sottoposto
a nessun ulteriore castigo da parte mia, e disse, digrignando i denti, che mi avrebbe sparato
se gli mettevo ancora le mani addosso. Lo guardai bene; di fatto, era cresciuto ed era
diventato un giovanotto alto e robusto, sicché tralasciai definitivamente quella necessaria
parte della sua educazione.

Fu press'a poco in quell'epoca che equipaggiai la compagnia che doveva andare in America;
e i nemici che avevo nel paese (e dopo la mia vittoria sui Tiptoff non ho bisogno di dire che
ne avevo parecchi) cominciarono a propagare le più vergognose notizie sulla mia condotta
verso quel prezioso scavezzacollo del mio figliastro, e ad insinuare che desideravo liberarmi
immediatamente di lui.

Così la mia fedeltà verso il sovrano venne trasformata in un orribile e snaturato pensiero da
parte mia di attentare contro la vita di Bullingdon. Si disse che avevo equipaggiato quel
corpo di spedizione in America al solo scopo di mandare il giovane visconte a comandarlo, e
così liberarmi di lui. Non sono sicuro che non avessero stabilito anche il nome dell'uomo, a
cui, nella compagnia, era stato ordinato di levarlo di mezzo alla prima azione in grande stile,
e il premio che gli avrei dato per rendermi questo delicato servigio!

Ma la verità è che io ritenevo allora (e se l'adempimento della mia profezia è stato ritardato,
non ho alcun dubbio che essa si avvererà a non lunga scadenza), che Lord Bullingdon non
aveva nessun bisogno del mio aiuto per mandarlo all'altro mondo; ma che aveva una felice
tendenza a trovare da sé la via per andarci, e ci sarebbe riuscito di sicuro. Invero cominciò
presto a mettersi su quella via: di tutti i violenti, arditi e disobbedienti scavezzacolli che mai
abbiano afflitto un affezionato genitore, egli era certamente il più incorreggibile; non serviva a
nulla picchiarlo, o lusingarlo, o correggerlo.

Per esempio, quando l'istitutore portava il mio Bryan nella stanza in cui stavamo finendo la
nostra bottiglia dopo il pranzo, Milord cominciava a rivolgermi indirettamente i suoi violenti e
indocili sarcasmi.

- Caro piccino - diceva, cominciando ad accarezzarlo e a vezzeggiarlo - che peccato che io


non sia morto per amor tuo! I Lyndon avrebbero così un ben più degno rappresentante, e
godrebbero di tutto il beneficio dell'illustre sangue dei Barry di Barryogue; non è vero, signor
Barry Lyndon? - Sceglieva sempre i giorni in cui c'era compagnia, o di gente del clero, o di
nobili del vicinato, per rivolgermi questi insolenti discorsi.

Un altro giorno (era il compleanno di Bryan) davamo un gran ballo e un ricevimento di gala
ad Hackton, ed era arrivato il momento che il mio piccolo Bryan facesse la sua comparsa tra
noi, come faceva di solito nel più delizioso abitino di gala che si fosse mai visto (povero me!
mi vengono ancora le lacrime agli occhi, vecchio come sono, a ripensare al radioso aspetto
di quell'adorato visino). Tutti si affollarono e ridacchiarono quando il piccolo entrò, condotto
dal suo fratellastro, che si presentò nella sala (chi lo crederebbe?) con le sole calze,
conducendo per mano il piccolo Bryan che sguazzava nelle grandi scarpe del fratello
maggiore! - Non vi sembra che le mie scarpe gli stiano molto bene, Sir Richard Wargrave? -
disse a uno dei presenti il giovane reprobo: e a queste parole gli invitati cominciarono a
scambiarsi sguardi ironici, sghignazzando; ma sua madre, avvicinandosi a Lord Bullingdon
con grande dignità, si prese in braccio il piccino e disse: - Dall'affetto che ho per questo
bimbo, Milord, voi dovreste comprendere quanto avrei amato il suo fratello maggiore se si
fosse mostrato degno di affetto materno! - e, scoppiando in lacrime, Lady Lyndon lasciò la
sala, e il giovane Lord fu sconfitto una volta tanto.

Alla fine, in una certa occasione, il suo contegno verso di me fu così insolente (eravamo a
caccia e in numerosa compagnia), che io perdetti del tutto la pazienza, lanciai il mio cavallo
verso quel monello, lo tirai giù di sella con tutte le mie forze e, gettandolo ruvidamente al
suolo, balzai io stesso di sella, e somministrai una tale correzione sulla testa e sulle spalle di
quel giovane furfante con la mia frusta che avrei finito per ammazzarlo, se non fossi stato
trattenuto in tempo; perché la mia collera si era proprio scatenata, ed ero in tale stato che
avrei commesso un assassinio come qualsiasi altro delitto.

Il ragazzo fu portato a casa e messo a letto, dove stette per un giorno o due con la febbre,
più per la rabbia e per l'umiliazione che per il castigo che gli avevo somministrato; e tre giorni
dopo, quando mandammo a chiedergli nella sua stanza se voleva venire a tavola con la
famiglia, fu trovato il suo letto vuoto e freddo, e un biglietto sul suo tavolo. Quel giovane
furfante era scappato, ed aveva avuto l'audacia di scrivere su di me a sua madre, mia
moglie, nei seguenti termini:

"Signora", diceva, "ho sopportato per quanto era possibile ad un mortale i maltrattamenti di
quell'insolente villan rifatto irlandese che avete preso nel vostro letto. Non soltanto la
bassezza della sua nascita e la generale brutalità delle sue maniere mi disgustano e
debbono farmelo odiare fintanto che avrò l'onore di portare il nome di Lyndon, di cui egli è
indegno, ma la vergognosa natura della sua condotta verso vostra Signoria: il suo contegno
brutale e indegno di un gentiluomo, la sua aperta infedeltà, le sue abitudini di stravaganze e
di ubriachezza, le sue vergognose truffe e ruberie sulle mie proprietà e sulle vostre. Questi
insulti fatti a voi mi colpiscono e mi turbano, più ancora che l'infame condotta di quel furfante
verso di me sarei rimasto a fianco di vostra Signoria come vi avevo promesso, ma in questi
ultimi tempi sembra che voi abbiate preso le parti di vostro marito; e siccome non posso
castigare personalmente quel mascalzone screanzato che, dobbiamo dirlo per nostra
vergogna, è il marito di mia madre, ma non posso neppure sopportare di assistere al modo in
cui vi tratta, e aborrisco la sua orribile compagnia come se fosse la peste, ho deciso di
lasciare il mio paese natio: almeno finché viva quell'essere detestabile, o finché viva io
stesso. Posseggo una piccola rendita che mi viene da mio padre e di cui, non ne dubito, il
signor Barry mi defrauderebbe se potesse; ma che, se a Vostra Signoria resta ancora
qualche sentimento materno, voi vorrete forse concedermi. Potete dare ai Signori Childs, i
nostri banchieri, l'ordine di pagarmela di volta in volta: se però non riceveranno quest'ordine,
non ne sarò minimamente sorpreso, sapendo che siete nelle mani di un furfante che non si
farebbe scrupolo di rubare sulla strada maestra; e cercherò di trovare il modo di farmi nella
vita una strada più onorevole di quella per la quale quell'avventuriero irlandese squattrinato è
giunto a privarmi dei miei diritti e della mia casa".
Questa pazza lettera era firmata "Bullingdon". Tutti i vicini giurarono che io avevo avuto parte
nella sua fuga, per trarne poi profitto; ma io dichiaro sul mio onore che il mio più vero e
sincero desiderio, dopo aver letto l'infame lettera di cui sopra, era stato di avere il suo autore
non più distante di un braccio da me, per fargli sapere quello che pensavo di lui. Ma non ci fu
modo di sradicare quest'idea dalla mente della gente, che insisteva che io volevo uccidere
Bullingdon; mentre l'assassinio, come ho già detto, non fu mai una delle mie cattive qualità:
ed anche se avessi voluto fare tanto male al mio giovane nemico, la più comune prudenza
mi avrebbe calmato, poiché sapevo benissimo che si sarebbe rovinato con le sue stesse
mani.

Passò parecchio tempo prima che sentissimo parlare di quel che era avvenuto di
quell'audace giovane vagabondo; ma dopo una quindicina di mesi che se l'era svignata ebbi
il piacere di trovarmi in grado di confutare qualcuna delle infami calunnie che erano state
lanciate contro di me, mostrando un biglietto con la firma dello stesso Bullingdon, spedito
dall'esercito del Generale Tarleton in America, dove la mia compagnia si comportava nel
modo più glorioso; ed in essa Milord serviva come volontario.

Tuttavia alcuni dei miei buoni amici insistettero ancora nell'attribuirmi ogni sorta di malvagie
intenzioni. Lord Tiptoff non volle mai credere che avessi ricevuto un biglietto, e tanto meno
un biglietto di Lord Bullingdon; la vecchia Lady Betty Grimsby, sua sorella, insistette nel
dichiarare che il biglietto era falso, e che il povero caro Lord era morto; fino a che non giunse
a Sua Signoria una lettera di Lord Bullingdon in persona, che era stato al quartier generale a
New York, e descriveva per esteso la splendida festa data dagli ufficiali della guarnigione ai
due valorosi comandanti, gli Howe.

Comunque, se io avessi effettivamente ucciso Milord, ben difficilmente avrei potuto ricevere
biasimi e calunnie più di quanti mi seguivano in città e in campagna. - Sentiremo presto
parlare della morte del ragazzo, statene certi - esclamava uno dei miei amici. - E poi seguirà
quella di sua moglie aggiungeva un altro.

- Quanto a lui, sposerà Jenny Jones (35) - aggiungeva un terzo; e così via.

Lavender mi riportava tutte queste dicerie che correvano sul mio conto: il paese mi era ostile.
Gli agricoltori nei giorni di mercato si toccavano ossequiosamente il cappello, ma poi
cambiavano strada per evitarmi; i signori che prima venivano a caccia con me ora
all'improvviso se ne astennero, e smisero di portare i miei colori; e al ballo della contea,
quando diedi il braccio a Lady Susan Copermore e presi il mio posto come terzo nella
contraddanza dopo il Duca e il Marchese, com'era mia abitudine, tutte le coppie si voltarono
quando andavamo verso di loro, e fummo lasciati soli a ballare. Sukey Capermore aveva una
tale passione per la danza che avrebbe ballato anche a un funerale se l'avessero invitata, ed
io avevo troppo spirito per ritirarmi a questo palese insulto rivoltomi pubblicamente; sicché
ballammo con la gente più bassa e ordinaria della scala sociale: i nostri farmacisti, mercanti
di vino, avvocati e gentaglia qual'è quella a cui è permesso di partecipare alle nostre
pubbliche riunioni.
Il vescovo, parente di Lady Lyndon, non ci invitava più a palazzo alle riunioni; e, in una
parola, mi furono inflitti tutti gli oltraggi che si possono riversare su un innocente ed
onorevole gentiluomo.

A Londra, dove portai allora mia moglie e la mia famiglia, fui ricevuto in modo appena più
cordiale. Quando andai a porgere il mio omaggio al mio Sovrano a Saint-James, Sua Maestà
mi chiese esplicitamente quando avevo avuto notizie di Lord Bullingdon. Al che io, con una
presenza di spirito fuor dell'ordinario, risposi:

- Signore, Lord Bullingdon sta combattendo contro coloro che si sono ribellati alla Corona di
Vostra Maestà in America. Desidera forse Vostra Maestà che io mandi un altro reggimento
ad aiutarlo?

- A questa risposta il Re mi voltò le spalle, ed io dovetti fargli la riverenza fuori della sala di
ricevimento.

Quando Lady Lyndon si presentò a baciare la mano alla Regina nel suo salone, seppi che a
Sua Signoria era stata fatta esattamente la stessa domanda; ed ella venne a casa molto
agitata dai rimproveri che le erano stati rivolti. Così veniva ricompensata la mia fedeltà! In
questo modo erano considerati i miei sacrifici in favore del mio paese!

Partii allora bruscamente per andare a stabilirmi a Parigi, dove fui ricevuto in modo ben
diverso; ma il mio soggiorno fra gli incantevoli piaceri di quella capitale fu estremamente
breve; perché il Governo francese, che era da un pezzo connivente con i ribelli Americani,
ora riconobbe apertamente l'indipendenza degli Stati Uniti. Ne seguì una dichiarazione di
guerra: a tutti noi bravi Inglesi fu ordinato di allontanarci da Parigi; ed io credo di aver
lasciato lì due o tre belle signore inconsolabili. Parigi è il solo posto in cui un gentiluomo
possa vivere a suo piacimento senza essere seccato da sua moglie. La contessa ed io,
durante il nostro soggiorno, non ci vedevamo quasi mai, salvo che in occasioni pubbliche, a
Versailles o al tavolo da giuoco della Regina; e il nostro caro piccolo Bryan faceva progressi
in mille eleganti finezze, che lo rendevano la delizia di tutti quelli che lo conoscevano.

Non debbo dimenticare di raccontare qui il mio ultimo incontro con quel brav'uomo di mio zio,
il cavaliere di Balibari, che avevo lasciato a Bruxelles con la ferma intenzione di pensare alla
sua salute spirituale, come suol dirsi, e che si era ritirato in convento laggiù. In seguito però
era rientrato nel mondo, con suo grande dispiacere e pentimento; perché si era innamorato
disperatamente, nella sua vecchiaia, di un'attrice francese, che aveva fatto quello che fanno
la maggior parte delle donne del suo genere: lo aveva rovinato, lo aveva lasciato, e gli aveva
riso in faccia. Il suo pentimento era adesso veramente edificante. Sotto la guida dei Padri del
Collegio Irlandese, aveva rivolto una volta ancora il suo pensiero alla religione; e la sola
preghiera che mi fece quando lo vidi e gli chiesi in che cosa potevo giovargli, fu di beneficare
con una bella somma il convento in cui si proponeva di entrare.
Cosa che, naturalmente, io non feci: perché i miei principi religiosi mi proibivano
d'incoraggiare la superstizione in qualsiasi modo; e il vecchio signore ed io ci separammo
piuttosto freddamente, in conseguenza, disse lui, del mio rifiuto di rendere più comodi i giorni
della sua vecchiaia.

Il fatto è che a quell'epoca io ero molto povero, e, "entre nous", la Rosemont dell'Opéra
francese, una ballerina di nessun valore, ma con una figurina e caviglie incantevoli, mi stava
rovinando a forza di diamanti, equipaggi e conti di fornitori; si aggiunga a questo che avevo
una passata di sfortuna al giuoco, e che dovevo far fronte alle mie perdite con le più
vergognose concessioni agli strozzini, mettendo in pegno una parte dei diamanti di Lady
Lyndon (quella disgraziata piccola Rosemont mi sedusse al punto da farsene dare qualcuno
anche lei), e con un migliaio di altri modi di far denaro. Ma quando e in causa l'onore, io non
ho mai potuto rifiutarmi di rispondere al suo richiamo; e chi può dire che Barry Lyndon abbia
perduto una scommessa senza pagarla?

Quanto alle mie ambiziose speranze per un titolo di Pari irlandese, cominciai a scoprire, al
mio ritorno, che ero stato grossolanamente tratto in inganno da quel furfante di Lord Crabs,
al quale piaceva prendersi il mio denaro, ma che non aveva più influenza per procurarmi un
titolo nobiliare di quanta non ne avesse per darmi la tiara pontificale. Il sovrano al mio ritorno
non si mostrò per nulla più grazioso verso di me di quanto lo fosse stato prima della mia
partenza. Seppi da uno degli aiutanti di campo dei reali duchi suoi fratelli che la mia condotta
e le mie distrazioni a Parigi erano state riportate in maniera odiosa da alcune spie, ed erano
state oggetto di regali commenti; e che il Re, sotto l'influenza di quelle calunnie, aveva detto
nientemeno che io ero l'uomo più screditato dei tre regni. Io screditato! Io un disonore per il
mio nome e per il mio paese!

Quando udii queste falsità, mi arrabbiai talmente che esplosi immediatamente con Lord
North, facendo le mie rimostranze al Ministro; insistendo perché mi fosse permesso di
comparire alla presenza di Sua Maestà e di discolparmi delle accuse rivoltemi, di sottolineare
i servigi da me resi al Governo votando in suo favore, e di chiedere quando avrei ricevuto la
ricompensa che mi era stata promessa, cioè quando il titolo dei miei antenati sarebbe
rivissuto nella mia persona.

C'era una sonnolenta freddezza in quel grasso Lord North, che era la cosa più provocante
che l'opposizione dovesse affrontare in lui. Mi stette a sentire con gli occhi mezzi chiusi.
Quando io ebbi finito un lungo e violento discorso - che feci misurando in su e in giù la sua
stanza in Downing Street e gesticolando con tutta l'energia di cui può essere capace un
Irlandese - aprì un occhio, sorrise, e mi chiese gentilmente se avevo finito. Quando ebbi
risposto affermativamente, disse: - Bene, signor Barry, vi risponderò punto per punto. Il Re è
estremamente contrario a creare dei Pari, come sapete. Gli sono state presentate le vostre
rivendicazioni, come le chiamate voi, e la graziosa risposta di Sua Maestà è stata che voi
eravate l'uomo più sfacciato che ci fosse nei suoi domini, e che meritavate una corda
piuttosto che un titolo. Quanto a ritirarci il vostro appoggio, siete perfettamente libero di
mettervi, voi e il vostro voto, dalla parte che preferite. E adesso, siccome ho molto da fare,
vorrete forse farmi il favore di ritirarvi.

Così dicendo, levò pigramente la mano al campanello, e mi salutò con un cenno del capo;
chiedendomi calmo calmo se poteva essermi utile in nessun altro modo.
Andai a casa in preda ad un accesso di collera indescrivibile; e siccome avevo a pranzo da
me Lord Crabs proprio quel giorno, assalii Sua Signoria tirandogli via di testa la parrucca e
scaraventandogliela in faccia, e lo colpii in quella parte della persona che, a quanto si
riferiva, era già stata colpita da Sua Maestà. Il giorno dopo la storia circolava per tutta la
città, e nei circoli e nelle botteghe dei giornalai furono esposti dei quadretti che mi
raffiguravano nell'atto di compiere l'operazione a cui ho fatto allusione qui sopra. Tutta la città
rise del quadro del Lord e dell'Irlandese, e non ho bisogno di dire che li riconobbe benissimo
tutti e due. Quanto a me, in quei giorni ero uno dei personaggi più famosi di Londra: i miei
abiti, il mio stile ed i miei equipaggi erano conosciuti quanto quelli di qualsiasi altro
esponente della moda e del gran mondo; e la mia popolarità, se non era grande nelle
altissime sfere, era almeno considerevole dovunque. La gente mi applaudiva in Gordon Row,
all'epoca in cui la folla fu sul punto di uccidere il mio amico Jemmy Twitcher e diede fuoco
alla casa di Lord Mansfield. In realtà, ero conosciuto come un fedele protestante, e dopo la
mia disputa con Lord North, virai direttamente nei ranghi dell'opposizione, e lo tormentai con
tutti i mezzi in mio potere.

Disgraziatamente questi mezzi non erano molto grandi, perché io ero un cattivo oratore, e la
Camera non volle ascoltarmi, e quasi subito, nel 1780, dopo le sommosse per Gordon, fu
sciolta, ed ebbero luogo le elezioni generali. Questo mi capitò, come del resto avevano
l'abitudine di capitarmi tutti i miei guai, nel momento più disgraziato. Fui costretto a prendere
in prestito altro denaro, a tassi rovinosissimi, per affrontare quelle disordinate elezioni, ed
ebbi contro di me sul campo i Tiptoff, più attivi e virulenti che mai.

Mi ribolle ancora il sangue quando penso alla furfantesca condotta dei miei nemici in quelle
scellerate elezioni. Fui rappresentato come il Barbablù irlandese, e furono stampati libelli e
messe in giro grossolane caricature che mi rappresentavano intento a frustare Lady Lyndon,
a somministrare sferzate a Lord Bullingdon, a metterlo fuori della porta in una notte di
tempesta, e non so che altro. Circolarono disegni di una capanna di mendicanti in Irlanda, da
cui si pretendeva che provenissi; altri nei quali ero rappresentato come un lacché e un
lustrascarpe. Fu riversato su di me un torrente di calunnie, da cui qualunque uomo dotato di
spirito meno pronto sarebbe stato sommerso.

Ma benché affrontassi arditamente i miei accusatori, benché profondessi nell'elezione grandi


somme di denaro, benché spalancassi le porte di Hackton Hall, e facessi scorrere
champagne e borgogna a fiumi, proprio come l'acqua, tanto lì che in tutte le osterie della
città, l'elezione mi fu sfavorevole. Quei mascalzoni della nobiltà si erano rivoltati tutti contro di
me e si erano uniti alla fazione Tiptoff: fu persino detto che tenevo rinchiusa a forza mia
moglie; e benché la mandassi in città sola, indossando i miei colori, con Bryan in grembo, e
la mandassi a far visita alla moglie del sindaco e alle signore più importanti del luogo, niente
servì a persuadere la gente che essa non viveva nel terrore, tremando di me; e quella folla
brutale ebbe il coraggio di chiederle se avrebbe osato tornare indietro, e se le piacevano le
frustate per cena.
Rimasi sconvolto dalla mia mancata elezione; poi mi piovvero addosso i conti tutti insieme;
tutti gli impegni che avevo firmato per anni dal mio matrimonio, e che i creditori, con ribalda
unanimità, mi mandarono, fino a ricoprire il mio tavolo a mucchi.

Non ne riporterò qui l'ammontare: era spaventoso. I miei amministratori ed i miei legali resero
la faccenda ancora peggiore. Io fui preso in un'inestricabile tela di cambiali e di debiti, di
ipoteche e di assicurazioni, con tutti gli orribili guai che ne derivano. Avvocati su avvocati mi
denunciavano da Londra: si faceva un accomodamento dopo l'altro, e le entrate di Lady
Lyndon venivano quasi totalmente incamerate per soddisfare quegli avvoltoi. Per renderle
giustizia, ella si comportò con molta gentilezza in quel periodo di guai; poiché ogni volta che
avevo bisogno di denaro dovevo persuaderla con moine e carezze, e ogni volta che ricorrevo
alle moine e alle carezze ero sicuro di mettere di buon umore quella donna debole e
svaporata; aveva un carattere tanto debole ed era così terrorizzata, che per assicurarsi una
settimana tranquilla con me avrebbe firmato mille cambiali all'anno. E quando cominciarono i
miei guai ad Hackton, ed io mi decisi per l'unica soluzione che ci era rimasta, cioè di ritirarci
in Irlanda a fare economia, versando la maggior parte delle mie rendite ai creditori fino a che
le loro richieste non fossero state soddisfatte, Milady fu lietissima all'idea di andare, e disse
che se ce ne fossimo stati tranquilli, era sicura che tutto sarebbe andato bene; anzi, era
contenta della relativa povertà in cui avremmo dovuto vivere, in vista dell'isolamento e della
probabile quiete domestica di cui sperava di godere.

Partimmo quasi all'improvviso per Bristol, lasciando quegli odiosi ed ingrati mascalzoni a
vilipenderci indubbiamente ad Hackton, nella nostra assenza. I miei purosangue ed i miei
cani furono venduti immediatamente: e quelle arpie sarebbero state liete di attaccarsi anche
alla mia persona, ma per fortuna era fuori della loro portata. Con la mia abile
amministrazione io avevo preso a prestito sulle mie miniere e sulle mie proprietà private una
somma pari almeno al loro valore; sicché su questo punto almeno i furfanti furono delusi; e
quanto al vasellame e a tutto ciò che era contenuto nella casa di Londra, non potevano
toccar nulla, perché erano di proprietà degli eredi di casa Lyndon.

Passai dunque in Irlanda, e presi dimora a Castle Lyndon per qualche tempo; mentre tutti
immaginavano che io fossi un uomo completamente rovinato, e che il famoso e brillante
Barry Lyndon non sarebbe mai più riapparso nei circoli di cui era stato l'ornamento.

Ma non fu così. Nel bel mezzo dei miei imbarazzi, la fortuna mi riserbava ancora una grande
consolazione. Dall'America giunsero in patria dispacci che annunciavano la disfatta del
Generale Gate per opera di Lord Cornwallis nella Carolina, e la morte del giovane Lord
Bullingdon, che partecipava allo scontro nella sua qualità di volontario.

Dei miei desideri personali di possedere un miserabile titolo irlandese, poco mi importava.
Mio figlio Bryan era adesso l'erede di una contea inglese, ed io gli feci assumere
immediatamente il titolo di Lord Visconte di Castle Lyndon, il terzo dei titoli della famiglia. Mia
madre divenne quasi pazza di gioia nel salutare il suo nipotino col titolo di Milord, ed io sentii
che tutte le mie sofferenze e le mie privazioni erano ricompensate dal fatto di vedere quel
caro fanciullo giunto ad una simile onorifica posizione.

Capitolo 19

CONCLUSIONE

Se il mondo non fosse composto di una razza di ingrati bricconi, che condividono la vostra
prosperità finché dura, ma poi, quando si sono rimpinzati con la vostra cacciagione e con i
vostri vini, oltraggiano colui che generosamente ha pagato la loro festa, sono sicuro che
avrei meritato un buon nome ed un'elevata reputazione, almeno in Irlanda, dove la mia
generosità fu senza limiti, e lo splendore della mia casa e dei miei ricevimenti non fu
eguagliato da alcun altro nobile dell'epoca. Fino a che durò la mia magnificenza, tutto il
paese fu libero di parteciparvi; avevo nelle mie stalle cavalli da caccia sufficienti per montare
un reggimento di dragoni, e nelle mie cantine tante botti di vino da ubriacare per anni intere
contee. Castle Lyndon divenne il quartier generale di diecine di gentiluomini bisognosi, ed io
non uscivo mai per una partita di caccia senza avere una dozzina di giovani del miglior
sangue della contea che cavalcavano con me come scorta e come compagni di caccia.

Mio figlio, il piccolo Castle Lyndon, era un vero principe: la sua educazione e i suoi modi
mostravano, anche a quella tenera età, che era degno delle due nobili famiglie da cui
discendeva: non saprei dire quali e quante elevate speranze avevo per quel ragazzo! Mi
lasciavo andare a mille tenere previsioni sui suoi futuri successi e sulla figura che avrebbe
fatto nel mondo. Ma il crudele destino aveva stabilito che non avrei lasciato dietro di me
nessuno della mia razza, ed aveva decretato che avrei finito la mia carriera, come lo vedo
ora, povero, abbandonato e senza discendenti. Posso avere avuto i miei difetti: ma nessuno
oserebbe dire di me che non sia stato un padre buono e tenero. Io amavo
appassionatamente quel ragazzo; forse con una parzialità cieca:

certo è che non gli negavo nulla. Sarei stato contento, contentissimo, lo giuro, di morire per
scongiurare la sua sorte prematura. Credo che non sia trascorso un giorno da quando l'ho
perduto, in cui la sua faccia ridente ed il suo bel sorriso non mi fissino giù dal cielo, dov'è ora,
ed il mio cuore non abbia anelato a lui. Quel caro fanciullo mi fu tolto all'età di nove anni,
quando era nel pieno della sua bellezza e delle sue promesse; e la sua memoria mi domina
in modo così potente che non mi è mai riuscito di dimenticarlo: il suo piccolo spirito mi
appare nelle notti che trascorro sul mio solitario cuscino senza riposo; e più d'una volta, nelle
più folli compagnie, mentre circolano le bottiglie ed echeggiano risa e canti, io penso a lui.
Ho ancora appesa al petto una ciocca dei suoi morbidi capelli bruni, ed essa mi
accompagnerà nell'inonorato sepolcro dei poveri, dove presto, senza dubbio, giaceranno le
vecchie e logore ossa di Barry Lyndon.

Il mio Bryan era un ragazzo di un coraggio stupefacente (e come avrebbe potuto essere
altrimenti, date le sue origini?), insofferente persino del mio controllo, contro il quale quel
caro bricconcello si ribellava spesso arditamente; tanto più, dunque, si ribellava a quello di
sua madre e delle donne, dei cui tentativi di guidarlo rideva con disprezzo. Persino mia
madre (ora quella buona creatura si faceva chiamare signora Barry Lyndon, in omaggio alla
mia nuova famiglia) era assolutamente incapace di contrariarlo; e da questo potete
immaginare quale volontà propria avesse il ragazzo. Se non fosse stato per questo, potrebbe
essere vivo ancor oggi: potrebbe - ma a che serve lamentarsi? Non è egli forse in un luogo
migliore? e a che cosa potrebbe servirgli l'eredità di un mendicante? E' meglio dunque - che
il cielo ci aiuti! - che io, suo padre, sia stato lasciato a rimpiangerlo.

Fu nel mese di ottobre: io ero stato a Dublino, allo scopo di vedere un avvocato ed una
persona ben provvista di denaro che era venuta sino in Irlanda per consultarsi con me circa
la vendita di certe miniere e il taglio del legname di Hackton; di cui, dato che odiavo quel
luogo, e avevo grande necessità di denaro, ero deciso a tagliare fino all'ultimo fuscello. La
questione aveva presentato qualche difficoltà. Era stato detto che io non avevo diritto di
toccare quel legname. I rozzi contadini dei dintorni erano stati incitati ad un tale odio contro
di me, che quei furfanti rifiutavano assolutamente di posare l'ascia sugli alberi; e il mio
agente (quel furfante di Larkins) dichiarò che correva pericolo di vita in mezzo a loro se
avesse tentato qualsiasi ulteriore spoliazione (così la chiamavano) della proprietà. A
quell'epoca ogni oggetto della splendida mobilia del castello era stato venduto, non c'è
bisogno di dirlo; e quanto all'argenteria, avevo avuto cura di portarla con noi in Irlanda, dove
ora era affidata alla migliore custodia: quella del mio banchiere, che mi aveva già anticipato
seimila sterline su di essa: somma della quale mi era presto capitato di aver bisogno.

Andai a Dublino, dunque, per incontrare questi uomini d'affari inglesi; e riuscii così bene a
persuadere Splint, un gran costruttore di navi e mercante di legname di Plymouth, dei miei
diritti sul legname di Hackton, che egli convenne di acquistarlo per contanti ad un terzo circa
del suo valore, e mi diede cinquemila sterline una sull'altra; somma che, essendo in quel
periodo oppresso dai debiti, fui pronto ad accettare. Lui non trovò difficoltà ad abbattere il
legname, ve lo assicuro. Prese un reggimento di legnaiuoli e segatori dai suoi cantieri e da
quelli del Re a Plymouth, e in due mesi Hackton Park era nudo di alberi come il Sahara.

Ma quella disgraziata spedizione e quel dannato denaro mi portarono solo sfortuna. Del
denaro ne perdetti la maggior parte in due notti di giuoco al "Daly's", sicché i miei debiti
rimasero esattamente come prima; e prima che la nave che portava via quel vecchio furbo
del mio mercante di legname salpasse per Holyhead, tutto quel che mi restava del denaro
che mi aveva dato erano un paio di centinaia di sterline, con cui ritornai a casa molto
sconsolato: e molto alla svelta, anche, perché i miei fornitori di Dublino mi stavano alle
calcagna, avendo sentito dire che avevo già speso il mio incasso; e due dei miei fornitori di
vino avevano mandati d'esecuzione contro di me per qualche migliaio di sterline.

Tuttavia a Dublino comperai, secondo la mia promessa - perché quando faccio una
promessa la mantengo a costo di qualsiasi sacrificio - un cavallino per il mio caro piccolo
Bryan; doveva essere il regalo per il suo decimo compleanno, che stava per arrivare: era un
grazioso animale, e mi costò una bella somma. Non avevo mai badato al denaro per quel
caro figliolo. Il cavallo era ancora assai indomito: prese a calci uno dei miei garzoni di stalla,
che tentò per primo di montarlo, e gli ruppe una gamba, e, benché nel viaggio verso casa
cavalcassi io l'animale, furono solo il mio peso e la mia abilità che tennero tranquilla quella
bestiaccia.

Quando arrivammo a casa, mandai il cavallo con uno dei servitori presso uno dei nostri
contadini, per domarlo completamente, e dissi a Bryan, che era tutto ansioso di vedere il
cavallino, che sarebbe arrivato per il giorno del suo compleanno, e che quel giorno lo avrei
portato a caccia sul cavallino con i miei cani. Mi ripromettevo un gran piacere nel portare sul
campo il mio piccino quel giorno; speravo già di vederlo una volta o l'altra condurre la caccia
al posto del padre che tanto lo amava. Oh me infelice!

Mai quell'ardito ragazzo avrebbe condotto una caccia alla volpe, mai avrebbe preso tra la
nobiltà di quei luoghi il posto che la sua nascita e la sua genialità gli avevano assegnato!

Benché io non creda nei sogni e negli auguri, pure non posso fare a meno di ammettere che
quando ad un uomo sovrasta una grande disgrazia, egli ne ha spesso strani e terribili
presagi. Mi meraviglio ora, di quanti ne ebbi. Lady Lyndon, specialmente, sognò due volte la
morte di suo figlio; ma siccome era ormai diventata insolitamente nervosa e ipocondriaca,
trattai con scherno i suoi timori, e naturalmente anche i miei.

In un momento di distrazione, sulla mia bottiglia dopo pranzo dissi al povero Bryan, che mi
assediava sempre di domande sul cavallino, che esso era arrivato e che era alla fattoria di
Doolan, dove Mick, il domestico, lo stava domando. - Promettimi, Bryan - gridò sua madre -
che non cavalcherai quel cavallo altro che in compagnia di tuo padre.

Ma io dissi soltanto: - Puah, signora, siete una sciocca! - perché la sua sciocca timidezza mi
fece rabbia, dato che ora ne faceva sempre mostra in mille spiacevoli modi; e volgendomi a
Bryan dissi: - Prometto a Vostra Signoria che lo frusterò ben bene, se lo monterà senza il
mio permesso.

Immagino che al povero ragazzo non importasse di ricevere questo castigo in cambio del
piacere che si riprometteva, o forse pensò che un padre indulgente avrebbe condonato
completamente il castigo perché la mattina dopo, quando mi levai piuttosto tardi, essendo
rimasto alzato a bere fino a tarda ora la sera prima, trovai che il fanciullo era uscito all'alba,
scivolando silenziosamente fuori della camera del suo istitutore (che era Redmond Quin,
nostro cugino, che avevo preso ad abitare con noi), e non ebbi alcun dubbio che fosse
andato alla fattoria di Doolan.

Afferrai una lunga frusta da cavalli e gli galoppai dietro furioso, giurando che avrei mantenuto
la mia promessa. Ma, che il cielo mi perdoni! non ci pensai più davvero, quando a tre miglia
da casa incontrai una triste processione che mi veniva incontro:

contadini che gemevano e gridavano come si fa da noi in Irlanda, il cavallino nero condotto
per la cavezza, e, sul battente di una porta trasportata da tre o quattro persone, il mio povero
caro piccino. Lì egli giaceva, con i suoi stivaloncini e i suoi speroni, e la sua giacchettina di
scarlatto e d'oro. Il suo caro viso era bianco come un panno lavato, ed egli sorrise nel
porgermi la mano, dicendo a fatica: - Non mi frusterai, vero, papà? - Per tutta risposta, io non
potei che scoppiare in lacrime. Avevo visto morire tanti uomini, e i morenti hanno negli occhi
uno sguardo su cui non ci si può ingannare. C'era un piccolo tamburino a cui volevo molto
bene, che fu colpito davanti alla mia compagnia a Kühnersdorf; quando corsi a dargli un po'
d'acqua, aveva esattamente lo stesso aspetto che aveva allora il mio piccolo Bryan: non è
possibile sbagliarsi su quella spaventosa espressione degli occhi. Lo portammo a casa e
perlustrammo tutto il paese in cerca di dottori che venissero a vedere che cosa si era fatto.

Ma a che vale un dottore contro la cupa, invincibile nemica? Tutti quelli che vennero
poterono solo rafforzare la nostra disperazione con le loro diagnosi sul povero bambino.
Bryan era montato coraggiosamente a cavallo, ed era rimasto bravamente in sella mentre
l'animale scalpitava e tirava calci, e, avendo superato il suo primo accesso di ribellione, gli
aveva fatto saltare una barriera a lato della strada. Ma sulla barriera c'erano delle pietre
smosse, e il piede del cavallo le aveva urtate e lui ed il suo piccolo e bravo cavaliere erano
ruzzolati tutti e due insieme dall'altra parte. La gente disse che aveva visto il nobile fanciullo
rialzarsi dopo la caduta e correre a prendere il cavallo, che si era allontanato da lui, sembra,
dandogli un calcio nella schiena, quando erano in terra tutti e due. Ma il povero Bryan fece
solo pochi passi e poi ricadde disteso, come colpito da una fucilata. Il viso gli si coprì di
pallore, e tutti credettero che fosse morto. Ma poi gli versarono in bocca del whisky e il
povero bambino si rianimò: però non si poteva muovere; era stato offeso alla spina dorsale:
e la metà inferiore del corpo era già morta quando, a casa, lo misero a letto. Anche il resto
non durò a lungo, che Dio mi aiuti! Rimase con noi ancora per due giorni; ed era una
consolazione ben triste pensare che non soffriva.

Durante quel breve periodo il carattere di quel caro angelo sembrò cambiare completamente:
chiese perdono a me e a sua madre di tutti gli atti di disobbedienza di cui si era reso
colpevole verso di noi; diceva spesso che gli sarebbe piaciuto vedere suo fratello Bullingdon.

- Bullingdon era migliore di te, papà - diceva; - non bestemmiava tanto, e mi diceva e mi
insegnava tante belle cose quando tu non c'eri. - Poi, prendendo la mano di sua madre e la
mia nelle sue manine sudate, ci pregava di non litigare, ma di amarci l'un l'altro, in modo che
ci potessimo ritrovare di nuovo in cielo, dove Bully gli aveva detto che la gente che litigava
non andava mai. Sua madre fu molto colpita da quegli ammonimenti che uscivano dalla
bocca di quel povero angioletto sofferente, ed anch'io.
Vorrei proprio ch'ella mi avesse reso possibile di seguire i consigli che il fanciullo morente ci
diede.

Alla fine, dopo due giorni, morì. Lì giaceva, la speranza della mia famiglia, l'orgoglio della mia
virilità, il legame che aveva tenuto uniti me e Lady Lyndon. - Oh, Redmond - ella disse,
inginocchiandosi accanto al corpo del caro fanciullo - diamo ascolto, ti prego, alle verità che
sono uscite da quella bocca benedetta; correggi la tua vita e tratta la tua povera moglie che ti
vuole tanto bene come ti ha pregato il suo bimbo che moriva. - Io le promisi che l'avrei fatto:
ma ci sono promesse che ad un uomo è impossibile mantenere; specialmente con una
donna come lei.

Tuttavia dopo quel triste avvenimento ci riavvicinammo, e fummo buoni amici per parecchi
mesi.

Non sto a dirvi con quale splendore lo seppellimmo. Ma a che valgono le piume del corteggio
funebre e le trombe degli araldi?

Mi trassi in disparte e ammazzai con una fucilata il fatale cavallino nero che lo aveva fatto
morire, proprio alla porta della cappella in cui avevamo deposto il mio bambino. Ero
impazzito a tal punto che mi sarei sparato anch'io. E se non fosse che è una colpa, sarebbe
stato meglio che l'avessi fatto, forse; perché, che cosa è mai stata la mia vita, da quando
quel dolce fiore è stato strappato dal mio seno? Un seguito di miserie, di guai, di disastri, di
sofferenze mentali e fisiche, quali mai si riscontrarono nel destino di nessun altro essere
vivente in tutta la Cristianità.

Lady Lyndon, sempre ipocondriaca e nervosa, dopo la catastrofe del nostro benedetto figliolo
divenne più agitata che mai, e si sprofondò nella devozione con tale fervore, che a momenti
l'avreste creduta quasi impazzita. Immaginava di avere visioni, disse che un angelo dal cielo
le aveva detto che la morte di Bryan era una punizione per lei, perché aveva trascurato il suo
primogenito. Poi dichiarò che Bullingdon era vivo: lo aveva visto in sogno. Poi ricadde di
nuovo in accessi di dolore per la sua morte, e si afflisse per lui così violentemente come se
fosse stato lui quello dei suoi figli che era morto per ultimo, e non il nostro adorato Bryan;
che, paragonato a Bullingdon era quello che è un diamante in confronto d'una volgarissima
pietra.

I suoi attacchi di nervi erano penosissimi ad assistervi, e difficili a padroneggiare. In paese si


cominciò a dire che la contessa stava diventando pazza. Quei furfanti dei miei nemici non
mancarono di confermare e di ingrandire queste voci, aggiungendo che ero io la causa della
sua pazzia: io l'avevo fatta impazzire, io avevo ucciso Bullingdon, io avevo assassinato
persino mio figlio, non so di che cos'altro ancora mi accusassero. Le loro odiose calunnie mi
raggiunsero anche in Irlanda: i miei amici si allontanarono da me. Cominciarono a disertare
le mie cacce, come facevano in Inghilterra, e quando mi recavo alle corse o al mercato
trovavano improvvise ragioni per non starmi vicino.

Ricevetti i nomi di Barry il Malvagio, di Lyndon il Diavolo, e non so che altro; i contadini
mettevano in giro stranissime dicerie sul mio conto; i preti dicevano che avevo massacrato
non so quante monache tedesche nella Guerra dei Sette Anni; e che lo spirito
dell'assassinato Bullingdon infestava la mia casa. Una volta alla fiera di una città vicina,
mentre mi accingevo a comperare una robusta camicia per uno dei miei dipendenti, un
individuo che mi stava vicino disse: - Sta comperando la camicia di forza per Lady Lyndon. -
E da questa circostanza sorse una vera leggenda sulle mie crudeltà verso mia moglie; e si
narrarono molti circostanziati particolari circa i miei modi e la mia ingegnosità nel torturarla.

La perdita del mio caro figliolo non solo affliggeva il mio cuore di padre, ma danneggiava i
miei interessi personali in misura notevolissima; perché dato che ora non c'era più un erede
diretto della proprietà, e Lady Lyndon era di salute piuttosto cagionevole, e si supponeva
assolutamente improbabile che lasciasse altri figli, i primi nella successione - quella
detestabile famiglia dei Tiptoff - cominciarono a darsi da fare in mille modi per infastidirmi, e
si misero a capo del partito dei miei nemici che riportavano voci a mio discredito.

Essi si frapponevano fra me e la mia amministrazione della proprietà in mille modi diversi,
lanciando alte grida se tagliavo un fuscello, o scavavo una buca, o vendevo un quadro, o
mandavo a rimodellare qualche oncia d'argenteria. Mi tormentavano con incessanti citazioni,
mi facevano mandare ingiunzioni dalla Cancelleria, intralciavano i miei agenti nell'esecuzione
del loro lavoro; a tal punto che si sarebbe pensato che il mio non fosse mio, ma loro, e che
potessero farne quel che volevano. E quel che è peggio, ho ragione di credere che avessero
pasticci e traffici anche con i miei domestici sotto il mio stesso tetto; perché non potevo
scambiare una parola con Lady Lyndon senza che in qualche modo si risapesse al di fuori, e
non potevo neanche prendermi una sbornia col cappellano e con gli amici senza che
qualche bigotto mascalzone si impadronisse della notizia, e facesse il conto di tutte le
bottiglie che avevo bevuto e di tutte le bestemmie che avevo detto. (Che non fossero poche,
lo riconosco). Io sono della vecchia scuola; sono sempre stato libero nelle mie espressioni e
nelle mie abitudini; ma per lo meno, se dicevo e facevo quello che mi piaceva, non ero
cattivo come tanti bricconi ipocriti, che ricoprono, insospettati, le loro imperfezioni ed i loro
peccati con la maschera della santità.

Dato che sto facendo una chiara confessione di tutto, e non sono un ipocrita, posso
benissimo confessare che tentai di stornare i propositi dei miei nemici con un artificio che
non era, forse, strettamente lecito. Tutto dipendeva dal fatto che io avessi un erede per la
proprietà; perché se Lady Lyndon, che era di salute cagionevole, fosse morta, il giorno dopo
io sarei stato un mendicante: e tutti i sacrifici in denaro, eccetera, che avevo fatto sulla
proprietà, non sarebbero stati valutati un centesimo; tutti i debiti sarebbero stati lasciati sulle
mie spalle e i miei nemici avrebbero trionfato su di me: cosa che per un uomo del mio spirito,
era "la cosa peggiore di tutte", come dice un qualche poeta.
Confesso, dunque, che era mio desiderio soppiantare quei bricconi; e, dato che non potevo
farlo senza avere un erede alle mie proprietà, decisi di trovarne uno. Se lo avessi già a
portata di mano, e del mio stesso sangue, benché della mano sinistra, non è qui il caso di
dire. Fu allora che scoprii le ribalde macchinazioni dei miei nemici perché, avendo esposto
questo piano a Lady Lyndon, che avevo fatto diventare, almeno esteriormente, la più
obbediente delle mogli - benché non lasciassi mai che una lettera sua o destinata a lei
partisse o arrivasse senza essere esaminata da me - benché io non le permettessi di vedere
nessuno all'infuori di quelle persone che ritenevo fossero compagnia adatta per lei, con la
sua salute delicata, pure quegli infernali Tiptoff ebbero sentore del mio progetto, protestarono
immediatamente contro di esso, non solo per lettera, ma in vergognosi e diffamatori fogli
pubblici, e mi additarono al pubblico odio come "falsificatore di bambini" così mi chiamavano.

Naturalmente io negai l'accusa - non potevo fare altrimenti - e mi offrii di incontrare uno
qualsiasi dei Tiptoff sul campo dell'onore, per provare che era un furfante e un mentitore:

com'era di fatto; benché, forse, non in questo caso. Ma essi si contentarono di rispondermi
per mezzo di un avvocato, e rifiutarono un invito che qualsiasi uomo di onore avrebbe
accettato.

Le mie speranze di avere un erede furono così completamente distrutte: infatti Lady Lyndon
(benché, come ho già detto, io non tenessi in alcun conto la sua opposizione) aveva resistito
a questo proposito con tanta energia quanta poteva manifestarne una donna debole come
lei. Diceva che aveva commesso un gran delitto per causa mia ma che sarebbe morta
piuttosto che commetterne un altro. Io avrei comunque potuto ricondurre facilmente in
sentimenti Sua Signoria: ma ormai il mio progetto si era divulgato, ed era inutile tentare di
metterlo in esecuzione.

Avremmo anche potuto avere una dozzina di figli in onesto connubio, e la gente avrebbe
detto che erano falsi.

Quanto a trarre denaro dalle sue rendite annuali, debbo dire che avevo usato in anticipo tutte
le sue rendite. Ai miei tempi esistevano ancora poche di quelle società di assicurazioni che
sono poi spuntate come funghi nella City di Londra; alcuni firmatari di polizza d'assicurazioni
facevano tutti gli affari, e la vita di mia moglie era nota tra loro, credo, più di quella di
qualsiasi altra donna della Cristianità. L'ultima volta che volli prendere in prestito una somma
sulla sua vita, quei mascalzoni ebbero l'impudenza di rispondermi che il modo in cui la
trattavo non dava loro neppure la garanzia di un anno. Come se fosse stato mio interesse
ucciderla!

Se il mio ragazzo fosse vissuto, la cosa sarebbe stata diversa; lui e sua madre avrebbero
potuto tagliarsi fuori una bella parte di proprietà vincolata da dividersi tra loro, e i miei affari
avrebbero potuto essere messi in ordine. Ora invece erano veramente in cattive condizioni.
Tutti i miei tentativi si erano risolti in altrettanti fallimenti; le mie terre, che erano state
acquistate con denaro preso a prestito, non mi davano alcun reddito, ed io ero costretto a
pagare interessi rovinosi per le somme con cui le avevo acquistate. Il mio reddito, benché
molto elevato, era carico di centinaia di sterline di tasse e di migliaia di spese d'avvocato, ed
io sentivo la rete stringermisi attorno sempre più saldamente, e non trovavo il mezzo di
districarmi dalla tela.

Ad aggravare tutte le mie perplessità, due anni dopo la morte del mio povero bambino, mia
moglie, di cui avevo sopportato le stravaganze di carattere e le capricciose follie, mostrò il
desiderio di lasciarmi, e fece tentativi d'ogni sorta per quel che essa chiamava sfuggire alla
mia tirannia.

Mia madre, che era la sola persona che mi fosse rimasta fedele nelle mie disgrazie (e per la
verità, ella ha sempre parlato di me nella vera luce, come di un martire della furfanteria degli
altri e di una vittima del mio carattere generoso e troppo fiducioso), scoprì il primo progetto
che stavano cercando di attuare; e di cui, come al solito, quegli astuti e maliziosi Tiptoff
erano i principali promotori. Mia madre, a dire il vero, benché il suo carattere fosse violento
ed i suoi modi un po' originali, era per me una persona di valore inestimabile in casa mia, che
sarebbe andata in rovina e in sfacelo molto tempo prima, se non fosse stato per il suo spirito
d'ordine e per la sua ottima economia nel governo della mia famiglia. Quanto a Lady Lyndon
essa, povera creatura! era una signora troppo fine per occuparsi di ciò che riguardava le
faccende di casa - e passava le sue giornate col dottore, o con i suoi libri di pietà, e non
compariva mai tra noi, salvo che in seguito a mie insistenze; e allora mia madre e lei
avevano immancabilmente qualche discussione.

La signora Barry, all'opposto, aveva un vero talento per l'amministrazione in tutti i campi.
Faceva lavorare le domestiche, e teneva i domestici al loro posto; sorvegliava il vino nella
cantina, e il fieno e l'avena nella stalla; sorvegliava la salatura, la preparazione delle
conserve, le patate e il pollame, la macellazione dei maiali e la loro conservazione, e tutte le
diecimila minuzie di un menage molto in grande. Se tutte le massaie irlandesi fossero come
lei, vi garantisco che splenderebbero molti focolari là, dove oggi ci sono soltanto ragnatele, e
ci sarebbero molti parchi pieni di pecore e di bestiame là dove oggi i principali occupanti
sono i cardi e le spine. Se qualche cosa avesse potuto salvarmi dalle conseguenze della
scelleratezza altrui e (lo confesso, perché non ho mai rifiutato di riconoscere i miei difetti) del
mio carattere troppo facilone, generoso e trascurato, sarebbe stata l'ammirevole previdenza
di quella degna creatura. Ella non andava mai a letto finché tutta la casa non era tranquilla e
tutte le candele spente; e potete immaginare che era cosa di una certa difficoltà con un uomo
delle mie abitudini, che aveva regolarmente una dozzina di allegri compagni (e la maggior
parte erano abili furfanti e falsi amici!) a bere con sé tutte le sere; e raramente, da parte mia,
andavo a letto senza essere ubbriaco. Molte e molte sere quando io non mi accorgevo
neppure della sua assistenza, quella buona creatura mi ha tolto gli stivali, ed ha sorvegliato i
domestici che mi mettevano a letto, ed ha portato via lei stessa la candela, ed è anche stata
la prima, al mattino, a portarmi il mio bicchiere di birra dolce (36). I miei non erano davvero
tempi di pappe molli, ve lo assicuro io. Un gentiluomo non pensava che fosse vergogna
scolarsi la sua mezza dozzina di bottiglie; e quanto ai vostri caffè ed altri tipi d'acqua sporca,
li lasciavamo a Lady Lyndon, al suo dottore e alle altre vecchie. Era l'orgoglio di mia madre
che io bevessi più di qualsiasi altro uomo del paese: quanto beveva, prima di me mio padre,
diceva lei.
Che Lady Lyndon la detestasse, era abbastanza naturale. Non è davvero lei la prima donna
del genere umano che abbia odiato sua suocera. Io avevo incaricato mia madre di esercitare
una stretta sorveglianza sui capricci di Sua Signoria; e questa, potete esserne certi era una
delle ragioni per cui mia moglie non la poteva soffrire. A me di questo non importava nulla,
però.

L'assistenza e la sorveglianza della signora Barry avevano per me un valore inestimabile, e


se avessi pagato venti spie per sorvegliare Milady, non avrei potuto essere servito neppure la
metà così bene come lo ero dalla cura e dalla vigilanza della mia eccellente madre. Essa
dormiva con le chiavi di casa sotto il cuscino, ed aveva l'occhio a tutto. Seguiva tutti i
movimenti della Contessa come un'ombra: faceva in modo di sapere, dalla mattina alla sera,
tutto ciò che faceva Milady. Se passeggiava nel giardino, ella teneva un occhio vigile sul
cancello; e se decideva di uscire in carrozza, la accompagnava, e un paio di domestici nella
mia livrea cavalcavano ai lati della carrozza per vedere che non le succedesse nulla. Benché
ella si opponesse, e si trattenesse in camera sua in imbronciato silenzio, io mi facevo un
punto d'onore di comparire insieme a lei in chiesa nel nostro tiro a sei tutte le domeniche.
Volevo che partecipasse ai balli in occasione delle corse in mia compagnia, tutte le volte che
la via era libera da quei furfanti di ufficiali giudiziari che mi perseguitavano: questo per
smentire tutti quei maligni che dicevano che io intendevo tener prigioniera mia moglie. Il fatto
è che, conoscendo la sua leggerezza, e vedendo l'insana avversione per me che aveva
cominciato ora a sostituire quella che forse era stata una passione ugualmente insana, ero
costretto a stare in guardia perché ella non mi sfuggisse. Se mi avesse lasciato, io sarei
stato rovinato il giorno dopo. Questo (e mia madre lo sapeva) ci costringeva a tenerla sotto
una stretta sorveglianza; ma quanto ad imprigionarla, respingo con disprezzo quest'accusa.

Ogni uomo imprigiona fino ad un certo punto sua moglie; il mondo sarebbe in un bello stato,
se alle donne fosse permesso di lasciare la loro casa e di ritornarvi tutte le volte che ne
hanno voglia! Nel sorvegliare mia moglie, io non facevo altro che esercitare la legittima
autorità che esige che ogni marito debba essere onorato e obbedito.

Tali e tanti sono tuttavia gli artifici femminili che, nonostante tutta la mia cura nel sorvegliarla,
è probabile che Milady mi sarebbe sfuggita, se io non avessi avuto una persona furba quanto
lei a sorvegliarla come mia alleata: perché, come il proverbio dice che "il miglior modo di
catturare un ladro è di mettergli appresso un altro ladro", così il miglior modo per avere la
meglio su una donna è di incaricare un'altra dello stesso astuto sesso di sorvegliarla. Si
sarebbe potuto pensare che, seguita com'era, con tutte le lettere aperte e tutte le sue
relazioni strettamente sorvegliate da me, vivendo in una remota parte dell'Irlanda, lontana
dalla sua famiglia, Lady Lyndon non avesse nessuna possibilità di comunicare con i suoi
alleati, o di rendere pubblici quelli che le piaceva chiamare i torti che le venivano fatti;
eppure, per un certo tempo ella intrattenne una corrispondenza proprio sotto il mio naso, e
organizzò astutamente una cospirazione per sfuggirmi, come si dirà adesso.

Ella aveva sempre avuto un'insana passione per gli abiti, e, dato che non veniva mai
ostacolata in nessun capriccio del genere che le passasse per la mente (perché io non
risparmiavo denaro per farla contenta, e tra i miei debiti ci sono conti di modiste per
l'ammontare di parecchie migliaia di sterline), di solito viaggiavano continuamente scatoloni
da e per Dublino, con ogni sorta di abiti, mantelli falpalà e guarnizioni, come il suo capriccio li
richiedeva. Con esse arrivavano lettere della modista, in risposta a numerose missive del
genere inviate da Milady; e passarono tutte per le mie mani, senza il minimo sospetto, per
qualche tempo. Eppure proprio in quelle carte col semplice mezzo dell'inchiostro simpatico,
era contenuta tutta la corrispondenza di Sua Signoria e sa il cielo (perché ci volle qualche
tempo, come ho detto, prima che scoprissi il giochetto) quali accuse contro di me.

L'abile signora Barry scoprì che la mia signora moglie prima di mettersi a scrivere lettere alla
sua modista aveva sempre bisogno di limoni per farsi una bibita, così almeno diceva lei,
questo fatto mi fu riportato e mi fece riflettere; sicché provai a mettere una di quelle lettere
davanti al fuoco, e venne in luce tutto il piano di quella birbonata. Darò qui un esempio delle
orribili e astute lettere di quella disgraziata. Con una calligrafia larga e alta, a grandi spazi,
erano scritte le indicazioni alla sua sarta, in cui venivano elencati tutti gli articoli di vestiario di
cui Milady aveva bisogno, le loro particolarità di taglio, le stoffe che sceglieva, ecc. Faceva in
questo modo lunghe liste, scrivendo ogni voce in una riga separata, in modo da avere più
spazio per narrare in dettaglio tutte le mie crudeltà ed i terribili torti che le facevo. Tra quelle
righe teneva il diario della sua prigionia: che avrebbe fatto la fortuna di uno scrittore di
romanzi a quei tempi, solo a tenerne copia, e a pubblicarlo sotto il titolo di "L'adorabile
Prigioniera, o il Feroce Marito", o con qualche altro titolo altrettanto avvincente e assurdo. Il
diario si presentava pressappoco così:

"Lunedì - ieri fui costretta ad andare in chiesa. Quell'odioso, mostruoso volgare dragone
femmina di mia suocera, in seta gialla e nastri rossi aveva il posto d'onore nella carrozza; e il
signor Lyndon cavalcava al suo fianco, sul cavallo che non ha mai pagato al Capitano
Hurdleston. Quel malvagio ipocrita mi condusse al mio banco, col cappello in mano e l'aria
sorridente, e mi baciò la mano mentre risalivo in carrozza dopo il servizio divino, carezzando
il mio levriero italiano: tutto questo perché le poche persone raccolte lì intorno potessero
vedere. La sera mi fece scendere a preparare il tè alla sua compagnia; tre quarti della quale,
lui compreso, erano come al solito ubriachi. Tinsero di nero la faccia del parroco, quando
Sua Reverenza era arrivata alla settima bottiglia ed era nel solito stato di insensibilità e lo
legarono sulla cavalla grigia con la faccia rivolta verso la coda.

Il dragone lesse per tutta la sera i "Doveri dell'Uomo" fino all'ora di andare a letto; quando
vide che ero rientrata nei miei appartamenti, mi chiuse dentro, e si accinse ad occuparsi del
suo abominevole figlio: che ella adora per la sua malvagità, credo "come Sicorace adorava
Calibano".

Avreste dovuto vedere la furia di mia madre, quando le lessi questo brano! A dire la verità, ho
sempre avuto un certo gusto per gli scherzi (quello che fu fatto al parroco, e che è descritto
più sopra, è, lo confesso, un ottimo esempio), e sceglievo con gran cura, per farli sentire alla
signora Barry, tutti i complimenti che le rivolgeva Lady Lyndon. Dragone era il nome con cui
veniva indicata in quella raffinata corrispondenza: ma era anche indicata, a volte, col titolo
"La Strega Irlandese" quanto a me, ero designato come "il mio carceriere", "il mio tiranno", "il
cupo spirito che ha ottenuto il dominio del mio essere", e così via; in termini che erano
sempre un complimento per il mio potere, per quanto fossero poco lusinghieri per la mia
amabilità. Ecco un altro estratto dal suo "Diario di Prigionia", dal quale si vedrà che Milady,
benché pretendesse di essere indifferente ai miei trascorsi, aveva un acuto occhio femminile,
e poteva essere gelosa quanto un'altra:
"Mercoledì - Oggi si compiono due anni dal giorno in cui la mia ultima speranza e gioia nella
vita mi fu strappata, e il mio caro piccino fu chiamato in cielo. Ha egli raggiunto lassù quel
suo tanto trascurato fratello, che io permisi crescesse al mio fianco non curato e negletto, e
che la tirannia del mostro a cui sono unita spinse all'esilio e forse alla morte? O il ragazzo è
vivo, come il mio cuore di madre a volte crede? Charles Bullingdon!

vieni in aiuto di una madre indegna e sventurata, che ora riconosce le sue colpe, la sua
freddezza verso di te, e sconta amaramente il suo errore! Ma no, non può essere vivo! Io
sono pazza! La mia sola speranza è in voi, cugino mio, in voi, che una volta avevo pensato
di salutare con un titolo anche più affettuoso, mio caro George Poynings! Oh, siate il mio
cavaliere e il mio protettore, il vero essere cavalleresco che siete sempre stato, e riscattatemi
dalla tirannia del fellone miserabile che mi tiene prigioniera; riscattatemi da lui, e da
Sicorace, la vile strega irlandese, sua madre!"

(Seguono qui alcuni versi, che Sua Signoria aveva l'abitudine di comporre a centinaia, ed in
cui paragonava se stessa a Sabra, nei "Sette Campioni", e incitava il suo George a liberarla
dal dragone, intendendo la signora Barry. Ometto i versi, e proseguo):

"Anche al mio povero bimbo, che perì immaturamente in questo triste anniversario, il tiranno
che mi governa aveva insegnato a disprezzarmi e a non amarmi. FU disobbedendo ai miei
ordini e alle mie preghiere, che egli uscì per quella fatale gita. Quali sofferenze, quali
umiliazioni ho dovuto sopportare da quel giorno io poi! Sono prigioniera nella mia stessa
casa. Dovrei temere il veleno, se non fosse che so che quel furfante ha un suo sordido
interesse nel mantenermi in vita, e che la mia morte sarebbe il segnale della sua rovina. Ma
non oso muovermi senza la mia odiosa, spregevole, volgare carceriera, quell'orribile
Irlandese, che segue ogni mio passo. La sera vengo chiusa a chiave nella mia camera,
come una criminale, e mi viene permesso di lasciarla solo quando mi viene ordinato di
recarmi alla presenza di milord (a me ordinare!) per essere presente alle sue orge con i suoi
allegri camerati, e per udire la sua odiosa conversazione quando scivola nella disgustosa
follia dell'ubriachezza! Egli ha abbandonato persino l'apparenza della fedeltà: lui, che aveva
giurato che io sola potevo attrarlo o affascinarlo! E adesso mi porta fin sotto gli occhi le sue
volgari amanti, e avrebbe preteso che io riconoscessi, come erede della mia proprietà, il
figlio che ha avuto da un'altra!

"No, a questo non mi sottometterò mai! Tu, e soltanto tu, mio George mio amico d'un tempo,
sarai l'erede delle proprietà dei Lyndon! Perché il Fato non mi ha unito a te, invece che
all'odioso uomo che mi tiene sotto la sua odiosa influenza, e non ha resa felice la povera
Calista?"

Così le lettere continuavano, un foglio dopo l'altro, nella calligrafia più minuta e contorta; ed
io lascio al lettore senza preconcetti di dire se colei che scriveva questi documenti non
doveva essere la creatura più sciocca e più vana che sia mai esistita, e se non c'era bisogno
di sorvegliarla? Io potrei copiare chilometri di rapsodie dirette a Lord George Poynings, la
sua antica fiamma, in cui ella si rivolgeva a lui coi nomi più affettuosi, e lo implorava di
trovarle un rifugio contro i suoi oppressori; ma il lettore si stancherebbe a leggerli quanto io a
copiarli.
Il fatto è che quella disgraziata aveva l'abilità di scrivere molto più di quello che intendeva
dire. Stava sempre a leggere romanzi e robaccia del genere; impersonava se stessa in
protagonisti immaginari e si sdilinguiva in eroismi e sentimentalismi. Aveva meno cuore di
quanto ne avesse qualsiasi donna che io abbia mai conosciuta; eppure mostrava la più
violenta disposizione ad essere innamorata. Scriveva sempre come se fosse avvolta dalla
fiamma della passione. Io conservo un'elegia sul suo cagnolino, il pezzo più tenero e patetico
ch'ella abbia mai scritto; e i più teneri biglietti di rimostranze a Betty, la sua cameriera
favorita; alla sua governante, per bisticciarsi con lei a una mezza dozzina di conoscenze, a
ciascuna delle quali si rivolgeva come se fosse stata la più cara amica del mondo, per
dimenticarla nel momento stesso in cui prendeva un altro dirizzone.

Quanto al suo amore per i suoi figli, i passaggi riportati sopra serviranno a dimostrare quanto
fosse capace di reali sentimenti materni: la frase stessa con cui riporta la morte di uno dei
figli serve a tradire il suo egoismo, e a sfogare il suo fiele contro di me; e mostra desiderio di
richiamarne un altro dal sepolcro unicamente perché egli possa arrecarle qualche vantaggio
personale. Se io ho trattato severamente questa donna, tenendola lontana dai suoi adulatori,
i quali avrebbero seminato discordia fra noi, e tenendola chiusa al sicuro dai raggiri, chi potrà
dire che avessi torto? Se c'è una donna che avrebbe meritato la camicia di forza, quella era
Lady Lyndon; e ai miei tempi io ho conosciuto gente tenuta sulla paglia con le mani legate e
la testa rasata senza aver commesso neppure la metà delle pazzie che faceva quella
creatura sciocca, vana e infatuata.

Mia madre era così infuriata per le accuse contro di me e contro di lei che contenevano
quelle lettere, che solo con grande difficoltà potei trattenerla dal rivelare a Lady Lyndon che
ne eravamo a conoscenza; mentre il mio scopo era, naturalmente, di tenerla all'oscuro del
fatto che noi eravamo a giorno dei suoi disegni perché ero ansioso di sapere fino a qual
punto arrivassero, e in qual pozzo di raggiri sarebbe sprofondata. Le lettere (come dicono nei
romanzi) aumentavano di interesse a mano a mano che seguitavano. Venivano fatti dei miei
maltrattamenti quadri tali che vi avrebbero fatto balzare il cuore in petto. Non so di quali
mostruosità non mi accusasse, ed a quali miserie non dichiarasse di essere sottoposta,
compreso il tentativo di affamarla, tutto questo mentre viveva, anche troppo grassa e
soddisfatta, almeno all'apparenza, nella nostra casa di Castle Lyndon. La lettura di romanzi e
la vanità le avevano voltato il cervello. Io non potevo rivolgerle una parola un po' rude (e se
ne sarebbe meritata a migliaia ogni giorno, ve lo dico io), senza che dichiarasse che la
mettevo alla tortura; e mia madre non poteva farle una rimostranza senza che lei si facesse
venire un attacco isterico, di cui dichiarava che la degna dama era stata la causa.

Alla fine cominciò a minacciare di uccidersi; e benché io non levassi affatto di mezzo i coltelli,
non le lesinassi legacci e giarrettiere, e lasciassi completamente a sua disposizione tutta la
bottega del farmacista, conoscendo benissimo il suo carattere, e sapendo che in tutta la
Cristianità non c'era donna da cui fosse meno probabile aspettarsi che attentasse alla sua
preziosa vita; pure quelle minacce ebbero, evidentemente, un certo effetto, nel luogo a cui
erano rivolte; perché ora i pacchetti della modista cominciarono ad arrivare con maggior
frequenza, e i biglietti che le venivano mandati contenevano l'assicurazione che l'aiuto stava
per arrivare. Il cavalleresco Lord George Poynings si accingeva a venire a liberare sua
cugina, e mi faceva il complimento di dire che sperava di affrancare la sua cara cugina dagli
artigli del più atroce furfante che mai avesse afflitto l'umanità e che, quando lei fosse stata
libera, sarebbero stati presi dei provvedimenti per il divorzio, sulla base della crudeltà e di
ogni sorta di maltrattamenti da parte mia.

Io conservavo accuratamente copia di tutti questi preziosi documenti spediti dall'una e


dall'altra parte, copie fatte dal già nominato mio parente, nipote e segretario, Redmond Quin,
che era attualmente il degno amministratore delle proprietà di Castle Lyndon. Era un figlio
della mia antica fiamma, Nora, che avevo preso con me in un accesso di generosità,
promettendole di occuparmi della sua istruzione al "Trinity College" e di provvedere a lui per
tutta la vita. Ma dopo che il ragazzo fu rimasto per un anno all'Università, i professori
decisero di non ammetterlo alle riunioni universitarie o alle conferenze fino a che i suoi conti
di collegio non fossero stati pagati; e offeso da questo insolente modo di richiedere la vile
somma dovuta, io ritirai a quella scuola la mia protezione, e ordinai che il giovane venisse a
Castle Lyndon: dove mi si rese utile in cento modi. Fino a che fu vivo il mio caro figliolo, gli
fece da insegnante per quanto poteva; ma vi assicuro che il povero caro Bryan si dava
sempre assai poco da fare con i libri. Poi tenne i conti della signora Barry; copiava la mia
interminabile corrispondenza personale con i miei avvocati e con gli amministratori di tutte le
mie svariate proprietà; la sera faceva un giro di picchetto o di sbaraglino con me e con mia
madre; oppure, essendo un ragazzo abbastanza intelligente (benché di spirito meschino e
rustico come ci si poteva aspettare dal figlio di un simile padre), accompagnava la spinetta di
Lady Lyndon col suo zufolo, e leggeva in francese e in italiano con lei. Di tutte e due queste
lingue Sua Signoria era una buona conoscitrice, ed anche lui imparò a conversare
perfettamente in entrambe. Era una cosa che faceva inquietare moltissimo la mia vecchia e
sospettosa madre, sentirli conversare in quelle lingue; perché, non comprendendo una
parola né dell'una né dell'altra, la signora Barry era furiosa quando le parlavano gli altri, e
diceva sempre che se ne servivano per qualche piano che stavano macchinando. Era quello
il modo abituale di Lady Lyndon per far indispettire la vecchia signora, quando quei tre si
trovavano soli insieme rivolgersi a Quin nell'uno o nell'altro di quegli idiomi.

Io ero perfettamente sicuro della fedeltà del ragazzo, perché lo avevo allevato e coperto di
benefici; ed inoltre avevo avuto diverse prove della sua fidatezza. Era lui che mi aveva
portato tre delle lettere di Lord George, in risposta ad alcune delle lamentele di Milady;
lettere che erano nascoste in mezzo alla rilegatura di un libro mandato in lettura a Sua
Signoria dalla biblioteca circolante. Anche lui e Milady avevano frequenti dispute. Lei nei suoi
momenti di buon umore gli faceva il verso; e quando aveva una passata di superbia, diceva
che non voleva sedere a tavola col nipote di un sarto. - Mandami chiunque altro, per
compagnia, ma non quell'odioso Quin - diceva, quando le proponevo di mandarglielo perché
la divertisse con i suoi libri e il suo zufolo; perché, per quanto attaccabrighe fossimo, non si
deve credere che litigassimo di continuo: di tanto in tanto io le rivolgevo anche delle
attenzioni.

A volte restavamo in buona amicizia anche per un mese; poi ci tenevamo il broncio per
quindici giorni; poi lei restava chiusa nelle sue stanze per un mese: e tutti questi avvenimenti
domestici venivano annotati, nel modo che era particolare a Sua Signoria, nel suo diario di
prigionia, come lo chiamava lei: e vi assicuro che era proprio un grazioso documento. A volte
essa scriveva: "Il mio mostro è stato quasi gentile, oggi!", o "Il mio furfante si è degnato di
sorridere"; poi esplodeva in espressioni di odio selvaggio. Ma per la mia povera madre era
sempre odio. Era "Il dragone è ammalato, oggi; volesse il Cielo che morisse!" oppure
"Quell'odiosa vecchia zanaiola irlandese mi ha minacciato con il suo linguaggio da
pescivendola, oggi", e così via: tutte queste espressioni, lette alla signora Barry, o tradotte
dall'italiano o dal francese, in cui molte di esse erano scritte, non mancavano di mantenere la
vecchia signora perpetuamente infuriata contro la persona affidatale; e così io avevo il mio
cane da guardia, come la chiamavo, sempre all'erta. Nel tradurmi quelle lingue, il giovane
Quin mi era di grande utilità; perché io avevo un'infarinatura di francese e naturalmente,
quand'ero nell'esercito, conoscevo bene l'olandese, ma di italiano non ne sapevo neppure
una parola, ed ero contento dei servigi di un interprete così fedele e a buon mercato.

Ma questo interprete fedele e a buon mercato, questo nipote e parente, sul quale e sulla
famiglia del quale avevo profuso tanti benefici, in realtà stava cercando di tradirmi; e per
diversi mesi almeno fu in lega col nemico contro di me. Credo che la ragione per cui essi non
si mossero prima fu la mancanza del più grande propulsore di tutti i tradimenti: il denaro; di
cui, in tutte le parti della nostra amministrazione, c'era una maledetta scarsità; ma anche di
questo essi fecero in modo da avere un rifornimento, attraverso quel furfante di mio nipote,
che poteva andare e venire senza destare assolutamente sospetti: tutto il piano fu preparato
proprio sotto il nostro naso, e la carrozza di posta era stata ordinata, e tutti i mezzi per la
fuga erano pronti, mentre io non sospettavo neppure i loro disegni.

Fu un semplice incidente a farmi venire a conoscenza dei loro progetti. Uno dei miei operai
aveva una graziosa figliola; e quella bella ragazzotta aveva per "promesso", come lo
chiamano in Irlanda, un ragazzo che portava il sacco della posta a Castle Lyndon (e c'erano
un bel po' di solleciti di pagamento in quel sacco per me, Dio ne è testimone!): e questo
ragazzo della posta disse alla sua bella che portava un sacchetto di denaro dalla città per
Master Quin; e che Tim, il garzone della posta dei cavalli, gli aveva detto che doveva portare
una carrozza giù presso il fiume ad una cert'ora. Miss Rooney, che non aveva segreti per
me, tirò fuori tutta la storia; e mi chiese che cosa stavo progettando, e quale povera
disgraziata ragazza stavo per portar via con la carrozza che avevo ordinato, e ingannare col
denaro che mi ero fatto venire dalla città.

Allora mi si svelò in un baleno tutto il segreto, che colui che m'ero allevato in seno stava per
tradirmi. Pensai tutto in una volta di cogliere la coppia nell'atto di fuggire, di annegarli nel
battello che dovevano prendere per raggiungere la carrozza, o di sparare sul giovane
traditore davanti agli occhi di Lady Lyndon; ma poi, ripensandoci, era assolutamente chiaro
che la notizia della fuga avrebbe fatto rumore in paese ed eccitato contro di me le confuse
idee di giustizia della gente del posto, e non sarebbe finita bene per me. Così fui costretto a
soffocare la mia legittima indignazione, e a contentarmi di mandare a monte quella pazza
cospirazione, proprio nel momento in cui stava per compiersi.

Andai a casa, e in mezz'ora, con qualche guardataccia, ebbi Lady Lyndon in ginocchio che
mi pregava di perdonarla, confessando tutto per filo e per segno; pronta a giurare e a
spergiurare che non avrebbe ripetuto mai più un simile tentativo; e dichiarò anzi che era
stata cinquanta volte sul punto di svelarmi ogni cosa, ma che temeva il mio sdegno contro il
povero ragazzo suo complice:

che era in realtà l'autore e l'ideatore di tutto il raggiro.


Benché sapessi che tale dichiarazione era assolutamente falsa mi mostrai di buon grado
disposto a crederlo! sicché la pregai di scrivere a suo cugino Lord George, che le aveva
fornito il denaro, come ella ammise subito, e con cui era stato preparato il progetto,
dichiarando brevemente che aveva cambiato parere circa il viaggio in città già progettato; e
che, siccome il suo caro marito non stava troppo bene in salute, preferiva restare a casa a
curarlo.

Io aggiunsi un secco poscritto, in cui dichiaravo che sarei stato lietissimo se Sua Signoria
fosse venuto a trovarci a Castle Lyndon; e che desideravo rinnovare una conoscenza che in
passato mi aveva dato tante soddisfazioni. Aggiungevo che avrei fatto ricerca di lui non
appena per caso mi fossi trovato nelle sue vicinanze, e che mi immaginavo anticipatamente
il piacere di un incontro con lui. Credo che egli comprendesse perfettamente che cosa
intendevo con queste parole; e cioè che lo avrei infilzato alla prima occasione, se avessi
potuto mettergli le mani addosso.

Poi ebbi una scenata con quel perfido furfante di mio nipote; e in essa il giovane reprobo
mostrò un'audacia ed uno spirito a cui io ero assolutamente impreparato. Quando lo accusai
di ingratitudine:

- Ma che cosa vi debbo? - disse lui. - Ho lavorato per voi quanto nessun altro, ed ho fatto di
tutto senza un soldo di stipendio.

Siete stato voi stesso che mi avete messo contro di voi, affidandomi un compito contro cui
l'anima mia si rivoltava, facendo di me una spia ai danni della vostra disgraziata moglie, la
cui debolezza è da compatire quanto le sue disgrazie, per i furfanteschi maltrattamenti che le
infliggete. La mia carne e il mio sangue non potevano sopportare di vedere il modo in cui la
trattavate. Ho cercato di aiutarla a sfuggirvi; e lo rifarei di nuovo, se me se ne offrisse ancora
l'opportunità, e ve lo dico in faccia!

Quando dissi che mi proponevo di fargli saltare le cervella per la sua insolenza: - Puah! -
disse lui - uccidere l'uomo che una volta salvò la vita del vostro povero figliolo, e che stava
tentando di trarlo dalla rovina e dalla perdizione a cui lo stava conducendo un padre
malvagio, quando un Potere Divino si interpose, e lo tolse da questa casa di peccato? Vi
avrei lasciato già da qualche mese, ma speravo che ci fosse qualche possibilità di liberare
quell'infelice signora. Giurai che l'avrei tentato, il giorno in cui vi vidi batterla. Uccidere me,
voi, tiranno e tormentatore di donne! Lo fareste, se osaste; ma non ne avete il coraggio.
Persino i vostri domestici vogliono più bene a me che a voi. Toccatemi, e insorgeranno, e vi
manderanno nella galera che meritate!

Io interruppi questo chiaro discorso tirando in testa a quel giovane gentiluomo una bottiglia e
mandandolo a finire disteso per terra; poi andai a meditare su ciò che mi aveva detto. Era
vero che costui aveva salvato la vita al povero piccolo Bryan, e il ragazzo gli era rimasto
teneramente affezionato fino al giorno della sua morte.
"Sii buono con Redmond, papà", erano state quasi le ultime parole che aveva detto; ed io
avevo promesso al povero bimbo, sul suo letto di morte, che avrei fatto ciò che mi chiedeva.
Era anche vero che se l'avessi trattato rudemente questo sarebbe piaciuto poco alla mia
servitù, di cui egli aveva fatto in modo di diventare il favorito; mentre non so come, benché io
mi ubriacassi spesso con quei furfanti e concedessi loro molta più familiarità di quanta non
ne dia di solito un uomo del mio rango, pure sapevo che non mi erano affatto affezionati; e
che quei mascalzoni borbottavano continuamente contro di me.

Ma avrei potuto risparmiarmi il disturbo di discutere con me stesso quale sarebbe stata la
sua sorte, perché quel giovane gentiluomo mi tolse di mano la possibilità di disporne nel
modo più semplice del mondo: cioè lavandosi e fasciandosi la testa appena ritornò in sé
ritirando dalla stalla il suo cavallo; e, siccome era assolutamente libero di andare e venire
dentro e fuori della casa e del parco a suo piacimento, disparve senza il minimo indugio od
ostacolo; e lasciandosi dietro il cavallo quando si imbarcò sul battello, se ne andò nella
stessa carrozza di posta che stava aspettando Lady Lyndon. Io non lo vidi più e non sentii
più parlare di lui per parecchio tempo; e adesso che era fuori di casa mia, non lo considerai
più un nemico molto preoccupante.

Ma il sottile artificio della donna è tale che a lungo andare io credo non ci sia uomo, fosse
egli Machiavelli in persona, che possa sfuggirgli; e benché io avessi ampie prove della
cospirazione narrata qui sopra (ed in cui i perfidi disegni di mia moglie furono resi vani dalla
mia previdenza) e, nella sua propria scrittura, della doppiezza del suo carattere e del suo
odio per me, pure ella in realtà fece in modo da ingannarmi, ad onta di tutte le mie
precauzioni e della vigilanza di mia madre in mio favore. Se io avessi seguito i consigli di
quella buona dama, che fiutava il pericolo da lungi quando ce n'era, non sarei mai caduto
nella trappola preparata per me, e che fu organizzata in modo che ebbe successo proprio in
ragione della sua semplicità.

I rapporti di Lady Lyndon con me erano di un genere piuttosto singolare. La sua vita
trascorreva in una specie di cervellotica alternativa tra amore e odio per me. Se io ero ben
disposto verso di lei (come accadeva qualche volta), non c'era nulla che non avrebbe fatto
per propiziarmisi maggiormente; ed era tanto assurda nelle sue espressioni di affetto quanto,
in altri momenti, lo era nelle sue dimostrazioni di odio. Non sono davvero i mariti deboli e
accondiscendenti i più amati al mondo, secondo la mia esperienza in proposito. Credo che
alle donne piaccia una certa violenza di carattere, e che non siano particolarmente mal
disposte verso un marito che eserciti la propria autorità in modo energico. Io avevo portato
Milady ad un tale stato di terrore verso di me, che quando le sorridevo si apriva addirittura
un'era di felicità per lei; e quando le facevo un cenno, veniva a me con ogni sorta di moine
come un cagnolino.

Ricordo benissimo come, nei pochi giorni che andai a scuola, i miei vili e codardi compagni
ridessero se per il caso il nostro severo maestro diceva qualche scherzo. Lo stesso
accadeva al reggimento: ogni volta che un tirannico sergente era disposto a mostrarsi faceto,
non una recluta osava fare il viso scuro.
Ebbene, un marito saggio e deciso metterà sua moglie in queste stesse condizioni di
disciplina; ed io avevo portato la mia nobile moglie a baciarmi la mano, a sfilarmi gli stivali, a
compiere per me i più umili servigi, al pari di una domestica, ed a farsi sempre una festa,
anche, del fatto che io fossi di buon umore.

Confidavo forse troppo nella durata di questa disciplinata obbedienza, e dimenticavo che
proprio l'ipocrisia che ne fa parte (tutte le persone timide sono bugiarde in cuor loro) può
essere adoperata per ingannarvi in un modo che vi riuscirà alla fine tutt'altro che gradevole.

Dopo l'insuccesso della sua ultima avventura, che mi fornì infinite occasioni di farmi beffe di
lei, si potrebbe pensare che io stessi in guardia sulle sue effettive intenzioni; ma essa faceva
in modo da fuorviarmi con un'arte della dissimulazione assolutamente ammirevole, e mi
cullava in una fatale sicurezza circa le sue intenzioni; tanto che un giorno in cui stavo
scherzando con lei, e chiedendole quando si sarebbe imbarcata un altra volta, se aveva
trovato un altro corteggiatore, e così via, ella scoppiò improvvisamente in lacrime, e
afferrando la mia mano gridò appassionatamente:

- Ah, Barry, tu sai benissimo che io non ho mai amato altri che te! Sono io mai stata così
avvilita che una parola gentile da parte tua non mi abbia reso felice? E mai così adirata, che
la minima offerta di pace da parte tua non mi abbia portato al tuo fianco? Non ti ho dato una
prova sufficiente del mio affetto per te, affidandoti uno dei primi patrimoni d'Inghilterra? Ii ho
mai afflitto o rimproverato per il modo in cui lo hai dissipato? No, ti amavo troppo e troppo
teneramente: ti ho sempre amato. Sin dal primo momento che ti ho visto, mi sono sentita
irresistibilmente attratta verso di te. Ho visto le tue cattive qualità ed ho tremato per la tua
violenza; ma non ho potuto fare a meno di amarti. Ti ho sposato, benché sapessi che
suggellavo il mio destino nel farlo; e a dispetto della ragione e del dovere. Che sacrificio
desideri tu da me? Sono pronta a farli tutti, purché tu mi ami; o, se questo non è possibile,
perché almeno mi tratti gentilmente.

Quel giorno ero particolarmente di buon umore, e così ci fu tra noi una specie di
riconciliazione: benché mia madre, quando udì questo discorso, e mi vide intenerirmi verso
Sua Signoria, mi mettesse solennemente in guardia dicendo: - Sta' pur sicuro che quell'abile
briccona ha in mente qualche altro progetto, adesso. - La vecchia signora aveva ragione; ed
io mandai giù l'esca che Sua Signoria aveva preparato per intrappolarmi con la stessa
semplicità con cui un pesciolino abbocca all'amo.

Avevo cercato di negoziare con un tale per una certa somma di denaro di cui avevo urgente
necessità, ma dopo la nostra lite circa la faccenda della successione, Milady aveva rifiutato
risolutamente di firmare qualsiasi documento in mio favore: e senza il suo nome, mi
rincresce di dirlo, il mio aveva poco valore sul mercato, ed io non potevo ottenere neppure
una sterlina da un qualsiasi agente di cambio e prestatore di denaro di Londra o di Dublino.
E neppure potevo ottenere che quei furfanti di quest'ultima città venissero a trovarmi a Castle
Lyndon: in seguito a quel disgraziato affare che avevo avuto con l'avvocato Sharp, quando lo
avevo indotto a prestarmi il denaro che aveva ritirato, e con il vecchio ebreo Salmon, che era
stato derubato dell'obbligazione, che gli avevo firmato, subito dopo aver lasciato casa mia
(37), la gente non si fidava più a venire da me.
A quell'epoca anche le nostre rendite erano nelle mani dei curatori, ed era molto se riuscivo
ad ottenere denaro sufficiente da quei mascalzoni per pagare i miei fornitori di vino. Le
nostre proprietà inglesi, come ho già detto, erano egualmente vincolate; e tutte le volte che
mi rivolgevo ai miei legali e ai miei amministratori per denaro, arrivava una risposta che
chiedeva denaro a me, per debiti e pretesi diritti che quei rapaci furfanti dicevano di avere.

Con un certo senso di piacere dunque ricevetti una lettera dal mio uomo di fiducia in Gray's
Inn, Londra, il quale diceva (in risposta ad una mia novantanovesima richiesta) che pensava
di potermi procurare del denaro; e conteneva una lettera di una rispettabile ditta della City di
Londra, che si interessava di affari minerari, ed offriva di riscattare e di concludere un lungo
affitto per una nostra proprietà che era ancora abbastanza libera da impegni, con la firma
della contessa; e purché fosse loro garantito che essa aveva firmato di sua libera e
spontanea volontà. Dicevano che avevano sentito dire che essa viveva nel terrore di essere
uccisa da me, e che meditava una separazione nel qual caso avrebbe potuto rifiutarsi di
riconoscere qualsiasi contratto da lei firmato durante la sua prigionia e costringerli, ad ogni
modo, ad una controversia dubbia e dispendiosa; chiedevano, pertanto di essere garantiti
della perfetta libertà di volere di Sua Signoria nell'affare, prima di pagare un solo scellino di
capitale.

Le loro condizioni erano così dure, che pensai che la loro offerta doveva essere sincera, e,
dato che Milady era di buon umore, non ebbi difficoltà a persuaderla a scrivere una lettera di
suo pugno, in cui dichiarava che i resoconti dei nostri malintesi erano assolutamente
calunniosi; che noi vivevamo in perfetta unione, e che lei era prontissima a firmare qualsiasi
documento legale che suo marito desiderasse farle firmare.

Questa proposta era quanto mai tempestiva, e mi riempì di grandi speranze. Non ho voluto
annoiare i miei lettori con troppi resoconti dei miei debiti e delle mie traversie legali, che a
quell'epoca erano tanto vasti e complicati che neppure io stesso li conoscevo per intero, ed
ero diventato mezzo pazzo per il loro incalzare. Basti dire che tutto il mio denaro se n'era
andato e che non avevo più alcun credito. Vivevo a Castle Lyndon del mio manzo e del mio
montone, del pane, delle verdure e delle patate delle mie proprietà: e dovevo far la guardia a
Lady Lyndon all'interno, e agli ufficiali giudiziari all'esterno. Da due anni, dopo l'ultima volta
che ero andato a Dublino a riscuotere denaro (che disgraziatamente avevo perduto al giuoco
sul posto, con grande disappunto dei miei creditori), non mi avventuravo più a mostrarmi in
quella città; e potevo permettermi di fare qualche apparizione nel capoluogo stesso della
nostra contea a rari intervalli solo perché conoscevo gli sceriffi: e giuravo palesemente che li
avrei ammazzati se mi fosse capitato qualche guaio. La probabilità di un buon prestito,
dunque, era per me la più ben accetta di tutte le prospettive possibili, ed io la salutai con
tutto l'entusiasmo che si può immaginare.

In riscontro alla lettera di Lady Lyndon venne, a giro di posta, una risposta di quei dannati
mercanti di Londra, dichiarante che se Sua Signoria avesse confermato a viva voce, nei loro
uffici di Birchin Lane a Londra, quanto diceva nella sua lettera, essi, avendo tutelato i propri
interessi, avrebbero concluso senz'altro l'affare; ma che rifiutavano di correre il rischio di una
visita a Castle Lyndon per trattare, essendo a conoscenza del modo in cui vi erano state
trattate altre rispettabili persone, come i signori Sharp e Salmon di Dublino. Questo fu un
vero colpo per me ma ci sono situazioni in cui uno non può dettare le proprie condizioni:

e, in fede mia, io avevo in quel momento un così urgente bisogno di denaro, che avrei
firmato un prestito col diavolo in persona, se fosse venuto da me provvisto di una somma un
po' rotondetta.

Decisi dunque di andare a Londra portando con me la contessa.

Invano mia madre mi pregò e mi scongiurò di non farlo. - Sta pur certo - mi disse - che c'è
sotto qualche tranello. Una volta che tu sia andato in quella dannata città, non ti salverai più.
Qui puoi vivere per anni ed anni nel lusso e nello splendore, sia pure senza chiaretto e con
tutte le finestre rotte; ma appena riusciranno ad averti a Londra, avranno la meglio sul mio
povero e fiducioso ragazzo; e la prima cosa che sentirò dire di te, sarà che sei nei pasticci.

- Perché andare, Redmond? - mi disse mia moglie. - Io sono felice qui, finché tu sei gentile
con me come lo sei adesso. A Londra noi non possiamo fare quella figura che dovremmo; il
poco denaro che otterrai, sarà speso subito, come lo è stato tutto il resto.

Ridiventiamo pastore e pastorella, guardiamo le nostre greggi e stiamocene contenti. - Mi


prese la mano e la baciò, mentre mia madre disse soltanto: - Hum! io credo proprio che in
fondo a questo affare ci sia lei, questa dannata impostora!

Io dissi a mia moglie che era una pazza; pregai la signora Barry di non essere inopportuna, e
mi mostrai impaziente di andare; non avrei ascoltato opposizioni né dall'una né dall'altra. La
questione più importante era, come mi sarei procurato il denaro per andare; ma questo
particolare fu risolto dalla mia buona mamma, che era sempre pronta ad aiutarmi nel
bisogno, e che tirò fuori da una calza sessanta sterline. Questo era tutto il patrimonio in
contanti di cui Barry Lyndon, di Castle Lyndon, e sposato ad un patrimonio di quarantamila
sterline all'anno, poteva disporre: tale era stata la rovina prodotta in quel magnifico
patrimonio dalle mie stravaganze (debbo confessarlo), ma soprattutto dalla mia fiducia mal
riposta e dalla furfanteria altrui.

Non partimmo in gran pompa, potete starne certi. Non facemmo sapere a nessuno in paese
che stavamo per andarcene e non ci scambiammo né biglietti né visite d'addio con i nostri
vicini. Il famoso Barry Lyndon e la sua nobile consorte viaggiarono in carrozza da nolo a due
cavalli fino a Waterford, sotto il nome di signore e signora Jones. Di lì c'imbarcammo per
Bristol, dove arrivammo senza nessun incidente. Quando uno sta andando in malora, come
è facile e piacevole il viaggio! Il pensiero del denaro mi teneva di ottimo umore, e mia moglie,
con la testa appoggiata sulla mia spalla nella carrozza di posta che ci conduceva a Londra,
disse che era il viaggio più felice che avesse fatto da quando ci eravamo sposati.
La sera ci fermammo a Reading, di dove io spedii un biglietto al mio agente di Gray's Inn,
dicendo che sarei stato da lui in giornata, e pregandolo di procurarmi un alloggio, e di
affrettare i preparativi del prestito. Milady ed io convenimmo insieme che ce ne saremmo
andati in Francia, e che ci saremmo fermati lì in attesa di tempi migliori; e quella sera a cena
facemmo un mucchio di progetti di divertimenti e di economie. Si sarebbe potuto pensare
che fossimo Filomene e Bauci a cena insieme.

O donne! donne! quando ricordo i sorrisi e le carezze di Lady Lyndon - come sembrava felice
quella sera! che aria di fiducia innocente c'era nel suo contegno, e con quali affettuosi nomi
mi chiamava! - resto addirittura stupefatto dalla profondità della sua ipocrisia. Chi si
meraviglierà dunque che una persona incapace di sospetti come me abbia potuto restar
vittima di un'ingannatrice così consumata?!

Alle tre del pomeriggio eravamo a Londra, e mezz'ora prima dell'ora fissata la nostra
carrozza si diresse in Gray's Inn. Io trovai facilmente le stanze del signor Tapewell: che cupa
spelonca era quella, e in quale disgraziato momento vi entrai! Mentre salivamo per le sudicie
scalette, illuminate da una fioca lampada e dal cupo cielo di un buio pomeriggio londinese,
mia moglie mi apparve debole e agitata.

- Redmond - disse, mentre ci fermavamo davanti alla porta - non entrare: sono sicura che c'è
qualche pericolo. Siamo ancora in tempo: torniamo indietro, in Irlanda, dovunque! - E si mise
davanti alla porta, in una delle sue pose teatrali, prendendomi la mano.

Ma io la tirai da parte. - Lady Lyndon - dissi - voi siete una vecchia pazza!

- Vecchia pazza! - ripeté lei; e si precipitò a tirare il campanello, a cui rispose rapidamente un
signore dall'aria ammuffita, con una parrucca senza cipria, al quale ella gridò: - Dite che Lady
Lyndon è qui; - e si avviò maestosamente per il corridoio, borbottando: - Vecchia pazza. - Era
stato vecchia l'epiteto che l'aveva colpita. Avrei dovuto chiamarla in qualsiasi altro modo
fuorché in quello.

Il signor Tapewell era nella sua stanza, che sapeva di rinchiuso, circondato da scartoffie e da
scrigni. Si fece avanti e si inchinò; pregò Sua Signoria di sedersi; a me indicò una seggiola,
che io presi, piuttosto meravigliato della sua insolenza; poi si ritirò, uscendo da una porta
laterale e dicendo che sarebbe tornato in un attimo.

E in un attimo ritornò, portando con sé... chi credete? Un altro leguleio, sei ufficiali giudiziari
in giubba rossa, con bastoni piombati e pistole, Lord George Poynings e sua zia, Lady Jane
Peckover.
Ouando Lady Lyndon vide la sua antica fiamma, volò tra le sue braccia in un isterico accesso
di passione. Lo chiamò suo salvatore, suo difensore, suo galante cavaliere; poi voltandosi
verso di me mise fuori un torrente di ingiurie che mi lasciò assolutamente stupefatto.

- Benché sia una vecchia pazza - disse - ho messo nel sacco il più abile e infido mostro che
ci sia sotto il sole. Sì, sono stata una pazza quando ti ho sposato, ed ho rinunciato ad altri e
ben più nobili cuori per amor tuo; sì, sono stata una pazza quando ho dimenticato il mio
nome e il mio lignaggio per unirmi ad un avventuriero di bassa nascita, una pazza a
sopportare, senza lamentarmi, la più mostruosa tirannia che mai donna abbia sofferto; a
permettere che il mio patrimonio venisse dilapidato; a vedere donne, basse e volgari quanto
te stesso...

- Per amor del cielo, calmatevi! - gridò l'avvocato; e poi si rifugiò dietro gli ufficiali giudiziari,
vedendo nei miei occhi uno sguardo minaccioso che non piacque a quel mascalzone.

Effettivamente lo avrei fatto a pezzi, se mi fosse venuto vicino.

Nel frattempo Milady continuava in un impeto di furia incoerente, gridando contro di me e


contro mia madre, all'indirizzo della quale lanciava insulti, degni proprio di Billinsgate,
cominciando e terminando sempre le frasi con la parola "pazza".

- Voi non dite tutto, Milady - dissi io, amaramente; - io ho detto vecchia pazza.

- Non ho alcun dubbio che voi abbiate detto e fatto tutto quello che un volgare mascalzone
può dire e fare, signore - si intromise il piccolo Poynings. - Questa signora è adesso sana e
salva sotto la protezione dei suoi parenti e della legge, e non deve temere più a lungo le
vostre infami persecuzioni.

- Ma voi non siete sano e salvo - ruggii io; - e quanto è vero che io sono un uomo d'onore: ho
già assaggiato il vostro sangue una volta, lo avrò fino all'ultima goccia, adesso.

- Prendete nota delle sue parole, signori; testimonierete davanti al giudice contro di lui! -
strillò il piccolo avvocato, di dietro gli ufficiali dello sceriffo.
- Non insozzerò la mia spada col sangue di un simile birbante - strillò Milord, rifugiandosi
sotto la stessa nobile protezione. - Se questo furfante rimane a Londra solo un altro giorno,
sarà arrestato come un comune truffatore. - E per la verità questa minaccia mi fece trasalire;
perché sapevo che in città c'erano diecine di mandati esecutivi contro di me, e che una volta
in prigione il mio caso sarebbe stato senza speranza.

- E dov'è l'uomo che mi arresterà? - gridai impugnando la spada e appoggiando la schiena


alla porta. - Venga pure questo tizio. Voi, voi, vile spaccamontagne venite per primo, se
avete l'anima di un uomo!

- Ma noi non intendiamo arrestarvi! - disse l'avvocato; e Sua Signoria, la zia e tutta la
divisione di ufficiali dello sceriffo si allontanarono mentre parlava. - Caro signore, noi non
abbiamo nessuna intenzione di arrestarvi: vi daremo invece una bella somma se lascerete il
paese; purché lasciate in pace Sua Signoria!

- Così il paese sarà finalmente liberato di un insigne criminale!

- esclamò Milord, indietreggiando anche lui, niente affatto spiacente di uscirmi di portata: e
quel furfante di avvocato lo seguì, lasciandomi padrone dell'appartamento, e in compagnia di
quei bravacci della polizia, che erano tutti armati fino ai denti.

Io non ero più ormai quello che ero a vent'anni quando avrei caricato quei mascalzoni spada
alla mano, e avrei dato il fatto suo ad almeno uno di loro. Avevo lo spirito disfatto; ero
completamente preso nella ragnatela: completamente sconfitto e battuto da quella donna.
Era forse sul punto di rinunciare al suo piano, quando sulla porta si era fermata e mi aveva
pregato di tornare indietro? Provava forse ancora un residuo d'amore per me?

Cominciai a riflettere che, almeno, la sua condotta lo dimostrava.

Quella era ormai la sola possibilità che mi rimanesse al mondo, sicché deposi la mia spada
sul tavolo dell'avvocato.

- Signori- dissi - non ricorrerò alla violenza; potete dire al signor Tapewell che sono pronto a
parlare con lui quando avrà tempo! - e mi misi a sedere, incrociando le braccia abbastanza
pacificamente. Che cambiamento dal Barry Lyndon dei vecchi tempi!

Ma, come ho letto in un vecchio libro su Annibale, il generale cartaginese, quando egli invase
il territorio di Roma, le sue truppe, che erano le più prodi del mondo e spazzavano tutto
davanti a loro, si accantonarono in una città dove si saziarono così completamente degli agi
e dei piaceri della vita, che nella successiva campagna furono facilmente battute. Così era
per me adesso. Le mie forze di mente e di corpo non erano più quelle del coraggioso
giovane che aveva colpito il suo primo avversario a quindici anni, e aveva combattuto una
dozzina di battaglie nei sei anni seguenti.
Oggi, nella prigione della Fleet dove scrivo queste pagine, c'è un ometto che mi deride
sempre e si fa sempre gioco di me; mi chiede di combattere con lui, ed io non ho il coraggio
di toccarlo... Ma non voglio anticipare i cupi e disgraziati avvenimenti della mia storia di pene
e di umiliazioni, e sarà meglio che proceda con ordine.

Presi alloggio in un caffè vicino a Gray's Inn, ed ebbi cura di informare il signor Tapewell del
luogo in cui mi trovavo: e lì aspettai ansiosamente una sua visita. Egli venne, e mi portò le
condizioni che proponevano gli amici di Lady Lyndon: una miserabile somma annua di 3.000
sterline, da pagarsi a condizione che io restassi all'estero, fuori dai tre regni, e da
sospendere immediatamente in caso di un mio ritorno. Mi disse, cosa che io sapevo
benissimo, che se mi fossi trattenuto a Londra sarei finito immancabilmente in galera; che
c'erano innumerevoli mandati esecutivi contro di me tanto lì che nell'ovest dell'Inghilterra; che
il mio credito era così scaduto che non potevo sperare di trovare neppure uno scellino in
prestito; e mi lasciò una notte per riflettere sulle sue proposte, dicendo che se le avessi
rifiutate, la famiglia avrebbe proceduto legalmente contro di me:

se accettavo, mi sarebbe stato pagato un trimestre della mia annualità in qualsiasi porto
estero avessi preferito.

Che cosa doveva fare un pover'uomo abbandonato, col cuore infranto? Io presi la somma, e
fui dichiarato fuori legge nella settimana successiva. Alla fine trovai che era stato quel
furfante di Quin la causa della mia rovina. Era stato lui che aveva architettato il piano per
farmi venire a Londra, suggellando la lettera dell'avvocato con un sigillo che era stato
convenuto in precedenza tra lui e la contessa: anzi era sempre stato del parere di provare
questo piano e lo aveva proposto sin da principio, ma Sua Signoria, col suo eccessivo amore
per le cose romanzesche, aveva preferito il progetto di fuga.

Tutto questo me lo scrisse poi mia madre nel mio solitario esilio offrendosi nello stesso
tempo di venire a dividerlo con me; proposta che io rifiutai. Essa lasciò Castle Lyndon
pochissimo tempo dopo che lo avevo lasciato io; e tutto fu silenzio in quel castello che
quando ne ero io il padrone, aveva sfoggiato tanta ospitalità e tanto splendore.

Mia madre credette che non mi avrebbe mai più rivisto e mi rimproverò amaramente di
trascurarla; ma sbagliava in questo, e nel giudizio che dava di me. Ora è molto vecchia, e
proprio in questo istante è seduta qui al mio fianco a lavorare: ha una stanza per dormire in
Fleet Market, dall'altra parte della strada; e con la sua rendita di cinquanta sterline all'anno,
che ha messo da parte con saggia prudenza, riuscimmo a tirare avanti in una miserabile
esistenza, assolutamente indegna del famoso e tanto elegante Barry Lyndon.

Il racconto personale di Barry Lyndon finisce qui perché la mano della morte interruppe ben
presto l'ingegnoso autore dopo il periodo in cui le Memorie furono compilate. Aveva vissuto
per diciannove anni ospite della prigione della Fleet i cui registri affermano che morì di
delirium tremens.
Sua madre raggiunse un'età prodigiosamente avanzata e coloro che abitavano in quel luogo
ai suoi tempi ricordano chiaramente i giornalieri litigi che avevano luogo fra madre e figlio;
fino a che quest'ultimo a causa della sua abitudine di ubriacarsi cadde in uno stato di
rimbambimento quasi completo e fu curato da sua madre pur così vecchia. Era come un
bambino in fasce e piangeva se era privato del bicchiere di brandy che gli era ormai
necessario.

La sua vita sul Continente non abbiamo avuto modo di seguirla in dettaglio; sembra che
riprendesse la sua antica professione di giocatore senza avere però il successo d'un tempo.

Dopo qualche tempo egli tornò segretamente in Inghilterra e fece un infruttuoso tentativo di
estorcere del denaro a Lord George Poynings con la minaccia di pubblicare la
corrispondenza di lui con Lady Lyndon; e di impedire così il matrimonio di Sua Signoria con
la signorina Driver una grande ereditiera di principi rigidissimi, proprietaria di un immenso
numero di schiavi nelle Indie Occidentali. Barry sfuggì per un pelo alla cattura da parte degli
ufficiali dello sceriffo che gli furono sguinzagliati dietro da Sua Signoria che avrebbe anche
voluto sospendergli la pensione; ma sua moglie non acconsentì mai a quest'atto di giustizia e
anzi ruppe definitivamente i suoi rapporti con lui nel momento stesso in cui il Lord sposò la
ricca signora delle Indie Occidentali.

Sta di fatto che la vecchia contessa credeva che il suo fascino fosse intramontabile e forse
non aveva cessato mai di essere innamorata di suo marito. Si era stabilita a Bath; ed il suo
patrimonio veniva amministrato con grande cura dai suoi nobili parenti Tiptoff che dovevano
succederle in mancanza di eredi diretti: e tali erano l'abilità di Barry e il dominio che aveva
ancora su quella donna che ad un certo punto era quasi riuscito a persuaderla a tornare a
vivere con lui; quando i loro piani furono interrotti dalla comparsa di una persona che era
stata ritenuta morta per parecchi anni.

Questa altri non era che il Visconte Bullingdon che si ripresentò con grande sorpresa di tutti;
e specialmente dei suoi parenti della casata dei Tiptoff. Il giovane nobile fece la sua
comparsa a Bath con la lettera di Barry a Lord George in mano; lettera in cui il primo
minacciava di rendere pubblica la relazione del Lord con Lady Lyndon - relazione che non
abbiamo bisogno di affermarlo non disonorava in alcun modo nessuna delle due parti in
causa e dimostrava soltanto che quella signora aveva l'abitudine di scrivere lettere molto
sciocche cosa che molti signori e signore hanno fatto prima e dopo di lei. Per aver messo in
dubbio l'onorabilità di sua madre Lord Bullingdon assalì il suo padrigno (che viveva a Bath
sotto il nome di signor Jones) e gli inflisse una tremenda punizione nella Sala dei Bagni.

La storia del giovane Bullingdon dopo la sua partenza era stata molto romanzesca ma non ci
sentiamo di raccontarla qui. Era stato ferito nella Guerra d'America dato per morto rimasto
prigioniero e fuggito. Le rimesse in denaro che gli erano state promesse non furono mai
inviate; il pensiero di essere così trascurato spezzò quasi il cuore di quel selvaggio e
romantico giovane ed egli decise di rimanere morto per il mondo e per quella madre che lo
aveva rinnegato.

Nei boschi del Canada tre anni dopo che il fatto si era verificato egli vide la morte del suo
fratellastro riportata nel Gentleman's Magazine, sotto il titolo di "Fatale incidente al Lord
Visconte di Castle Lyndon"; sicché decise di ritornare in Inghilterra: dove benché cercasse di
farsi riconoscere fu solo con grande difficoltà che persuase Lord Tiptoff dell'autenticità dei
suoi diritti.

Si era recato a Bath a far visita a Milady sua madre quando riconobbe il ben noto viso di
Barry Lyndon ad onta del modesto travestimento che questo signore indossava e si vendicò
sulla sua persona degli insulti dei tempi trascorsi.

Lady Lyndon s'infuriò quando sentì della baruffa; rifiutò di vedere suo figlio, ed era sul punto
di precipitarsi immediatamente nelle braccia del suo adorato Barry; ma nel frattempo questo
gentiluomo era stato portato via, di prigione in prigione, fino a che non fu affidato alle mani
del signor Bendigo di Chancery Lane, assistente dello sceriffo del Middlesex; e dalla casa di
costui passò nella prigione della Fleet. Lo sceriffo e il suo assistente, il prigioniero e la
prigione stessa non sono ormai più di questo mondo.

Fino a che visse Lady Lyndon, Barry godette del suo assegno e fu forse felice in prigione
come lo era stato in qualsiasi altro periodo della sua esistenza; ma quando Sua Signoria
morì, il suo successore sospese immediatamente l'assegno devolvendo la somma in opere
di misericordia: dicendo che così ne sarebbe stato fatto un uso ben più nobile che non
potesse farne quel briccone che ne aveva goduto fino allora. Alla morte di Bullingdon nella
campagna di Spagna dell'anno 1811, il suo patrimonio fu ereditato dalla famiglia dei Tiptoff e
il suo titolo si spense assorbito dal loro, che era superiore. Non risulta che il Marchese di
Tiptoff (Lord George successe nel titolo alla morte di suo fratello) abbia seguitato a versare
né l'assegno di Barry né la somma assegnata dal defunto Lord alle opere di misericordia. La
proprietà migliorò considerevolmente sotto l'attenta amministrazione di Sua Signoria.

Gli alberi di Hackton Park hanno tutti circa quarant'anni ormai e le proprietà d'Irlanda sono
tutte affittate sotto forma di appezzamenti molto piccoli ai contadini del luogo che ancora
intrattengono i forestieri coi loro racconti sull'audacia, le diavolerie, la cattiveria e la caduta
finale di Barry Lyndon.

NOTE
1. Non siamo mai stati in grado di trovare le prove del matrimonio del mio antenato
Phaudrig con sua moglie. Non ho dubbi che sia stato Lyndon a distruggere il
contratto, e ad uccidere il prete ed i testimoni del matrimonio. (Nota dell'Autore).

2) Esquire (letteralmente: scudiero) è il titolo che si aggiunge al nome di colui che, pur senza
essere investito di un titolo nobiliare, viene considerato per nascita educazione o posizione
sociale come gentiluomo. J. P. abbreviazione di "Justice of Peace": giudice di pace. (Nota del
Traduttore).

3. Ossia Harry Lyndon si convertì al protestantesimo e divenne così erede del


patrimonio familiare, perché la legge inglese favoriva gli anglicani a danno dei
cattolici. (Nota del Traduttore).

4) In un altro punto delle sue Memorie il signor Barry descrive la casa come uno dei più
splendidi palazzi d'Europa; ma questa è un'abitudine non insolita tra gli appartenenti alla sua
nazione; e con tutto il rispetto alla sincerità irlandese, da lui tanto proclamata, è noto che il
nonno del signor Barry era avvocato e che era stato l'autore della propria fortuna. (Nota
dell'Autore).

5) Il famoso letterato e grammatico, autore, fra l'altro, di un vocabolario molto usato al tempo
del Thackeray. (Nota dell'Autore).

6) Cioè sei bottiglie di vino di Porto. (Nota dell'Autore).

7) E' il famoso Jonathan Swift, l'autore dei Viaggi di Gulliver, sommo umorista e uno degli
autori prediletti da Thackeray. (Nota del Traduttore).

8) Gioco di parole, intraducibile in italiano, tra "gooseberry" (ribes) e "goose" (oca). (Nota del
Traduttore).

9) Sirrah: corruzione dialettale di Sir, Signore. (Nota del Traduttore).

10) Sposare la bruna Bess è un espressione militaresca corrispondente al nostro "essere


sotto la naia". (Nota del Traduttore).

11) Parroco.

12) I servizi di cui il signor Barry parla qui, sono, lo sospettiamo stati descritti da lui a bella
posta in termini inesatti. E' molto probabile che sia stato impiegato a servire a tavola gli
stranieri di Berlino e a riferire al Ministro di Polizia qualsiasi notizia che li riguardasse e che
potesse avere interesse per il Governo. Il grande Federico non riceveva mai un ospite senza
prendere queste amichevoli precauzioni. Per quanto concerne i duelli che il signor Barry
sostenne, ci può essere permesso di esprimere qualche dubbio sul gran numero di questi
combattimenti? Si osserverà, in qualche punto delle sue Memorie, che quando si trova in un
passo difficile, o fa cose che il mondo non considera di solito rispettabili, ne segue
inevitabilmente un duello, in cui è vittorioso; ed egli ne deduce d'essere un uomo di onore
indiscusso. (Nota dell'Editore.).

13) Anarcarsi Clootz, detto "l'amico del genere umano", grande e fanatico rivoluzionario,
ghigliottinato durante il Terrore. (Nota del Traduttore).
14) Come si vede, W. Thackeray, originale in tante cose, non può esimersi dall'andazzo di
inventare un personaggio italiano come prototipo del traditore. (Nota del Traduttore).

15) Gioco di carte francese che si gioca in tre persone. (Nota del Traduttore).

16) Tipico rappresentante dell'aristocrazia mondana e corrotta del tempo di Luigi


Quindicesimo. Da non confondere col Cardinale di Richelieu. (Nota del Traduttore).

17) Heyduc soldati ungheresi appartenenti ad un corpo di nobili, uno dei tanti corpi mercenari
di quell'epoca. (Nota del Traduttore).

18) Questo manoscritto deve essere stato scritto all'epoca in cui Mister Brummel era l'arbitro
della moda a Londra. (Nota dell'Editore).

19) Libro della nobiltà, specie di Almanacco di Gotha inglese.

(Nota del Traduttore).

20) Membri di un'Associazione agraria segreta irlandese del Diciottesimo secolo. (Nota del
Traduttore).

21) Liquore alcoolico grossolano.

22) Gli Inglesi accusano gli Irlandesi di essere spacconi e mentitori, come nelle altre parti
della Francia sono ritenuti i Guasconi. (Nota del Traduttore).

23) Sheridan, celebre oratore, commediografo e uomo politico; Burke (1729-1798), scrittore
e uomo politico, capo del partito radicale ai Comuni, entrambi irlandesi. (Nota del Traduttore).

24) Allusione alle tipiche infedeltà della matrona d'Efeso della quale parla Luciano in una
novella celebre in tutta l'antichità.

(Nota del Traduttore).

25) Antonio era evidentemente il nomignolo di lord George in Arcadia. (Nota del Traduttore).

26) Orazio Walpole (1717-1797), figlio del celebre uomo di stato Roberto Walpole, editore e
grande amatore d'arte. Aveva costruito a Twickenam un castello falso gotico per disporvi le
sue collezioni. (Nota del Traduttore).

27) Roundhead (Testa Rotonda) era il nome dato ai puritani, ai repubblicani durante la
guerra civile del 1642. (Nota del traduttore).

28) Il famoso gioielliere che fu truffato nella complicata vicenda della "collana della Regina".
(Nota dell'Autore).

29) Su questa proprietà, garantendo sul suo onore che non era ipotecata, Barry Lyndon
prese in prestito 17.000 sterline nell'anno 1786, dal giovane Capitano Pigeon, figlio di un
mercante della City, che era appena entrato in possesso della propria eredità. Quanto alle
proprietà e miniere Polwellan, "causa di liti interminabili", bisogna riconoscere che il nostro
eroe le comperò; ma non pagò mai più nulla oltre le prime 5.000 sterline del prezzo d
acquisto. Di qui la lite di cui egli si lamenta, e il famoso processo alla Cancelleria di
"Trecothick contro Lyndon ", in cui il signor John Scott si distinse grandemente. (Nota
dell'Editore).

30) Da queste strane confessioni risulta evidente che il signor Lyndon maltrattava sua moglie
in tutti i modi possibili; che rifiutava la sua compagnia; che la trattava tirannicamente
alienando le sue proprietà, spendendo il denaro di lei al gioco e nelle taverne, e che le era
apertamente infedele; e che, quando lei si lamentava, minacciava di toglierle il bambino. Né,
in verità, egli è il solo marito che abbia agito in un modo simile, e sia passato per non essere
"nemico di nessuno fuorché di se stesso": cioè un compagnone gioviale ed allegro. Il mondo
presenta queste simpatiche persone, e in verità proprio perché ad esse non è stata ancora
fatta giustizia abbiamo pubblicato questa autobiografia. Se fosse stata quella di un puro e
semplice eroe da romanzo - uno di quegli eroici giovani che figurano nei romanzi di Scott e di
James - non ci sarebbe stato bisogno di presentare al lettore un personaggio già così spesso
e così ben raffigurato.

Barry Lyndon non è, ripetiamo, un eroe di modello comune; ma che il lettore si guardi attorno
e si chieda: Non è forse vero che molti bricconi hanno nella vita tanto successo quanto gli
uomini onesti? E gli sciocchi più che gli uomini di talento? E non è forse giusto che la vita di
questa classe di individui venga descritta dallo studioso dell'umana natura al pari delle azioni
di quei principi delle favole, di quegli eroi perfetti e impossibili, che i nostri scrittori amano
descrivere? C'è qualche cosa di ingenuo e di semplice nello stile dei romanzi in voga oggi,
nei quali il Principe Grazioso, al termine delle sue avventure, entra in possesso di tutte le
ricchezze di questo mondo, come in precedenza è stato dotato di tutte le qualità morali e
fisiche. Il romanziere pensa di non poter fare di più per il suo beneamato eroe che farlo
diventare Lord. Non è questa una ben misera misura del "summum bonum"? Il maggior bene
nella vita non è di essere lord: e forse neppure di essere felice. Povertà, infermità, persino
una gobba, possono essere ricompense e condizioni di bene tanto quanto quella prosperità
fisica che tutti noi inconsciamente siamo portati ad adorare. Ma questo sarebbe soggetto per
un saggio e non per una nota ed è meglio permettere al signor Lyndon di riprendere la
candida e ingegnosa narrazione delle sue virtù e dei suoi difetti. (Nota dell'Editore).

31) Sembra che queste memorie siano state scritte verso l'anno 1814, nel ritiro che la fortuna
aveva scelto per l'autore al termine della sua vita. (Nota dell'Editore).

32) Pitt "junior", diventato conte di Chatham e capo del partito progressista alla Camera dei
Comuni.

33) Il già citato Pitt, conte di Chatham. (Nota del traduttore).

34) Famoso oratore e deputato radicale alla Camera dei Comuni.

(Nota del Traduttore).

35) Così scherzosamente gli inglesi chiamano la forca. (Nota del Traduttore).

36) La birra leggera era adoperata come rimedio per i mali di stomaco e le indigestioni. (Nota
del traduttore).

37) Queste imprese del signor Lyndon non sono riportate nella narrazione. Probabilmente,
nei casi a cui si allude qui sopra, egli sbrigò le sue faccende da sé, senza l'ausilio della
legge.
(Nota dell'Editore)

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